Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10095 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 19895/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, con l’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale
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– controricorrente e ricorrente incidentale –
N. 19895/20 R.G.
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Trieste, n. 61/2020, depositata il 20.4.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13.2.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propose opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Udine per il pagamento della somma di € 689.743,21 , oltre interessi commerciali, in favore di RAGIONE_SOCIALE, per il mancato pagamento dei canoni concordati per l’affidamento in gestione di un reparto attrezzato per la vendita di abbigliamento nell’ambito del centro commerciale ‘Città Fiera’, nonché per ammende per violazione del Regolamento del centro commerciale, esponendo che era stato già chiesto un decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni e spese maturati fino al secondo trimestre del 2015 (opposto, ma la cui opposizione era stata dichiarata improcedibile per tardività, con sentenza del Tribunale di Udine n. 496/2017, passata in giudicato); che la controversia riguardava i canoni maturati fra il 2015 ed il 2017; che C.C.D.F. pretendeva il pagamento delle sanzioni previste dal Regolamento interno di “Città Fiera” in caso di ingiustificata chiusura del reparto vendite; che il D.I. era da considerarsi nullo; che l’andamento del punto vendita si era dimostrato deludente; che controparte aveva escusso la fidejussione rilasciata al momento della sottoscrizione del contratto di locazione; che la sentenza pronunciata in sede di opposizione al precedente D.I. non impediva di formulare nuovamente le domande riconvenzionali; che C.C.D.F. era carente di legittimazione ad agire, avendo ceduto i crediti ad Unicredit s.p.a., sicché aveva illegittimamente escusso
la fidejussione collegata al contratto; che il contratto doveva considerarsi risolto per eccessiva onerosità sopravvenuta e/o per mutuo consenso perfezionato il 3.11.2015; che doveva considerarsi nulla la clausola contrattuale che prevedeva la possibilità per il gestore di imporre sanzioni, ex art. 70 disp. att. c.c., in quanto eccessive; che comunque solo l’amministrazione del condominio avrebbe potuto imporre dette sanzioni e non anche C.C.D.F. s.p.a. Chiedeva quindi la revoca del decreto ingiuntivo ed in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta e/o per mutuo dissenso, nonché la declaratoria di nullità della clausola che prevedeva le sanzioni, con condanna della C.C.D.F. s.p.a. a restituire quanto già conseguito.
Con sentenza del 10.7.2019, l’adito Tribunale -rigettata l’eccezione di inammissibilità per frazionamento del credito e ritenute coperte dal giudicato le questioni relative alla carenza di legittimazione ad agire della creditrice, alla validità del contratto (anche con riguardo alla domanda di risoluzione per eccessiva onerosità e/o per mutuo dissenso) e alla stessa qualificazione giuridica del rapporto – ritenne legittime le sanzioni irrogate (qualificate come penale contrattuale e dunque ridotte del 50% ex art. 1384 c.c.), così revocando il decreto ingiuntivo e condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento di € 406.476,54, suo debito effettivo, oltre accessori, pure rigettando le domande riconvenzionali. La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza del 20.4.2020, rigettò sia l’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE, sia l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE, osservando -per quanto ancora qui interessa – che la clausola sulla penale era nient’affatto indeterminata , essendo ben evincibili i presupposti della sua applicazione; il giudicato sul precedente decreto ingiuntivo copriva ogni
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questione sulla validità del contratto e sulla debenza dei canoni; che nessuna risoluzione per mutuo dissenso era configurabile, occorrendo per espressa la pattuizione la forma scritta riguardo ad ogni modifica contrattuale; che, del pari, nessuna modifica nella titolarità del Centro commerciale s’era verificata.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso, in via principale, RAGIONE_SOCIALE sulla scorta di sette motivi, cui resiste con controricorso C.C.RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE proponendo anche ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
RICORSO PRINCIPALE
1.1 -Col primo motivo si lamenta la falsa applicazione dell’art. 1382 c.c., la violazione degli artt. 1346 e 1349 c.c., per la nullità della clausola penale di cui all’art. 22 del Regolamento interno. La Corte giuliana, sul punto, ha affermato che non possa essere impugnata per indeterminatezza una disposizione solo in quanto astrattamente e potenzialmente modificabile da una delle parti, poi ritenendo tale assunto assorbito dalla circostanza che la modifica era possibile per il Regolamento in sé e non specificatamente ed unicamente quanto alla sanzione. Per la Corte, tale possibilità di modifica non avrebbe avuto il senso di “abbandonare” C.CRAGIONE_SOCIALE alla propria discrezionalità nell’applicazione del meccanismo sanzionatorio, ma di salvaguardarla, permettendole di adattare il predetto Regolamento alle situazioni che si modificavano, e che comunque la clausola non era stata in effetti modificata, rispetto alla sua originaria stesura. Sostiene invece la ricorrente principale che, in violazione dell’art. 1382 c.c., la qualificata clausola penale non risultava specifica in virtù della circostanza che
la stessa era sempre, illimitatamente, liberamente ed unilateralmente modificabile.
1.2 Col secondo motivo si lamenta ‘ omesso esame della essenzialità della clausola penale, risultante invece emergente in atti e rivendicata da C.c.s.f. s.p.a. Nullità del contratto del 5/23.7.2012 registrato a Udine in data 8.8.2012 al n. 9890 1T ‘. La Corte triestina avrebbe erroneamente ritenuto che, anche nel caso in cui si possa valutare positivamente la fondatezza del motivo relativo alla nullità della clausola penale contenuta nel Regolamento interno del Centro commerciale, la stessa non potrebbe determinare la nullità del contratto di affidamento in gestione di reparto, atteso che mancherebbe la prova relativa alla circostanza che RAGIONE_SOCIALE, in assenza di detta clausola, non avrebbe stipulato il contratto; ciò benché in sentenza si sia dato atto della inscindibilità della clausola sanzionatoria rispetto al contratto.
1.3 Col terzo motivo si lamenta ‘ falsa applicazione di legge -applicazione della disciplina delle locazioni commerciali (legge 392/1978), al motivo d’appello includente in via principale l’improponibilità della domanda monitoria, in luogo della disciplina sul fitto d’azienda di cui agli artt. 1615 e segg. c.c. ‘. La Corte, argomentando in un primo momento circa i rapporti di affitto di ramo d’azienda, si è riferita alla disciplina della locazione, dichiarando che il credito non soddisfatto riguardasse canoni di locazione, ma erroneamente non avrebbe rilevato l’improponibilità della domanda, per abusivo frazionamento del credito. 1.4 C ol quarto motivo si denuncia ‘ omesso esame della circostanza relativa all’ampliamento dei temi di discussione manifestatasi con il secondo monitorio da parte di C.c.d.f. s.p.a. ‘. In relazione alla ritenuta formazione del giudicato di
cui al precedente decreto ingiuntivo, afferma la ricorrente che ” le eccezioni riguardanti la risoluzione per eccessiva onerosità e per mutuo consenso oltre all’eccezione di carenza di legittimazione ad agire di RAGIONE_SOCIALE erano state riproposte in funzione proprio dell’ampliamento dei temi di discussione, non più solo canoni e spese ma anche dedotta ammenda poi qualificata clausola penale “. Nessun giudicato -secondo la Kocca – può dunque dirsi formato né sulle sanzioni (non richieste col primo decreto ingiuntivo non tempestivamente opposto), né sulle domande di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta o per mutuo consenso, proprio perché diversi erano non solo il petitum e la causa petendi , ma anche le parti. Quanto al mutuo consenso, poi, neanche occorreva una pattuizione scritta, poiché il contratto di affitto di ramo d’azienda non deve essere concluso per iscritto a pena di nullità.
1.5 Col quinto motivo si denuncia l’omessa pronuncia in relazione alle domande di accertamento della natura locatizia del contratto stipulato tra le parti e di dichiarazione della risoluzione del medesimo contratto ai sensi dell’art. 27 u.c. della legge n. 392/1978 con effetto dal 27.4.2015 e con condanna della società RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dell’importo di € 51.977,08 in virtù del preavviso di recesso comunicato in data 27.10.2014, come argomentato nel secondo motivo d’appello.
1.6 Col sesto motivo si denuncia ‘ omesso compiuto esame circa la titolarità del bene Centro commerciale denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘ in capo alla società RAGIONE_SOCIALE a seguito della trasformazione ad opera di RAGIONE_SOCIALE Omesso esame circa l’oggetto del Regolamento interno enunciato all’art. 1 e all’art. 6 del medesimo e riguardante la sua natura condominiale ‘ . La Corte avrebbe dovuto valutare,
come da quarto motivo d’appello, il contenuto del Regolamento Interno che aveva come oggetto la disciplina degli spazi comuni e le regole di comportamento comuni tra gli operatori del Centro, tanto più che era emerso come vi fosse certamente altro proprietario oltre la C.C.D.F. (appunto, la Dec) e che l’art. 70 disp. att. c.c. commina la nullità delle sanzioni previste dal regolamento condominiale ove eccedano l’importo di € 800,00.
1.7 Col settimo motivo, infine, si lamenta la ‘ violazione e falsa applicazione di legge in merito alla statuizione circa l’applicabilità degli interessi moratori alla qualificata clausola penale -Violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c. ‘. La Corte avrebbe inteso la censura avanzata dalla Kocca circa gli interessi moratori come riferita a quelli di cui all’art. 1224 c.c., anziché agli interessi moratori di cui alle transazioni commerciali ex d.lgs. 231/2002. Diversamente, la qualificata clausola penale non prevedeva la pattuizione di alcun tipo di interessi e dunque questi ultimi non potevano applicarsi alla clausola penale.
RICORSO INCIDENTALE
1.8 Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la C.CRAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. La ricorrente incidentale aveva svolto un unico motivo di appello incidentale, censurando la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto che la domanda di pagamento delle ammende, poi qualificate penali, formulata con il secondo ricorso monitorio, non fosse coperta da giudicato. La Corte ha erroneamente respinto tale motivo, affermando che la domanda di pagamento della penale rappresentasse una questione nuova rispetto al giudicato formatosi sul primo monitorio tra le parti. 2.1 -Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
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La circostanza che la C.C.D.F. potesse unilateralmente modificare il Regolamento interno -al di là delle non implausibili spiegazioni sulla portata di detto potere offerta dalla Corte giuliana -non toglie che la misura della penale e i suoi presupposti fossero determinati (peraltro, l’apprezzamento del giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità, fermo restando che esso non è stato adeguatamente censurato dalla Kocca) e che comunque la stesura originaria dell’art. 22 del Regolamento, per quanto qui interessa, non risulta essere stata oggetto di alcuna modifica, nel corso del rapporto.
In altre parole , l’assunto per cui la previsione della possibilità di modificare il Regolamento incidesse sulla determinatezza della clausola penale è erroneo, perché detta previsione si risolveva non già in una indeterminatezza della clausola quanto agli inadempimenti sanzionati, bensì nell’affidamento, con clausola potestativa, alla resistente di introdurre obbligazioni regolamentari rilevanti in funzione della penale, potestà che non risulta in concreto esercitata.
3.1 -Il secondo motivo è a tal punto inammissibile ex art. 100 c.p.c., perché, una volta esclusa la nullità della clausola di cui all’art. 22 del Regolamento, non v’è ragione di valutarne l’essenzialità ai fini della conclusione del contratto.
4.1 -Il terzo motivo è del pari inammissibile.
Pur prescindendo dalla stessa nebulosa formulazione del motivo, esso è totalmente aspecifico, perché non rispetta i canoni fissati dalla giurisprudenza per la denuncia del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (si vedano Cass., Sez. Un., n. 23745/2020; Cass. n. 640/2019). In ogni caso, l’illustrazione è anche basata su circostanze fattuali ed argomenti riguardo ai quali risulta
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completamente omessa l’indicazione del come e del perché essi siano pertinenti con lo svolgimento della vicenda in giudizio.
5.1 -Il quarto motivo è ancora inammissibile, in primo luogo perché la sua intestazione non consente di ascriverlo ad alcuno dei paradigmi di cui a ll’art. 360 c.p.c.; tale carenza si perpetua poi nell’illustrazione, anche qui basata su circostanze ed argomenti affermati senza alcuna indicazione della loro correlazione e dunque della pertinenza con lo svolgimento della vicenda processuale.
Si aggiunga che il preteso omesso esame riguarda una questione, non già un fatto (peraltro di natura processuale), il che non consente di ascriverlo neppure nell’ambito del vizio di cui al n. 5 della citata disposizione codicistica.
6.1 -Il quinto motivo è inammissibile e comunque infondato.
Nel rigettare il terzo motivo d’appello, concernente la questione del giudicato, la Corte triestina ha evidentemente disatteso ogni questione inerente alla qualificazione giuridica del rapporto, posto che il Tribunale di Udine, con la sentenza di primo grado, aveva anche ritenuto coperta dal giudicato la qualificazione stessa, nel senso trattarsi indiscutibilmente di affitto d’azienda. La ricorrente, dunque, non coglie la ratio decidendi dell’impugnata decisione, donde l’inammissibilità.
In ogni caso, per quanto prima evidenziato, non può configurarsi alcuna omessa pronuncia.
7.1 -Il sesto motivo è inammissibile.
A parte la non riferibilità del denunciato vizio di ‘omesso compiuto esame’ al novero di quelli denunciabili ex art. 360 c.p.c., la ricorrente si dilunga in una
dissertazione circa la pretesa natura condominiale del Regolamento, senza minimamente spiegare cosa abbia deciso al riguardo la C orte d’appello (se non in relazione all’esclusione della stessa natura condominiale del detto Regolamento), né in cosa consisterebbe il preteso vizio denunciato, così omettendo di confrontarsi con la motivazione dell’impugnata sentenza .
Può aggiungersi che, quand’anche il denunciato vizio dovesse ricondursi a ll’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella sua illustrazione non vengono individuati in alcun modo i fatti il cui esame sarebbe stato omess o, donde l’inammissibilità della censura, anche per tale via.
8.1 -Il settimo motivo, infine, è inammissibile per novità.
La C orte d’appello , richiamando la pertinente giurisprudenza (Cass. n. 3641/1998), ha rigettato l’impugnazione della Kocca anche in relazione alla contestata applicabilità degli interessi moratori alla penale pattuita, stante la sua natura di debito di valuta. La questione agitata col mezzo in esame, invece, attiene agli interessi commerciali ex d.lgs. n. 231/2002, ma non risulta che la ricorrente l’a bbia mai sollevata nel giudizio di merito, come appunto eccepito dalla controricorrente.
9.1 -L’unico motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
Anzitutto, nella sua formulazione non risulta rispettato il disposto dell’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c.: non vengono indicati gli atti dell’altro giudizio dai quali dovrebbe desumersi il preteso giudicato.
Ad abundantiam , può aggiungersi che, per quanto evincibile dagli atti legittimamente consultabili da questa Corte, il precedente giudicato formatosi sul primo D.I. non può aver coperto la questione della legittimità della clausola
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penale, perché in detto giudizio la clausola parrebbe non essere stata invocata, sicché l’opponente non poteva avere qualsivoglia interesse per contestarla. Sul punto, la decisione impugnata, dunque, appare senz’altro corretta. Sicché il motivo, se fosse scrutinabile nonostante la rilevata carenza, sarebbe privo di fondamento.
10.1 -In definitiva, il ricorso principale è rigettato, mentre l’incidentale è inammissibile.
Le spese di lite del giudizio di legittimità vanno conseguentemente compensate, stante la soccombenza reciproca.
In relazione alla data di proposizione del ricorso principale e del ricorso incidentale (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale . Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 13.2.2024.
Il Presidente NOME COGNOME