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Clausola risolutiva espressa: quando è grave inadempimento

Una società fornitrice di caffè ha ottenuto la risoluzione di un contratto a causa del mancato acquisto della quantità minima pattuita da parte di un cliente. La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, stabilendo che l’inadempimento era già conclamato prima dell’emergenza Covid-19. La presenza di una clausola risolutiva espressa nel contratto, che qualificava specificamente tale mancanza come ‘grave inadempimento’, ha reso irrilevante ogni successiva valutazione sulla sua importanza, legittimando il recesso del fornitore.

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Pubblicato il 18 luglio 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Clausola risolutiva espressa: l’arma decisiva nei contratti

Nel mondo dei contratti commerciali, la precisione è tutto. Definire chiaramente obblighi e conseguenze può fare la differenza tra una collaborazione proficua e una costosa battaglia legale. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Bologna mette in luce la straordinaria efficacia della clausola risolutiva espressa, uno strumento che permette alle parti di predeterminare la gravità di un inadempimento, vincolando anche la valutazione del giudice. Questo caso, nato da un contratto di fornitura di caffè, dimostra come un inadempimento, seppur parziale, possa portare alla risoluzione del contratto quando le parti lo hanno specificamente previsto.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine da un contratto di somministrazione di caffè. Una società fornitrice si era accordata con un’altra impresa per la fornitura di caffè, a fronte dell’impegno di quest’ultima ad acquistare un quantitativo minimo mensile di 70 kg. Tuttavia, già nel corso del 2019 e nei primi mesi del 2020, l’acquirente non rispettava tali minimi d’ordine, acquistando quantità significativamente inferiori a quelle pattuite.

Di fronte a questo persistente inadempimento, la società fornitrice ha esercitato il recesso dal contratto, chiedendo la restituzione del doppio della caparra confirmatoria, come previsto dall’accordo. L’acquirente si è opposto, sostenendo che il proprio inadempimento fosse giustificato dall’eccessiva onerosità sopravvenuta a causa dell’emergenza Covid-19 e che, in ogni caso, la mancanza fosse di “scarsa importanza”.

La Decisione della Corte e il Ruolo della Clausola Risolutiva Espressa

La Corte d’Appello, confermando la decisione del Tribunale di primo grado, ha rigettato l’appello dell’acquirente. I giudici hanno sottolineato un punto cruciale: l’inadempimento dell’acquirente era già grave e consolidato ben prima che l’emergenza sanitaria manifestasse i suoi effetti. Già nel 2019, gli ordini erano inferiori del 23% rispetto al pattuito, e nei primi due mesi del 2020 il deficit era arrivato quasi al 40%.

Il cuore della decisione, però, risiede nell’articolo 7 del contratto, che conteneva una clausola risolutiva espressa. Questa clausola stabiliva esplicitamente che “il mancato ritiro dei quantitativi minimi concordati” sarebbe stato considerato, per volontà delle parti, un “inadempimento grave”.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte sono chiare e si fondano su principi consolidati del diritto contrattuale.
In primo luogo, l’inadempimento era precedente e indipendente dalla pandemia. La Corte ha stabilito che non si può invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) per un’obbligazione che già non si stava adempiendo prima del verificarsi dell’evento imprevedibile. La pandemia, quindi, non poteva fungere da scusante per una condotta inadempiente già in atto.

In secondo luogo, e questo è l’aspetto più rilevante, la presenza della clausola risolutiva espressa ha reso superfluo ogni dibattito sulla gravità dell’inadempimento. L’art. 1455 c.c. richiede normalmente che un inadempimento, per portare alla risoluzione, non sia di “scarsa importanza”. Tuttavia, quando le parti, attraverso una clausola risolutiva espressa, hanno già qualificato un certo comportamento come grave, questa valutazione è sottratta al giudice. Le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, hanno il potere di decidere in anticipo quali inadempimenti considerano fatali per il rapporto contrattuale.

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibili le argomentazioni relative alla presunta “tolleranza” del fornitore e alla “scarsa importanza” dell’inadempimento, poiché sollevate per la prima volta solo in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c.

Conclusioni

Questa sentenza offre una lezione fondamentale per chiunque stipuli un contratto: la clausola risolutiva espressa è uno strumento di tutela potente ed efficace. Permette di definire con certezza le conseguenze di specifiche violazioni contrattuali, riducendo l’incertezza e il margine di discrezionalità del giudice in un eventuale contenzioso. Per la parte che subisce l’inadempimento, essa semplifica l’esercizio del diritto di risolvere il contratto. Per la parte che deve adempiere, costituisce un chiaro avvertimento sulle conseguenze del mancato rispetto di obblighi ritenuti essenziali. In un panorama economico complesso, redigere contratti chiari e dotati di clausole specifiche come questa non è solo una buona pratica, ma una necessità strategica per tutelare i propri interessi.

Cosa rende un inadempimento contrattuale ‘grave’ secondo questa sentenza?
L’inadempimento è considerato grave perché le parti lo avevano definito tale nel contratto tramite una clausola risolutiva espressa. Questa pattuizione preventiva elimina la necessità per il giudice di valutare l’importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., poiché sono le stesse parti ad averla stabilita.

L’emergenza Covid-19 può giustificare un inadempimento che era già in corso prima della pandemia?
No. La Corte ha stabilito che la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta non può essere richiesta dalla parte che era già inadempiente prima del verificarsi dell’evento straordinario e imprevedibile. L’inadempimento, essendo precedente, non può essere imputato alla pandemia.

Qual è l’effetto principale di una clausola risolutiva espressa in un contratto?
L’effetto principale è che il contratto si risolve di diritto quando la parte interessata dichiara di volersi avvalere della clausola, senza che un giudice debba accertare la gravità dell’inadempimento. La valutazione sulla non scarsa importanza della violazione è fatta a monte dalle parti stesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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