Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32639 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32639 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2308/2022 R.G. proposto da :
NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la RAGIONE_SOCIALE della CORTE di CASSAZIONE
Pec:
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME e domiciliati presso il domicilio digitale della medesima
Pec:
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 262/2021 depositata il 22/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
la società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, legale rappresentante e fideiussore della società RAGIONE_SOCIALE, proposero opposizione ad un decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Udine aveva intimato loro il pagamento delle somme di € 102.971,88 e di € 429.374,44 a favore d ella RAGIONE_SOCIALE in relazione a contratti di leasing.
Lamentarono che i contratti di leasing, cui le somme si riferivano, erano invalidi perché era errata la clausola di indicizzazione prevista dalla banca e perché mancavano i piani di ammortamento; che la banca si era avvalsa di una clausola risolutiva espressa prevista dai contratti in forza della quale aveva ottenuto un ingiustificato arricchimento canoni scaduti, penale e bene da restituire- e che pertanto nulla era dovuto.
La banca si costituì in giudizio rilevando che gli attori non avevano effettuato i pagamenti dovuti e che le clausole contestate erano del tutto valide sì da destituire di fondamento le ragioni dell’opposizione.
Il Tribunale di Udine, con sentenza non definitiva, confermata l’avvenuta risoluzione dei contratti, e ritenuta fondata la domanda relativa all’erronea indicizzazione dei canoni , accertò il diritto della società RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme versate e dispose la prosecuzione della causa per la definizione del quantum.
Con sentenza definitiva, il Tribunale, disposti gli accertamenti necessari, condannò la banca a versare alla società RAGIONE_SOCIALE e a NOME COGNOME la somma di € 565.692,25 .
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito, propose appello.
Si costituirono la società RAGIONE_SOCIALE e l’ RAGIONE_SOCIALE contestando le affermazioni dell’appellante e , invocato il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva del Tribunale sulla nullità della clausola di indicizzazione dei canoni, chiesero il rigetto dell’appello.
La Corte d’Appello di Trieste , con sentenza n. 262 del 22/7/2021, ritenne invalida la clausola ‘ rischio cambio ‘ in quanto autonoma rispetto all’economia del contratto; ritenne che banca e cliente non avessero condiviso né la qualità né la quantità dell’alea, né il modello né il metodo di calcolo del valore finanziario dei contratti, e che, non essendo tali valori stati recepiti dai contratti, il giudice era tenuto a rilevare l’esistenza di u n limite di validità all’ autonomia privata.
La banca aveva scommesso sull’andamento della valuta rispetto al cambio senza fare riferimento ad uno specifico momento storico e senza dare conto della consapevole partecipazione, da parte del cliente, a ll’ alea introdotta nel contratto, così determinando un significativo squilibrio tra le posizioni contrattuali delle parti.
Ritenne altresì invalida anche la clausola di indicizzazione del tasso di interesse per mancanza della sua previsione in forma scritta all’atto della stipula dei contratti e per mancanza di un contenuto chiaro ed univoco e, conclusivamente, condividendo punto per punto la decisione di primo grado, ha rigettato l’appello condannando l’appellante alle spese del grado.
Avverso la sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Resistono la società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato che:
con il primo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. -la ricorrente lamenta che la corte di merito ha pronunciato sulla nullità della clausola ‘ rischio cambio ‘ a fronte del giudicato formatosi sul rigetto della relativa domanda prospettata in primo grado: ad avviso della ricorrente si sarebbe formato un giudicato interno sulla questione dedotta sì da precludere il diverso accertamento svolto dalla corte del gravame.
Il motivo è infondato.
Come precisato dalla corte di merito, il Tribunale ha pronunciato, con la sentenza non definitiva, sulla revoca del decreto ingiuntivo, sull’ estinzione del credito monitorio per compensazione e sul rigetto di ogni altra domanda, fatta eccezione per quelle- oggetto del presente giudizio -su cui l’appellante aveva formulato un’espressa riserva d’appello.
Sulla base di tale premessa la Corte del gravame ha, correttamente, proceduto a scrutinare la nullità della clausola ‘ rischio cambio ‘ per violazione dell’art. 1322 c.c., questione sottoposta al contraddittorio delle parti e comunque rilevabile d’ufficio.
La Corte d’appello , scrutinando una questione di nullità rilevabile d’ufficio , si è conformata alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui ‘ Il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione – e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia –
trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c. ‘ (Cass., S.U. n. 7294 del 22/3/2017; Cass., 6-3, n. 19251 del 19/7/2018).
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. dell’art. 1322 c.c. e 132, comma 1 n. 4 c.p.c.
Lamenta l’ erroneità della sentenza per essersi dalla corte di merito ritenuta la clausola ‘ rischio cambio ‘ del tutto autonoma ed in grado di instaurare un rapporto parallelo rispetto al contratto di fideiussione e cioè uno strumento finanziario autonomo, di natura derivata, come tale illegittimo.
La ritenuta natura derivata del finanziamento si porrebbe in contrasto con l’ormai consolidato indirizzo di questa Corte che esclude l’immeritevolezza d i una clausola siffatta.
Il motivo è infondato perché la corte di merito non si è limitata ad una declaratoria in astratto ma ha svolto un accertamento in concreto sull’ operatività della clausola e l’ha ritenuta invalida , escludendo che le parti avessero inteso perseguire interessi meritevoli di tutela.
Quindi, avendo la corte del merito svolto un accertamento in concreto di quanto effettivamente concordato tra le parti, detto accertamento è destinato a prevalere sulla astratta diversa soluzione data da questa Corte a Sezioni Unite circa la meritevolezza degli interessi perseguiti con la clausola ‘rischio cambio’.
Pur essendosi da questa Corte affermato che ‘ Non costituisce un patto immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c., né uno strumento finanziario derivato implicito – con conseguente inapplicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 58 del 1998 – la clausola di un contratto di
leasing che preveda a) il mutamento della misura del canone in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera, b) l’invariabilità nominale dell’importo mensile del canone con separata regolazione dei rapporti dare/avere tra le parti in base alle suddette fluttuazioni ‘ , si è invero altresì precisato che spetta in ogni caso al giudice del merito accertare in concreto la meritevolezza o immeritevolezza del singolo patto ( v. Cass., S.U. n. 5657 del 23/2/2023, e, conformemente Cass., 1, n. 30556 del 3/11/2023 ), accertamento che nella specie è stato dalla corte di merito in concreto effettuato, all’esito del quale è quindi pervenuta a ritenere l’invalidità del patto de quo in ragione dell’assetto dalle parti dato ai rispettivi interessi, nonché del l’indeterminatezza del rischio introdotto con la stipula di una clausola priva di riferimenti ad un determinato tasso di cambio storicamente individuato.
Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 342 e 112 c.p.c. -la ricorrente lamenta che la corte di merito non ha esaminato i plurimi motivi di gravame da essa formulati avverso la pronuncia del Tribunale di Udine.
Il motivo è inammissibile in quanto privo di specificità: in violazione dell’art. 366, 1° co. n. 3, c.p.c. la ricorrente riporta nel ricorso tutte le difese prospettate in grado di appello senza invero specificamente confrontarsi con le asserzioni dell’impugnata sentenza , asseritamente non esaustive, in violazione altresì del principio affermato da questa Corte in tema di ricorso per cassazione secondo cui la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 c.p.c., integrante “error in procedendo”, che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre
l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza ( v. Cass., L, n. 3612 del 4/2/2022; Cass. 1, n. 24048 del 6/9/2021 ).
Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 117 TUB ed omesso esame di un motivo di appello sulla applicabilità dell’art. 117 TUB. Secondo la ricorrente l’affermazione della corte d’appello secondo cui l’art. 117 si pone quale rimedio correttivo delle peculiari ipotesi di nullità di protezione previste dal titolo del T.U.B. dedicato alla trasparenza delle condizioni contrattuali (Cass., n. 11876 del 18/6/2020) si porrebbe in contrasto con lo stesso art. 117, co. 7 T.U.B. perché la disposizione non potrebbe trovare applicazione nei casi previsti dal co. 7 lett. a) cioè di indeterminatezza della clausola ma soltanto nei casi previsti dai commi 4 e 5 della medesima disposizione.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘In materia di contratti bancari, la indeterminatezza della misura della pattuizione relativa agli interessi convenzionali può essere colmata facendo applicazione del criterio integrativo previsto dall’art. 117, comma 7, lett. a), del d.lgs. n. 385 del 1993, alla stregua del quale, in caso di
inosservanza del comma 4 (sulla necessità di una specifica indicazione in contratto dei tassi di interesse praticati) e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione ‘ (Cass., 3, n. 26957 del 20/9/2023; Cass., 1, n. 29576 del 24/11/2020).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della parte controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 11.200,00, di cui € 11.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione