Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26931 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26931 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21626/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso.
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ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, in forza di procura speciale in calce al presente atto, dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) e dall’avvocato COGNOME NOME
(EMAIL), ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO.
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contro
ricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 409/2022 depositata il 07/02/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. la RAGIONE_SOCIALE chiedeva al Tribunale di Milano di voler accertare e dichiarare l’intervenuta risoluzione per inadempimento del contratto di leasing immobiliare stipulato con RAGIONE_SOCIALE, con conseguente condanna della società utilizzatrice al rilascio delle porzioni immobiliari facenti parte di un immobile sito in Corsico.
Allegava che l’utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE si rendeva inadempiente nel versamento degli importi contrattualmente dovuti sicché, dopo ripetuti e vani solleciti, essa società di leasing si trovava costretta ad avvalersi della clausola risolutiva espressa, prevista dalle condizioni generali di contratto, ed a comunicare la risoluzione del contratto, intimando altresì la debita restituzione del bene immobile ed il pagamento dei corrispettivi scaduti ed insoluti.
Si costituiva resistendo la RAGIONE_SOCIALE; in particolare eccepiva che il presunto inadempimento ascrittole si riferiva esclusivamente al mancato pagamento di canoni scaduti, oltre ai
relativi interessi di mora, e non rientrava nell’ipotesi di grave inadempimento ex lege previsto dall’art. 1, comma 137 della legge n. 124/2017, secondo cui ‘Costituisce grave inadempimento dell’utilizzatore il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari’.
Deduceva inoltre che l’art. 11 del contratto di leasing, nel prevedere la risoluzione di diritto, genericamente richiamava l’inadempimento alla totalità de lle obbligazioni contrattuali, per cui doveva, per la sua genericità, essere considerato una mera clausola di stile, invalida ed inefficace per la sua indeterminatezza.
1.1. Con ordinanza del 18 febbraio 2020, il Tribunale di Milano, senza disporre il mutamento del rito, dichiarava ‘Accertata l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto di leasing immobiliare inter partes’ condannando ‘la parte resistente RAGIONE_SOCIALE alla restituzione in favore della società ricorrente RAGIONE_SOCIALE dell’immobile descritto nel ricorso’, oltre al pagamento delle spese del giudizio.
RAGIONE_SOCIALE appellava l’ordinanza e nel giudizio di gravame si costituiva resistendo la società concedente.
2.1. Con sentenza n. 409/2022 del 7 febbraio 2022, la Corte d’Appello di Milano rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
La società ricorrente e la società resistente hanno depositato rispettiva memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunz ia ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3, c.p.c. -Violazione del contraddittorio -Mancata conversione del rito’.
Lamenta che la corte d’appello è incorsa in un evidente errore interpretativo ritenendo di poter decidere la causa sulla base di un’istruttoria sommaria, fondata sui documenti prodotti, mentre la fattispecie in esame, molto complessa sia dal punto di vista fattuale che dal punto di vista giuridico, avrebbe richiesto adeguati approfondimenti istruttori.
Con il secondo motivo denunzi a ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3, c.p.c. -erronea applicazione dell’art. 1456 c.c.’
Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittima la risoluzione contrattuale intimata dalla società concedente RAGIONE_SOCIALE, in tal modo incorrendo in evidente violazione e/o falsa applicazione di quanto previsto dall’art. 1456 cod. civ., dato che non ha considerato che la clausola n. 11 delle condizioni generali di contratto prevede la risoluzione di diritto per qualsiasi inadempimento anche di minimo rilievo, senza la benché minima specificazione e perimetrazione, e pertanto non può essere considerata valida ed efficace.
Con il terzo motivo denunz ia ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3, c.p.c. e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5, c.p.c. -erronea applicazione dell’art. 1, co. 137, L. 124/2017’.
Lamenta che l’impugnata sentenza ha omesso di esplicitare il principio di fatto e di diritto in forza del quale, nel caso di specie, non dovrebbe trovare applicazione quanto statuito dalla legge di trasparenza, e si è limitata a ritenere che la valutazione della gravità dell’inadempimento sarebbe stata impedita avendo le parti statuito un’apposita clausola contrattuale.
Con il quarto motivo denunz ia ‘Violazione o falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3, c.p.c. e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5, c.p.c. – totale assenza di motivazione in punto di domanda dell’accertamento del diritto al riscatto’.
Lamenta che la corte di merito non si è pronunciata sull’accertamento del diritto di riscatto.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.
Con particolare riferimento al primo motivo va ribadito che la decisione in ordine al mutamento del rito da sommario ad ordinario rientra nella discrezionalità del giudice e va effettuata con riferimento non alle sole deduzioni probatorie formulate dalle parti, bensì all’intero complesso delle difese e argomentazioni che vengono svolte in quel dato giudizio; tenendo conto, tra l’altro, della complessità della controversia, del numero e della natura delle questioni in discussione (v. Cass., 14/03/2017, n. 6563; Cass., 10/05/2022, n. 14734).
Pertanto, il mutamento del rito è scelta che viene compiuta dal giudice nel caso di complessità o non sommarietà dell’istruzione; espressione quest’ultima da intendersi in senso lato, con riguardo anche alla trattazione e cioè alle ragioni di complessità che possano emergere in sede di trattazione. Si tratta di una valutazione che è compiuta sia considerando la complessità delle questioni oggetto della decisione, sia la complessità dell’istruttoria, quali, a titolo esemplificativo, l’elevato numero dei testi, il numero delle parti coinvolte e delle questioni sottoposte.
Aggiungasi che l’omesso mutamento del rito -nel caso di specie, da quello speciale del lavoro a quello ordinario e viceversa- non determina “ipso iure” l’inesistenza o la nullità della sentenza ma assume rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico
pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (v. Cass., 24/05/2023, n. 14374, in tema di mutamento del rito da speciale locatizio ad ordinario e viceversa; Cass., 27/01/2015, n. 1448, in tema di omesso mutamento del rito da ordinario a rito speciale del lavoro).
Orbene, nel l’impugnata sentenza la corte di merito ha fatto buon governo dei suindicati principi, là dove ha affermato che ‘l’applicazione del rito di cui all’art. 702 bis c.p.c. è subordinata, date le sue peculiarità, alla preliminare e motivata valutazione giudiziale circa la sussistenza di oggettive ragioni di celerità tanto con riferimento all’oggetto della domanda quanto alle prove necessarie per la decisione. Si osserva che, nel caso di specie, il Giudice ha dapprima affermato l’irrilevanza dell’eccezione di parte appellante … e in seguito, nell’esaminare la causa nel merito, ha fornito piena motivazione di tale affermazione, dando atto degli argomenti sia in fatto che in diritto legittimanti la ‘trattazione sommaria’ della causa, facendone rilevare la sua natura cartolare … Pertanto, risulta dimostrato che il Tribunale ha motivatamente e correttamente preso posizione sulla predetta istanza di mutamento del rito rigettandola correttamente attesa la natura meramente documentale della causa’.
L’ulteriore doglianza contenuta nel motivo, del seguente tenore: ‘La difesa della società RAGIONE_SOCIALE, infatti, già in sede di costituzione ha provveduto alla puntuale indicazione delle proprie istanze istruttorie, circostanza che avrebbe dovuto comportare, ex se, la conversione del rito (ex plurimis, Cass., 07/01/ 2021)’ è priva di correlazione con la ratio decidendi dell’impugnata sentenza, con cui, si ribadisce, la corte d’appello ha confermato la valutazione del tribunale che, invero, ha preso
in considerazione le istanze istruttorie dedotte, ma ha ritenuto la causa di natura documentale e sulla base, pertanto, delle prove documentali, al di là di altre eventualmente dedotte dalla parte, ha ritenuto di poter decidere senza previo mutamento del rito.
6. Con particolare riferimento al secondo motivo va ribadito che ‘la clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, sicché la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per ‘gravi e reiterate violazioni’ dell’altro contraente ‘a tutti gli obblighi’ da esso discendenti va ritenuta nulla per indeterminatezza dell’oggetto’ (Cass., 11/03/2016, n. 4796; Cass., 23879/2021).
Orbene la corte di merito ha nella specie pronunciato conformemente a tale principio di diritto, escludendo, con motivata valutazione in fatto in relazione al l’espresso tenore della clausola, che la stessa fosse viziata da indeterminatezza.
Con particolare riferimento al terzo motivo va osservato che, diversamente da quando sostenuto dall’odierna ricorrente la corte di merito non ha invero omesso alcun esame, ma ha per contro espressamente affermato che: ‘Non può, dunque, trovare applicazione la l. 124/2017 per la valutazione della gravità o meno dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. perché superata dalla volontà delle parti ex art. 1456 c.c. con l’inserimento nel contratto della clausola risolutiva espressa, la cui validità è ampiamente riconosciuta proprio nello specifico caso del leasing traslativo dalla Suprema Corte anche dopo l’entrata in vigore delle norme regolatrici (vedi Cass. n. 29017/2018).’ (cfr. pag. 7 della sentenza).
Il motivo è anche infondato nella misura in cui viene dalla ricorrente prospettata, in maniera del tutto assertiva, come applicabile al caso di specie il citato art. 1, co. 137, L. 124/2017,
rispetto al quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato la portata applicativa e affermata la relativa irretroattività (Cass., Sez. Un., 2061/2021).
Con particolare riferimento al quarto motivo va osservato che la corte di merito si è pronunciata in relazione al diritto di riscatto, con la seguente motivazione: ‘ La Corte, infatti, osserva che tale diritto di riscatto, trovando la sua genesi nel contratto in esame, è venuto meno in conseguenza della declaratoria giudiziale che ha travolto tutte le situazioni giuridiche scaturenti dal negozio risolto, compreso il diritto di riscatto della Utilizzatrice, risultando quindi a quest’ultima precluso l’esercizio di un diritto non più esistente nella sua sfera giuridica.’ (pag. 8 della sentenza).
Di tale motivazione dà conto anche la ricorrente, salvo censurarla come ‘semplicistica’, il che -tuttavianon è riconducibile ad alcuno dei vizi di legittimità previsti dall’art. 360 cod. proc. civ.
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della società controricorrente.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di
merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza