Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 710 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 710 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
SENTENZA
OGGETTO:
appalto
RG. 30406/2018
P.U. 5-12-2023
sul ricorso n. 30406/2018 R.G. proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, c.f. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. COGNOME, nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, n. 148/2013 del Tribunale di Venezia, p.i. P_IVA, in persona del curatore fallimentare, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. NOME COGNOME, nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE c.f. P_IVA, già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. COGNOME, nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1560/2018 della Corte d’Appello di Venezia depositata il 5-6-2018 udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5-122023 dal consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso udito per la ricorrente l’avv. NOME COGNOME per delega degli avv. COGNOME e Benvenuti udito per la controricorrente Curatela del RAGIONE_SOCIALE l’avv. NOME COGNOME udito per la controricorrente RAGIONE_SOCIALE l’avv. NOME
Stivali per delega degli avv. COGNOME e COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Secondo la descrizione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata, COGNOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE stipulò nel 2002 con Autostrade per l’Italia s.p.a. contratto per la produzione di inerti pregiati da destinare alla costruzione della variante di Valico dell’Autostrada A1; con contratto d atato 14-1-2003 COGNOME RAGIONE_SOCIALE. commissionò a RAGIONE_SOCIALE la progettazione e realizzazione di impianto industriale di frantumazione e produzione di inerti presso il cantiere della committente a Sasso di Castro; per ottenere il finanziamento dell’opera, RAGIONE_SOCIALE stipulò il 4 -4-2003 con RAGIONE_SOCIALE, di seguito BNP Paribas Lease Group s.p.a., contratto di locazione finanziaria avente a oggetto l’impianto e a tal fine la società concedente inviò nella stessa data a RAGIONE_SOCIALE ordine di acquisto dell’impianto, al prezzo di Euro 2.440.000,00 oltre iva, da
versarsi in corso d’opera, con il 10% a saldo al termine del collaudo; il contratto di leasing richiamava il contratto di appalto tra l’utilizzatore RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEr.lRAGIONE_SOCIALE e riproduceva le stesse cadenze temporali di pagamento.
A seguito di reciproche contestazioni, la committente RAGIONE_SOCIALE con missiva del 18-3-2004 si avvalse della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di appalto e lo dichiarò risolto per inadempimento dell’appaltatrice; quindi chiese al Tribunale di Firenze che fosse accertata la risoluzione del contratto e dichia rata l’insussistenza d el diritto di RAGIONE_SOCIALE a ll’ultima tranche del corrispettivo, pari a Euro 244.000,00 oltre iva, in relazione al quale aveva intimato alla concedente BNP Paribas di non procedere al pagamento.
Il Tribunale di Firenze dichiarò la propria incompetenza per territorio e, riassunta la causa avanti il Tribunale di Venezia, con sentenza non definitiva n. 234/2011 quel Tribunale, qualificato come appalto il contratto intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE accertò la risoluzione del contratto, condannò RAGIONE_SOCIALE a pagare la penale di cui all’art. 12 del contratto, ridotta ex art. 1384 cod. civ., nella somma di Euro 80.000,00, condannò RAGIONE_SOCIALE a consegnare a RAGIONE_SOCIALE il listato del programma software, il progetto di impianto elettrico, le dichiarazioni di conformità degli impianti elettrici, il manuale d’uso e manutenzione dell’impianto, la lista e i manuali degli apparati elettrici e le relative dichiarazioni di conformità; accertò che RAGIONE_SOCIALE aveva sollevato legittimamente l’eccezione ex art. 1460 cod. civ.
Rimessa la causa in istruttoria per accertare i vizi dell’impianto lamentati da RAGIONE_SOCIALE e i costi per eliminarli, con sentenza definitiva n. 274/2013 il Tribunale di Venezia rigettò le domande di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno formulate da RAGIONE_SOCIALE ‘per quanto eccede la ritenuta del 10% di cui si è già deciso con la sentenza non definitiva ‘ .
2.Proposero appello principale la curatela del fallimento di RAGIONE_SOCIALE a seguito della dichiarazione di fallimento sopravvenuta nella pendenza dei termini per proporre l’impugnazione, e appello incidentale COGNOME RAGIONE_SOCIALE , che la Corte d’appello di Venezia ha deciso con la sentenza n. 1560 depositata il 5-6-2018.
La sentenza della Corte d’appello , in riforma delle sentenze impugnate, ha rigettato la domanda di accertamento della risoluzione di diritto del contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha condannato RAGIONE_SOCIALE a pagare al RAGIONE_SOCIALE, a saldo del corrispettivo, la somma di Euro 68.588,00 oltre iva e interessi dalla domanda, ha accertato il diritto di BNP Paribas di ottenere da RAGIONE_SOCIALE il pagamento dell’intero importo capitale di Euro 2.440.000,00 oltre iva, detratti i canoni già pagati.
La sentenza ha considerato che il giudice di primo grado aveva ritenuto legittima la risoluzione di diritto del contratto di appalto, ai sensi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 13.6, avendo ritenuto il ritardo di RAGIONE_SOCIALE nell’adempimento degli obblighi contrattuali. Ha dichiarato che la consulenza tecnica d’ufficio e i documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE conducevano a diverso risultato, perché non era possibile fare riferimento alla data del 14-1-2003 come termine a decorrere dal quale valuta re l’adempimento di RAGIONE_SOCIALE al cronoprogramma indicato nell’art. 5 del contratto; il contratto prevedeva che alla firma del contratto RAGIONE_SOCIALE ricevesse il primo acconto di Euro 244.000,00 dalla società di leasing ma solo in data 44-2003 era stato stipulato il contratto di leasing; il pagamento dell’acconto del 10% che avrebbe dovuto essere versato al momento della conclusione del contratto di appalto era stato versato solo il 165-2003, ci ò smentiva l’accertamento del giudice di primo grado in ordine all’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE e indicava che i termini posti nel contratto erano stati più volte anche tacitamente prorogati. Esaminato
l’ulteriore andamento del rapporto, la sentenza ha concluso che entrambe le parti erano parzialmente inadempienti ai propri obblighi contrattuali, per cui RAGIONE_SOCIALE non era legittimata ad azionare la clausola risolutiva espressa, sia per la legittima sospensione dell’esecuzione del contratto da parte di RAGIONE_SOCIALE , sia perché l’impianto era quasi interamente ultimato, in misura superiore al 97%; ha altresì rilevato che con la diffida RAGIONE_SOCIALE aveva fissato la data di consegna dell’impianto al 17 -2-200 4 e che l’art. 13.6 del contratto consentiva la risoluzione del contratto per un ritardo superiore a sessanta giorni rispetto al termine di consegna (che era al 17-2-2004), mentre la raccomandata con la quale RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato di avvalersi della clausola risolutiva espressa era del 18-3-2004, per cui RAGIONE_SOCIALE aveva invocato un ritardo inferiore a sessanta giorni.
Con riguardo all’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere il risarcimento del danno, la sentenza, premesso che il rigetto della domanda di accertamento della risoluzione del contratto non comportava di per sé il rigetto della domanda di risarcimento del danno, ha dichiarato che RAGIONE_SOCIALE aveva diritto alla penale contrattuale di Euro 4.000,00 al giorno per i trenta giorni di ritardo, dalla data di consegna intimata al 17-2-2004 alla data della comunicazione della risoluzione del 18-3-2004. Quindi, posto che il Fallimento di SV aveva diritto al pagamento del corrispettivo residuo di Euro 244.000,00 detratta la somma di Euro 55.412,00 accertata dal c.t.u. in relazione ai costi necessari per il completamento dell’opera e perciò Euro 188.588,00, da tale importo doveva essere detratta la penale di Euro 120.000,00, per cui RAGIONE_SOCIALE era tenuta a pagare al Fallimento SV Euro 68.588,00.
3.COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La Curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE e BNP Paribas RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in pubblica udienza, in prossimità dell’udienza il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte e la controricorrente Curatela fallimentare ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo è rubricato ‘violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione a quanto disposto dall’art. 360 primo comma n. 4 e 5 c.p.c. per avere la Corte fondato la decisione su prove reputate esistenti ma in realtà mai offerte ed aver invece omesso di considerare prove depositate in atti. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1181, 1218, 1456, 1324, 1362, 1372, 1460 e 1662 in relazione al disposto dell’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., per avere la Corte ritenuto che la SV Impianti non fosse inadempiente ai propri obblighi contrattuali e che dunque la RAGIONE_SOCIALE non avesse legittimamente invocato la risoluzione del crono programma ivi stabilito’. La ricorrente RAGIONE_SOCIALE sostiene che la sentenza sia da cassare innanzitutto laddove ha ritenuto che alla data del 18-3-2004 RAGIONE_SOCIALE.r.lRAGIONE_SOCIALE non fosse inadempiente e che quindi RAGIONE_SOCIALE non avesse invocato legittimamente la risoluzione del contratto in forza della clausola risolutiva espressa per l’asserita violazione del cronoprogramma, ritenendo erroneamente che entrambe le parti fossero inadempienti. Dichiara che in primo luogo la Corte d’appello è incorsa in veri e propri erro ri di percezione del contenuto dei documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE.r.lRAGIONE_SOCIALE ai n. 1,6,7,8,16,18 e del documento 13 di RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, tutti richiamati in motivazione ma che non avevano il significato ritenuto dalla Corte, rilevando che l’errore di percezione che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova sia sindacabile ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ. , per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. Aggiunge che la Corte ha omesso
di valutare anche il doc. 11 di RAGIONE_SOCIALE, che era fondamentale e consentiva di addivenire alla conclusione che non c’era stato alcun ritardo imputabile a RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva puntualmente versato l’acconto del 10% nel momento in cui RAGIONE_SOCIALE aveva presentato la fideiussione alla cui prestazione era condizionato il pagamento dell’acconto .
Inoltre la ricorrente deduce la violazione di legge, per avere la sentenza impugnata ritenuto che RAGIONE_SOCIALE non avesse rispettato il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 13.6 del contratto per usufruire della clausola risolutiva espressa, per il fatto che la stessa società RAGIONE_SOCIALE aveva concesso proroga per la consegna dei lavori; lamenta che la sentenza sia incorsa nella violazione dei canoni di interpretazione dei negozi unilaterali nell’interpretare la diffida del 4 -22004 e sostiene che, se l’ art. 1662 cod. civ. autorizza il committente a fissare un termine entro il quale l’appaltatore si deve conformare alle condizioni pattuite, lo stesso potere gli deve essere riconosciuto dopo la scadenza del termine di adempimento ai fini dell’attivazione d ella clausola risolutiva espressa, senza che la fissazione di tale termine possa essere ritenuto nuovo termine, con l’effetto di cancellare il ritardo già verificatosi.
1.1.Il motivo deve essere rigettato.
1.1.1.In primo luogo la ricorrente deduce il travisamento della prova ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ. in relazione alla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e perciò si deve considerare che, secondo l’indirizzo che riconosce la deducibilità in tali termini del vizio (Cass. Sez. 3 21-12-2022 n. 37382 Rv. 666679-01, Cass. Sez. 3 3-52022 n. 13918 Rv. 666484-02) , è necessario che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima, con conseguente e assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi acquisiti al giudizio i
contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di trarre. Al contrario nella fattispecie, con riguardo a nessuno dei documenti oggetto del motivo di ricorso, la società ricorrente fa emergere tale assoluta impossibilità logica di ricavarne i contenuti informativi tratti dal la Corte d’appello , così da fare emergere che la Corte territoriale abbia deciso in base a prove inesistenti. Piuttosto, la ricorrente sostiene il diverso significato del contenuto dei documenti, nel senso che il giudicante non avrebbe potuto giungere alla conclusione di escludere l’inadempimento di SV sulla base di quei documenti; però è evidente che in questo modo la ricorrente lamenta l ‘erronea valutazione del materiale probatorio e perciò l’apprezzamento della prova, insindacabile in sede di legittimità. Per tale ragione, la Corte può procedere alla decisione pur a fronte della rimessione alle Sezioni Unite con ordinanze interlocutorie n. 8995/2023 e n. 11111/2023 delle questioni riferite al vizio di travisamento della prova.
Specificamente, con riguardo al doc. 1 di RAGIONE_SOCIALE, relativo al contratto di appalto, la ricorrente evidenzia che lo stesso non disciplinava i tempi di consegna e non prevedeva il termine entro il quale doveva essere stipulato il contratto di leasing. Il rilievo non è utile a fare emergere il travisamento del contenuto del documento da parte della corte d’appello , perché la sentenza impugnata (da pag. 16) ha considerato che l’art. 5 del contratto di appalto prevedeva la consegna ‘entro 40 giorni solari dal la sottoscrizione del contratto (15.01.2003)’ e ha evidenziato che, diversamente, non era possibile fare riferimento a quella data per valutare l’esistenza di ritardo nella consegna a carico di RAGIONE_SOCIALE, in quanto il doc. 6 di RAGIONE_SOCIALE dimostrava che alla data 1-2-2003 il contratto di appalto non era stato ancora sottoscritto. L’affermazione della ricorrente secondo la quale il doc. 6 faceva riferimento ad altro contratto, fondata sui numeri dell’offerta riportati nei documenti, non è significativa al fine di
sostenere il travisamento del contenuto dei documenti, in quanto non accompagnata da alcuna allegazione in ordine a quale ulteriore contratto con diverso contenuto fosse intercorso tra le parti e fosse stato oggetto di deduzione nel giudizio di merito.
Inoltre, la sentenza ha considerato che alla firma del contratto di appalto RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto ricevere dalla società di leasing il primo acconto di Euro 244.000,00, quale elemento utile a valutare la condotta di entrambe le parti. Su tale oggettiva previsione contrattuale non incide, al fine di ritenere l’erronea ricognizione del contenuto del documento, il fatto valorizzato dalla ricorrente che il contratto di appalto non prevedesse il termine per la conclusione del contratto di leasing, che avrebbe comportato il pagamento del primo acconto; ciò perché in sostanza la ricostruzione della sentenza impugnata -che gli argomenti della ricorrente non riescono a censurare in modo ammissibile in questa sede- si fonda sul dato che RAGIONE_SOCIALE non avesse onorato i suoi impegni contrattuali nella fase inizial e dell’appalto (cfr. pag. 18 sentenza), in quanto avrebbe dovuto concludere il contratto di leasing in tempi tali da consentire il rispetto delle previsioni del contratto di appalto con riguardo alla data di pagamento del primo acconto.
Con riferimento ai documenti 7 e 8 di RAGIONE_SOCIALE, la ricorrente sostiene che gli stessi dimostrino il contrario di quanto ritenuto dalla sentenza, in ordine al fatto che alla data del 19-3-2003 RAGIONE_SOCIALE.p.a. non aveva ancora individuato la società di leasing. Diversamente, al fine di corroborare la propria tesi, la ricorrente avrebbe dovuto dedurre l’esistenza di prova non esaminata dalla sentenza impugnata riferita al fatto che la fideiussione da parte di RAGIONE_SOCIALE potesse essere rilasciata soltanto sulla base della conoscenza del nome della società con la quale sarebbe stato concluso il contratto di leasing. La sentenza (pag.17 in fine e pag.18) ha richiamato quei documenti, relativi a
missive provenienti da RAGIONE_SOCIALE, per considerare che ancora a quelle date RAGIONE_SOCIALE non aveva ricevuto alcun acconto e in modo corretto rappresentava le proprie difficoltà a fronte del ritardo di RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE; la sentenza ha considerato che il contratto di leasing è stato concluso solo il 4-4-2003 -stessa data indicata dalla ricorrente- e sulla base di quel dato, certo al fine di ritenere che a quel punto RAGIONE_SOCIALE potesse rilasciare la fideiussione, ha valutato la condotta delle parti.
Con riguardo ai documenti 16 e 18 di RAGIONE_SOCIALE, la ricorrente evidenzia che gli stessi dimostrano l’inoltro dei disegni delle fondazioni da parte di RAGIONE_SOCIALE oltre il termine contrattuale e sostiene che gli stessi si completino con il documento 6 di COGNOME, attestante che l’invio dei documenti si protrasse in epoca successiva all’inizio dei lavori, a dimostrazione della circostanza decisiva che RAGIONE_SOCIALE non aveva mai sospeso le prestazioni, ma aveva solo minacciato di farlo. Però, la sentenza impugnata (pa g. 18) ha solo fatto riferimento all’inoltro da parte di RAGIONE_SOCIALE dei disegni che le erano stati richiesti per evidenziare che la stessa non fosse inadempiente in quella fase e ha fatto riferimento alla dichiarazione di sospensione della prestazione comunicata da RAGIONE_SOCIALE alla committente il 10-4-2003 di cui al doc. 8 per evidenziare che in tal modo RAGIONE_SOCIALE aveva sollevato eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ.
1.1.2.Anche il motivo formulato ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. è infondato, in quanto gli argomenti della ricorrente sono volti a sostenere che la sentenza impugnata non abbia considerato che il primo acconto dovesse essere pagato da RAGIONE_SOCIALE dopo la prestazione di fideiussione da parte di RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza di non potersi ritenere inadempiente Berti fino a che non fosse stata prestata la fideiussione. Però, la sentenza a pag. 17 ha preso specificamente in esame la questione, laddove ha scritto che l’art. 5 del contratto di appalto prevedeva «che alla firma del contratto SV
RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto ricevere dalla società di leasing, che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto individuare, il primo acconto pari al 10% (244.000 euro) del corrispettivo pattuito. A sua volta, la società di leasing avrebbe erogato l’acconto pari al 10% solo previa consegna di una fideiussione specifica rilasciata da RAGIONE_SOCIALE intestata a sé medesima e che, quindi, non sarebbe stato possibile stipulare tale fideiussione prima che RAGIONE_SOCIALE avesse individuato quale fosse la società di leasing che avesse finanziato l’intera operazione contrattuale». Quindi, manca il requisito necessario ai fini della proposizione del motivo ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., relativo all’omesso esame d i fatto decisivo e la censura si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie inammissibile in questa sede.
1.1.3.Non integrano motivo ammissibile neppure le argomentazioni svolte dalla ricorrente con riguardo al documento 11 di RAGIONE_SOCIALE In primo luogo, l a ricorrente lamenta l’omesso esame del documento da parte della sentenza impugnata, per cui sul punto non pone questione di erronea ricognizione del suo contenuto. Inoltre, con riguardo a tale documento la ricorrente evidenzia come lo stesso attesti che RAGIONE_SOCIALE aveva presentato la fideiussione solo in data 6-5-2003 e che perciò, avendo RAGIONE_SOCIALE pagato il primo acconto solo dieci giorni dopo, non le si potesse imputare alcun ritardo. In questo modo la ricorrente non adduce la decisività del documento in quanto, secondo la ricostruzione eseguita dalla Corte d’appello e che resiste agli argomenti della ricorrente, RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto ricevere il primo acconto da parte della società di leasing già al momento della conclusione del contratto di appalto; quindi, a quel punto il contratto di leasing avrebbe dovuto essere già stato concluso e pertanto SV RAGIONE_SOCIALE avrebbe anche potuto consegnare la fideiussione.
In conclusione, nessuna delle deduzioni svolte dalla ricorrente è utile a dare fondamento alla sua tesi secondo la quale la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE e tale società fosse obbligata al rilascio della fideiussione prima e indipendentemente dalla conclusione del contratto di leasing e a sua volta RAGIONE_SOCIALE fosse obbligata al pagamento del primo acconto solo dopo il ricevimento della fideiussione, per cui si impone di ritenere che la sentenza impugnata abbia svolto l’accertamento di fatto a essa spettante in modo immune da vizi logici e giuridici.
1.1.4.Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui lamenta l’errore di percezione del contenuto e l’erronea interpretazione della diffida del 4-2-2014.
Richiamati i principi già esposti in ordine ai limiti alla deduzione del vizio di violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., s i deve altresì fare applicazione del principio secondo il quale l’interpretazione del negozio e perciò l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un contratto, o della parte in relazione al contenuto di un negozio giuridico unilaterale, si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito; quindi il ricorrente per cassazione, al fine di fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione, non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica interpretazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma deve anche precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se li abbia applicati in base a interpretazione illogiche e insufficienti, non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione d ell’interpretazione del ricorrente a quella accolta dalla sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 94-2021 n. 9461 Rv. 661265-01, Cass. Sez. 3 28-11-2017 n. 28319 Rv.
646649-01; cfr. Cass. Sez. 3 19-12-2006 n. 27168 Rv. 593896-01, con specifico riferimento all’interpretazione dell’atto unilaterale).
Nessuno degli argomenti della ricorrente è utile a ritenere che la Corte territoriale abbia dato al doc. 13 di RAGIONE_SOCIALE una lettura impossibile logicamente e abbia errato nell’applicazione dei canoni ermeneutici. In sostanza la ricorrente si limita a dichiarare che nell’interpretazione degli atti unilaterali si debba fare riferimento all’intento del soggetto che ha posto in essere il negozio, ma non indica in quali termini questo canone nella fattispecie sia stato violato. La sentenza impugnata ha preso in esame il testo letterale di tale atto, che ha trascritto a pag. 20, e sulla base del suo contenuto letterale è giunta alla conclusione che con quella lettera RAGIONE_SOCIALE aveva fissato la data del 17-22004 per la consegna dell’impianto , e cioè aveva fissato una proroga per la data di consegna. Nel sostenere che, diversamente, RAGIONE_SOCIALE avesse soltanto inteso diffidare il debitore all’adempimento la ricorrente propone una interpretazione diversa, che non è neppure plausibile, in quanto la creditrice non aveva ragione di ricorrere alla diffida ad adempiere al fine della risoluzione del contratto, potendo immediatamente avvalersi della causa risolutiva espressa laddove avesse ritenuto che ne ricorressero i presupposti.
Non sono idonei a fare emergere vizio di violazione di legge da esaminare in questa sede gli ulteriori argomenti tratti dalla ricorrente dall’art. 1662 cod. civ. in quanto, non essendo stat o censurato in modo ammissibile l’accertamento del giudice di merito sul fatto che la stessa creditrice avesse fissato il termine per l’adempimento al 17 -2-2004, le ulteriori questioni risultano irrilevanti.
2.Il secondo motivo è rubricato ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1181, 1456, 1460 e 1375 c.c. in relazione al disposto dell’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c. per avere la Corte escluso la legittimità del ricorso da parte della RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE alla clausola risolutiva espressa
apposta al contratto, ritenendola condotta contraria a buona fede ‘ . La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata, anziché ritenere legittimamente sospesa ex art. 1460 cod. civ. l’esecuzione del contratto da parte di RAGIONE_SOCIALE, avrebbe dovuto accertare se RAGIONE_SOCIALE potesse ritenersi adempiente alla luce del canone di buona fede nell’esecuzione del contratto, tenuto conto della prestazione da essa dovuta e dell’interesse della controparte all’esatto adempimento. Sostiene che l’accettazione di un adempimen to parziale, che può essere rifiutato ex art. 1181 cod. civ., non valendo a estinguere il debito, non preclude al debitore di azionare la risoluzione del contratto; evidenzia che l’unica parte inadempiente era stata RAGIONE_SOCIALE, che non aveva ultimato l’impianto nel termine prefissato e richiama il principio secondo il quale l’adempimento del subappaltatore va inquadrato in una fattispecie più ampia, che contempla anche l’interesse dell’appaltante ; aggiunge che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto di p otere escludere l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE in base al fatto che durante lo svolgimento del rapporto RAGIONE_SOCIALE era stata parzialmente inadempiente.
2.1.Il rigetto del primo motivo di per sé comporta l’in ammissibilità del secondo.
Deve farsi applicazione del principio secondo il quale il giudice di merito che, dopo avere aderito a una prima ratio decidendi accolga anche una seconda ratio non si spoglia della potestas iudicandi, in quanto l’art. 276 cod. proc. civ. distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno delle questioni di merito, un preciso ordine di esame delle questioni; quindi, allorché la sentenza sia sorretta da due diverse rationes decidendi distinte e autonome, ciascuna delle quali sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’inammissibilità o l’infondatezza del motivo di ricorso attinente ad una di essa rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non
risulterebbero in nessun caso idonei a determinare la cassazione della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. Sez. 3 13-6-2018 n. 15399 Rv. 649408-01).
Le questioni prospettate nel motivo sono volte a censurare la sentenza impugnata laddove ha escluso che alla data del 18-3-2004 SV Impianti fosse inadempiente e sulla base di questo fatto ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE non aveva legittimamente invocato la clausola risolutiva espressa. Però la sentenza impugnata ha altresì ritenuto, con autonoma motivazione in sé sufficiente a sorreggere la decisione impugnata, che RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato di avvalersi della clausola risolutiva espressa allorché il ritardo maturato non era di entità tale da consentirlo, per il fatto che la diffida 4-2-2004 aveva stabilito una proroga per la consegna. L ‘interpretazione della diffida 4 -2-2004 eseguita dalla sentenza impugnata, quale atto con il quale RAGIONE_SOCIALE diede la proroga per la consegna dell’impianto al 17 -2-2004, resiste alle censure della ricorrente per le ragioni sopra esposte e ciò comporta che risulti consolidata la motivazione pure posta dalla sentenza impugnata a fondamento del rigetto della domanda di risoluzione di diritto del contratto, riferita al fatto che l’art. 13.6 del contratto consentiva la risoluzione per un ritardo superiore a sessanta giorni e RAGIONE_SOCIALE aveva invocato la clausola risolutiva espressa il 18-3-2004 allorché il ritardo -da conteggiare dal 17-2-2004- era inferiore. Quindi, se anche le ragioni svolte con il secondo motivo fossero fondate, non sarebbero idonee a incidere sulla statuizione della sentenza impugnata, con la conseguente irrilevanza del loro esame.
3. Il terzo motivo è rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 191 e ss. c.p.c. in relazione al disposto dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. per avere la Corte fatto un uso distorto e non consentito della CTU valutando i lavori effettuati da COGNOME
s.p.a. per chiudere i lavori solo alla stregua di un criterio quantitativo e non qualitativo ‘. La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, invece di valorizzare le valutazioni tecniche richieste al consulente d’ufficio e coerenti con il suo ruolo, ha recepito la ricostruzione dei fatti svolta nell’elaborato, che non rientrava nel quesito conferito, per il consulente d’ufficio rappresentava una mera esigenza illustrativa ed era relativa a fatti già oggetto della prima sentenza del Tribunale, da considerarsi definitiva sul punto. Quindi, poiché la consulenza tecnica d’ufficio era stata ‘deducente’ e non era stato conferito al consulente d’ufficio l’incarico di percepire i fatti di causa, tutte le valutazioni compiute dal c.t.u. ed esulanti dall’incarico non erano neppure utilizzabili e non potevano contribuire a formare il convincimento del giudice. Sostiene che, recependo la ricostruzione dei fatti eseguita dal c.t.u. e limitandosi a trascrivere in sentenza un brano della c.t.u., la Corte territoriale si sia sottratta all’obbligo di motivazione su di essa gravante e aggiunge che la mancata ultimazione del 3% delle opere non avrebbe consentito la messa in funzione dell’impianto, in quanto mancavano le opere inerenti le protezioni di sicurezza e altre opere erano state eseguite da RAGIONE_SOCIALE
3.1.Il rigetto del primo motivo di ricorso comporta l’inammissibilità anche di questo motivo.
L’individuazione del significato della diffida del 4-2-2014, essenziale al fine di ritenere che RAGIONE_SOCIALE si fosse avvalsa della clausola risolutiva espressa allorché il ritardo maturato non lo consentiva e perciò per rigettare la domanda di accertamento della risoluzione di diritto del contratto, è stata compiuta dalla Corte d’appello autonomamente, senza rinvio alle valutazioni del consulente d’ufficio ed esplicitando le ragioni del proprio convincimento , in termini che resistono alle censure della ricorrente. Quindi, neppure le deduzioni in ordine al criterio meramente quantitativo di valutazione dei lavori
mancanti sono in qualche modo significative, essendo stata la domanda di risoluzione di diritto del contratto proposta in forza della clausola risolutiva espressa e rigettata in ragione della mancanza della durata del ritardo richiesto dalla clausola.
Inoltre, l a doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio), valore di prova legale, oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. solo nei rigorosi limiti in cui esso consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U 30-92020 n. 20867 Rv. 659037-02). Nella fattispecie non si pone questione di violazione dell’art. 116 cod. proc. c iv., in quanto la sentenza impugnata (da pag. 16 a pag. 20) ha richiamato non solo la ricostruzione dell’andamento del rapporto descritta nella consulenza d’ufficio ma ha anche fatto puntuale riferimento ai documenti in forza dei quali ha ritenuto di recepire tale ricostruzione e quindi ha operato la valutazione ad essa spettante delle risultanze probatorie emergenti dai documenti.
4. Il quarto motivo è rubricato ‘ violazione degli artt. 112 e 2907 c.c. in relazione al disposto dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 c.p.c. e violazione e/o falsa applicazione degli art. 1372 e 1173 c.c. in relazione al disposto dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. per aver ritenuto la RAGIONE_SOCIALE obbligata a pagare direttamente a RAGIONE_SOCIALE il
residuo corrispettivo del contratto di appalto e accertato il diritto di BNP s.p.a. di ottenere da RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE il pagamento dell’intero importo del corrispettivo contrattuale’. La ricorrente evidenzia che in primo grado SV s.r.lRAGIONE_SOCIALE aveva precisato le conclusioni chiedendo in via principale che BNP s.p.a. fosse condannata a pagarle il saldo di Euro 244.000,00 oltre iva e in via subordinata, qualora non fosse stato ritenuto l’obbligo di BNP s.p.a., fosse dichiarato l’obbligo di RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE; in appello SV s.r.l. ha rinunciato alla domanda proposta in via principale, mentre ha riproposto la domanda subordinata e la Corte d’appello ha accolto la domanda di condanna di RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di Euro 68.588,00 quale residuo credito. Lamenta che tale pronuncia non abbia tenuto conto del fatto che nel contratto di appalto era stato previsto che il pagamento del prezzo sarebbe avvenuto con ‘finanziamento Leasing’; sostiene che unica obbligata al pagamento dell’ultima rata del corrispettivo, per l’importo accertato come dovuto, sia BNP; evidenzia che la stessa sentenza impugnata ha dichiarato che BNP, sulla scorta del contratto e della clausola di invarianza finanziaria, ha diritto di vedersi riconosciuti da RAGIONE_SOCIALE.p.a. i canoni di leasing così come contrattualmente pattuiti per l’intero importo e rileva che in forza della pronuncia impugnata BNP si è arricchita indebitamente, in quanto riceve tutti i canoni di leasing ma non è tenuta a pagare a SV l’ultima rata del corrispettivo.
4.1.Il motivo è inammissibile, perché non individua alcuna violazione o falsa applicazione di legge e neppure aggredisce le ragioni poste dalla sentenza impugnata a fondamento dell’accertamento del diritto di BPN a ottenere da RAGIONE_SOCIALE s.p.a. il pagamento dell’intero importo capitale di Euro 2.440.000,00 previsto dal contratto di leasing.
La sentenza ha pronunciato tale accertamento rigettando il motivo di appello incidentale con il quale RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la riduzione dei canoni in ragione del minore valore del bene prodotto da RAGIONE_SOCIALE.l.;
ha evidenziato che in forza dell’art. 1 e dell’art. 8 delle condizioni generali di leasing RAGIONE_SOCIALE s.p.a. si era impegnata a tenere indenne BNP da ogni conseguenza pregiudizievole, compresa quella derivante dall’accertamento dei vizi, dalla mancanza di qualità e dall’inadempimento di SV e dell’eventuale diminuzione giudiziale del prezzo di acquisto pattuito; sulla base di questi dati la sentenza ha accertato che BNP Paribas aveva diritto di vedersi riconosciuti i canoni contrattualmente pattuiti e per l’inter o importo, perché la clausola di invarianza finanziaria rendeva non opponibile alla società di leasing le sorti dello svolgersi del contratto, essendosene assunta il rischio di impresa RAGIONE_SOCIALE s.p.a.; quindi, la pronuncia è stata limitata all’accertamento del diritto di BNP Paribas a ottenere l’intero importo contrattualmente pattuito nel contratto di leasing, in forza de ll’applicazione della clausola di invarianza finanziaria contenuta nel contratto di leasing.
Sugli argomenti svolti dalla Corte d’appello non incide, nel senso che non ne fa emergere l’erroneità, l a considerazione eseguita dalla ricorrente, in sostanza riferita al fatto che la società di leasing beneficerebbe del dato che la condanna al pagamento del corrispettivo residuo a RAGIONE_SOCIALE è stata pronunciata a suo carico. Infatti, questa deduzione presuppone che la società di leasing chieda e ottenga il pagamento anche degli importi dei canoni corrispondenti alle somme da essa non pagate a SV sRAGIONE_SOCIALE; nessuna statuizione in tal senso è nella sentenza impugnata, che si è limitata ad accertare il diritto della società di leasing a ottenere l’intero importo contrattuale senza che sullo stesso abbia incidenza l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, ma non ha accertato anche che su quell’importo non abbiano incidenza le altre previsioni del contratto di leasing (quali quelle che prevedevano i pagamenti da parte della società di leasing a RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere il pagamento dei canoni di leasing).
5.In conclusione il ricorso è interamente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la società ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese di lite del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la società ricorrente alla rifusione a favore delle società controricorrenti delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege, a favore di ciascuna controricorrente.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione