Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 35015 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 35015 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24864/2023 R.G. proposto
da
NOMECOGNOMENOME , elettivamente domiciliata in ANCONA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in
Oggetto:
Contratti
bancari
–
Mutuo
–
Risoluzione – Presupposti
R.G.N. 24864/2023
Ud. 06/12/2024 CC
NOME COGNOME PIAZZA COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e, per essa, la mandataria RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore con domicilio digitale presso PEC EMAIL, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ANCONA n. 1418/2023 depositata il 29/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1418/2023, pubblicata in data 29 settembre 2023 , la Corte d’appello di Ancona, nella regolare costituzione delle appellate RAGIONE_SOCIALE DI ANCONA RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOMECOGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Ancona n. 676/2020, pubblicata in data 1° giugno 2020, la quale, a propria volta, aveva respinto l’opposizione proposta da lla medesima NOME NOME COGNOMENOME averso il precetto per l’importo di € 126.785,55.
Tale precetto aveva titolo in un contratto di mutuo fondiario a rogito del 23 novembre 2012, dichiarato risolto dalla Banca in virtù di
una clausola che prevedeva la risoluzione, oltre che per l’ipotesi di tardivo pagamento di almeno sette rate anche non consecutive – come sancito dall’ art. 40 c. 2 T.U.B. – anche per l’ipotesi di mancato pagamento di una sola rata, con applicabilità dell’art. 1186 c.c., nonché nel caso in cui, successivamente alla stipula, l’immobile conferito in garanzia fosse sottoposto a procedure esecutive, conservative, ovvero ad iscrizione di ipoteche giudiziali.
2. La Corte d’appello, ha disatteso il gravame, in primo luogo ritenendo infondate le contestazioni sulla tempestività dell’intervento, nel giudizio di primo grado, della RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE rilevando, da un lato, che la sentenza di prime cure non aveva assunto statuizioni nei confronti di quest’ultima e, dall’altro lato, che l’intervenuta aveva comunque dato prova della titolarità del credito mediante la produzione del numero della Gazzetta Ufficiale nel quale veniva pubblicata la cessione in blocco dei crediti, tra cui quello verso l’appellante.
Esaminando, poi, congiuntamente i motivi di appello con i quali l’appellante contestava la sussistenza dei presupposti della risoluzione del mutuo, la Corte territoriale ha affermato in linea generale che la previsione di cui a ll’art. 40, c omma 2, T.U.B. non esclude l’ applicabilità delle disposizioni generali in materia di risoluzione per inadempimento e di decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c. e non preclude la possibilità delle parti di pattuire ulteriori ipotesi di risoluzione contrattuale, a condizione che la clausola risolutiva espressa non sia in deroga ai limiti stabiliti dallo stesso art. 40 TUB.
La Corte territoriale, quindi, ha concluso che nel caso in esame sussistevano tutti i presupposti di operatività della clausola risolutiva espressa, essendo stato l’immobile ipotecato sottoposto a sequestro
penale nonché ad iscrizioni ipotecarie ed essendosi ulteriormente palesata una situazione di insolvenza dell’appellante .
La Corte d’appello ha poi disatteso il motivo di gravame con il quale veniva impugnato il rigetto della domanda di risarcimento dei danni per illegittima segnalazione presso la Centrale Rischi, ritenendo, da un lato, che nel caso in esame l’iscrizione foss e legittimamente avvenuta e, dall’altro lato, che l’appellante non avesse allegato alcun danno specifico.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona ricorre NOME COGNOME
Resistono con distinti controricorsi RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE
In data 19 giugno 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza del ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato tutte memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.:
‘A) Violazione e/o falsa applicazione dell’art 115 cpc per travisamento della prova;
Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti;
Nullità della sentenza per violazione degli artt 132 cpc, 118 disp att cpc e 111 Cost per motivazione apparente;
Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 58 TUB, 91, 100,111,115,116 c.p.c.
Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 58 TUB e 10091 cpc.’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello, travisando il contenuto dei documenti ed adottando una motivazione apparente, da un lato avrebbe erroneamente ritenuto provata la cessione dei crediti in favore di BCC NPLS 2018-2 S.R.L. – laddove la mera pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale sarebbe del tutto insufficiente a fornire tale prova in quanto l’avviso di cessione per l’individuazione dei crediti faceva riferimento a documenti mai prodotti in giudizio e, dall’altro lato, avrebbe rit enuto valido il conferimento di mandato a RAGIONE_SOCIALE laddove l’atto notarile di conferimento del mandato medesimo sarebbe riferito ad altro soggetto, e cioè RAGIONE_SOCIALE
In relazione al primo profilo, poi, la ricorrente deduce comunque la violazione dell’art. 58 TUB, per avere la Corte d’appello ritenuto sufficiente, ai fini della prova della cessione del credito, la sola pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Infine, la ricorrente censura la statuizione di inammissibilità, per carenza di interesse, del motivo di gravame concernente sempre l’intervento di RAGIONE_SOCIALE
Deduce la sussistenza di un interesse ad impugnare la sentenza di primo grado, avendo dovuto comunque svolgere una ulteriore
attività difensiva per replicare alle deduzioni dell’intervenuta, ‘oggettivamente differenti da quelle dell’opposta’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.:
‘A) Violazione dell’art 1 commi da 198 e ss della L. 228/2012 e degli artt 51 e ss dlgs 159/2011 e dell’art. 1186 c.c. e degli artt. 1362,1366,1370 c.c in relazione all’art 8 del contratto di mutuo;
Omesso esame di circostanze decisive;
Nullità della sentenza per violazione degli artt 132 cpc, 118 disp att cpc e 111 Cost per motivazione illogica e gravemente contraddittoria. ‘ .
La ricorrente censura la decisione impugnata per aver ritenuto sussistenti i presupposti per l’operatività della clausola risolutiva espressa.
Deduce che la Corte avrebbe adottato una motivazione meramente apparente ed avrebbe omesso di considerare che il sequestro penale non poteva pregiudicare le ragioni della banca ipotecaria; che le altre iscrizioni pregiudizievoli erano meramente ‘formali’ essendo già stati estinti i debiti a garanzia dei quali erano state effettuate e che, proprio in virtù dell’adempimento di tali obbligazioni, la ricorrente non poteva ritenersi in stato di insolvenza.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.:
‘ A) Violazione degli artt 1453-1455 e 1456 c.c;
Nullità della sentenza per violazione degli artt 132 cpc, 118 disp att cpc e 111 Cost per motivazione illogica e gravemente contraddittoria; ‘ .
La ricorrente impugna la decisione della Corte d’appello di Ancona nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto legittimo il precetto intimato per l’intero debito residuo , giustificando tale conclusione con la considerazione che tra la scadenza della prima rata insoluta e la data
della notificazione del precetto era trascorso un lasso temporale ben superiore a quello di centottanta giorni previsto dall’ art. 40, comma 2, TUB, senza che fosse intervenuto alcun ulteriore pagamento e che la notificazione del precetto aveva integrato esercizio della clausola risolutiva espressa.
Argomenta in contrario la ricorrente che, in realtà, la banca già in precedenza -e prematuramente -aveva comunicato la volontà di avvalersi della clausola, con la conseguenza che la legittimità della risoluzione e del conseguente precetto avrebbe dovuto essere effettuata sulla base della posizione delle parti in quel momento, essendo irrilevante la loro condotta successiva.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.:
‘ A) Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt 125 Tub, art 53 comma 1 lettera b dlgs n. 385/1993, art 67 comma 1 lettera b ed art 108 tub, Delib del Comitato interministeriale per il Credito e il Risparmio 29 marzo 1994 (Gazz. Uff. 20 aprile 1994), decreto del Ministero dell’economia e delle finanze n. 663 dell’11 luglio 2012, circolare Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 e successive modifiche;
omesso esame di circostanze decisive oggetto di discussione tra le parti ‘ .
La ricorrente, infine, censura la decisione impugnata nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto legittima la segnalazione alla Centrale Rischi sia per l’ iter procedimentale seguito che per la sussistenza dei presupposti richiesti in tal senso.
Argomenta, in contrario, che, anche alla luce delle circostanze evidenziate nei motivi precedenti, la segnalazione doveva ritenersi illegittima, essendo peraltro avvenuta con modalità difformi da quanto
previsto dall’art. 125 TUB e dalla circolare n. 139/91 della Banca D’Italia , non essendo stata la ricorrente medesima adeguatamente preavvisata.
Deduce, infine, di avere allegato e provato il danno derivante dalla segnalazione, contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata.
Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.
2.1. In primo luogo, non possono che trovare conferma i rilievi complessivi sollevati nella proposta ex art. 380bis c.p.c. all’indirizzo della generalità dei motivi.
Si deve rilevare, infatti, che, in tutti i casi, ci si confronta con motivi ‘ misti ‘, i quali risultano in parte anche logicamente incompatibili e comunque rimettono al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011 più le altre citate nella proposta).
Merita, allora, di essere ribadito il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476
del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Quanto alla reiterata deduzione di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5), c.p.c., va osservato che – essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2020 – la stessa risulta inammissibile in virtù dell’operare dello sbarramento di cui all’art. 360, penultimo comma, c.p.c. (inserito dall’art. 3, comma 27, lett. a), n. 1), D. Lgs. n. 149/2022, ed applicabile secondo la disciplina transitoria di cui al successivo art. 35, comma 5, e quindi ai giudizi introdotti con ricorso a far tempo dal 1° gennaio 2023) – il quale peraltro ripropone la similare preclusione precedentemente stabilita da ll’art. 348 -ter c.p.c. -in quanto la decisione impugnata non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( per l’art. 348 -ter c.p.c.: Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
Si deve, del resto, notare che le censure ricondotte all’ art. 360, n. 5), c.p.c. si sostanziano in tutti i casi in un vero e proprio sindacato al merito della decisione , laddove l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., deve essere riferita ad un fatto storico, principale o secondario,
la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e non ricomprende questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
Inammissibili, poi, sono le reiterate deduzioni in ordine al carattere apparente, contraddittorio, illogico, della motivazione.
Questa Corte a Sezioni Unite, infatti, ha chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) così come esula dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere
adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili, di talché risulta inevitabile constatare che, ancora una volta, le doglianze del ricorrente si sostanziano in una critica del merito della decisione.
2.2. P assando, poi, all’esame dei singoli motivi, il primo motivo presenta ulteriori profili di inammissibilità costituiti dai riferimenti sia al ‘travisamento della prova’ sia alla supposta violazione dell’art. 115 c.p.c.
Al riguardo, è inevitabile osservare che, quanto al supposto travisamento della prova, le deduzioni della ricorrente si pongono ampiamente al di fuori del perimetro della fattispecie come recentemente individuato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U – Sentenza n. 5792 del 05/03/2024) -contrariamente a quanto dedotto in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. – dovendosi constatare che, nella sostanza, il motivo si traduce in una critica della valutazione degli elementi probatori operata dalla Corte d ‘appello, sollecitando, quindi, un inammissibile sindacato sulla valutazione delle prove, riservata invece al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivata (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Non diversa è la sollecitazione che accompagna la deduzione di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in questo caso, del resto, ampiamente al di fuori dei limiti di deducibilità del vizio.
Infatti, come da questa Corte chiarito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20867 del 30/09/2020):
per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato
art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Inammissibile, infine, la deduzione di violazione dell’art. 2697 c.c., la quale, come rammentato anche nella proposta di definizione, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13395 del 29/05/2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013), ipotesi, la prima, che nel caso di specie non ricorre, risolvendosi nuovamente la censura in un sindacato sulla valutazione delle prove.
2.3. In relazione al secondo motivo, già inammissibile in virtù dei profili generali rilevati in precedenza, vi è da rilevare che lo stesso, sotto l’apparente deduzione del vizio di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c. , viene in sostanza a criticare il merito della decisione impugnata, senza adeguatamente individuare e censurare quelle affermazioni in diritto della decisione medesima che dovrebbero integrare l’ipotesi di violazione o falsa applicazione di legge.
Invero, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata
debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nello specifico della dedotta violazione degli artt. 1362 segg. c.c., non possono che riproporsi i rilievi sollevati con la proposta ex art. 380bis c.p.c.: il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta
nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017), e ciò perché l’interpretazione accolta nella decisione impugnata non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).
Nella specie, le prospettazioni del ricorso non valgono ad evidenziare in alcun modo l’esistenza di un’unica interpretazione corretta, erroneamente non recepita dalla Corte territoriale, ma si limitano -e ne sono conferma anche le argomentazioni in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. della ricorrente -a sindacare l’approdo ermeneutico della Corte medesima, senza invero dimostrarne la fallacia, non senza omettere di richiamare ulteriormente -per completezza -il principio per cui, con riferimento all’azione di risoluzione del contratto in applicazione dell’art. 1456 c.c., la efficacia della clausola risolutiva espressa e la natura dichiarativa dell’azione, che implica il mero accertamento delle inadempienze, rendono insindacabile la valutazione del giudice di merito circa la sussistenza delle stesse, ove sorretta da motivazione priva di vizi logici e giuridici (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23625 del 20/12/2004).
2.4. Il terzo motivo di ricorso presenta, poi, un ulteriore profilo di inammissibilità, costituito dal mancato rispetto della regola di specificità dettata dall’art. 366 c.p.c., dal momento che il motivo si impernia sul richiamo di atti del giudizio, omettendone tuttavia sia la minima adeguata riproduzione sia la localizzazione.
Carenza, quest’ultima, che vale a precludere l’esercizio del potere-dovere del giudice di legittimità di accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, presupponendo l’esercizio medesimo l’ammissibilità delle censure ( Cass. Sez. U Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012).
2.5. Quanto all’ultimo motivo, lo stesso, non impugna l’ulteriore ratio decidendi della decisione impugnata, la quale ha in ogni caso ritenuto infondata la domanda per assenza del relativo danno.
Ratio , quest’ultima, che la ricorrente ancora una volta impugna con una inammissibile censura rivolta alla valutazione delle prove, con la conseguenza che, inammissibile essendo tale censura, risulta inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, la censura relativa alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).
2.6. Quanto, infine, alla violazione dell’art. 6 CEDU, dedotta dalla ricorrente in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. della ricorrente, non può che rilevarsi che la deduzione -al di là dei profili di assoluta genericità -viene a dolersi nel concreto non di una violazione del diritto di difesa ma degli esiti sostanziali della vicenda oggetto del giudizio, così palesandosi la sua infondatezza.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore dei
contro
ricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore della ricorrente soccombente al pagamento, in favore delle controparti, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alle controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida -per ognuna delle controricorrenti in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, della somma equitativamente determinata -per
ognuna delle controricorrenti in € 5.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione