Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13267 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13267 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 8099/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del responsabile Legacy asset management, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, nonché del responsabile Portafoglio Medium Secured Gruppo 2, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in virtù dei poteri loro conferiti in qualità di sostituti del Direttore Crediti Speciali in forza di disposizione n. 1/2019 del 28 gennaio 2019 sottoscritta dal Direttore Crediti Speciali pro tempore in forza della delibera del Consiglio di Amministrazione del 21 dicembre 2018, rappresentata e difesa, giusta procura speciale su foglio separato a far parte del ricorso per cassazione, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura alle liti in atti, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 5132/2019, depositata in data 23 dicembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/5/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
1. La società RAGIONE_SOCIALE stipulava il 21/2/2008 un contratto di mutuo fondiario di euro 450.000,00, per l’acquisto di un immobile, con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE (BNL), il quale prevedeva all’art. 10 (condizioni risolutive del contratto), che «sono condizioni risolutive del contratto: a) il protesto di cambiale o assegno bancario o l’esperimento di azioni cautelative o esecutive nei confronti del ‘Mutuatario’ ovvero l’emissione nei loro confronti di sentenze, decreti o provvedimenti giudiziari esecutivi , qualora ciò possa avere, a giudizio della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, effetti sostanzialmente pregiudizievoli sulla capacità del ‘mutuatario’ di adempiere le obbligazioni derivanti dal contratto», con iscrizione di ipoteca su tale immobile.
La società subiva un’illegittima esecuzione immobiliare, con la trascrizione del pignoramento proprio su tale immobile, intrapresa dal Condominio di INDIRIZZO, in forza di decreto ingiuntivo emesso l’11/8/2009.
La società, dunque, impugnava le delibere assembleari e le tabelle millesimali, per giungere poi ad un accordo transattivo, che recepiva le istanze della società. Nonostante ciò, il condominio
notificava ad NOME un atto di pignoramento (sulla base del decreto ingiuntivo ottenuto) per ottenere il pagamento dell’importo di cui al decreto ingiuntivo, pari ad euro 19.005,85.
Il giudizio di opposizione all’esecuzione, iniziato dalla società, nel quale era intervenuto il 17/10/2013 la BNL, che esigeva l’intera somma del mutuo, stante la risoluzione dello stesso ai sensi dell’art. 10 delle condizioni allegate al contratto (avvenuta il 17/10/2013), terminava con l’accoglimento dell’opposizione della società e la dichiarazione di inefficacia del titolo esecutivo e degli atti esecutivi conseguenti, compreso il pignoramento immobiliare. Infatti, nelle more, il tribunale di Milano aveva sancito, con sentenza del 23/11/2015, l’inefficacia del titolo esecutivo del condominio, nonché dei relativi atti di precetto e del pignoramento immobiliare.
La procedura esecutiva veniva dichiarata estinta.
La BNL, dunque, rinunciava al proprio atto di intervento e notificava alla società un nuovo autonomo atto di precetto per l’importo di euro 461.846,79, di cui euro 372.898,66 a titolo di capitale residuo ed euro 88.948,13 relativi a rate del contratto di mutuo fondiario rimaste insolute a partire dagli 17/10/2013 (data della prima risoluzione).
Ciò si legge anche nella ordinanza di questa Corte n. 9000 del 2023, depositata il 30 marzo 2023, con cui è stato deciso il giudizio di opposizione all’esecuzione relativo al pagamento della somma di euro 461.846,79 («dopo l’estinzione della procedura, in data 17.12.2015 la BNL aveva notificato l’atto di precetto opposto, lamentando il mancato pagamento di rate scadute per un totale di euro 88.948,13, con conseguente intimazione del pagamento della complessiva somma di € 461.846,79, per intervenuta decadenza della mutuataria dal beneficio del termine »).
La RAGIONE_SOCIALE, in data 17/12/2015, dichiarava la propria volontà di risolvere il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 9 delle condizioni allegata allo stesso, per morosità delle rate dal 17/10/2013 (data dell’intervento della procedura immobiliare), al 17/12/2015.
La società, quindi, chiedeva al tribunale di Milano di dichiarare l’illegittimità e l’inefficacia delle risoluzioni contrattuali operate dalla RAGIONE_SOCIALE.
Il tribunale di Milano accoglieva parzialmente le domande presentate da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della BNL, dichiarando illegittime e quindi inefficaci le risoluzioni contrattuali operate dalla banca.
Quanto, poi, al mancato pagamento delle rate di mutuo, dopo la risoluzione da parte della BNL, il tribunale osservava che tale pagamento era stato «res impossibile per il debitore in conseguenza della pretesa dell’istituto di credito al conseguimento dell’intero importo residuo, senza mantenere ferme le scadenze di cui al piano di ammortamento».
La Corte d’appello di Milano rigettava il gravame articolato dalla BNL. In particolare, la Corte territoriale evidenziava che la BNL sosteneva la natura di condizione risolutiva espressa (e non di clausola risolutiva espressa), con riferimento all’art. 10 del capitolato allegato al contratto di mutuo fondiario, sicché il pignoramento dell’immobile effettuato dal condominio sarebbe stato in re ipsa un evento pregiudizievole per la banca, determinando «l’automatica risoluzione del contratto».
Al contrario, il giudice d’appello «dalla complessiva e coordinata lettura dell’art. 10 lettera a) e del successivo secondo comma dello stesso articolo», nel quale si leggeva che, al verificarsi di uno degli eventi ivi indicati, «la banca comunicherà al mutuatario che intende
avvalersi della condizione risolutiva», ci si trovava dinanzi ad una «clausola risolutiva espressa» della quale l’istituto di credito si era avvalso, ai sensi dell’art. 1456 c.c.
Respingeva, invece, l’interpretazione dell’istituto di credito, tesa a far valere l’esistenza di una «condizione risolutiva», perché in tal caso sarebbe stata rimessa esclusivamente alla banca la valutazione di opportunità in ordine alla «capacità del mutuatario di adempiere le obbligazioni derivanti dal contratto», «con conseguente nullità della condizione ex art. 1355 c.c.».
Trattandosi, dunque, di clausola risolutiva espressa, dovevano applicarsi i principi di buona fede contrattuale, sicché poiché il decreto ingiuntivo, in base al quale il condominio aveva promosso l’azione esecutiva, era venuto meno in quanto tra le parti era stato raggiunto un accordo conciliativo, in virtù del quale erano state modificate le tabelle millesimali con efficacia retroattiva, era parimenti venuta meno, con la successiva sentenza del tribunale di Milano, l’efficacia del titolo esecutivo, che consentiva alla BNL di avvalersi della clausola risolutiva espressa.
In ordine, poi, al mancato pagamento delle rate successive alla risoluzione contrattuale del 17/12/2015, le rate scadute erano quelle del 31/12/2013 (scaduta da 716 giorni), del 3/6/2014 (scaduta da 535 giorni), del 31/12/2014 (scaduta da 351 giorni) e del 3/6/2015 (scaduta da 170 giorni), sicché tre di queste rate erano scadute da più di 180 giorni.
Per la Corte territoriale, «l’appellante non ha mai negato di aver rifiutato di ricevere il pagamento delle rate di mutuo, secondo il piano originario di ammortamento concordato dalle parti«, ma anzi, come osservato dal giudice di prime cure, «la banca, senza avere in precedenza revocato la prima intimata risoluzione contrattuale, ha notificato un atto di precetto, con contestuale dichiarazione di volersi
avvalere della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 9 delle condizioni allegate al mutuo».
In realtà, l’istituto di credito non aveva mai allegato di aver revocato la precedente risoluzione e di aver consentito al debitore di rispettare il piano di ammortamento originario, richiedendo il pagamento delle rate, maturate successivamente all’intimata risoluzione del contratto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la BNL, depositando con la memoria l’ordinanza di questa Corte n. 9000 del 2023.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce «Art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1353 e 1355 c.c.».
In particolare, per la ricorrente con il motivo di ricorso non si chiede «di procedere ad un’interpretazione di una clausola contrattuale in modo difforme da quanto fatto nella sentenza di merito», si censura, invece, la violazione di una specifica norma di legge, poiché la motivazione addotta dal giudice di merito per giungere a quell’interpretazione «passa per l’implicita (ma erronea) convinzione che l’art. 1353 c.c. (e, quindi, la configurabilità di una condizione risolutiva) non sarebbe mai applicabile in determinate circostanze di fatto».
La Corte d’appello sarebbe incorsa nell’erronea convinzione che la clausola 10 allegata al contratto, contemplante la condizione risolutiva, sarebbe incompatibile con la previsione che «al verificarsi di uno di tali eventi, la banca potrà comunicare al mutuatario che intende avvalersi della condizione risolutiva».
Per la Corte territoriale, in particolare, la clausola era strutturata alla stregua di una clausola risolutiva espressa, disciplinata dall’art. 1456 c.c.
Tale affermazione implicherebbe «la negazione di ingresso nel nostro ordinamento della c.d. ‘condizione unilaterale’», essendo pacifico che le parti possono pattuire una condizione risolutiva e, allo stesso tempo, «prevedere la facoltà di una di esse di rinunciarvi nel corso del rapporto».
Pertanto, per la ricorrente la previsione contrattuale, in base alla quale la banca avrebbe comunicato l’intenzione di avvalersi dell’evento risolutivo, non è «incompatibile strutturalmente con una condizione risolutiva di cui all’art. 1353 c.c.».
Trattandosi poi di condizione risolutiva, non potrebbe applicarsi l’art. 1355 c.c., previsto solo «per le condizioni sospensive», contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello.
Tra l’altro il capitolato del contratto, all’art. 10, era intestato espressamente come «condizioni risolutive del contratto» e faceva riferimento alla «condizione risolutiva», e non alla clausola risolutiva espressa.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Invero, dalla ordinanza di questa Corte n. 9000 del 2023, che si è occupata dell’opposizione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il precetto notificatole in data 17.12.2015 dalla BNL «per il pagamento della somma pari, alla data del 5.9.2013, ad € 461.846,79, riveniente da mutuo fondiario del 21.2.2008» -costituente giudicato tra le parti – emerge che è stato accertato in via definitiva che la «condizione» di cui all’art. 10 del capitolato allegato al contratto di mutuo fondiario era una «clausola risolutiva espressa».
Infatti, questa Corte ha ritenuto non fondato il secondo motivo di ricorso per cassazione formulato dalla BNL avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che aveva rigettato il gravame principale della RAGIONE_SOCIALE.
Il tribunale, in prime cure, aveva qualificato tale «condizione risolutiva» (per come era indicata nell’art. 10 dell’allegato al contratto) come «clausola risolutiva espressa» e tale statuizione non era stata specificamente fatta oggetto di appello da parte della RAGIONE_SOCIALE, sicché questa Corte ha ritenuto non fondato il secondo motivo di ricorso per cassazione della RAGIONE_SOCIALE.
Nel secondo motivo di ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto la nullità della sentenza della Corte di appello «nella parte in cui s’è dichiarata l’inammissibilità del quarto motivo del gravame principale (inerente alla qualificazione dell’art. 10 del capitolato del mutuo quale clausola risolutiva espressa, come ritenuto dal Tribunale, anziché come condizione risolutiva)».
Questa Corte, nell’ordinanza n. 9000 del 2023, ha rigettato il secondo motivo di ricorso della BNL, affermando che «Al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte d’appello ha ben chiarito perché il quarto motivo dell’appello principale era da considerarsi inammissibile, evidenziando che la qualificazione data dal Tribunale circa l’art. 10 del capitolato, quale clausola risolutiva espressa, non era stata adeguatamente investita dall’impugnazione», aggiungendo che per la Corte territoriale «la censura della BNL sulla qualificazione giuridica della clausola era generica».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione dell’art. 1456 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c».
Per la ricorrente, dalla sentenza d’appello emergerebbe che la banca, con la lettera della 17/10/2013 ha esercitato il diritto
potestativo di cui all’art. 1456 c.c., dichiarando di voler risolvere il contratto ai sensi dell’art. 10 lettera a) del capitolato allegato al mutuo fondiario.
Tuttavia, aggiunge la ricorrente, una volta che la Corte territoriale ha considerato tale clausola, contenuta nell’art. 10 del capitolato, come clausola risolutiva espressa, non poteva poi tenere conto degli accadimenti successivi all’esercizio del diritto potestativo avvenuto in data 17/10/2013.
La Corte d’appello, dunque, non avrebbe dovuto tenere conto della circostanza che il giudizio di opposizione all’esecuzione era stato definito con sentenza del tribunale di Milano n. 13129 del 2015, con la quale era stata accertata e dichiarata l’inefficacia del titolo esecutivo e degli atti esecutivi conseguenti, compreso il pignoramento immobiliare.
Trattandosi di clausola risolutiva espressa, essa avrebbe indicato «eventi che la mutuataria si è impegnata a far sì che non si avverassero».
Se, dunque, è vero che, in caso di clausola risolutiva espressa, l’inadempimento determinato indicato nella stessa è da ritenersi oggettivamente grave, esulando la possibilità di un intervento del giudice ai sensi dell’art. 1455 c.c., in ordine alla gravità dell’inadempimento, tuttavia il mutuatario «si è obbligato nei confronti della mutuante ad impedire che nei propri confronti siano proposte azioni esecutive».
La società RAGIONE_SOCIALE avrebbe violato tale obbligo nel momento in cui ha subito il pignoramento da parte del condominio, mentre la sentenza della Corte d’appello sarebbe incorsa in errore laddove ha affermato «che la risoluzione già avvenuta sarebbe venuta meno a seguito del venir meno del pignoramento successivamente alla risoluzione stessa».
Insomma, per la banca l’efficacia di tale risoluzione non può venire meno ex post a seguito dell’adempimento tardivo del debitore.
Il motivo è infondato.
3.1. Questi i fatti di causa in sintesi.
La società RAGIONE_SOCIALE stipula il contratto di mutuo fondiario con la BNL il 21/2/2008, per la somma di euro 450.000,00; l’art. 10 del capitolato allegato al contratto di mutuo fondiario, prevede la clausola risolutiva espressa -come acclarato a seguito dell’intervenuto giudicato sul punto – nel caso in cui siano esperite «azioni cautelative o esecutive nei confronti della ‘Mutuataria’ qualora ciò possa avere, a giudizio della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, effetti sostanzialmente pregiudizievoli sulla capacità del ‘Mutuatario’ di adempiere le obbligazioni derivanti dal contratto».
Il condominio trascrive un atto di pignoramento sull’immobile oggetto di ipoteca a garanzia del mutuo fondiario, sulla base di un decreto ingiuntivo emesso per la somma di euro 17.275,82; nel corso del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, le parti raggiungono un accordo in senso favorevole alla società; ciononostante il condominio prosegue il processo esecutivo, nel quale interviene la BNL avvalendosi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. (art 10 del capitolato) costringendo la società ad instaurare il giudizio di opposizione all’esecuzione; la causa di merito avente ad oggetto le tabelle millesimali termina con la vittoria della società; il giudizio di opposizione viene definito con l’accoglimento dell’opposizione, essendo venuto meno il titolo esecutivo.
Il processo esecutivo veniva dichiarato estinto.
La BNL rinunciava all’intervento nel precedente processo esecutivo, e ne promuoveva uno autonomo (avvalendosi dell’art. 9 del capitolato con risoluzione del 17/12/2015) con la trascrizione del
pignoramento, avverso il quale la società proponeva opposizione all’esecuzione, oggetto del giudizio definito da questa Corte con ordinanza n. 9000/2023, depositata il 30 marzo 2023.
La società RAGIONE_SOCIALE, nel frattempo, chiedeva al tribunale di Milano di dichiarare «la nullità, l’inesistenza e/o l’intervenuta inefficacia della risoluzione del contratto da parte di BNL per i motivi esposti in atti e per l’effetto dichiarare che il rapporto negoziale deve considerarsi ripristinato tra le parti secondo l’originario piano di ammortamento e i relativi termini di pagamento ».
3.2. Se, dunque, è vero che in caso di clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., non si discute più della gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. (Cass., sez. 6-3, 12 novembre 2019, n. 29301; Cass., sez. 2, 2 ottobre 2014, n. 20854; Cass., sez. 1, 17 marzo 2000, n. 3102) deve però tenersi conto, per giurisprudenza costante di questa Corte, delle caratteristiche della condotta del debitore, ove la stessa sia improntata a buona fede ex artt. 1175, 1366 e 1375 c.c. (Cass., sez. 1, 23 marzo 2023, n. 8282) o comunque ad assenza di colpa (Cass., sez. 3, 6 febbraio 2007, n. 2553; Cass., sez. 2, 14 luglio 2000, n. 9356; Cass., sez. 3, 5 agosto 2002, n. 11717; Cass., sez. L, 16 aprile 1992, n. 4659).
Da ultimo, si è affermato che l’agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell’inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione, sicché, qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla suddetta clausola, appaia comunque conforme a quel criterio, non sussiste l’inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione, dovendosi ricondurre tale verifica non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello, oggettivo, della condotta inadempiente (Cass.,
sez. 1, 23 novembre 2015, n. 23868; più recentemente Cass., n. 5401 del 2019).
Pertanto, anche in presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti a rispettare il principio generale della buona fede e del divieto di abuso del diritto, preservando l’uno gli interessi dell’altro.
Il principio di buona fede si pone, allora, nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 1456 c.c., come canone di valutazione sia dell’esistenza dell’inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto.
3.3. Nella specie, la Corte d’appello ha congruamente motivato nel senso della sussistenza della buona fede contrattuale da parte della società RAGIONE_SOCIALE, in quanto il decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio, con il quale lo stesso aveva promosso l’azione esecutiva, è venuto meno quando le parti hanno raggiunto l’accordo conciliativo in ordine alla modifica delle tabelle millesimali con efficacia retroattiva, in senso favorevole alla società.
In tale momento era venuto meno il presupposto di fatto che aveva consentito alla BNL di avvalersi della clausola risolutiva espressa.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 1207, terzo comma, 1208, 1209 e 1210, secondo comma, c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Per la ricorrente, dunque, la Corte d’appello avrebbe ritenuto insussistente l’inadempimento della mutuataria per il mancato pagamento delle rate di mutuo, solo perché la BNL «lo avrebbe rifiutato».
Tuttavia, il semplice rifiuto del creditore di ricevere la prestazione non esclude l’inadempimento del debitore, in quanto la normativa
prescrive una serie di adempimenti, non posti in essere dalla società RAGIONE_SOCIALE, affinché il debitore stesso possa proclamarsi adempiente.
In particolare, l’art. 1206 c.c. stabilisce che il creditore è in mora solo se non riceve il pagamento offertogli nei modi indicati negli articoli successivi.
Il giudice di merito, dunque, avrebbe considerato il rifiuto di ricevere un pagamento di una somma di denaro quale valido motivo presentare il debitore nell’adempimento, mentre esiste un procedimento specificatamente codificato che deve essere seguito.
La società debitrice, quindi, non ha formulato offerta reale sensi dell’art. 1209 c.c., non ha eseguito il deposito di cui all’art. 1210 c.c. e non ha ottenuto la sentenza di convalida di quel deposito.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. Infatti, spiega efficacia il giudicato esterno intervenuto tra le stesse parti con l’ordinanza di questa Corte n. 9000 del 2023, relativa al giudizio di opposizione all’esecuzione a seguito della risoluzione intervenuta per decadenza della mutuataria dal beneficio del termine ex art. 9 del capitolato, ove si è affermato che «alla data della notifica del precetto opposto (17/12/2015), il contratto di mutuo non s’era risolto (donde l’impossibilità di richiedere uno actu anche il capitale a scadere, non potendo neppure ipotizzarsi la decadenza dal beneficio del termine, ex art. 1186 c.c., in danno di RAGIONE_SOCIALE), come pure che non erano state pagate almeno quattro rate del mutuo e comunque quelle già scadute alla data di notifica del precetto».
Trattasi di una ordinanza emessa da questa Corte, con la conseguenza che il giudicato è rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui essa non sia stata versata in atti con la rituale certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. (Cass., n. 16589 del 2021).
È stato accolto – con l’ordinanza n. 9000 del 2023 di questa Corte – dunque, il sesto motivo di ricorso per cassazione articolato dalla BNL, la quale rilevava che l’opponente società non aveva mai effettuato il pagamento delle rate del mutuo scadute successivamente all’intervento nella procedura esecutiva e fino alla notifica del precetto, essendovi rate scadute non pagate per euro 88.948,13.
Questa Corte, con l’ordinanza n. 9000 del 2023, dopo aver riportato la motivazione della sentenza della Corte di appello di Milano n. 1752 del 2022, pubblicata il 24/5/2022, con cui è stata rigettata la revocazione per errore di fatto ex art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., proposta dalla stessa BNL, ha chiarito che vi era stato comunque un inadempimento della mutuataria.
La Corte di appello aveva ritenuto non configurabile tale inadempimento reputando che i ratei di mutuo già scaduti alla data del 17/12/2015 non erano esigibili, perché «la BNL aveva determinato in malafede l’interruzione del normale corso del contratto, dapprima illegittimamente dichiarando di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, senza che ve ne fossero i presupposti, e poi illegittimamente rifiutando di ‘ripristinare il contratto di mutuo’, non avendo consentito ad RAGIONE_SOCIALE di proseguire nel pagamento delle rate».
Tuttavia, ha chiarito questa Corte, con l’ordinanza n. 9000 del 2023, che «ferma l’assenza di buona fede nel comportamento della banca», tuttavia «è ben noto che il debitore che intenda liberarsi dall’obbligazione, in caso di mancanza di cooperazione del proprio creditore, deve fare ricorso all’offerta formale di cui agli articoli 1208 e seguenti c.c. o almeno all’offerta non formale (al più limitato scopo di restare esonerato dagli effetti della mora, ex art. 1220 c.c.)».
Pertanto – ha aggiunto questa Corte nell’ordinanza citata – in alcun modo il mero atteggiamento ostruzionistico della banca, che s’era appunto rifiutata di ‘ripristinare il contratto di mutuo’, avrebbe potuto esonerare la mutuataria dall’obbligo di versare alla scadenza i ratei pattuiti».
Si è precisato che «la circostanza che BNL non abbia agevolato il ripristino del contratto o addirittura che essa l’abbia illegittimamente considerato risolto, non impediva certo ad NOME NOME di far ricorso agli strumenti previsti dall’ordinamento per estinguere il proprio debito man mano maturato».
Non poteva poi negarsi «dignità di titolo esecutivo ad un contratto di mutuo rogato da notaio, in relazione ai quattro ratei scaduti di cui si è detto, così violando appunto l’art. 474 c.p.c.». Ciò in quanto «una volta che il contratto stesso non era da considerare risolto, esso era destinato a produrre regolarmente i suoi effetti. Di conseguenza, NOME avrebbe dovuto adempiere l’obbligazione di restituzione delle rate, alle scadenze pattuite, se del caso pure prescindendo dall’ostruzionismo della mutuante, nei termini sopra chiariti».
Con l’ulteriore precisazione che «il credito di cui ai ratei scaduti era invece da considerare senz’altro certo, liquido ed esigibile, sicché non è revocabile in dubbio che, per esso, la stessa BNL avesse senz’altro diritto di procedere ad esecuzione forzata. Tutto ciò, naturalmente, impregiudicata ogni altra questione derivante dall’anomala gestione del contratto da parte sua».
Conclude questa Corte nel senso che «è infatti indiscutibile che, alla data della notifica del precetto, l’intimante vantasse un credito consistente nei confronti di NOME, benché di gran lunga inferiore a quello precettato. Ed è noto che, in casi consimili, è erronea la declaratoria di illegittimità per intero del precetto,
dovendo invece il giudice della relativa opposizione determinare l’esatta entità del credito azionabile».
La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo; rigetta i motivi primo e secondo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 maggio 2024