Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23023 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23023 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10984/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO DELLA RAGIONE_SOCIALE (R.F. 5/2018 DEL TRIBUNALE DI POTENZA), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di POTENZA n. 3104/2020 depositato il 10/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 del consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Potenza, con decreto depositato il 10.03.2021, ha rigettato l’opposizione proposta da Intesa San Paolo spa avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento Fonte Italia s.r.l. , a fronte di una domanda di ammissione al passivo, da parte dell’istituto bancario, per la somma complessiva di € 1.076.661,66 – fondata su un contratto di finanziamento a medio termine per notar Giuratrabocchetti del 28.7.1998 – ha ammesso la minor somma di € 328.359,84.
Il Giudice di merito ha premesso che, stante l’inadempimento della società poi fallita, in data 17.5.2013 , le parti avevano stipulato una transazione contenente una ricognizione di debito, nuove modalità e tempistiche per l’adempimento ed una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.., e, alla data della dichiarazione di fallimento, avvenuta in data 27.2.2018, la RAGIONE_SOCIALE non aveva pagato le ultime tre rate della transazione (dicembre 2017, gennaio 2018 e febbraio 2018).
Il giudice di merito ha ritenuto che, alla data della dichiarazione di fallimento, la transazione era ancora vigente e vincolante tra le parti, non avendo, prima dell’istanza di ammissione al passivo, la ricorrente dichiarato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Intesa San Paolo RAGIONE_SOCIALE affidandolo a otto motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 101, comma secondo, c.p.c. con riferimento agli artt. 1325, 1350, 1418, 1421 e 1967 c.c., per non avere il Tribunale di Potenza rilevato d ‘ufficio la nullità della transazione per difetto di forma scritta ad substantiam, non essendo la stessa stata sottoscritta dalle parti.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che è pur vero la nullità è rilevabile d’ufficio, ma a condizione che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione siccome allegate tempestivamente nel giudizio di merito. In sostanza, si può rilevare la nullità in ogni stato e grado, e quindi anche in appello e in cassazione, purché i fatti ad essa correlati, ovvero i relativi fatti costitutivi, siano stati tempestivamente e ritualmente allegati nel giudizio di merito (vedi Cass. n. 20713/2023; Cass. 28983/2023; Cass. n. 1851/2025).
Nel caso di specie, posto che dal decreto impugnato non vi è alcuna traccia della questione di nullità sollevata da Intesa San Paolo s.p.a. in questa sede di legittimità, non emerge neppure dalla prospettazione della ricorrente che i fatti correlati alla deduzione della nullità della transazione di cui è causa (ovvero la mancata sottoscrizione ad opera delle parti del documento) fossero stati tempestivamente allegati nel giudizio di merito.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 1362 e segg. c.c., con riferimento agli artt. 1353, 1456 e 1457 c.c. sul rilievo che il Tribunale di Potenza avrebbe omesso di valutare l’intero accordo , pattuizione per pattuizione, soffermandosi invece sulla sola clausola risolutiva espressa, la cui mancata attivazione, secondo il meccanismo di cui all’art 1456, 2 comma, c.c., avrebbe determinato la mancata risoluzione della transazione e, così, il rigetto della domanda della Banca’, mentre ‘nel negozio transattivo ‘ sarebbero state ‘pattuite altre clausole,
di maggiore spessore sostanziale rispetto alla clausola risolutiva espressa’, costituite da condizioni sospensive e risolutive che, ove considerate, avrebbero ‘maggiormente inciso sulle sorti del contratto, per espressa volontà delle parti ‘.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 101, 2° comma c.p.c., con conseguente nullità del procedimento e del decreto impugnato nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4) c.p.c.
Si duole la ricorrente che il Tribunale di Potenza avrebbe omesso di rilevare d’ufficio il mancato avveramento di una condizione sospensiva prevista nella transazione del 17 maggio 2015.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 1353 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c., in quanto il Tribunale di Potenza non avrebbe valorizzato il mancato avveramento di una condizione sospensiva prevista nella transazione del 17 maggio 2015.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4) c.p.c., per non avere il Tribunale adeguatamente valorizzato il meccanismo risolutivo di cui all’art. 1457 c.c.
Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 1457 c.c., per non avere il Tribunale di Potenza ritenuto risolto di diritto l ‘accordo transattivo, ai sensi della norma appena citata, per il mancato adempimento nei termini essenziali previsti.
Con il settimo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 101, comma 2° c.p.c. in relazione agli artt. 41 e 72 L.F. e 1325 e 1421 c.c., per l’omesso ‘rilievo d’ufficio della nullità del subentro della curatela nella transazione ‘ del 17 maggio 2015 senza la preventiva autorizzazione del Comitato dei creditori.
Espone la ricorrente che, con la proposta di ammissione al passivo della minor somma di € 328.359,84, in forza della transazione del 17.3.2015, la curatela è ‘di fatto’ subentrata in detto accordo
transattivo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 72 comma 1° L.F. Posto che il subentro (avvenuto per facta concludentia) nel rapporto contrattuale pendente necessità dell’autorizzazione del Comitato dei Creditori, come condicio sine qua non, ai sensi dell’art. 72 L.F., non essendoci traccia di tale autorizzazione, l’atto di subentro è nullo.
I motivi dal secondo al settimo, da esaminare unitariamente, investendo tutti l’accordo di transazione concluso tra l’odierna ricorrente e la fallita, sono inammissibili.
Va osservato che l’interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (vedi Cass. n. 9461/2021, vedi anche Cass. n. 16987/2018, Cass. n. 10554/2010, n. 22102/2009).
Non vi è dubbio che la ricorrente, sia nel dolersi che il Tribunale di Potenza avrebbe omesso di valutare l’intero accordo transattivo, pattuizione per pattuizione, non rilevando le altre clausole (condizione sospensiva e risolutiva, termine essenziale), oltre alla clausola risolutiva espressa, sia nell’affermare che la curatela sarebbe subentrata ‘di fatto’ nell’accordo transattivo, non abbia
fatto altro che sollecitare una inammissibile rivisitazione della valutazione di fatto compiuta dallo stesso Tribunale. Non è stato neppure precisato in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sarebbe discostato dai canoni ermeneutici legali, essendosi la ricorrente limitata a dedurre in modo generico, e solo nella rubrica del primo motivo, la violazione degli artt. 1362 e ss c.c.
Con l’ottavo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1456 e 1967 c.c., sul rilievo che la transazione non aveva effetto novativo e comunque non vi sarebbe alcuna norma che imponga la necessità di comunicare al debitore in bonis, prima della dichiarazione di fallimento, la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa.
Il motivo presenta concomitanti profili di inammissibilità e infondatezza.
Quanto al profilo che la transazione sarebbe priva di carattere novativo, tale censura è inammissibile in quanto traduce un sindacato sull’esegesi del contratto.
Quanto alla deduzione che si sarebbe potuta attivare la clausola risolutiva espressa anche dopo il fallimento, va osservato che, anche recentemente, questa Corte (cfr. 23462/2024) ha affermato che:
nei contratti con prestazioni corrispettive, intervenuto il fallimento del contraente inadempiente, l’altro non può proporre l’azione di risoluzione contro la curatela, con effetti, cioè, nei confronti della massa, perché il fallimento determina la destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento paritario di tutti i creditori e la cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche (cosicché la pronunzia di risoluzione non può produrre gli effetti restitutori e risarcitori suoi propri, che sarebbero lesivi della par condicio);
2) il contraente in bonis può non solo proseguire l’azione di risoluzione dapprima intrapresa nei confronti del contraente asseritamente inadempiente successivamente fallito (cfr. Cass. 18.9.2013, n. 21388; Cass. n. 826/2018), ma può esperire anche l’azione di risoluzione di diritto, a norma dell’art. 1456 c.c., pur successivamente alla dichiarazione di fallimento del contraente asseritamente inadempiente, allorché abbia (il contraente in bonis che si assuma adempiente) dichiarato antecedentemente al fallimento di controparte che intende valersi della clausola risolutiva espressa.
E’ evidente, infatti, che ove la dichiarazione della parte adempiente di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa intervenga -come nel caso di specie -solo dopo la sentenza di fallimento, tale dichiarazione, che produce i propri effetti solo dal momento in cui il contraente, nel cui interesse è stata pattuita, comunica all’altro inadempiente l’intenzione di avvalersene, non è opponibile alla massa dei creditori, essendosi già prodotto l’effetto della destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento paritario di tutti i creditori, con la conseguenza che gli effetti risolutori e risarcitori della risoluzione sarebbero lesivi della par condicio creditorum.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 10.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 25.6.2025