Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23036 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23036 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
ORDINANZA
sui ricorsi iscritti ai n. 18957/2020 e 19050/2020 R.G. rispettivamente proposti
DA
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente nel proc. 18957/2020CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente nel proc. 18957/2020E
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvo-
cato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente nel proc. 18957/2020-
E
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente nel proc. 18957/RAGIONE_SOCIALE CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentate, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nel proc. 18957/2020-
E DA
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentate, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente nel proc. 19050/2020CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CRBPLA
53C31F104B) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE)
-controricorrente nel proc. 19050/2020-
E
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente nel proc. 19050/2020-
E
RAGIONE_SOCIALE -intimati nel proc. 19050/2020avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 2393/
2020 depositata il 18/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE (già in liquidazione e dichiarata fallita in data 11 luglio 2013), quale mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE costituita con la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, ha convenuto in giudizio la RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE per sentir dichiarare la risoluzione del contratto di appalto (lavori sulla tratta Pioltello -Poz -zuolo e quadruplicamento della linea Milano Venezia) per inadempimento della stazione appaltante, previa la eventuale disapplicazione della risoluzione già deliberata e dichiarata dalla medesima stazione appaltante.
La Rete Ferroviaria ha resistito proponendo domanda riconvenzionale diretta alla declaratoria della legittimità della risoluzio-
ne del contratto per inadempimento dell’appaltatore e accertamento del proprio diritto di escutere le cauzioni dalla compagnia assicuratrice RAGIONE_SOCIALE) .
La Compagnia assicuratrice è stata chiamata in causa dichiarando che già il Tribunale di Milano aveva pronunciato in suo favore ordinanza ex art. 186 -ter c.p.c. nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, per la restituzione delle somme pagate alla RAGIONE_SOCIALE a seguito della escussione della garanzia, di cui solo la società Sirti aveva versato la quota e ha chiesto che RAGIONE_SOCIALE restituisse quanto pagato a seguito della escussione della polizza.
il Tribunale, preso atto della dichiarazione di fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato improcedibili tutte le domande incidenti sulla par condicio creditorum , e con sentenza definitiva ha dichiarato la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. per inadempimento di RFI con pagamento in favore del fallimento dell’importo corrispondente al valore venale dell’opera e al risarcimento del danno; ha inoltre condannato RFI al pagamento in favore della società RAGIONE_SOCIALE della metà dell’importo versato alla Compagnia assicuratrice per la quota di sua competenza della garanzia escussa.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello RFI nonché la Compagnia assicuratrice in relazione al rigetto della domanda riguardante la garanzia.
La Corte d’appello di Roma, riuniti i giudizi, ha accolto parzialmente l’appello di RFI limitatamente alla decorrenza della rivalutazione e degli interessi legali; ha per il resto confermato la sentenza impugnata, rigettando l’appello della Compagnia di assicurazione.
Con separati ricorsi hanno proposto ricorso per cassazione sia Rete Ferroviaria Italiana (proc. n. 18957/2020), affidandosi a set-
te motivi, che la Compagnia di assicurazioni RAGIONE_SOCIALE (proc. n. 19050/2020), affidandosi a due motivi. Hanno presentato controricorso nel procedimento n. 18957/2020 il Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE e la Compagnia di RAGIONE_SOCIALE; nel procedimento n. 19050/2020 la RAGIONE_SOCIALE e il Fallimento. La Compagnia di assicurazioni nel costituirsi con controricorso ha dedotto di avere a sua volta presentato un ricorso autonomo, chiedendo la riunione dei due procedimenti ed insistendo sui motivi del ricorso da lei presentati. Le parti hanno presentato memorie. All’udienza camerale del 14 maggio 2025 i ricorsi sono stati riuniti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi sono proposti avverso la medesima sentenza, e quindi il procedimento di iscrizione posteriore, n. 19050/2020 (ricorso COFACE), va riunito al procedimento di iscrizione anteriore, n. 18957/2020 (ricorso RFI).
Sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta ex art 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1456 c.c. e agli artt. 59 e 38.2 delle condizioni generali di contratto nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c.
RFI denuncia l’errore di sussunzione della fattispecie, ricondotta erroneamente all’ipotesi di cui all’art. 1453 c.c. (Risolubilità del contratto per inadempimento) e non a quella di cui all’art. 1456 c.c. (Clausola risolutiva espressa).
La ricorrente deduce che l’art. 59 delle condizioni generali di contratto fa salve le ulteriori ipotesi di risoluzione di cui alle condizioni generali, tra le quali rientra quella dell’art. 38.2, secondo il quale l’appaltatore deve trasmettere entro 20 giorni dalla data di
ciascun pagamento copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti corrisposti ai subappaltatori o ai cottimisti; in difetto il committente può sospendere il pagamento dei corrispettivi contrattuali fino al rilascio della documentazione, e qualora il ritardo ecceda i 60 giorni il committente può risolvere il contratto per fatto e colpa dell’appaltatore. Rileva di avere documentato che a partire dall’agosto 2008 le imprese hanno violato l’obbligo di trasmissione delle copie quietanzate delle fatture dei subappaltatori, sicché, dopo varie intimazioni, con la delibera del 20 gennaio 2010 si è deciso di avvalersi della clausola risolutiva espressa. Da ciò consegue che i giudici di merito avrebbero dovuto dichiarare la legittimità della risoluzione contrattuale deliberata il 20 gennaio 2010, senza operare alcuna valutazione sulla gravità dell’inadempimento, dal momento che le parti hanno preventivamente valutato tale aspetto convenendo la clausola risolutiva espressa. Invece i giudici di merito hanno operato una valutazione sulla maggiore o minore gravità dell’inadempimento, ritenendo prevalente l’inadempimento di Rete Ferroviaria Italiana e di conseguenza erroneamente inquadrando il fatto nella ipotesi prevista dall’art. 1453 c.c. anziché in quella di cui all’art. 1456 c.c.
1.1. -La parte controricorrente contesta la censura, deducendo che a nulla rileva l’esistenza di una clausola risolutiva espressa se al contempo colui che la invoca abbia posto in essere condotte di grave inadempimento; si deduce che il giudice di primo grado aveva valutato gli inadempimenti tenendo conto non solo dell’elemento cronologico ma anche e soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità tra le prestazioni inadempiute. La società Sirti contesta che l’art. 38.2 delle condizioni generali di contratto costituisca una ipotesi di clausola risolutiva espressa, dal momento che l’articolo 59.3 delle stesse condizioni generali di contratto parla di risoluzione di diritto solo nelle ipotesi di cui ai commi primo e
secondo dello stesso art. 59; ed inoltre eccepisce la inammissibilità della censura, dal momento che RFI non ha appellato la sentenza del Tribunale di Roma nella parte in cui ha respinto la domanda di accertamento della risoluzione contratto per effetto della delibera assunta in data 20 gennaio 2010.
2. -Il motivo è infondato.
La censura è in primo luogo erronea nella ricostruzione, in punto di diritto, del meccanismo di operatività della clausola risolutiva espressa.
2.1 -Tramite la clausola risolutiva espressa le parti individuano di comune accordo l’obbligazione o le obbligazioni il cui inadempimento genera la risoluzione del contratto; essa attribuisce alla parte il diritto potestativo di risolvere il contratto in virtù della semplice dichiarazione di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell’inadempimento della controparte. Con la conseguenza che è precluso al giudice ogni accertamento sulla gravità dell’inadempimento, atteso che detta valutazione è stata operata ex ante dalle parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale.
2.2. -Tuttavia, oltre all’ovvia considerazione che un inadempimento deve verificarsi, occorre considerare che della clausola risolutiva espressa si può avvalere solo la parte che non è inadempiente. La pattuizione di tale modalità di scioglimento dal contratto, pur eliminando ogni necessità di indagine in ordine all’importanza dell’inadempimento, non incide infatti sugli altri principi regolatori dell’istituto della risoluzione, né configura un’ipotesi di responsabilità senza colpa, e non comporta deroghe al principio di buona fede, inteso quale lealtà e correttezza nella esecuzione del rapporto, alla luce del quale si valuta il comportamento delle parti (Cass. n. 20854/2014; Cass. n. 9356/2000; Cass. n. 11717/ 2002).
2.3. -Non è quindi preclusa anche nel caso della clausola risolutiva espressa la indagine sulla imputabilità del comportamento (Cass. n. 2553/2007) e in generale la rispondenza del comportamento dei contraenti al canone di buona fede. L’agire dei contraenti va infatti valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell’inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione, sia con riferimento al comportamento del debitore (Cass. n. 23868/2015; Cass. n. 8282/2023). Il relativo accertamento è un apprezzamento di fatto ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione immune da vizi logici ed errori di diritto (Cass. n. 170/2000).
-Nel caso di specie, i giudici di merito hanno accertato una serie di inadempimenti imputabili alla stazione appaltante per difetti di progettazione, per avere disposto modalità operative dei lavori di posa delle barriere fonoassorbenti difformi rispetto alle pattuizioni contrattuale, e soprattutto, come rileva la Corte di merito, per la mancata emissione del provvedimento di entrata merci che avrebbero consentito di emettere le fatture relative allo stato di avanzamento lavori, e quindi di acquisire il necessario credito bancario per potere soddisfare i subappaltatori (pag. 12 sentenza impugnata); come ricorda la parte controricorrente (pag. 18 controricorso), già il primo giudice aveva rilevato che « si deve tener conto non solo dell’elemento cronologico ma anche e soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiuta e della incidenza di queste sulla causa del contratto ».
3.1. -Pertanto i giudici di merito non hanno compiuto un errore di sussunzione; hanno piuttosto ritenuto che RFI non potesse avvalersi della clausola risolutiva espressa nel contesto di uno svol-
gimento del rapporto contrattuale ove erano prevalenti gli inadempimenti della stazione appaltante e soprattutto in rapporto di causalità con la condotta prevista dall’articolo 38.2 delle condizioni generali di contratto (mancata trasmissione delle fatture quietanzate per i pagamenti corrisposti e subappaltatori); hanno quindi ritenuto che il fatto contestato (mancata trasmissione delle fatture quietanzate) non fosse imputabile all’appaltatore e di conseguenza, non operando la clausola risolutiva espressa, hanno esaminato la vicenda alla luce dei principi generali sulla importanza dell’inadempimento (art. 1453 c.c. e segg.) e del principio secondo il quale la valutazione della colpa ( recte : imputabilità) dell’inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto, e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (Cass. n. 3455/2020; Cass. n. 14648/2013).
4. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dello art. 360 n. 5 c.p.c. la falsa applicazione dell’art. 1453 c.c.; la violazione degli artt. 1455 e 1460 c.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato in discussione tra le parti. Parte ricorrente deduce che i giudici di merito non hanno valutato la gravità dell’inadempimento dell’appaltatore rispetto all’obbligo di pagare i subappaltatori, dei quali ha omesso di presentare le fatture quietanzate, inadempimento più volte contestato. Deduce di aver impugnato il capo di sentenza che ha dichiarato per tale motivo la risoluzione del contratto, dimostrando la centralità dell’obbligo del pagamento dei subappaltatori. Rimarca che l’obbligo di presentare le fatture quietanzate è stato considerato grave anche dall’autorità di vigilanza dei contratti pubblici, mentre il documento di entrata merci è privo di rilevanza esterna e serve solo ad at-
testare l’esistenza del credito e la possibilità di pagare l’importo dello stato di avanzamento; la mancata emissione di questo documento costituisce una legittima eccezione di inadempimento tale da scoraggiare comportamenti poco trasparenti. La sentenza è quindi errata, perché reputa la mancata emissione di questo documento entrata merci contraria agli obblighi di collaborazione e anche di gravità tale da giustificare la risoluzione per colpa della RAGIONE_SOCIALE Rileva che anche la consulenza tecnica ha rimarcato la scarsa importanza dell’eventuale inadempimento della RAGIONE_SOCIALE a fronte dell’importanza dell’appalto. Rileva inoltre che per quanto riguarda le barriere fonoassorbenti la sentenza è viziata ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di considerare che anche dopo la data del 1° agosto 2008 le imprese non hanno mai installato le suddette barriere fonoassorbenti, che la RAGIONE_SOCIALE ha dovuto realizzare mediante trattativa privata, circostanza decisiva ai fini del giudizio; ed inoltre il giudice di merito ha omesso di considerare la grave situazione economico -finanziaria dell’appaltatore quale causa centrale dell’anomalo andamento dell’appalto, non sottoponendo al consulente la questione relativa alla crisi economica o finanziaria della impresa, tema che comunque è stato approfondito dal consulente di parte.
5. -Il motivo è inammissibile.
Premesse e richiamate le argomentazioni esposte nell’esame del primo motivo, si osserva che nel caso di specie siamo di fronte ad una cd. doppia conforme, dal momento che la sentenza di secondo grado ha soltanto diversamente quantificato interessi e rivalutazione, e che pertanto il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro di-
verse (Cass. n. 5947/2023; Cass. n. 26934/2023; Cass. n. 26774/2016)
Non soltanto la parte non assolve a questo onere, ma dall’esame della sentenza d’appello si rende evidente che le valutazioni rese dei due giudici di merito sono sovrapponibili e che in più punti il giudice d’appello richiama e condivide le motivazioni rese dal giudice di primo grado.
Inoltre, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6401/2015; Cass. n. 12182/2020).
5.1. -La parte, peraltro, con questo motivo non lamenta l’omesso esame di fatti storici in senso naturalistico ma chiede, nella sostanza, una diversa valutazione di fatti già esaminati dal giudice di merito, alla luce delle proprie deduzioni ed argomentazioni sullo inadempimento, censura inammissibile in questa sede (Cass. n. 28390/2023; Cass. n. 27505/2023); anche con riferimento alle condizioni economico -finanziarie della società RAGIONE_SOCIALE infatti, non può dirsi che la Corte d’appello abbia omesso l’esame di questo fatto (si veda da pag. 12 in poi della sentenza), quanto piuttosto che lo abbia ritenuto, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, irrilevante nel contesto di quanto accertato sull’andamento dell’appalto. Deve peraltro ricordarsi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la decisione non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. n. 28390/ 2023).
6. -Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1458 c.c. La parte ricorrente deduce che ha errato la Corte d’appello in violazione dell’articolo 1458 c.c. a ritenere spettante, oltre al valore venale dell’opera, anche il risarcimento per le riserve, a prescindere dalla tempestività e regolarità formale della loro iscrizione; mentre non avrebbe più potuto esaminare le riserve della impresa e neppure porsi alcuna questione della loro fondatezza, perché con la risoluzione tutti gli effetti del contratto di appalto vengono meno. Deduce in primo luogo che le riserve non potevano più essere esaminate nel momento in cui si è dichiarata la risoluzione del contratto; in secondo luogo, che non si poteva prescindere dalla regolarità formale della loro iscrizione. La ricorrente ritiene non condivisibile la posizione espressa dalla Corte d’appello, che ha ritenuto di esaminare le riserve solo in funzione della domanda risarcitoria, prescindendo dalla questione della loro tempestiva iscrizione, perché questa postula l’esistenza del contratto, che invece è stato risolto. Deduce che è erroneo considerare il contratto come mai stipulato, perché la disciplina del contratto continua ad operare e non viene travolta dalla retroattività della risoluzione; rileva che allo stesso modo aveva errato il Tribunale ritenendo non ammissibile la detrazione dell’importo di una penale, trattandosi di contratto ormai risolto in quanto la penale non può essere riconosciuta in favore della parte inadempiente. Ribadisce che l’effetto retroattivo è limitato ai soli aspetti economici del contratto, ma non travolge le pattuizioni che prevedono l’applicazione di penale. Per la stessa ragione, secondo la parte ricorrente, avrebbe errato la Corte a considerare il valore dell’immobile senza considerare il ribasso d’asta perché costituiva un elemento della dinamica contrattuale, mentre il contenuto dell’obbligo restitutorio a carico del committente va determinato in relazione al va-
lore dell’immobile definito in relazione all’ammontare del corrispettivo sulla base della quale la volontà dell’ appaltatrice si è determinata a concludere il contratto, idoneo per ciò stesso a coprire le spese e i costi e i materiali di manodopera, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità.
7. -Il motivo è infondato.
In primo luogo, si deve rilevare che la questione appare prospettata in questa sede in maniera diversa da come è stata prospettata al giudice del merito, dal momento che dalla sentenza della Corte d’appello sembra che sia stata prospettata soltanto la questione della tempestività delle riserve, né la parte specifica con sufficiente specificità in che termini aveva sottoposto la questione al giudice d’appello.
In ogni caso, deve osservarsi che la Corte di merito ha chiarito che l’esame delle riserve è stato effettuato solo per accertare le voci di danno richieste in funzione della domanda risarcitoria (« al fine di accertare l’esame delle voci di danno») e cioè non in esecuzione di un contratto risolto ma come parametro per valutare il quantum risarcimento.
La Corte distrettuale, pertanto, non si è discostata dai principi di diritto, già consolidati nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo i quali in tema di appalto di opere pubbliche, la riserva, attenendo ad una pretesa economica di matrice contrattuale, presuppone l’esistenza di un contratto valido di cui si chiede l’esecuzione, mentre, ogni qualvolta si faccia questione di invalidità del contratto e dei modi della sua estinzione, come nel caso della risoluzione per inadempimento, le pretese derivanti dall’inadempimento della stazione appaltante non vanno valutate in relazione all’istituto delle riserve, ma seguono i principi di cui agli artt. 1453 e 1458 c.c. (Cass. n. 22275/2016); ed ancora che in tema di risoluzione del contratto di appalto, qualora la risoluzione conse-
gua all’inadempimento del committente e non sia configurabile la restituzione in natura all’impresa appaltatrice della costruzione, parzialmente eseguita, il contenuto dell’obbligo restitutorio a carico della committente va determinato con riferimento al momento della pronuncia di risoluzione e in relazione all’ammontare del corrispettivo originariamente pattuito (Cass. n. 12162/2007; Cass. 8517/2020). Quanto al resto, si tratta di censure di merito.
7.1. -Altresì appare corretto il rilievo che la parte inadempiente non può trattenere la penale anche perché, come sopra si è detto, l’inadempimento non può frazionarsi, ma deve addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (Cass. n. 3455/2020). Di conseguenza, se l’appaltatore non è parte inadempiente (come qui è stato ritenuto in sede di merito), la penale non può essere trattenuta dalla stazione appaltante, perché la penale presuppone la sussistenza di un inadempimento addebitabile.
8. -Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 10 dell’atto integrativo e modificativo. La parte ricorrente rileva che in data 26 giugno 2008 è stato sottoscritto tra le parti un atto integrativo e modificativo con il quale le parti hanno dichiarato di essere state integralmente soddisfatte per qualsiasi pretesa correlata ha fatti verificatisi antecedentemente «alla sottoscrizione del presente atto», e cioè fatti anteriori al 26 giugno 2008; con ciò hanno manifestato inequivocabilmente una volontà abdicativa successiva alla sottoscrizione dell’accordo bonario dell’8 giugno 2007, che lo supera in particolare con riferimento alle riserve 1, 7, 8, 19, 26, 27, 28. Deduce che ha errato la Corte d’appello a interpretare questo accordo nel sen-
so che non avesse l’effetto di far rinunciare l’appaltatore a tutte le pretese per fatti anteriori al 26 giugno 2008; non si vede infatti a quali regole di ermeneutica la Corte d’appello abbia inteso riferirsi con l’affermazione del tutto generica che vi era un diverso significato temporale.
8.1. -Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, si osserva che la Corte d’appello ha dichiaratamente intrepretato la clausola leggendola nella valutazione complessiva di una serie di atti stipulati tra le parti e alla luce delle vicende dell’appalto. La parte non riporta il contenuto dell’accordo bonario né della compagine di atti esaminati dalla Corte d’appello, sicché la censura resta generica e non verificabile. Inoltre, si deve osservare che nella clausola in questione si legge (come riportato a pag. 17 della sentenza) che l’appaltatore si dichiarava « integralmente soddisfatto e remunerato di ogni onere e qualsiasi pretesa di qualsivoglia genere e specie avanzati ed avanzarsi nei confronti delle ferrovie per fatti verificatisi antecedentemente alla sottoscrizione del presente atto» e la Corte di merito al riguardo ha rimarcato che il verbale relativo all’accordo integrativo in questione fu sottoscritto il 22 giugno 2006, mentre la formalizzazione avvenne il 28 giugno 2008. Pertanto, la data di sottoscrizione, cui si riferisce testualmente la clausola, e la data di formalizzazione non coincidono, sicché mentre l’interpretazione data dalla Corte appare strettamente legata al criterio di interpretazione letterale (valorizzazione della data di sottoscrizione), quella proposta dalla ricorrente – secondo cui la rinuncia riguarda tutti i fatti anteriori al 28 giugno 2008 – se ne allontana.
-Con il quinto motivo del ricorso, articolato in due capi, si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 115 c.p.c. (primo capo) e ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c. (secondo capo) la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. La parte lamenta che
la Corte d’appello, rigettando il decimo motivo d’appello, ha mostrato di non avere correttamente percepito le risultanze della consulenza tecnica, incorrendo in violazione dell’art. 115 c.p.c., che è sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.; infatti la Corte d’appello mostra di non avere esaminato e di non avere correttamente valutato la portata effettiva dei dati esposti nella consulenza in termini di incidenza sostanziale, fermandosi al mero dato formale. La Corte inoltre avrebbe errato nel considerare la chance e nel fare riferimento alle presunzioni, così violando l’art. 115 c.p.c., norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate esistenti ma mai offerte. La Corte avrebbe errato nel ritenere che le imprese avrebbero realizzato utili impiegando capitali e mezzi in altri appalti perché ne avevano i requisiti tecnici e finanziari; l’errore consiste nel fatto che l’asserito possesso della capacità tecnica è stata desunta non con riferimento all’attualità ma dai requisiti posseduti e documentati dalle imprese al momento dell’aggiudicazione, mentre l’impresa (RAGIONE_SOCIALE era stata messa in liquidazione nel 2009 e la capacità delle altre era priva di riscontri probatori.
10. -Il motivo è inammissibile.
Sotto forma di censura di nullità della sentenza si prospetta in realtà una censura non consentita in cassazione su come la Corte d’appello abbia valutato le prove e la consulenza. La parte cita una sentenza di questa Corte (n. 19293/2018), non pertinente, in quanto si riferisce agli errori di percezione, mentre in questo caso vengono evidenziati dei (pretesi) errori di valutazione.
Deve qui ricordarsi che il travisamento della prova, per essere censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo
della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass. n. 9507 del 06/04/2023). Le censure della parte si pongono al di fuori di questo parametro.
Quanto al cattivo uso delle presunzioni (sul risarcimento del danno per avere impedito chance di ulteriori aggiudicazioni), la parte censura il ragionamento della Corte di merito, deducendo che la valutazione della capacità di aggiudicazione non è stata fatta alla attualità, ma solo sulla base della documentazione depositata in sede di appalto, che sarebbe smentita per tabulas dalla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE è stata messa nel 2009 in liquidazione; tuttavia, la parte omette di considerare che la Corte di merito ha valutato la capacità di aggiudicazione non dell’ATI, ma delle singole imprese, ritenendo all’evidenza i documenti depositati in sede d’aggiudicazione di appalto idonei a certificare anche i requisiti delle imprese costituite in ATI. La non idoneità probatoria di questa documentazione viene genericamente contestata dalla parte, ma non è dato sapere esattamente quale sarebbe il contenuto di questi documenti che la Corte d’appello avrebbe travisato. La censura quindi non risponde ai rigorosi parametri entro i quali si può censurare il ricorso alle presunzioni che secondo giurisprudenza di questa Corte è così limitato: la denun-
cia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. n. 9054 del 21/ 03/2022). Le censure si risolvono pertanto in inammissibili censure di merito.
11. -Con il sesto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del D.M. 29 maggio 1895 n. 257. La parte chiede che la sentenza impugnata venga cassata nella parte in cui riconosce all’appaltatore, quali voci di danno per anomalo andamento dei lavori, il costo delle polizze fideiussorie e il costo del personale, poiché tali voci sono comprese nelle spese generali. Deduce che la Corte d’appello ha respinto il motivo d’appello facendo riferimento alla inapplicabilità del DPR 207 del 2010; di contro, l’art. 20 del D.M. n. 258/1895 dimostra che le voci relative alle fideiussioni al costo del personale amministrativo vanno necessariamente comprese nelle spese generali.
12. -Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, si osserva che il contratto d’appalto è stato stipulato in data 26 maggio 2003, mentre l’intero D.M. 29 maggio 1895 è stato abrogato dall’articolo 231, comma 1, lettera c) del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554.
In ogni caso, si osserva che qui non si discute delle spese generali dovute per la sospensione dei lavori, bensì del risarcimento del danno per risoluzione del contratto. Le spese generali di cantiere sono infatti dovute in tema di responsabilità contrattuale, a titolo risarcitorio ove il committente con il proprio comportamento ne abbia determinato un aggravio ovvero illegittimamente sospeso i lavori (Cass. n. 5010/2009; Cass. n. 14779/2020).
Il motivo non si confronta quindi con la ratio decidendi e resta connotato da genericità.
13. -Con il settimo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dello art 360 n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 345 c.p.c., per avere la Corte di merito respinto il ventinovesimo motivo di appello avente a oggetto la domanda riconvenzionale, considerandola erroneamente domanda nuova. La ricorrente osserva che la sentenza di primo grado è passata in giudicato solo nella parte in cui ritiene improcedibili le domande formulate da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società fallita, ma non certo quella formulata nei confronti delle altre parti in bonis. Deduce che la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile la domanda anche perché nelle conclusioni formulate da RFI nel procedimento di primo grado essa non sarebbe stata riproposta; tale assunto trova una documentale smentita nel foglio di precisazione conclusioni del 16 novembre 2016, ove RFI ha chiesto al Tribunale adito di accogliere la domanda riconvenzionale da essa spiegata.
14. -Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha in effetti dato atto che le società RAGIONE_SOCIALE sono estranee alla pronuncia di improcedibilità nei confronti del Fallimento, passata in giudicato. Ha dato altresì atto del contenuto del foglio di precisazione conclusioni, laddove si parla di accoglimento della domanda riconvenzionale, ma osservando che essa è stata precisata nel senso di disporre la compensazione im-
propria tra eventuali crediti del Fallimento e delle altre parti con la penale. La Corte di merito arriva alla conclusione che tutte le pretese indicate nel motivo d’appello non avevano costituito oggetto delle conclusioni definitive di primo grado, ad eccezione della penale, sulla quale però il Tribunale si era pronunciato, escludendo (fondatamente) il diritto alla percezione di detta penale o meglio a trattenerla per effetto della risoluzione adempimento della stazione appaltante. A fronte di ciò, il motivo di ricorso è estremamente generico e non si confronta la ragione decisoria.
Ne consegue il rigetto del ricorso proposto da RFI.
15. -Il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE
15.1. -Con il primo motivo del ricorso la Compagnia di assicurazioni lamenta ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 c.p.c. nonché dell’art. 2909 c.c. e omesso esame di fatto decisivo. Deduce che la Corte ha errato ad intrepretare il giudicato contenuto nella sentenza n. 2462/2013, estendendolo anche ai fatti che fondano la sua domanda di rivalsa nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (beneficiario della garanzia). Deduce di avere impugnato la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha respinto la domanda di ripetizione in rivalsa nei confronti di RFI; quest’ultima a causa del (ritenuto) inadempimento dell’ATI aveva escusso la polizza fideiussoria, ottenendo dal Tribunale di Milano un decreto ingiuntivo, al quale la RAGIONE_SOCIALE si era opposta, pur pagando la somma ingiunta per evitare la esecuzione. Il giudizio si è concluso con la sentenza n. 2462/2013, e la Corte d’appello, nel confermare il rigetto della domanda di rivalsa, ha valorizzato la circostanza che RFI avesse eccepito il giudicato con riferimento alla predetta sentenza del Tribunale di Milano. La Corte d’appello ha rilevato che in questa sentenza si accertava la natura del rapporto di garanzia, qualificato come contratto autonomo di garanzia, e ha ritenuto incompatibile con il carattere autonomo di garanzia la ipotizzata
pregiudizialità con il giudizio di accertamento delle ragioni creditorie di RFI, dichiarando che l’ exceptio doli non era sorretta da idonee deduzioni né tantomeno da prove. Ha ritenuto quindi che su queste questioni si fosse formato il giudicato in virtù del quale non si possono più mettere in discussione i fatti dedotti e quelli deducibili. Inoltre, la Corte di merito ha osservato che per quanto riguarda l’ exceptio doli il garante non può limitarsi ad allegare circostanze che potrebbero costituire oggetto di un’eccezione da parte del debitore, ma deve fare valere una condotta abusiva del creditore, mentre in questo caso nulla è stato dedotto, dal momento che RFI si è limitata ad escutere la polizza. La parte lamenta che la Corte d’appello, così motivando, abbia implicitamente ritenuto che detto giudicato si estenda sino a coprire la domanda di ripetizione formulata dalla Compagnia d’assicurazione conseguente allo accertamento dell’inesistenza del debito assolto in via sostitutiva; nella specie invece si trattava dell’esercizio di rivalsa interna, stante l’esito vittorioso per l’appaltatrice del rapporto principale garantito. Rileva come da una semplice lettura della decisione in oggetto (documento 3 del fascicolo di COFACE in secondo grado di giudizio) si evince che era stata rigettata la pretesa della convenuta RFI di escludere in radice il diritto di COFACE alla ripetizione delle somme versate in sede di escussione della polizza sulla base delle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite n. 3947/2010, atteso che la pronuncia citata fa chiaro riferimento ad un’azione di ripetizione di indebito avviata dal garante successivamente allo spontaneo adempimento della richiesta del creditore garantito; laddove nel caso di specie RAGIONE_SOCIALE ha piuttosto pagato in esecuzione di ordine provvisoriamente impartito dal giudice nell’ambito di un giudizio che solo in questa sede è chiamato a concludersi con la conferma o meno del presente decreto.
16. -Il motivo è infondato.
Può convenirsi con la parte ricorrente che la cattiva interpretazione del giudicato può essere sindacata in sede di legittimità (Cass. Sez. U, n. 24664 del 28/11/2007), ed è pertanto è infondata l’eccezione di controparte che deduce la non sindacabilità della interpretazione del giudicato; inoltre, per quanto la ricorrente non abbia trascritto per intero, ma solo in parte il contenuto della sentenza resa in sede di opposizione al decreto ingiuntivo (il giudicato di cui si tratta), ha però qui indicato che detta sentenza è stata depositata in atti come allegato 3, rispettando così la regola della localizzazione (Cass. Sez. U n. 8950 del 18/03/2022; Cass. n. 12481 del 19/04/2022; Cass. n. 28184 del 10/12/2020).
16.1. -Tuttavia, la parte cade in errore nell’individuare la portata del giudicato in esame.
Nella predetta sentenza la garanzia rilasciata dalla società di assicurazioni dovuta in conformità alla legge quadro n. 109/1994 è stata ritenuta avente natura cauzionale, destinata a operare a semplice richiesta della stazione appaltante e avente natura autonoma, sicché si è ritenuto che l’ipotizzato vincolo di pregiudizialità tra il giudizio di merito sul fondamento delle ragioni creditorie della rete e il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo fosse logicamente incompatibile con il carattere autonomo della garanzia prestata.
16.2. -La Corte d’appello ha ritenuto pertanto che si fosse formato il giudicato sulla qualificazione del rapporto come contratto autonomo di garanzia, cosa che non è esplicitamente contestata dalla società assicuratrice, anzi a pagina 12 del ricorso si parla di corretta valutazione del giudicato sull’accertamento della natura autonoma della garanzia.
16.3. -Dalla qualificazione del contratto come contratto autonomo di garanzia discende che il garante, in ragione dell’assenza dell’accessorietà, non può opporre eccezioni riguardanti il rapporto
principale, salva l’esperibilità del rimedio generale dell’ exceptio doli , potendo però sollevare nei confronti del creditore eccezioni fondate sul contratto di garanzia (Cass. n. 31956 del 11/12/ 2018).
L’ obbligazione del garante autonomo si pone infatti in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore. Per questa ragione si può opporre solo la exceptio doli (Cass. n. 16345 del 21/06/2018).
La ulteriore conseguenza è che nel contratto autonomo di garanzia il garante, una volta che abbia pagato nelle mani del creditore beneficiario, non può agire in ripetizione nei confronti di quest’ultimo in caso di successivo venir meno della causa del rapporto principale, potendo esperire azione di regresso ex art. 1950 c.c. unicamente nei confronti del debitore garantito, il quale a sua volta -ove vittoriosamente escusso dal garante -potrà agire in rivalsa nei confronti del garantito, perché al momento dell’escussione della garanzia il garante non avrebbe potuto eccepire la mancanza della causa originaria del rapporto al di fuori dell’ipotesi di escussione fraudolenta della garanzia. (Cass. n. 865 del 13/01/2025, con riferimenti a Cass. Sez. U., n. 3947/2010, ove si afferma che il garante, di regola, «una volta che abbia pagato nelle mani del creditore beneficiario, non potrà agire in ripetizione nei confronti di quest’ultimo», facendo tuttavia salvo proprio il caso di escussione fraudolenta; v. anche Cass. n. 14853 del 27/06/2007)
17. -Nella specie, come rileva la Corte di merito, non è stata dedotta alcuna condotta abusiva o fraudolenta; quindi, non vi è
una indebita estensione del giudicato oltre i suoi limiti. La Corte d’appello, infatti, non ha implicitamente ritenuto che il giudicato copra anche la domanda di ripetizione; ha soltanto preso atto che -con sentenza passata in giudicato -il rapporto è stato qualificato come contratto autonomo di garanzia, ed è stata quindi ritenuta incompatibile con il carattere autonomo della garanzia e con la peculiare funzione economico -sociale della cauzione la ipotizzata pregiudizialità con il giudizio di accertamento delle ragioni creditori di RFI.
17.1. -Il giudizio è corretto e conforme ai principi sopra enunciati, poiché discende direttamente dalla natura del contratto autonomo di garanzia che la società assicuratrice possa esercitare l’azione di rivalsa solo nei confronti del suo debitore garantito (le imprese) e non nei confronti del beneficiario (RFI).
18. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1941, 2033, 2036 e 2041 c.c. La parte deduce che è principio irrinunciabile dell’ordinamento che la fideiussione non può eccedere il debito del debitore principale verso il creditore e ciò costituisce un limite all’autonomia privata. Il debito dell’obbligato principale rappresenta quindi innanzitutto la causa e comunque il limite non solo quantitativo dell’impegno sostitutivo assolto dal garante, e l’esistenza del debito principale è determinante la circostanza del venir meno del debito garantito; sarebbe quindi ingiusto che non fosse consentita anche una modalità alternativa rispetto al regresso del fideiussore verso il debitore ai sensi dell’art. 1950 c.c.
19. – Il motivo è inammissibile.
Il contratto in esame è stato qualificato con sentenza passata in giudicato quale contratto autonomo di garanzia, che presenta rilevanti differenze con la fideiussione segnatamente sul punto oggetto di censura. La causa concreta del contratto autonomo è
quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l’elemento della accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un “vicario” del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore (Cass. Sez. U, n. 3947 del 18/ 02/2010; Cass. n. 30509 del 22/11/2019; Cass. n. 32402 dello 11/12/2019).
Il meccanismo del contratto autonomo di garanzia non determina l’ingiusta conseguenza di far sopportare ad un soggetto (il garante) un esborso per un debito di cui in un secondo momento si è accertata la insussistenza; il meccanismo piuttosto svincola il contratto di garanzia dal rapporto garantito e determina quindi le modalità con cui si esercita la rivalsa. Al garante che abbia pagato, la rivalsa non è preclusa; gli è soltanto precluso esercitarla nei confronti dell’ accipiens salvo che questi non abbia agito in modo fraudolento. Il garante, una volta che abbia pagato nelle mani del creditore beneficiario, non può agire in ripetizione nei confronti di quest’ultimo in caso di successivo venir meno della causa del rapporto principale, potendo esperire azione di regresso ex art. 1950 c.c. unicamente nei confronti del debitore garantito, il quale a sua volta -ove vittoriosamente escusso dal garante -potrà agire in rivalsa nei confronti del garantito, perché al momento dell’escussio-
ne della garanzia il garante non avrebbe potuto eccepire la mancanza della causa originaria del rapporto al di fuori dell’ipotesi di escussione fraudolenta della garanzia (Cass. n. 865 del 13/01/ 2025; Cass. n. 23434 del 30/08/2024).
Ne consegue il rigetto anche del ricorso proposto dalla Compagnia di assicurazioni.
Quanto alle spese, COFACE è soccombente, relativamente alla azione di rivalsa, nei confronti di RFI, a sua volta soccombente sulla questione principale relativa alla risoluzione del contratto, e pertanto le spese di lite tra queste due parti si compensano; le spese possono compensarsi anche tra COFACE e le altre parti, posto che la sua domanda è proposta contro RFI; RFI soccombe nei confronti del Fallimento e delle due imprese già mandatarie, e pertanto va condannata a rifondere le spese a ciascuna parte, come da dispositivo, con distrazione in favore del procuratore della società COGNOME, avv. NOME COGNOME che ha reso la dichiarazione di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE
Rigetta il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE – Rappresentanza Generale per l’Italia
Condanna RAGIONE_SOCIALE a rifondere le spese del giudizio di legittimità al Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, a RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE e a RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano per ciascuna parte in euro 40.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per spese non documentabili, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge; le spese liquidate in favore della società RAGIONE_SOCIALE sono distratte in favore dell’avv. NOME COGNOME che ha reso la dichiarazione di rito. Compensa interamente le spese
del giudizio di legittimità tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché tra RAGIONE_SOCIALE e le restanti parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 14/05/2025.