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Clausola risolutiva espressa: guida e analisi

Una società di ristorazione, conduttrice di un immobile, ometteva di pagare il primo canone di locazione. Sostenendo che il contratto si fosse risolto automaticamente per la presenza di un termine essenziale, si opponeva al decreto ingiuntivo per i canoni successivi. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 8038/2024, ha chiarito che la clausola che prevede la risoluzione immediata in caso di mancato pagamento va interpretata come una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) e non come un termine essenziale (art. 1457 c.c.). Di conseguenza, la risoluzione non è automatica ma richiede una dichiarazione della parte adempiente, che in questo caso non era avvenuta. La Corte ha quindi rigettato le pretese della società conduttrice, confermando il suo obbligo di pagamento.

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Clausola Risolutiva Espressa: Cosa Succede se il Canone Non Viene Pagato?

Nei contratti di locazione, la gestione dell’inadempimento è un aspetto cruciale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sulla differenza tra clausola risolutiva espressa e termine essenziale, due strumenti che disciplinano le conseguenze del mancato rispetto degli obblighi contrattuali. Comprendere questa distinzione è fondamentale per locatori e conduttori al fine di tutelare i propri diritti e conoscere i propri doveri. Analizziamo il caso per capire le implicazioni pratiche di questa decisione.

I Fatti di Causa: Un Contratto di Locazione e il Primo Canone Non Pagato

Una società operante nel settore della ristorazione stipulava un contratto di locazione per un immobile da adibire alla propria attività. Il contratto, all’articolo 5, prevedeva che il ritardato o mancato pagamento anche di una sola mensilità del canone costituisse “causa immediata di risoluzione del contratto”.

La società conduttrice non pagava la prima mensilità del canone. Anni dopo, la società locatrice le ingiungeva, tramite decreto ingiuntivo, il pagamento di numerosi canoni maturati dal settembre 2010 all’agosto 2012.

La società di ristorazione si opponeva al decreto, sostenendo una tesi precisa: la clausola n. 5 del contratto configurava un “termine essenziale” ai sensi dell’art. 1457 c.c. Di conseguenza, il contratto si sarebbe risolto automaticamente e di diritto subito dopo il mancato pagamento della prima mensilità, senza bisogno di alcuna comunicazione da parte della locatrice. Secondo questa logica, nessun canone successivo sarebbe stato dovuto.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello rigettavano la tesi della società conduttrice. I giudici interpretavano la clausola n. 5 non come un termine essenziale, ma come una clausola risolutiva espressa ai sensi dell’art. 1456 c.c. Questo tipo di clausola non provoca la risoluzione automatica del contratto, ma attribuisce alla parte non inadempiente (il locatore) il diritto potestativo di sciogliere il vincolo contrattuale, dichiarando alla controparte di volersi avvalere della clausola stessa. Poiché la società locatrice non aveva mai comunicato tale volontà, il contratto era rimasto in vigore e i canoni erano dovuti.

L’Ordinanza della Cassazione e la corretta interpretazione della clausola

La società di ristorazione ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte, pur censurando la sentenza d’appello per un vizio di motivazione (definita “apparente”), ha deciso la causa nel merito, esaminando direttamente la questione giuridica e giungendo alla stessa conclusione dei giudici di merito, sebbene con un ragionamento più articolato.

La Corte ha stabilito che la clausola in questione doveva essere qualificata come clausola risolutiva espressa. Il testo letterale (“il ritardo o il mancato pagamento… sarà causa immediata di risoluzione”) non lasciava dubbi sulla volontà delle parti di ricondurre la fattispecie all’art. 1456 c.c.

Le Motivazioni: Perché si Tratta di Clausola Risolutiva Espressa e Non di Termine Essenziale

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella distinzione tra i due istituti e nella loro applicazione ai contratti di durata come la locazione.

1. Volontà delle Parti e Testo Contrattuale: L’interpretazione letterale della clausola, secondo l’art. 1362 c.c., rivelava chiaramente l’intenzione di dare al locatore la facoltà, e non l’obbligo, di risolvere il contratto. L’espressione “causa di risoluzione” indica la creazione di un presupposto per lo scioglimento, che si attiva solo su iniziativa della parte adempiente.

2. Natura del Contratto di Durata: In un contratto come la locazione, caratterizzato da pagamenti periodici (mensili), pattuire un termine essenziale per ogni singola prestazione richiederebbe una previsione espressa e inequivocabile. In assenza, si presume che le parti abbiano voluto prevedere una clausola risolutiva espressa, che offre al creditore la flessibilità di decidere se tollerare un ritardo o agire per la risoluzione.

3. Tutela della Parte Adempiente: La logica della clausola risolutiva espressa è quella di proteggere la parte che subisce l’inadempimento, dandole il controllo sulla sorte del contratto. Accogliere la tesi del conduttore (risoluzione automatica) avrebbe significato permettere alla parte inadempiente di beneficiare del proprio illecito, liberandosi dal vincolo contrattuale a proprio piacimento, contro la volontà del locatore.

La Corte ha inoltre confermato che, in caso di ritardata restituzione dell’immobile, l’onere di provare l’avvenuta riconsegna grava sul conduttore, trattandosi di un fatto che estingue il suo obbligo di pagare il corrispettivo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Locatori e Conduttori

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nella redazione e interpretazione dei contratti di locazione. Per i locatori, è essenziale formulare con chiarezza le clausole relative all’inadempimento. Se l’obiettivo è mantenere il controllo sulla vita del contratto, la clausola risolutiva espressa è lo strumento corretto, poiché permette di valutare caso per caso se sia più conveniente mantenere in vita il rapporto o risolverlo. Per i conduttori, la sentenza serve da monito: non è possibile invocare il proprio inadempimento per sostenere la fine automatica del contratto. L’obbligo di pagare i canoni permane fino a quando il locatore non esercita il suo diritto di risoluzione o fino alla formale riconsegna dell’immobile.

Una clausola che prevede la “causa immediata di risoluzione” per mancato pagamento è un termine essenziale o una clausola risolutiva espressa?
Secondo la Corte di Cassazione, tale formulazione va interpretata come una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), che non comporta la risoluzione automatica del contratto.

La risoluzione del contratto è automatica in presenza di una clausola risolutiva espressa?
No. La risoluzione si verifica solo quando la parte non inadempiente (in questo caso, il locatore) comunica alla parte inadempiente (il conduttore) la sua intenzione di avvalersi di tale clausola.

Il conduttore che non paga il canone può sostenere che il contratto si sia risolto automaticamente a causa del suo stesso inadempimento?
No. La facoltà di risolvere il contratto tramite la clausola risolutiva espressa è un diritto potestativo che spetta unicamente alla parte adempiente. La parte inadempiente non può trarre vantaggio dal proprio illecito per liberarsi dagli obblighi contrattuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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