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Clausola Risolutiva Espressa: quando non opera?

Un’ordinanza della Cassazione analizza i limiti di applicabilità della clausola risolutiva espressa in un contratto d’appalto. La Corte ha stabilito che la parte a sua volta inadempiente, e il cui comportamento ha causato l’inadempimento della controparte, non può legittimamente avvalersi della clausola per risolvere il contratto. Il caso esamina anche la natura del contratto autonomo di garanzia, confermando che il garante, una volta pagato, non può agire in ripetizione contro il beneficiario ma solo in regresso verso il debitore principale.

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Clausola Risolutiva Espressa: Non è un’Arma Assoluta per Chi è Inadempiente

La clausola risolutiva espressa, prevista dall’art. 1456 del Codice Civile, è uno strumento potente che consente di risolvere un contratto automaticamente al verificarsi di un inadempimento specifico. Tuttavia, il suo utilizzo non è incondizionato. Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: chi è a sua volta inadempiente non può legittimamente appellarsi a tale clausola, soprattutto se il proprio comportamento ha contribuito all’inadempimento della controparte. Analizziamo questa decisione che offre spunti cruciali sulla gestione dei contratti d’appalto e sul principio di buona fede.

I Fatti del Caso: Appalto Pubblico e Inadempimenti Reciproci

La vicenda trae origine da un contratto di appalto per la realizzazione di importanti lavori su una linea ferroviaria. L’associazione temporanea di imprese (ATI) appaltatrice aveva citato in giudizio la stazione appaltante, un’importante società pubblica, per ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento di quest’ultima.

Dall’altro lato, la stazione appaltante sosteneva di aver legittimamente risolto il contratto avvalendosi di una clausola risolutiva espressa. L’inadempimento contestato all’ATI era la mancata trasmissione delle fatture quietanzate relative ai pagamenti effettuati ai subappaltatori, un obbligo previsto dalle condizioni generali di contratto.

Tuttavia, l’ATI replicava che il proprio inadempimento era una diretta conseguenza delle gravi mancanze della stazione appaltante, tra cui difetti di progettazione e, soprattutto, la mancata emissione dei provvedimenti di entrata merci. Quest’ultimo adempimento era cruciale perché avrebbe permesso all’ATI di emettere le fatture per gli stati di avanzamento lavori e ottenere il credito bancario necessario a pagare i subappaltatori.

La Controversia Giudiziaria e il Ruolo della Buona Fede

I giudici di merito, sia in primo grado che in appello, hanno dato ragione all’ATI. Hanno ritenuto che l’inadempimento della stazione appaltante fosse prevalente e avesse un nesso di causalità diretto con la mancata trasmissione delle quietanze da parte dell’ATI. Di conseguenza, la stazione appaltante, essendo essa stessa gravemente inadempiente, non poteva invocare la clausola risolutiva espressa per sciogliere il contratto.

La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha confermato le decisioni precedenti, cogliendo l’occasione per ribadire i limiti di questo strumento contrattuale.

L’Applicazione della Clausola Risolutiva Espressa secondo la Cassazione

La Corte Suprema ha chiarito che, sebbene la clausola risolutiva espressa precluda al giudice di valutare la gravità dell’inadempimento (poiché tale valutazione è già stata fatta a monte dalle parti), non elimina la necessità di verificare altri principi fondamentali. In particolare, la clausola può essere attivata solo dalla parte non inadempiente. L’intero comportamento delle parti deve essere valutato alla luce del canone generale della buona fede, inteso come lealtà e correttezza nell’esecuzione del rapporto.

Nel caso specifico, i giudici hanno accertato che l’inadempimento dell’ATI non era ad essa imputabile, poiché era stato causato dal comportamento della stazione appaltante. Di conseguenza, l’esercizio del potere di risoluzione da parte di quest’ultima è stato considerato contrario a buona fede e, pertanto, illegittimo.

Il Contratto Autonomo di Garanzia

La sentenza ha affrontato anche un’altra questione rilevante, relativa alla polizza fideiussoria escussa dalla stazione appaltante e pagata da una compagnia di assicurazioni. La compagnia aveva chiesto la restituzione delle somme versate, sostenendo che, essendo venuto meno l’inadempimento dell’ATI, anche l’escussione della garanzia era indebita.

La Cassazione ha respinto anche questo ricorso, basandosi sulla natura del contratto in essere, qualificato come contratto autonomo di garanzia. In questo tipo di contratto, l’obbligazione del garante è svincolata da quella del rapporto principale. Il garante è tenuto a pagare a semplice richiesta del beneficiario e non può opporre eccezioni relative al contratto sottostante. Una volta effettuato il pagamento, il garante non può agire contro il beneficiario per la ripetizione dell’indebito, ma può solo esercitare l’azione di regresso nei confronti del debitore garantito (in questo caso, l’ATI).

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su due pilastri giuridici.

Primo, per quanto riguarda la clausola risolutiva espressa, ha affermato che la sua operatività è subordinata al rispetto del principio di buona fede. Non è possibile per una parte contrattuale causare, con il proprio inadempimento, la difficoltà o l’impossibilità per l’altra parte di adempiere a sua volta e poi utilizzare questo secondo inadempimento come pretesto per risolvere il contratto. La valutazione della colpa e dell’imputabilità dell’inadempimento deve avere carattere unitario, addebitando la risoluzione a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, ha alterato il nesso di interdipendenza tra le prestazioni.

Secondo, in merito alla garanzia, la Corte ha ribadito la consolidata giurisprudenza sul contratto autonomo di garanzia. La sua funzione è quella di assicurare al creditore una soddisfazione rapida e certa, neutralizzando i rischi legati alle possibili contestazioni sul rapporto principale. Di conseguenza, il garante che paga non ha azione di ripetizione verso il beneficiario (salvo il caso di escussione fraudolenta, non riscontrato in questa vicenda), ma deve rivolgersi al debitore principale che ha garantito, il quale, a sua volta, potrà agire contro il creditore se l’escussione si rivelerà infondata.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, la clausola risolutiva espressa non è uno strumento da utilizzare alla leggera o in modo opportunistico. La sua efficacia è sempre temperata dal principio di buona fede, che impedisce alla parte inadempiente di trarre vantaggio dal proprio illecito. In secondo luogo, viene confermata la netta separazione tra il rapporto di garanzia autonoma e il rapporto principale. Le imprese che si avvalgono di tali garanzie devono essere consapevoli che, una volta pagato, il garante si rivarrà su di loro, lasciando ad esse l’onere di recuperare le somme dal creditore se l’escussione si è rivelata ingiusta.

Una parte può avvalersi della clausola risolutiva espressa se è a sua volta inadempiente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la clausola risolutiva espressa può essere invocata solo dalla parte che non è inadempiente. L’esercizio del potere di risoluzione deve avvenire nel rispetto del principio di buona fede, pertanto una parte non può risolvere il contratto a causa di un inadempimento della controparte che essa stessa ha causato con il proprio comportamento.

Cosa succede alla polizza di garanzia autonoma se il contratto principale viene risolto per colpa del beneficiario della garanzia stessa?
Il garante è comunque tenuto a pagare il beneficiario a semplice richiesta, poiché il contratto autonomo di garanzia è svincolato dalle vicende del rapporto principale. Una volta pagato, il garante non può chiedere la restituzione delle somme al beneficiario (salvo il caso di dolo), ma deve agire in regresso contro il debitore principale (la parte garantita). Sarà poi quest’ultimo a dover agire contro il beneficiario per recuperare quanto pagato ingiustamente.

L’attivazione di una clausola risolutiva espressa impedisce al giudice di valutare l’inadempimento?
Sì e no. La clausola impedisce al giudice di valutare la gravità dell’inadempimento, perché questa valutazione è già stata compiuta dalle parti nel contratto. Tuttavia, non preclude al giudice di valutare l’imputabilità di tale inadempimento e la conformità del comportamento delle parti al principio di buona fede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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