Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3660 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2   Num. 3660  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 9114/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE,  COGNOME  NOME,  c.f.  CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO,  elettivamente  domiciliati  in  Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrenti
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con indirizzo pec EMAIL
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1769/2017 della  Corte  d’Appello  di Palermo, depositata il 3-10-2017
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23-12024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME,
OGGETTO:
contratto preliminare di compravendita di immobile
RG. 9114/2018
P.U. 23-1-2024
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo di ricorso e il rigetto della richiesta di cancellazione di espressioni ex art. 89 cod. proc. civ. formulata dal controricorrente, uditi l’AVV_NOTAIO per i ricorrenti e l’AVV_NOTAIO per i controricorrenti
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, nato in data DATA_NASCITA, citò avanti il Tribunale di Sciacca NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA esponendo che: aveva stipulato come promittente venditore con NOME COGNOME quale promissario acquirente in data 16-2-2006 un contratto preliminare di compravendita avente a oggetto un fondo agricolo con fabbricato comprensivo di arredi e attrezzature, sito in Santa Margherita Belice, sottoscritto anche dagli altri convenuti quali garanti e responsabili solidali con il promittente acquirente NOME COGNOME; l’accordo era stato concluso in seguito alla risoluzione consensuale di un precedente contratto preliminare di vendita avente a oggetto il medesimo immobile stipulato il 24-3-2005 tra il promittente venditore e RAGIONE_SOCIALE, in ragione dell’inadempimento della società all’obbligo di pagamento delle rate del prezzo nei termini pattuiti; con il contratto 16-2-2006 era stato convenuto che nulla le parti avevano a pretendere in forza di quello risolto consensualmente e il prezzo dell’immobile, in esso fissato in Euro 250.000,00, era stato rideterminato in Euro 280.000,00, da corrispondere ratealmente entro i termini essenziali previsti dal contratto; NOME COGNOME non aveva adempiuto alle obbligazioni assunte e con successiva scrittura privata del 5-12-2007 le parti avevano convenuto, a fronte del riconoscimento in favore del promittente venditore dell’ulteriore somma di Euro
17.000,00 a titolo di interessi e di rivalutazione, nuovi successivi termini rateali di pagamento dell’importo ancora dovuto di Euro 80.000,00, oltre l’ulteriore somma di Euro 17.000 ,00; successivamente con atto stragiudiziale del 19-1-2009 il promittente venditore aveva lamentato il mancato pagamento della somma di Euro 26.833,33 da eseguire alla scadenza del 5-12-2008, aveva comunicato al promissario acquirente di esercitare il diritto di risoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ. e contestualmente lo aveva diffidato a lasciare l’immobile nel termine di dieci giorni, con espressa riserva di chiedere anche il risarcimento dei danni per mancata restituzione, ma a tale diffida non aveva fatto seguito l’adempimento richiesto.
L’attore chiese quindi al Tribunale di pronunciare la risoluzione del preliminare di compravendita dell’immobile, di dichiarare il suo diritto a ritenere le somme ricevute, in forza della clausola n.4 della scrittura privata del 5-12-2007 e di ritenere illegittima la detenzione dell’immobile dal  19 -1-2009  fino al rilascio, con condanna  del convenuto a pagare risarcimento per le fruttificazioni in ragione di Euro 1.500,00 mensili, con condanna degli altri convenuti quali responsabili in solido.
Si costituirono i convenuti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA chiedendo il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, il riconoscimento del diritto a ricevere il valore aggiunto che l’immobile aveva acquisito nel tempo a seguito delle spese da loro sostenute per le migliorie apportate al fondo e al fabbricato.
2.Con sentenza n.9/2014 il Tribunale di Sciacca dichiarò risolto per inadempimento il contratto preliminare del 16-2-1006 come integrato con  la  scrittura  privata  del  5-12-2007  e  condannò  NOME  COGNOME all’immediato rilascio dell’immobile; dichiarò che il promittente venditore aveva diritto di trattenere i pagamenti ricevuti nei limiti di
Euro 147. 796,22 e per l’effetto condannò l’attore alla restituzione della somma eccedente versatagli dal convenuto in forza del preliminare; rigettò le domande del promittente venditore di risarcimento del danno per le fruttificazioni e per l’illegittima detenzione .
La sentenza dichiarò che la clausola di cui al punto 4 della scrittura privata del 2007 (secondo la quale ‘ la mancata o ritardata osservanza dei pagamenti alle superiori scadenze, come sopra determinate, dovrà ritenersi grave inadempimento contrattuale con relativa perdita dei pagamenti già effettuati e con espresso obbligo di rilasciare immediatamente gli immo bili liberi da persone e cose’ ) era clausola risolutiva espressa e clausola penale; rigettò l’eccezione di nullità della clausola proposta ex art. 13 41 cod. civ., dichiarò che l’obbligazione oggetto della clausola risolutiva era ben determinata, dichiarò che il riconoscimento del diritto del promittente venditore di trattenere l’intero ammontare dei pagamenti ricevuti per Euro 206.000,00 a titolo di penale era eccessivo e da ridurre equitativamente all’importo della caparra confirmatoria versata alla stipula del preliminare del 16-22006, maggiorata degli interessi legali da quella data alla sentenza.
3.Proposero  appello  principale  NOME  COGNOME,  NOME  COGNOME, NOME  COGNOME  e  NOME  COGNOME  nato  il  DATA_NASCITA  e  appello incidentale NOME COGNOME nato in data DATA_NASCITA.
Con sentenza qualificatasi ‘non definitiva’ n. 1769/2017 depositata il 3-10-2017 la Cor te d’appello di Palermo ha deciso parzialmente le impugnazioni, senza statuire sulle spese di lite; ha dichiarato il diritto del promittente venditore NOME COGNOME di trattenere i pagamenti ricevuti dal promissario acquirente NOME COGNOME limitatamente a Euro 125.000,00 e lo ha condannato a restituire al promissario acquirente le somme ricevute in eccedenza, disponendo la rimessione della causa in istruttoria per lo svolgimento
di  consulenza  tecnica  d’ufficio  al  fine  di quantificare  il  danno  da detenzione sine titulo dell’immobile.
La sentenza ha accolto il motivo di appello avente a oggetto l’erro nea quantificazione della penale per il conteggio degli interessi, per cui ha riconosciuto il minore importo di Euro 125.000,00. Inoltre, per quanto interessa in relazione ai motivi di ricorso proposti, la sentenza ha rigettato il motivo di appello con il quale si era sostenuto la natura usuraria e perciò la nullità della previsione di un aumento di Euro 30.000,00 (contenuta nel contratto del 16-2-2006 che aveva determinato il prezzo in Euro 280.000,00 rispetto al prezzo di Euro 250.000,00 previsto nei due precedenti preliminari stipulati il 21-72004 e il 24-3-2005) e della previsione contenuta nella scrittura del 512-2007 di conseguire sul saldo di Euro 80.000,00 Euro 17.000,00 a titolo di interessi e rivalutazione monetaria. Ha dichiarato che il maggior prezzo era stato liberamente pattuito tra le parti e tra le pattuizioni si interponeva un intervallo di diciannove mesi -tra il 2004 e il 2006che da solo poteva anche giustificare l’incr emento di prezzo; in ordine all’aumento di Euro 17.000,00, ha rilevato che l’importo era stato imposto a titolo di interessi e rivalutazione monetaria, era ampiamente giustificato dal notevole tempo decorso e comunque non implicava l’applicazione di un meccanismo usurario in senso proprio e di interessi eccessivi rispetto alla sorte capitale iniziale.
La sentenza ha altresì rigettato il motivo di appello con il quale gli appellanti avevano  censurato  la  dichiarazione di risoluzione del contratto  pur  a  fronte  di  inadempimento  di  gravità  tale  da  non giustificare la pronuncia. Ha dichiarato che sia la scrittura del 16-NUMERO_DOCUMENTO che la scrittura del 5-12-2007 contemplavano clausola risolutiva espressa che prevedeva la risoluzione di diritto del contratto in caso di inadempimento; ha dichiarato che, a fronte di pattuizione di clausola
risolutiva  espressa,  era  preclusa  al  giudicante  qualsiasi  valutazione sulla gravità dell’inadempimento e la risoluzione operava di diritto.
La sentenza ha rigettato anche il motivo di appello con il quale gli appellanti si lamentavano del mancato riconoscimento delle migliorie. Ha dichiarato che con l’atto di appello non era stata chiesta l’ammissione delle prove orali non ammesse in primo grado ed era stata chiesta la consulenza tecnica d’ufficio per descrivere il compendio e accertare le migliorie; ha dichiarato che la consulenza a tale fine non poteva essere ammessa, in quanto mancava la prova da parte degli appellanti di avere eseguito i miglioramenti e la prova della loro consistenza.
Infine la sentenza ha dato atto che il promittente venditore si lamentava con l’appello incidentale del rigetto della sua domanda di risarcimento del danno per la detenzione sine titulo dell’immobile, motivata dal giudice di primo grado sulla base dell’assenza di prova del valore locativo dell’immobile, nonostante egli avesse chiesto la liquidazione dei danni con valutazione equitativa sulla base di quanto risultava dagli atti. Ha dichiarato che il motivo era fondato e rendeva necessaria l’esecuzione di c.t .u. ai fini della decisione, aggiungendo che le spese sarebbero state liquidate con la sentenza definitiva, con la quale sarebbe stata resa la decisione e motivazione dell’appello incidentale.
4.Avverso  la  sentenza  NOME  COGNOME,  NOME  COGNOME,  NOME COGNOME e NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi.
NOME  COGNOME  nato  in  data  DATA_NASCITA  ha  resistito  con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e con ordinanza interlocutoria n. 26643/2023 emessa all’esito dell’adunanza camerale del 5 -7-2023 la causa è stata rimessa
alla pubblica udienza per la rilevanza delle questioni poste dal quinto motivo di ricorso con riferimento al cumulo tra penale contrattuale e indennità di occupazione.
In  prossimità  della  pubblica  udienza  il  Pubblico  Ministero  ha depositato memoria con le sue conclusioni ed entrambe le parti hanno depositato  memoria.  Nella  propria  memoria  il  controricorrente  ha anche chiesto la cancellazione della frase contenuta nella precedente memoria depositata dai ricorrenti ‘si può ben dire che parte avversa con l’ausilio dei giudici di merito abbia fatto il più lucroso affare di tutti i tempi’, limitatamente all’inciso ‘con l’ausilio dei giudici di merito’.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, rubricato ‘ violazione e falsa applicazione della L. 7-31996 n. 108 artt. 1 e ss. in relazione all’art. 644 cod. pen. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1419, 1420, 13431345, 1277 cod. civ. Omesso esame di fatto decisivo. Art. 360 1° comma, nn.3 e 5 c .p.c.’ , i ricorrenti dichiarano che è stato dimostrato in giudizio che lo stesso immobile è stato oggetto di quattro diversi preliminari, in data 21-7-2004 per il prezzo a corpo di Euro 250.000,00, in data 24-3-2005 per il prezzo a corpo di Euro 250.000,00, in data 162-2006 per il prezzo a corpo di Euro 280.000,00, con un ricarico di Euro 30.000,00 e il 5-12-2007 per il prezzo di Euro 297.000,00, con un ulteriore ricarico di Euro 17.000,00. Evidenziano che la stipula dei contratti era stata determinata dal fatto che gli acquirenti, a causa di difficoltà economiche, non avevano potuto eseguire nei termini i pagamenti rateali dovuti, pur avendo versato nel tempo Euro 211.500,00; rilevano che nel periodo compreso tra il 16-2-2006 e il 512-2007 fu imposto agli acquirenti un aumento del prezzo di Euro 47.000,00 senza giustificazione di tipo economico, solo in ragione della concessione da parte del venditore di dilazione di pagamento. Quindi sostengono che, secondo la previsione dell’art. 1 legge 108/1996, il
promittente venditore, approfittando delle difficoltà economiche dei promissari acquirenti, per concedere la dilazione di pagamento si era fatto promettere ‘interessi o altri vantaggi usurari’, che erano tali in ragione dell’eccessivo aumento di prezzo pre teso. Lamentano che la sentenza abbia escluso la nullità delle clausole di aumento del prezzo, ritenendo che gli aumenti coprissero gli interessi e la rivalutazione del periodo di ritardo, perché tali importi sarebbero stati al massimo pari a Euro 6.689,00 e, per di più, in base al principio nominalistico sancito dall’art. 1277 cod. civ., la rivalutazione non era dovuta. Perciò sostengono la violazione di legge, ma anche l’omesso esame di fatto decisivo, quale la reale incidenza di interessi e rivalutazione monetaria sulla parte di prezzo ancora dovuta.
1.1.Il  motivo  è  in  parte  infondato  e  in  parte  inammissibile  per carenza di interesse.
1.1.1.Con riguardo al prezzo pattuito nel contratto del 16-2-2006, la sentenza impugnata ha evidenziato che l’aumento di Euro 30.000,00 rispetto al prezzo in precedenza concordato doveva essere valutato con riferimento alla prima pattuizione del 21-7-2004, rispetto alla quale si interponeva un intervallo di diciannove mesi, che anche da solo poteva giustificare l’incremento di prezzo. Si tratta di apprezzamento di fatto idoneo a fondare il giudizio sull’esclusione della natura usuraria di quella pattuizione e che si sottrae alla critica dei ricorrenti secondo il quale il prezzo era stato mantenuto fermo in Euro 250.000,00 con il secondo contratto del 24-3-2005; ciò perché quella circostanza non indica anche che i valori fossero rimasti invariati rispetto alla data della prima pattuizione del 21-72004 e che pertanto la Corte d’appello abbia errato nell’escludere in fatto la sproporzione del nuovo prezzo convenuto dalle parti rispetto al valore all’epoca dell’immobile , tale da avere carattere usurario l’ aumento rispetto al prezzo convenuto nel primo contratto.
Del resto, un aumento del prezzo superiore all’incremento dei valori nel tempo trascorso non sarebbe neppure in sé sufficiente a ritenerne il carattere usurario, in mancanza di deduzioni utili a ritenere l’esistenza di squilibrio contrattuale tale da alterare il sinallagma negoziale . Secondo l’indirizzo al quale si deve dare continuità, nel caso in cui non sia dedotto il superamento del cosiddetto tasso soglia, la nullità della clausola di previsione degli interessi (o di altra utilità, essendo i principi i medesimi) richiede la prova del loro carattere usurario ai sensi dell’art. 644 co. 3 cod. pen., ossia la dimostrazione della sproporzione degli interessi convenuti (con uno squilibrio contrattuale, per i vantaggi conseguiti da una sola delle parti, che alteri il sinallagma negoziale), nonché della condizione di difficoltà economica di colui che promette gli interessi; la prova di entrambi i presupposti grava su colui che afferma la natura usuraria degli interessi, senza che, accertato lo stato di difficoltà economica, la sproporzione possa ritenersi in re ipsa, dovendo comunque dimostrarsi il vantaggio unilaterale conseguito dalla controparte (Cas. Sez. 3 12-9-2014 n. 19282 Rv. 632998-01).
1.1.2.Preliminari considerazioni si impongono con riguardo alla successiva pattuizione del 5-7-2007 di pagamento di ulteriori Euro 17.000,00, in quanto il pagamento era stato espressamente imposto al promissario acquirente a titolo di interessi e rivalutazione, come rilevato anche dalla sentenza impugnata. Infatti, se anche le deduzioni dei ricorrenti fossero accolte, la conclusione sarebbe quella di dichiarazione di nullità del patto relativo al pagamento dell’importo di Euro 17.000,00, in applicazione della regola posta dall’art. 1815 co.2 cod. civ., secondo la quale, se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. Però, considerato che l’importo di Euro 17.000,00 non è stato pagato e non potrà più essere richiesto a seguito della risoluzione del contratto, nonché considerato
che il promissario acquirente aveva pagato in tutto, a seguito delle successive proroghe -secondo la sua stessa allegazione- la somma complessiva di Euro 211.500,00 e perciò somma assai inferiore anche a quella originariamente pattuita di Euro 250.000,00, risulta che l’accertamento della nullità della clausola non avrebbe alcuna incidenza sulle domande proposte in causa. Da qui l’inammissibilità del motivo, con riferimento alla pattuizione avente a oggetto il pagamento di Euro 17.000,00 a titolo di interessi e rivalutazione, in quanto anche nel giudizio di cassazione l’interesse a impugnare discende dalla possibilità di conseguire un risultato pratico favorevole.
2.Con il secondo motivo, ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1453-1459, 1175, 1218, 1366, 1371, 1375 c.c. Art. 360, 1° comma, n.3 c.p.c.’ , i ricorrenti rilevano che con il secondo motivo di appello avevano censurato la sentenza di primo grado per avere dichiarato la risoluzione del contratto preliminare nonostante fosse stato accertato il pagamento di Euro 211.500,00 prima che il promittente venditore agisse per la risoluzione, sulla base del dato che la somma costituiva l’80% del prezzo di Euro 25 0.000,00. Lamentano che la sentenza impugnata abbia rigettato il motivo ritenendo che il contratto contenesse clausola risolutiva espressa, senza considerare i principi posti da Cass. 23868/2015, 2553/2007 e 11717/2002 e perciò senza svolgere alcuna indagine sulla buona fede dei ricorrenti e senza tenere conto che l’esoso aumento di prezzo imposto dal promittente venditore era stata una delle cause che aveva impedito l’adempimento.
2.1.Il motivo è inammissibile.
La sentenza ha dichiarato che, a fronte della previsione di clausola risolutiva espressa, era preclusa al giudice qualunque valutazione sulla gravità dell’inadempimento, che le parti avevano direttamente eseguito pattuendo la clausola e la risoluzione operava di diritto ex art. 1456 cod. civ. La statuizione è corretta, in quanto è acquisito il principio
secondo il quale la pattuizione di clausola risolutiva espressa non consente al giudice di merito di valutare il profilo della gravità dell’inadempimento (Cass. Sez. 6 -3 12-11-2019 n.29301 Rv. 65584201, Cass. Sez. 1 17-3-2000 n. 3102 Rv. 534835-01); infatti sono le parti che, nel pattuire la clausola risolutiva espressa, hanno preventivamente valutato l’inadempimento di gravità tale da giustificare la risoluzione di diritto del contratto, avendo la clausola la funzione di accelerare la risoluzione ed eliminare la necessità di indagini specifiche.
E’ altresì vero che è stato posto il principio secondo il quale, anche in caso di clausola risolutiva espressa, l’agire dei contraenti va valutato secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell’inadempimento, che del consegu ente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione (Cass. Sez.1 23-3-2023 n. 8282 Rv. 66742701, Cass. Sez. 1 23-11-2015 n. 23868 Rv. 637690-01). Però, al fine di sostenere in modo ammissibile la violazione di tali principi, i ricorrenti avrebbero dovuto evidenziare quale condotta dei contraenti non sia stata valutata dalla sentenza impugnata secondo il criterio della buona fede, ma ciò non fanno. Infatti da una parte, con riguardo alla condotta del promissario acquirente, riconoscono che sussisteva il suo inadempimento all’obbligazione principale prevista dal contratto, relativa al pagamento del prezzo, in quanto, secondo la loro prospettazione, era stato pagato l’importo di Euro 211.500,00 , a fronte della debenza da loro stessi riconosciuta del prezzo nell’importo di Euro 250.000,00. D’altra parte, con riguardo alla c ondotta del promittente venditore, i ricorrenti indicano una condotta, la pretesa di aumentare il prezzo da Euro 250.000,00 a Euro 297.000,00, che non ha inciso sull’esistenza e sulla valutazione dell’inadempimento, che è stato esistente anche con riguardo al minore prezzo di Euro 250.000,00. Infatti, secondo le stesse deduzioni dei ricorrenti, le parti avevano
concluso in data 16-2-2006 il nuovo contratto preliminare dopo che il promittente venditore aveva notificato atto stragiudiziale nel quale già a  quella  data  lamentava  il  mancato  pagamento  di  Euro  40.000,00 rispetto al prezzo di Euro 250.000,00 previsto nei precedenti preliminari.
3.Con il terzo motivo, ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 13621371 c.c. Violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.’ , i ricorrenti sostengono che la sentenza, dichiarando che il contratto prevedeva clausola risolutiva espressa, abbia violato i canoni di ermeneutica contrattuale, in quanto non ha indagato la comune intenzione delle parti, ma ha dato aprioristicamente prevalenza all’intenzione del promittente venditore; non ha coordinato la scrittura aggiuntiva del 512-2007 con il negozio principale del 16-2-2006 e ha confuso il termine essenziale con la clausola risolutiva espressa. Inoltre, deducono che nell’atto di citazione gli attori avevano chiesto la dichiarazione di risoluzione del preliminare e non l’accertamento della risoluzione di diritto e in tal senso era stata la decisione del Tribunale di Sciacca, per cui la Corte d’appello, nel ritenere l’esistenza di clausola risolutiva espressa, aveva illegittimamente modificato la causa petendi .
3.1.Il motivo è infondato nella parte in cui sostiene che la sentenza di secondo grado abbia ritenuto la risoluzione del contratto in forza di clausola risolutiva espressa sulla base di una illegittima modifica della domanda e per il resto è inammissibile.
Già la sentenza di primo grado aveva ritenuto che il punto 4 della scrittura privata 5-12-2007 costituiva clausola risolutiva espressa e aveva dato atto che la clausola era ben determinata, in quanto faceva esplicito riferimento all’obbligo di corrispondere le rate del prezzo pattuito entro i termini stabiliti. La pronuncia non era stata oggetto di specifici motivi di appello volti a contestare tale interpretazione della clausola e per questa ragione il dato che la clausola contrattuale
integrasse  clausola  risolutiva  espressa  era  coperto  del  giudicato interno.  Ne  consegue  che  le  deduzioni  con  le  quali  i  ricorrenti sostengono la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale al fine di rimettere in discussione il contenuto della clausola sono inammissibili in primo luogo per questo motivo.
Inoltre, la sentenza impugnata ha dichiarato (pag. 7) che sia la scrittura privata del 16-2-2006 sia quella del 5-12-2007 contemplavano la clausola risolutiva espressa e quindi, non essendo il motivo di ricorso volto a censurare tale accertamento, sono ulteriormente inammissibili le deduzioni volte a lamentare il mancato coordinamento delle previsioni della scrittura del 2006 con quella del 2007.
4.Con il quarto motivo, ‘ violazione degli artt. 61, 115, 116, 191195 c.p.c. Art. 360, 1° comma. N. 4 c.p.c. ‘ , i ricorrenti evidenziano che avevano chiesto, sia proponendo domanda riconvenzionale sia in altra causa poi riunita, che in caso di risoluzione del contratto preliminare e di condanna alla restituzione del fondo, NOME COGNOME fosse condannato a rifondere le spese da loro sostenute per i miglioramenti eseguiti nel fondo. Aggiungono che il Tribunale di Sciacca non aveva ammesso la c.t.u. e neppure le prove richieste con la successiva citazione e aveva rigettato la domanda; evidenziano che avverso questo capo della sentenza avevano proposto appello, chiedendo l’ammissione di consulenza tecnica d’ufficio e depositando consulenza tecnica di parte. Lamentano che la Corte d’appello non abbia ammesso la c.t.u., continuando a ritenerla esplorativa, senza considerare che le opere di miglioramento eseguite nell’immobile potevano ess ere accertate e valutate solo da un esperto e non attraverso altri mezzi di prova, tanto più che in appello era stata legittimamente prodotta perizia di parte.
4.1.Il motivo è infondato.
In primo luogo, i ricorrenti richiamano il principio secondo il quale la produzione della consulenza di parte è sottratta al divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ. ed è consentita anche in appello per il fatto che la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio (Cass. Sez. 2 19-1-2022 n. 1614 Rv. 663635-01, Cass. Sez. 2 24-8-2017 n. 20347 Rv. 64510101, Cass. Sez. U 3-6-2013 n. 13902 Rv. 626469-01). Quindi, il principio non è utile al fine di ritenere che con la produzione della consulenza di parte fossero stati forniti gli elementi probatori che rendevano erroneo il giudizio sul carattere esplorativo della consulenza tecnica d’ufficio dato dalla Corte d’appello.
Inoltre,  premesso  il  dato  pacifico  che  non  integrano  motivo  di ricorso ammissibile le deduzioni relative alla mancata ammissione delle prove  testimoniali  da  parte  del  giudice  di  primo  grado,  perché l’impugnazione  è  rivolta  alla  sentenza  d’appello,  risulta assorbente rispetto a ogni altra la considerazione che i ricorrenti non si lamentano della  mancata  ammissione  delle  prove  testimoniali  da  parte  della sentenza impugnata.
In ordine alla mancata ammissione della consulenza tecnica, la sentenza ha giustificato la mancata ammissione sulla base della considerazione che mancava la prova dell’esecuzione dei miglioramenti e della loro consistenza e non poteva demandarsi tale prova esclusivamente alla c.t.u., che sarebbe risultata meramente esplorativa. La pronuncia si sottrae alle critiche dei ricorrenti, in quanto ha fatto applicazione del principio secondo il quale la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze; pertanto il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è
legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza  delle  proprie  allegazioni  o  offerte  di  prova,  ovvero  di compiere  una  indagine  esplorativa  alla  ricerca  di  elementi,  fatti  o circostanze  non  provati  (Cass.  Sez.  6-1  15-12-2017  n.  30218  Rv. 647288-01, Cass. Sez. 6-L 8-2-2011 n. 3130 Rv. 615888-01, Cass. Sez. 3 14-2-2006 n. 3191 Rv. 590615-01).
5.Con il quinto motivo, ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1382, 1383, 1385 c.c. Omesso esame di fatto decisivo. Art. 360, 1° comma, n.3 e n. 5 c.p.c.’ , i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto fondato l’appello incidentale proposto dal promittente venditore al fine di ottenere l’indennità per l’occupazione sine titulo dell’immobile, con riguardo al periodo successivo alla risoluzione del contratto. Evidenziano che nella fattispecie la sentenza ha riconosciuto il diritto del promittente venditore a trattenere la caparra di Euro 125.000,00 e quindi non poteva cumulare anche ulteriori danni in accoglimento dell’appello incidentale; per questo sostengono che la sentenza debba essere annullata nella parte in cui ha accolto l’appello incidentale.
Sotto altro profilo, i ricorrenti evidenziano come non sia vero che NOME COGNOME detenesse il fondo senza titolo, in quanto le parti avevano stipulato e registrato contratto di affitto agrario in data 16-22006, come era stato dichiarato nel contratto preliminare stipulato nella stessa data, il contratto di affitto era il titolo che legittimava la detenzione ed era stato prodotto quale doc. 5 in appello; per questo sostengono che il capo della sentenza sia viziato da omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
5.1.Il  motivo è inammissibile, in quanto la sentenza impugnata non ha deciso l’appello incidentale avente a oggetto il risarcimento del danno da detenzione sine titulo.
L ‘ordinanza interlocutoria della Corte, rimettendo alla pubblica udienza la decisione in ragione delle questioni di diritto poste dal quinto motivo di ricorso, ha presupposto la correttezza della prospettazione dei ricorrenti secondo la quale la sentenza impugnata ha accolto il motivo di appello incidentale volto a ottenere il risarcimento dei danni per la detenzione sine titulo. Tale prospettazione non può essere recepita in questa sede, in quanto si impone la considerazione che la sentenza impugnata, in motivazione, dopo avere esposto il contenuto del motivo di appello incidentale avente a oggetto il rigetto della domanda di risarcimento dei danni per la detenzione sine titulo dell’immobile, ha sì dichiarato che il motivo era fondato e rendeva necessaria l’esecuzione di una c.t.u. ai fini della decisione, ma ha anche aggiunto che con la sentenza definitiva sarebbe stata resa ‘la decisione e la motivazione dell’appello incidentale’ ; poi in dispositivo la sentenza, senza contenere alcuna statuizione sull’appello incidentale, ha disposto nel capo 2) la rimessione della causa sul ruolo ‘con separata ordinanza, per l’ulteriore proseguo’ . Quindi la sentenza è stata pronunciata ai sensi dell’art. 279 co. 2 n.4 cod. proc. civ. richiamato dall’art. 356 cod. proc. civ., in quanto non ha definito il giudizio e ha deciso solo i motivi di appello principale ma, anziché esattamente limitarsi a dichiarare che la decisione sul motivo di appello incidentale richiedeva ulteriore istruzione , ha dichiarato ‘fondato’ il motivo . Questa affermazione non si è concretata e non può essere interpretata quale decisione sul motivo di appello incidentale, sia perché la relativa motivazione in ordine alle ragioni della spettanza del risarcimento dei danni risulterebbe totalmente mancante e perciò la sentenza sarebbe nulla sul punto, sia perché la stessa sentenza ha esplicitato di emettere una pronuncia ordinatoria sul proseguo del processo e sull’ammissione della consulenza d’ufficio , laddove ha dichiarato che con la sentenza definitiva sarebbe stata ‘ resa la decisione e la motivazione dell’appello
incidentale ‘ . Infatti, la circostanza che la domanda di risarcimento del danno per detenzione sine titulo fosse stata rigettata dal giudice di primo grado per mancanza di prova sul quantum non esimeva il giudice di secondo grado d all’esaminare la domanda in primo luogo sull’ an; ciò richiedeva la disamina delle deduzioni del promittente venditore volte a sostenere l’esistenza del suo diritto a quel risarcimento, ma anche delle deduzioni del promissario acquirente volte a contrastare tale diritto in forza del contratto di affitto richiamato nel preliminare al quale fa riferimento il motivo di ricorso, anche valutando l’ammissibilità della produzione del documento ai sensi dell’art. 345 co. 2 co d. proc. civ. nella formulazione applicabile ratione temporis.
Del resto, si esclude che l’impugnazione sia ammissibile per il fatto che la sentenza, dichiarando la necessità di ammettere la consulenza tecnica d’ufficio, a vrebbe comunque emesso pronuncia decisoria idonea a pregiudicare i ricorrenti. Infatti si deve dare continuità al principio secondo il quale i provvedimenti istruttori del giudice di appello, pur se difformi dalla decisione -su quel medesimo punto- del giudice di primo grado e pure quando affrontino questioni processuali e di merito, nonché pur quando vengano assunti impropriamente sotto la veste di ‘sentenza parziale’ ex art. 279 co.2 n. 4 cod. proc. civ., al quale rinvia la proposizione inziale dell’art. 356 cod. proc. civ., mantengono natura meramente ordinatoria anche sul piano sostanziale, se il limitato esame venga svolto al limitato fine di giustificare lo sviluppo della ulteriore istruttoria; pertanto, come tali, così come non pregiudicano il merito della decisione, non sono neppure impugnabili con il ricorso per cassazione (Cass. Sez. 1 22-10-1997 n. 10387 Rv. 509128-01).
6.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato.
Si compensano le spese del giudizio di legittimità, sussistendone i presupposti  ai  sensi  dell’art.  92  co.2 cod.  proc.  civ.  a  seguito  della
sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale, in considerazione della complessità delle questioni veicolate dal ricorso.
Deve essere rigettata l’istanza proposta ex art.89 cod. proc. civ. dal controricorrente al fine di ottenere la cancellazione di espressioni offensive, in quanto la frase indicata non risulta espressione di intento spregiativo ed è in rapporto con la materia controversa.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
compensa le spese del giudizio di legittimità.
Sussistono  ex  art.13  co.1-quater  d.P.R.  30  maggio  2002  n.115  i presupposti  processuali  per  il  versamento  da  parte  dei  ricorrenti  di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione