Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13096 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13096 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
RAGIONE_SOCIALE
– controricorrente –
avverso il decreto n. cron. 7410/2019, depositato dal Tribunale di Verona il 9.12.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3201/2020 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME presentò domanda di insinuazione al passivo del fallimento della RAGIONE_SOCIALE di un credito chirografario di € 6.000,00, ammontare da lui versato in esecuzione di un contratto di affitto di azienda stipulato, quale affittuario, con la società da lui stesso amministrata.
Il ricorrente sostenne che il credito -avente ad oggetto la ripetizione dei canoni d’affitto versati fosse sorto a seguito della risoluzione del contratto, dovuta alla clausola risolutiva espressa con cui le parti avevano stabilito che l’impossibilità del subingresso dell’affittuario nelle autorizzazioni amministrative, indipendente dalla loro volontà, sarebbe stata causa di automatica risoluzione del vincolo contrattuale.
Il giudice delegato rigettò la richiesta, ritenendo non fornita la prova della intervenuta risoluzione, né opponibile alla procedura la comunicazione con cui il ricorrente aveva manifestato l’intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa, perché priva di data certa anteriore al fallimento.
NOME COGNOME propose opposizione allo stato passivo davanti al Tribunale di Verona, il quale confermò il provvedimento del giudice delegato.
Contro il decreto del Tribunale NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE si è difeso con controricorso.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’odierno ricorrente denuncia la nullità del decreto e/o del procedimento ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 24 Cost., dell’art. 101 c.p.c.».
Il ricorrente lamenta la mancata concessione di un termine per il deposito di note difensive in replica alle difese svolte dal fallimento in sede di costituzione nel procedimento di opposizione allo stato passivo, tra le quali figurava l’eccezione -sollevata in via subordinata, per il caso in cui si fosse ritenuto esistente il credito insinuato -di compensazione con i maggiori crediti vantati dalla curatela, di € 17.080,00, per indennità di utilizzo dell’azienda senza titolo sino al rilascio al fallimento , e di € 529.517,02, per danni da scorretta gestione della società. Dalla mancata concessione del termine, ad avviso del ricorrente, sarebbe discesa la violazione del principio del contraddittorio e la conseguente nullità del decreto oggetto di impugnazione.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. La richiesta di concessione di un termine per il deposito di note difensive venne avanzata dal ricorrente in subordine rispetto alla difesa principale con cui «contesta il contenuto e le difese di cui alla comparsa avversaria e chiede l’accoglimento del ricorso » (p. 11 del ricorso).
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che è affidato al giudice del reclamo il compito di garantire il diritto di difesa nel giudizio di opposizione allo stato passivo nelle forme compatibili con il rito camerale (Cass. n. 7918/2012) e che la concessione del termine di cui all’art. 99, comma 11, l egge fall. per il deposito di memorie successive a quella di costituzione riveste carattere discrezionale (Cass. n. 15884/2022), postulando una valutazione dell ‘ andamento del giudizio che resta affidata al giudice del merito, il quale potrebbe anche ritenere superflua un ‘ulteriore appendice scritta.
Pertanto, fermo restando che la violazione delle norme processuali non comporta di per sé un vizio censurabile con il
ricorso per cassazione, a meno che il ricorrente non evidenzi la lesione del diritto di difesa conseguentemente subito (Cass. n. 20834/2022), nel caso di specie NOME COGNOME non solo non indica quale sarebbe stato il pregiudizio da lui subito sul piano del l’effettività del contraddittorio, ma nemmeno denuncia la violazione di una norma processuale vincolante per il giudice del merito. Si può anzi aggiungere che, anche volendo scendere sul piano di una valutazione sul merito della decisione del Tribunale nella parte censurata con questo motivo , l’utilità per il ricorrente di un rinvio e di un termine per note difensive si sarebbe potuta ipotizzare solo se fosse stata presa in esame l’eccezione riconvenzionale del curatore di compensazione con i controcrediti vantati dal fallimento; non nel caso -che è quello verificatosi -di rigetto della domanda sulla base del semplice accertamento negativo del credito insinuato.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione alla seguente normativa nazionale: Ord. Min. Salute del 3 aprile 2002; Circ. Min. Sanità del 7 agosto 1998, n. 11; D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 155; D.P.R. 26 marzo 1980, n. 327 e L. 30 aprile 1962, n. 283».
Il ricorrente ritiene che l’affermazione del Tribunale circa la carenza di prova in merito a ll’ avveramento del presupposto della clausola risolutiva espressa (ovverosia la mancata volturazione delle autorizzazioni amministrative per cause indipendenti dalla volontà delle parti) sia contraddetta in radice dalla citata normativa, che porrebbe ostacoli insormontabili al suo subingresso nelle autorizzazioni necessarie per svolgere l’attività d’impresa .
Il terzo motivo di ricorso censura il provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per
«violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 83, 88 e 94 C.d.S.».
Si contesta al Tribunale di non avere tenuto conto che, alla luce della normativa sulla circolazione stradale, il ricorrente non sarebbe potuto subentrare alla società titolare delle licenze relative all’uso deg li automezzi necessari per l’esercizio dell ‘ attività di impresa. Si sostiene che anche in ragione di tale dato giuridico, analogamente indipendente dalla volontà delle parti, il Tribunale avrebbe dovuto desumere l ‘intervenut a risoluzione del contratto, con maturazione del diritto del ricorrente alla restituzione delle somme versate a titolo di acconto sul canone di affitto d’ azienda.
Anche i motivi secondo e terzo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente collegati fra di loro, sono inammissibili.
In entrambi i motivi di ricorso, l’odierno ricorrente adduce che la volturazione in suo favore delle autorizzazioni amministrative sarebbe stata preclusa in radice dalla normativa di settore sul rilascio e sul l’impiego delle licenze per l’esercizio dell ‘ attività di impresa. Ma, in tal modo, si utilizza impropriamente una denuncia di error in iudicando al fine di confutare quello che, nel decreto impugnato, è l’accertamento del fatto rilevante ai fini della decisione.
Il Tribunale di Verona ha osservato innanzitutto che la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (a parte l’anomalia di essere firmata da NOME COGNOME sia per se stesso che per la società da lui amministrata) era priva di data certa e, quindi, inopponibile al fallimento. Inoltre, il giudice del merito ha rilevato che il ricorrente aveva egli stesso prodotto almeno tre decisioni favorevoli di altrettante autorità amministrative e che non aveva «neppure indicato quali ulteriori
specifiche autorizzazioni sarebbero state necessarie per lo svolgimento dell’attività», né provato «di avere richiesto il rilascio delle stesse e che la domanda era stata respinta». Infine, nel decreto impugnato è stato messo in evidenza il fatto che NOME COGNOME «avesse in concreto svolto l’attività di vendita di prodotti ortofrutticoli … sino alla consegna del compendio al curatore» e -in qualità di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE -emesso fino a quel momento «le fatture relative ai canoni di affitto d’azienda».
A fronte di tale motivazione in fatto, una censura di violazione di norme di diritto (disciplinanti il trasferimento delle autorizzazioni amministrative tra diversi imprenditori), da un lato, non è pertinente rispetto al decisum ; dall’altro lato, nella misura in cui propone -seppure con argomento non pertinente -una diversa valutazione delle risultanze processuali, si traduce nella richiesta alla Corte di legittimità di un riesame del fatto che invece -per consolidato orientamento della giurisprudenza (Cass. S.u. n. 34476/2019; Cass. nn. 28401/2022; 5987/2021; 29404/2017) -è inammissibile in questa sede e rimane di esclusiva spettanza del giudice del merito.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte: dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese legali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in € 2.100 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del