SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA N. 1283 2025 – N. R.G. 00000266 2023 DEPOSITO MINUTA 15 07 2025 PUBBLICAZIONE 15 07 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA Sezione Seconda Civile
Composta dai Signori Magistrati:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott.ssa NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Giudice NOME Rel. ha pronunciato la seguente
SENTENZA
SENTENZA
Nella causa civile di II grado iscritta a rg.n.266/2023
promossa da
elettivamente domiciliato in Grottaglie (TA), INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e che, anche disgiuntamente, lo rappresentano e difendono in virtù di procura in calce all’atto di appello
– Appellante –
Contro in persona del legale rapp.te pro-tempore, domiciliata in Formigine (MO), INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che anche disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME la rappresenta e difende in virtø di procura in calce alla comparsa di risposta del presente grado di giudizio
Appellata –
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da rispettivi atti che si intendono richiamati e illustrati in motivazione SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 1695/2020 (rg.n.3473/2020), emesso dal Tribunale di Modena in favore di a titolo di restituzione del doppio della caparra ricevuta, così come previsto dal contratto di somministrazione di caffè stipulato tra le parti.
Più in dettaglio l’opponente ha eccepito, in rito, l’incompetenza del Tribunale di Modena e, nel merito, la sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, considerata la nota emergenza epidemiologica e l’impossibilità di rispettare le previsioni contrattuali. Si è ritualmente costituita in giudizio, l’opposta con comparsa con la quale ha ribadito la competenza del Tribunale adìto, come da clausola specificatamente approvata, evidenziando in ogni caso, la liquidità del credito e l’applicabilità del foro del creditore; nel merito, ha dedotto che l’inadempimento dell’opponente era precedente all’emergenza Covid-19, con conseguente irrilevanza dei fatti successivi.
Il Tribunale di Modena, all’esito della sola disamina della documentazione in atti, con sentenza n. 122/2023, ha rigettato l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo opposto, con la seguente motivazione:
‘ Quanto all’eccezione d’incompetenza, basti richiamare la clausola n. 9 del contratto, oggetto di specifica approvazione ex art. 1341 c.c. il quale prevedeva l’individuazione convenzionale del Tribunale di Modena per le controversie relative al contratto.
Nel merito, si ritiene che il credito sia stato ampiamente provato e che non sia stata fornita prova, da parte dell’opponente, della non imputabilità dell’inadempimento a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
Risulta che l’inadempimento posto a fondamento della richiesta di restituzione del doppio della caparra confirmatoria da parte dell’opposta, incontestato, è precedente alla pandemia: infatti, l’opponente non rispettava l’ordine minimo di caffè già nell’anno 2019, oltre che nella prima parte dell’anno successivo, e tale inadempimento, tenuto conto dei minimi contrattualmente previsti, era da ritenersi di non scarsa importanza, così legittimando la risoluzione ex art. 1385 c.c. (nel 2019, veniva ordinato caffè per kg 378, anziché kg. 490 e nei primi due mesi dell’anno 2020, quindi prima del Covid-19) per kg. 87, anziché 140kg di caffè).
Conseguentemente, al momento del primo lockdown nel marzo 2020, l’inadempimento doveva ritenersi già conclamato e, pertanto, irrilevanti sono le allegate difficoltà legate alla nota pandemia ‘.
Avverso detta sentenza ha proposto appello fondato su un solo motivo, articolato nei seguenti termini.
Sostiene che, erroneamente, il Tribunale non ha ravvisato la sussistenza degli elementi costitutivi della domanda di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, in violazione degli artt. 1467, 1453, 1455, 1385 c.c. nonché dell’art. 115 comma 1 c.p.c.
Precisa, al riguardo, che non vi è stato in realtà un inadempimento, ma un inesatto adempimento, tenuto conto che aveva acquistato certamente più del 50% del quantitativo di caffè stabilito nel contratto, nel periodo intercorso dal giugno 2019 al febbraio 2020 ed evidenzia che il Tribunale non ha dato rilievo al fatto che, in tutto il periodo compreso tra il mese giugno 2019 sino all’11.03.2020 (data di chiusura obbligatoria dei locali commerciali per circa 3 mesi), la società appellata non aveva mai formulato alcuna rimostranza in merito all’inesatto adempimento riferito.
Osserva che, tale contegno ‘ omissivo ‘ assunto dal creditore, ha determinato la ragionevole consolidazione di una tolleranza al minore ordinativo mensile (Cass.n.22346/2014).
Tale tolleranza è stata poi ‘ superata ‘, cronologicamente e giuridicamente, dalla notoria chiusura obbligatoria dei locali commerciali disposta dal Governo nel trimestre marzo-giugno 2020 per l’altrettanto nota crisi pandemica da ‘ Covid-19 ‘.
Rileva ancora che il Tribunale avrebbe dovuto valutare, solo ed esclusivamente, alla data di recapito della missiva a/r di recesso dal contratto (04.06.2020), la sussistenza o meno del requisito della non scarsa importanza dell’inesatto adempimento del sig. (Cass.n.3089/2014).
Sostiene che la sentenza ha natura dichiarativa, in relazione ad una modalità di estinzione del contratto c.d. di ‘ diritto ‘, ovvero in conformità all’art. 1385 c.c. e non già natura costitutiva.
Pertanto, il Tribunale avrebbe dovuto accertare la sussistenza del prodromico requisito sostanziale dell’inesatto adempimento del sig. nel periodo di tempo intercorso tra il mese di giugno 2019 al mese di giugno 2020, evitando di dar rilievo dirimente all’esiguo lasso di tempo compreso tra giugno 2019/febbraio 2020, verificatosi quattro mesi prima della missiva di recesso.
Afferma quindi che:
a) in conseguenza della nota emergenza sanitaria COVID-19, il contratto doveva essere dichiarato risolto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art 1467 c.c.;
b) il seppur riconosciuto inadempimento ad opera del somministrato, anteriore alle chiusure di marzo 2019, è stato tollerato dalla somministrante, con conseguente impossibilità di esercitare il recesso ex art 1385 c.c. per dette obbligazioni;
c) l’inadempimento del somministrato alle obbligazioni assunte è stato di scarsa importanza, tale quindi da non giustificare l’esercizio del recesso ex art 1385 c.c. e la conseguente richiesta di restituzione del doppio della caparra confirmatoria corrisposta.
Conclude chiedendo l’accoglimento dell’appello, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto e il favore delle spese del doppio grado di giudizio.
Si è costituita in giudizio con comparsa di costituzione con la quale ha chiesto il rigetto del proposto appello per le seguenti ragioni.
Preliminarmente osserva che le eccezioni relative alla presunta tolleranza dell’inadempimento ad opera della somministrata e alla scarsa importanza dell’inadempimento, sono nuove perché mai proposte in sede di giudizio di primo grado e pertanto inammissibili in questa sede, ai sensi del’art.345 c.p.c.; aggiunge quindi di esaminare, di seguito, tali eccezioni ‘ per mero tuziorismo difensivo ‘.
Rileva che il Tribunale ha valutato tutti gli elementi di fatto e di diritto portati dalle parti a fondamento delle rispettive domande e ha quindi correttamente affermato che ha legittimamente esercitato il diritto di recesso ex art. 1385 c.c. contrattualmente previsto e confermato il decreto ingiuntivo opposto
Evidenzia infatti che è documentalmente provato che l’odierno appellante si era impegnato a ritirare un quantitativo minimo mensile di caffè pari a 70 kg per 72 mesi, a partire dal maggio 2019 (doc. n. 1 fascicolo monitorio) e che tuttavia si era reso, da subito, inadempiente alle obbligazioni contrattuali assunte, anche prima della chiusura degli esercizi commerciali disposta dal DPCM del 11.03.2020.
Difatti in vigenza di contratto, gli acquisti effettuati dal sono stati i seguenti (doc. n. 4 fasc. I grado appellata):
– nell’anno 2019 ha acquistato, un quantitativo complessivo di caffè pari a 378 kg. invece che 490 kg. come contrattualmente stabilito;
– nell’anno 2020, ha acquistato un quantitativo complessivo di caffè pari a 87 kg., neppure sufficiente a giustificare il rispetto dell’obbligo di ritiro dei quantitativi minimi di caffè con riferimento alle mensilità di gennaio e febbraio 2020 (70 kg x 2= 140 kg di caffè).
Quindi il Tribunale ha correttamente accertato e dichiarato (pag.4 sentenza impugnata) il palese inadempimento del alle obbligazioni contrattuali assunte, già prima dell’emergenza da Covid-19.
Osserva che il non ha fornito alcuna prova di avere rispettato le obbligazioni assunte per il periodo antecedente al marzo 2020; anzi, anche nell’atto di appello, riconosce espressamente il proprio inadempimento, laddove afferma ‘… più del 50% ovvero circa il 60% del quantitativo minimo mensile di caffè era stato commissionato dall’appellante nel periodo intercorso dal giugno 2019 al febbraio 2020…’ (pag. 6 atto di appello).
Con riferimento alla domanda di risoluzione ex art. 1467 c.c. spiegata dall’appellante, richiama precedente giurisprudenza di merito (Trib. Bologna, del 04.06.2020, rg.n.5790/2020), che ha affermato quanto segue ‘ Data, dunque, l’inaccoglibilità di una tesi, che individui nella norma un caso di vera e propria estinzione della obbligazione o di inesigibilità della stessa, la portata di tale norma va limitata al risarcimento del danno da inadempimento, purché ovviamente l’inadempimento che abbia un legame eziologico con la pandemia. Tale legame è evidentemente questione di fatto, sia pure con alcune difficoltà di
accertamento per il giudice. Non sarebbe tale, ad esempio, un inadempimento già manifestatosi prima della pandemia: dunque, la norma opera sugli “inadempimenti-CODIV “; ed ancora (Trib. Pisa ordinanza 30.06.2020, giudice Goria) ‘ Spetta, dunque, a chi invoca l’eccessiva onerosità sopravvenuta a dimostrare i presupposti di cui all’art. 1467 c.c. per tutto l’arco di tempo intercorrente tra il momento in cui doveva avvenire l’esecuzione del contratto e quello in cui viene richiesto l’accertamento dell’eccessiva onerosità…l’istante ha richiamato la sopravvenuta emergenza sanitaria da Covid-19 che avrebbe reso tra Gennaio e Febbraio 2020 insostenibili i costi di gestione aziendale. Ebbene, anche tale ultima circostanza non pare corroborare il fumus boni iuris posto che nel periodo invocato (Gennaio-Febbraio) non vi era alcuna conclamata emergenza sanitaria che sarebbe stata infatti dichiarata solo il successivo mese di Marzo con tutti i ben noti effetti pregiudizievoli sotto il profilo economico-commerciale…Non appare, pertanto, sussistere l’invocato fumus boni iuris né rispetto al diritto alla risoluzione per eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 cc né rispetto alla scusabilità dell’inadempimento ex art. 3 co. 6 dl 17/2020 con la conseguenza che la domanda cautelare già solo per questo andrebbe rigettata .’.
Ed ancora, secondo giurisprudenza costante di legittimità ‘ La risoluzione per impossibilità sopravvenuta non può essere domandata dalla parte che, con la sua inadempienza, ha ritardato l’esecuzione del contratto e che era già inadempiente al momento in cui sarebbero sorte le cause dell’onerosità della sua prestazione’ (Cass.n.10139/1991).
Quindi, incontestato e riconosciuto, dallo stesso appellante, il fatto che fosse inadempiente già alla data del febbraio 2020, in ossequio alla giurisprudenza costante sul punto, non vi sono dubbi sull’infondatezza dell’eccezione di risoluzione del contratto per sopravvenuta onerosità della prestazione.
2) Sull’eccezione relativa alla tolleranza dell’inadempimento per il periodo anteriore all’emergenza pandemica da Covid-19.
Ribadisce la dedotta inammissibilità di detta nuova eccezione e comunque osserva che si tratta di eccezione priva di fondamento in quanto, per costante giurisprudenza, in presenza di una clausola risolutiva espressa, l’eventuale tolleranza dell’inadempimento non impedisce al creditore di avvalersi della clausola, in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento ad opera del debitore (Cass.n.24564/2013).
Sostiene quindi che ha legittimamente esercitato il recesso ai sensi dell’art.1385 c.c. a fronte di un cliente palesemente inadempiente alle obbligazioni contrattuali assunte, una volta terminata la fase delle chiusure dettate dall’emergenza COVID-19 e preso atto della definitiva cessazione degli acquisti di caffè ad opera del somministrato.
3 ) Sull’eccezione relativa alla scarsa importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c. tale da non giustificare il recesso ex art. 1385 c.c.
Ribadisce la dedotta inammissibilità di detta nuova eccezione e comunque osserva che si tratta di eccezione priva di fondamento e contradditoria in quanto da un lato, l’appellante ammette platealmente il proprio inadempimento, dall’altro, contesta la legittimità del recesso effettuato dalla somministrante in quanto, a suo dire, detto inadempimento sarebbe di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c.
Osserva che al punto 7.1) del contratto (doc. n. 1 fascicolo monitorio) si legge ‘ Si dovrà considerare per volontà delle parti grave inadempimento, ai fini della risoluzione del contratto o del recesso, ex art. 1385 c.c. ove operante, oltre alla violazione del patto di esclusiva da parte del somministrato, ed oltre al mancato ritiro dei quantitativi minimi concordati, il mancato pagamento delle forniture entro i termini ‘
Evidenzia che la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c. è implicita laddove si sia verificato un inadempimento alle obbligazioni primarie ed
essenziali del contratto, come lo sono, nella fattispecie, quelle riguardanti il quantitativo minimo della merce da acquistare (Cass.n.22521/2011).
Poiché parte appellante riconosce di non aver rispettato l’obbligo di ritiro dei quantitativi minimi di caffè concordati e poiché a tale inadempimento è stato dalle parti attribuita valenza giustificatrice della domanda di risoluzione/recesso dal contratto, ne deriva che non compete a terzi, giudicante compreso, vagliare la gravità o meno di detta mancanza, avendo il contratto forza di legge tra le parti ex art. 1372 c.c. Richiama giurisprudenza (Cass.n.8730/2012) secondo la quale ‘ la stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l’unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell’inadempimento non deve essere valutata dal giudice (4369 del 16/05/1997) .’e più recentemente (Cass.n.904/2022) ‘ osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la presenza di una clausola risolutiva espressa in seno a una convenzione negoziale rende irrilevante ogni indagine intesa a stabilire se l’inadempimento sia sufficientemente grave da giustificare l’effetto risolutivo… ‘ .
Quindi, avendo le parti qualificato nel contratto come grave l’inadempimento all’obbligo di ritiro dei quantitativi minimi di caffè, è del tutto evidente che ogni valutazione sull’effettiva importanza dello stesso, è stata superata dalla previsione pattizia delle parti.
Conclude quindi per il rigetto dell’appello con il favore delle spese del grado.
Quindi sulla scorta delle conclusioni precisate dalle parti all’udienza dello 02.07.2024, tenutasi con modalità cartolare, la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il proposto appello non è meritevole di accoglimento per le seguenti ragioni. si era impegnato a ritirare un quantitativo minimo mensile di caffè pari a 70 kg. (art. 1.2) per la durata
Dalla lettura del contratto di somministrazione (doc. n. 1 fascicolo monitorio) emerge che il di 72 mesi (art. 3.1), a partire dal mese di maggio 2019.
Per quanto rileva in questa sede, detto contratto (art. 7) prevedeva espressamente quanto segue ‘ si dovrà considerare per volontà delle parti inadempimento grave, ai fini della risoluzione del contratto o del recesso ex art. 1385 c.c.…il mancato ritiro dei quantitativi minimi concordati ‘.
Ebbene, nel precedente grado di giudizio, l’appellata ha allegato (pagg.11 e 12 comparsa di costitu- zione e risposta e documentato, doc.4 fasc. I grado) che, ben prima della diffusione della nota pandemia
da COGNOME 19, il non aveva rispettato l’obbligo di acquisto di quantitativi minimi previsto dal
contratto in quanto:
– nell’anno 2019, aveva acquistato un quantitativo complessivo di caffè pari a 378 kg. invece che 490 kg. contrattualmente stabilito;
– nelle due mensilità di gennaio e febbraio 2020, aveva acquistato un quantitativo complessivo di caffè pari a 87 kg a fronte di un quantitativo minimo 140 kg di caffè (70 Kg al mese).
Per tali ragioni, correttamente, il Tribunale ha ritenuto l’inadempimento del di non scarsa importanza e tale da legittimare la risoluzione ex art. 1385 c.c.
Ebbene, nell’atto di appello, il non solo omette di confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata, ma (a pag. 6) riconosce espressamente il proprio inadempimento, laddove afferma ‘… più del 50% ovvero circa il 60% del quantitativo minimo mensile di caffè era stato commissionato dall’appellante nel periodo intercorso dal giugno 2019 al febbraio 2020 …’.
Si ribadisce che deve essere ritenuto inadempimento grave (come da contratto) il solo fatto di avere acquistato un quantitativo inferiore a quello minimo previsto, mentre è del tutto irrilevante l’acquisto di una quantità pari o superiore alla metà di detto minimo.
Per la medesima ragione è parimenti, del tutto irrilevante la cd. tolleranza di peraltro invocata solo in questo grado di giudizio e quindi inammissibilmente, ai sensi dell’art. 345 c.p.c.
Per tali motivi l’appello deve essere rigettato con integrale conferma dell’impugnata sentenza.
Le spese processuali del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con riferimento ai parametri di cui al DM.n.55/2014 e s.m., tenuto conto del valore della controversia (più vicino al limite minimo del relativo scaglione), nonché del non elevato grado di complessità, dell’attività svolta (con fase istruttoria limitata in grado di appello, in difetto di istruzione probatoria) e delle questioni esaminate.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte dell’appellante, dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente pronunciando, così decide:
– rigetta l’appello;
– condanna a rifondere a le spese di lite del presente grado di giudizio che si liquidano in complessivi € 5.000,00 per onorari, oltre al rimborso spese generali del 15%, IVA e CPA.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte dell’appellante, dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile, il giorno 03.04.2025.
Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME
Il Giudice NOME COGNOME dott. NOME COGNOME