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Clausola risolutiva espressa: come si esercita?

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza d’appello che aveva dichiarato risolto un contratto di affitto di ramo d’azienda. La Corte ha stabilito che il giudice non può basare la risoluzione per inadempimento su una violazione (mancato pagamento dei canoni) diversa da quella specificamente contestata dalla parte che si è avvalsa della clausola risolutiva espressa (mancato pagamento dei conguagli). Tale operato costituisce una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (extrapetizione).

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Clausola Risolutiva Espressa: La Precisione è D’obbligo

L’utilizzo della clausola risolutiva espressa è uno strumento potente per la tutela contrattuale, ma il suo esercizio richiede una precisione assoluta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: per ottenere la risoluzione di diritto, è necessario che la parte dichiari di volersi avvalere della clausola in relazione a un inadempimento specifico, esattamente quello previsto dalla clausola stessa. Un giudice non può sostituirsi alla parte e dichiarare risolto il contratto per un inadempimento diverso, anche se effettivamente sussistente.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un contratto di affitto di un ramo d’azienda (un bar-ristorante situato su una spiaggia). La società locatrice e quella affittuaria, dopo alcuni anni, modificano il contratto, stabilendo un canone annuo fisso. Prevedono, inoltre, che l’affittuaria debba rimborsare alla locatrice eventuali aumenti del canone demaniale pagato allo Stato.

Il contratto includeva una clausola risolutiva espressa che legava la risoluzione automatica del contratto al mancato pagamento di specifici ‘conguagli’, come l’aumento del canone demaniale e il rimborso di imposte (ICI/IMU).

Ad un certo punto, la società locatrice invia una comunicazione all’affittuaria, dichiarando di volersi avvalere della clausola risolutiva a causa del mancato pagamento di tali conguagli. Inizia così una causa in cui la locatrice chiede la risoluzione del contratto e il pagamento delle somme dovute.

Il Tribunale di primo grado accoglie la domanda della locatrice. La Corte d’appello, pur ritenendo che i conguagli non rientrassero nella clausola, dichiara comunque risolto il contratto, ma per un motivo diverso: il mancato pagamento dei canoni di affitto base. La Corte d’appello ritiene che la volontà di risolvere il contratto per questo diverso inadempimento sia stata manifestata dalla locatrice nel corso del giudizio di primo grado.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Clausola Risolutiva Espressa

La società affittuaria ricorre in Cassazione, lamentando che la Corte d’appello si sia pronunciata extrapetita, ovvero oltre i limiti della domanda. La locatrice aveva infatti chiesto la risoluzione del contratto sulla base del mancato pagamento dei conguagli, come specificato nella sua comunicazione iniziale, non per il mancato pagamento dei canoni base.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso. Gli Ermellini chiariscono che il potere conferito dalla clausola risolutiva espressa deve essere esercitato in modo chiaro e inequivocabile. La parte che intende avvalersene deve dichiararlo specificando l’inadempimento per cui agisce.

Nel caso specifico, la locatrice aveva invocato la clausola per il mancato versamento dei conguagli. La Corte d’appello, invece, ha fondato la risoluzione sul mancato pagamento dei canoni base, un inadempimento diverso e non specificamente collegato dalla parte all’esercizio della clausola. Così facendo, il giudice d’appello ha violato l’art. 112 c.p.c., che impone la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda su un principio cardine del diritto processuale e contrattuale. La risoluzione di diritto prevista dall’art. 1456 c.c. non è un effetto automatico del semplice inadempimento. Essa si produce solo quando la parte non inadempiente dichiara all’altra di volersi avvalere della clausola. Questa dichiarazione è un atto negoziale che deve essere specifico: deve identificare chiaramente sia la volontà di risolvere il contratto sia l’inadempimento che ne costituisce il presupposto, come previsto dalla clausola stessa.

La Corte d’appello ha errato nel ‘desumere’ o interpretare la volontà della locatrice di risolvere il contratto per il mancato pagamento dei canoni dalla semplice contestazione di tale morosità negli atti di causa. Una simile contestazione, senza un’espressa dichiarazione di voler esercitare la clausola per quel motivo, non è sufficiente a produrre l’effetto risolutivo. Il giudice non può creare una domanda che la parte non ha formulato, né può basare una risoluzione di diritto su un fondamento giuridico che la parte stessa non ha invocato a tal fine.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce l’importanza del formalismo nell’esercizio dei diritti contrattuali. Chi intende avvalersi di una clausola risolutiva espressa deve farlo con una dichiarazione precisa, che metta l’altra parte in condizione di sapere esattamente quale inadempimento le viene contestato come causa di risoluzione. I giudici, a loro volta, devono attenersi scrupolosamente alle domande formulate dalle parti. La sentenza d’appello è stata quindi cassata con rinvio, e la nuova Corte dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo fondamentale principio, valutando l’appello originario sulla base dell’effettivo contenuto degli atti processuali.

Cos’è una clausola risolutiva espressa?
È una clausola contrattuale con cui le parti stabiliscono che il contratto si considera risolto di diritto qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta. Per attivarla, la parte interessata deve dichiarare all’altra di volersene avvalere.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’appello?
Perché la Corte d’appello ha dichiarato risolto il contratto per un inadempimento (mancato pagamento dei canoni base) diverso da quello per cui la parte creditrice aveva dichiarato di volersi avvalere della clausola risolutiva (mancato pagamento di conguagli). Questo costituisce un vizio di ‘extrapetita’, cioè una pronuncia oltre i limiti della domanda.

Può un giudice dichiarare un contratto risolto per un inadempimento non specificamente invocato dalla parte che esercita la clausola risolutiva espressa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la risoluzione di diritto si basa su una precisa manifestazione di volontà della parte, che deve collegare in modo inequivocabile l’esercizio della clausola a uno specifico inadempimento previsto dalla clausola stessa. Il giudice non può sostituire un inadempimento con un altro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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