Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26915 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26915 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26854/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
CURATELA FALLIMENTARE DELA SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE -, “RAGIONE_SOCIALE” IN SIGLA “RAGIONE_SOCIALE“
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CAMPOBASSO n. 182/2022 depositata il 22/06/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 11/11/2022 la società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione della sentenza della Corte d ‘A ppello di Campobasso n. 182/2022, pubblicata il 22.06.2022, emessa in un giudizio avviato dalla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE con procedimento monitorio nei confronti della società qui ricorrente e di RAGIONE_SOCIALE, ora in fallimento, rimasta contumace in seguito a riassunzione del giudizio in sede di appello. Il fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso. La ricorrente ha depositato memoria
Per quanto ancora di interesse, la Corte di appello accoglieva l’appello del fallimento RAGIONE_SOCIALE, ritenendo : in via pregiudiziale, regolarmente instaurato, dopo l’atto di riassunzione effettuato nei confronti della curatela, il contradittorio con RAGIONE_SOCIALE, fallita in corso di causa; legittima la procedura monitoria avviata dal fallimento RAGIONE_SOCIALE per far valere un credito risarcitorio collegato all’ inadempimento dell’obbligo di assumere 15 dipendenti della società ricorrente, indicato nell’atto transattivo, di natura non novativa, stipulato tra le parti in data 9 maggio 2005; sanato, con il deposito degli atti del monitorio in fase di appello, il
vizio rilevato dal giudice di primo grado in merito al mancato deposito del fascicolo di parte del monitorio, che aveva determinato l’accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo; non prescritto il diritto fatto valere con il decreto ingiuntivo, ritenendolo di natura contrattuale e fatto valere nei termini; dimostrato l’inadempimento contrattuale dedotto, collegato all’obbligazione risarcitoria indicata nella clausola dell’atto di transazione (che faceva rivivere il diritto di richiedere l’originaria somma di € 3.500.00,00), sulla base delle sentenze penali di assoluzione degli amministratori delle società del RAGIONE_SOCIALE perché il fatto non costituisce reato e delle risultanze da queste desumibili in ordine alla tentata truffa commessa in danno del fallimento (consistita nel far ritenere come adempiuta dal RAGIONE_SOCIALE l’obbligazione di assumere gli ex dipendenti della società RAGIONE_SOCIALE in cambio di uno ‘sconto’ sul corrispettivo dovuto per l’aggiudicazione degli immobili da parte del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ottenuto in via transattiva).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è affidato a sei motivi.
(I) Art.360, comma 1, numero 4, c.p.c. -Nullità del procedimento e della sentenza per violazione del combinato disposto degli artt.350-352 c.p.c., nonché degli artt.303, 331 e 332 c.p.c. -La ricorrente denuncia che all’udienza ‘virtuale’ del 14/10/2020, di prosecuzione dopo la riassunzione del giudizio, la Corte Territoriale di Campobasso, dopo essersi riservata, ha emesso – al di fuori delle facoltà e dei poteri previsti espressamente dalla legge in sede di giudizio di appello ai sensi e per gli effetti degli articoli 350 e 352 c.p.c. -un’ordinanza in pari data (allegato 2), indicando espressamente a quest’ultima la necessità (imposta dalla legge quale onere di parte) del deposito della ricevuta telematica in formato eml, quanto alla prova della notificazione pec del ricorso in
riassunzione nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (non costituitasi in appello).
(II) Art.360, comma 1, n.3, c.p.c. -La ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt.3-bis, 9 comma 1-bis e 11 Legge 53/1994 e dell’art. 19 bis del Provv. Resp. DGSIA 16 aprile 2014 (Specifiche tecniche previste dall’art. 34, c.1, D.M. 44/2011) -inesistenza/nullità della notificazione del ricorso in riassunzione nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (non costituitasi in appello) -con nullità derivata del procedimento e della sentenza ex art.360, comma 1, n.4, c.p.c. per violazione degli artt.303, 331 e 332 c.p.c., in particolare dell’integrità del contraddittorio e dell’obbligo di notificazione del ricorso in riassunzione e decreto di fissazione dell’udienza a tutte le parti in causa -Parte appellante (rimessa d’ufficio in termini, al di fuori delle forme consentite ex lege, come da motivo I di ricorso) -contrariamente a quanto poi ritenuto in sentenza dalla Corte Territoriale (che ha ragionato per ‘equipollenti’) -non ha comunque provveduto al deposito, essenziale per legge, delle ricevute in formato eml delle ricevute di notificazione a mezzo pec (accettazione e consegna) del ricorso in riassunzione nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (non costituitasi in appello)
(III) Art.360, comma 1, n.3 -la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art.1453 e c.c., in combinato disposto con gli artt.1965, 1976, nonché 1362 e ss. c.c., – nullità derivata del procedimento (sia monitorio che di opposizione) e della sentenza ex art.360, comma 1, n.4, per violazione originaria, non superata in fase di cognizione, degli art.633 e ss. c.p.c., in relazione al petitum presupposto e sostanziale -in uno con la violazione ed omessa applicazione dell’art.177 disp. att. c.p.c. (per responsabilità ex artt.509 e 587 c.p.c.) – Denuncia che la Corte Territoriale, con il richiamare in sentenza il principio generale della scissione tra domanda di risoluzione ex art.1453 c.c. ed azione risarcitoria
(esercitata in monitorio), ha escluso sic et simpliciter la propedeuticità o necessaria contestualità della prima, sostenuta dalla parte ricorrente quale motivo di opposizione, non avendo tenuto conto delle implicazioni dirimenti della fattispecie concreta, che risiedono nella natura transattiva del contratto oggetto di esame (ex artt.1965 e 1976 c.c.), ben evidenziata in corso di giudizio nei propri scritti difensivi; ha anche omesso di considerare la natura tipica della tutela azionata, con la relativa competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione alla emissione del titolo giudiziale di condanna
(IV) Art. 360 comma 1 n. 3 -Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2935, 2943, 2946 e 2947 c.c. In ogni caso, prescrizione estintiva del diritto al risarcimento dei danni. La Corte Territoriale ha erroneamente interpretato la fattispecie concreta, con riferimento sia alla natura del risarcimento preteso, reputata contrattuale piuttosto che aquiliana, sia al dies a quo di rispettiva decorrenza .pag.22
(V) In subordine: Art. 360 comma 1 n. 3 -Violazione e/o falsa applicazione dell’art.1218 c.c. in relazione anche alla violazione e/o falsa applicazione dell’art.652 c.p.p .- giudicato penale assolutorio di primo grado per non aver commesso il fatto -vizio di imputabilità dell’inadempimento alla società ricorrente- mancanza di allegazione e prova circa del carattere colpevole dell’inadempimento
(VI) Motivo esposto in ultimo ed in estremo subordine, in quanto rilevante solo in caso di rigetto dei precedenti motivi ed al solo fine della corretta regolamentazione tra le parti in causa delle spese di lite nei precedenti gradi di giudizio. – Art. 360, comma 1, nn. 5, c.p.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e violazione art.132, 2° comma, n.4, in relazione all’art. 360, comma 1, n.4, c.p.c. -il Tribunale Civile di Isernia, con sentenza di primo grado n. 636 del 31.8.2017 (allegato 3) ha accolto Civile di Isernia, con sentenza di
primo grado n. 636 del 31.8.2017 (allegato 3) ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo per difetto di prova del credito azionato sul rilievo, ritenuto preliminare ed assorbente, che la possibile produzione del fascicolo di parte del monitorio in grado di appello (Cass. SS.UU. 14475/2015) non implichi de plano il superamento della inammissibilità della produzione in primo grado, ove successiva al passaggio in decisione della causa, come avvenuta nel caso di specie. La ricorrente denuncia che la Corte di Appello ha ritenuto, di contro, tempestivo ed ammissibile lo stesso deposito, richiamando precedenti, ictu oculi differenti, di deposito in primo grado avvenuto dopo lo spirare del termine ex art.183, VI comma, n.2 c.p.c., ma comunque prima che la causa fosse trattenuta in decisione (citate Cass., n. 8693 del 4.4.2017 e Cass., n.20584 del 31.7.2019).
I primi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia che la corte distrettuale abbia irritualmente pronunciato la ordinanza con la quale, rispetto al deposito da parte appellante del ricorso riassunzione a seguito del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, convenuta nel giudizio di appello, ha invitato l’appellante a regolarizzare l’invio della prova della notifica dell’atto di riassunzione al RAGIONE_SOCIALE avvenuto con modalità informatiche. Il ricorrente afferma che non vi fossero i presupposti per tale integrazione per insufficienza della documentazione prima depositata, consistita in una sola scansione pdf immagine del ricorso per riassunzione e delle ricevute cartacee della notificazione asseritamente effettuate a mezzo pec , aggiungendo come la separata attestazione di conformità si riferisse al solo ricorso e non anche alle ricevute pec inserite nella stessa scansione in pdf immagine, prevedendosi l’obbligatoria l’ attestazione di conformità. Con il secondo motivo si denuncia che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte -prima
nell’ordinanza e poi nella sentenza impugnata mancano gli adempimenti relativi alla riproduzione in versione cartacea delle ricevute pec della notifica del ricorso in riassunzione, che ne prevede, a corredo, ed espressamente, la obbligatoria attestazione di conformità, ai sensi della 53 del 1994, art. 9, comma 1 bis.
La c orte territoriale, in merito, ha ritenuto infondata l’eccezione di estinzione del giudizio per mancata notifica del ricorso per riassunzione al RAGIONE_SOCIALE, regolarmente depositato, richiamando come in ipotesi di vizi della notificazione dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza la conseguenza non è l’estinzione del giudizio, ma, in applicazione analogica dell’art. 291 cod. proc. civ., la rinnovazione della notifica stessa entro un ulteriore termine perentorio, citando Cass., n. 2526 del 3.2.2021, secondo cui l’estinzione consegue soltanto al mancato rispetto del termine di legge per il deposito dell’atto di riassunzione, nel caso specifico osservato e sanato. A fronte del rituale perfezionamento della notifica del ricorso per riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza al RAGIONE_SOCIALE e della mancata costituzione di questo, ne ha dichiarato la contumacia, rigettando l’eccezione di estinzione.
La ricorrente non deduce invero argomenti idonei a contrastare il consolidato orientamento sui poteri officiosi del giudice a garanzia del regolare contraddittorio e della realizzazione dello scopo ultimo del processo. Sul punto, va ribadito che, verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata ” edictio actionis ” da quello della ” vocatio in ius “, il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicché, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del
medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della ” vocatio in ius “. Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice di ordinare, anche qualora sia già decorso il (diverso) termine di cui all’art. 305 c.p.c., la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un ulteriore termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l’eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, comma 3, e del successivo art. 307, comma 3, c.p.c. ( Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2526 del 03/02/2021; Sez. 3 -, Ordinanza n. 9819 del 20/04/2018; Sez. U, Sentenza n. 14854 del 28/06/2006).
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia che il diritto al risarcimento del danno di cui si controverte -diversamente da quanto affermato nell’impugnata sentenza- non scaturisce ex novo dalla transazione del 9/5/2005 (nella veste di clausola penale autonoma, svincolata dal rapporto pregresso. Deduce che solo in ipotesi di transazione ‘novativa’, con clausola penale risarcitoria autonoma e completamente svincolata dalle precedenti obbligazioni ex lege stabilite, sarebbe stato possibile agire in monitorio per il risarcimento del danno (ex art.1453 c.c.), doverosamente prescindendo (ex art.1976 c.c.) dall’azione di risoluzione contrattuale.
Lamenta che il diritto indicato in transazione, di natura non novativa, sarebbe invece chiaramente quello originario di cui al combinato disposto degli artt. 509 e 587 c.p.c., secondo i quali l’aggiudicatario decaduto è tenuto a rispondere e a risarcire il
danno provocato dal suo inadempimento; e la relativa reviviscenza potrebbe avvenire solo successivamente e/o contestualmente alla risoluzione per inadempimento dello stesso accordo (in via stragiudiziale o giudiziale che sia).
La censura è inammissibile.
Nel motivo si rappresenta il testo della premessa della transazione del 09/05/2005 ( pag.2), pacificamente di natura non novativa, in cui le parti precisano che alla RAGIONE_SOCIALE, in quanto decaduta dalla aggiudicazione, era stata richiesta la differenza (euro 4.000.000,00) tra la somma ricavata infine dalla vendita (euro 8.100.000,00) ed il prezzo di prima aggiudicazione (euro 12.600.000,00), detratta la cauzione di euro 500.000,00, già incamerata; statuendo poi ( pag.4) che, in caso di inadempimento alle obbligazioni previste in transazione: ‘…la RAGIONE_SOCIALE… è in diritto di richiedere nei confronti delle società medesime…nonché nei confronti della sola RAGIONE_SOCIALE la somma di €4.000.000,00, dovuta a titolo di danno subito per la causale di cui in premessa e, naturalmente, detratte dalla predetta somma quelle nel frattempo corrisposte…’ .
L ‘interpretazione che offre il ricorrente della suddetta clausola è nel senso che il ‘diritto’ di richiedere il pagamento dell’intera somma originariamente dovuta ex art.587 c.p.c. al fallimento per l’aggiudicazione dei cespiti immobiliari, andrebbe doverosamente letto in uno con l’onere, implicito, di risolvere la transazione non novativa ex artt.1976 e 1453 e ss. c.c.
Tale interpretazione, tuttavia, si contrappone a quella offerta dalla Corte di merito che, sul punto, ha rilevato che dalle parti è stato previsto che, in conseguenza del venir meno ad una sola delle obbligazioni assunte dalle società o della mancata assunzione anche di uno solo dei 15 lavoratori della fallita RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE (o di società controllate o collegate), il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ‘senza tolleranza alcuna, è in diritto di richiedere’, nei confronti
della società e della banca garante, gli importi specificamente riportati nella scrittura: precisamente la somma di € 1.200.000,00 o la residuale garantita; nei confronti di tutte le società stipulanti l’originaria somma di € 3.250.000,00, corrispondente a quella garantita dalla RAGIONE_SOCIALE con la polizza del 19.3.2004; nei confronti della solla COGNOME la somma di € 4.000.000,00, a titolo di danno subito, detratte dalle predette somme quelle nel frattempo corrisposte.
Va al riguardo osservato che, attraverso l’esame del testo contrattuale in cui risulta forfetariamente indicata la misura del risarcimento in caso di inadempimento dell’obbligo di assumere 15 dipendenti, nell’impugnata sentenza la corte di merito ha rilevato che le parti, nella loro autonomia, hanno inteso far proprio un principio generale, presente nell’art. 1453, 1 comma cod. civ., in cui si evidenzia l’autonomia dell’azione di risarcimento del danno rispetto a quella di risoluzione contrattuale, con la conseguenza che il giudice è tenuto ad esaminare la domanda risarcitoria, anche se proposta in modo autonomo e a prescindere da un’azione di risoluzione contrattuale (cfr., è stato ribadito di recente da Cass., n. 11348 del 2020 e Cass Sez. 3 – , Ordinanza n. 32126 del 10/12/2019; Cass., n. 23820 del 2010). Ed invero, la stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive e l’inadempimento di uno dei contraenti sono, ai sensi dell’art. 1453 c.c., i fatti costitutivi del diritto dell’altro contraente ad ottenere la risoluzione del contratto ovvero l’adempimento, ed in ogni caso il risarcimento del danno; ma ciascuno di tali diritti, configurandosi in termini di diversità ed autonomia rispetto a ciascun altro, può legittimamente costituire oggetto, ad esempio, di autonoma rinuncia (Cass Sez. 3 -, Ordinanza n. 32126 del 10/12/2019). Così facendo, la clausola de qua ha operato come una clausola penale che, svolgendo la funzione di risarcimento forfettario di un danno presunto, collegato all’inadempimento di una obbligazione, è intesa a rafforzare il
vincolo contrattuale e a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l’effetto di limitare a tale prestazione il risarcimento, indipendentemente dalla prova dell’esistenza e dell’entità del pregiudizio effettivamente sofferto (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21398 del 26/07/2021).
L’inammissibilità del terzo motivo, determina l’assorbimento del quarto motivo in tema di decorrenza della prescrizione del diritto, in quanto con tale mezzo si presuppone l’intervenuta prescrizione del diritto, secondo la diversa interpretazione del contratto e dei suoi effetti offerta dal ricorrente, assumendo la natura extracontrattuale, e non contrattuale del diritto fatto valere dall’attore con il procedimento monitorio: da ciò discenderebbe, in tesi, anche la deduzione di dovere escludere gli effetti interruttivi della domanda monitoria, azionata quale espressione di un autonomo diritto risarcitorio. Il che si contrappone a quanto ritenuto dal giudice di merito con argomentazioni incensurabili, per quanto sopra detto.
Il quinto motivo è inammissibile.
Nella specie la ricorrente lamenta che il F allimento ‘imputa’ ad entrambe le società la responsabilità per inadempimento sebbene sia stato accertato in sede penale, con sentenza definitiva, che i fatti nei quali detto inadempimento si sarebbe sostanziato (fittizia assunzione di 17 lavoratori addebitata agli amministratori delle due società come tentata truffa) non siano ascrivibili a responsabilità degli amministratori delle società stesse, che non lo hanno commesso, difettando, pertanto, il necessario collegamento causale tra l’evento dannoso lamentato e la condotta dei predetti, l’unica in grado di generare effetti pregiudizievoli diretti nella sfera giuridica e patrimoniale delle persone giuridiche rispettivamente rappresentate. Sul punto, il motivo omette di considerare le argomentazioni attraverso le quali il giudice ha correttamente
escluso che il giudicato penale assolutorio possa influire sul fatto da accertare autonomamente in sede civile ai fini dell’inadempimento dedotto, pur con il supporto degli accertamenti risultanti nelle sentenze penali assolutorie (la fittizia assunzione di 15 lavoratori), posto che l’insussistenza del fatto illecito ex art. 652 cod. proc. pen., sotto il profilo oggettivo, non potrebbe arguirsi da pronunce assolutorie in relazione all’elemento soggettivo del reato (perché il fatto non costituisce reato) spettando , quindi, al giudice civile accertare, in modo autonomo e indipendente dal giudizio penale, i fatti dedotti in giudizio (Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 34621 del 12/12/2023Cass., n. 36638 del 25.11.2021; Cass., n. 3193 del 14.2.2006). Per il resto, la censura non è in grado di impingere la valutazione di illiceità operata dal giudice civile in relazione alla governance della vicenda oggetto del giudizio penale, nei fatti realizzatasi per opera dell’ amministratore di fatto NOME COGNOME, essendo stata esclusa la responsabilità dei formali amministratori, portati a giudizio, solo in considerazione delle procure notarili rilasciate da questi a NOME COGNOME, dimostratosi quale unico ideatore, promotore ed esecutore del tentativo di truffa in danno del fallimento, al fine di mascherare il sostanziale inadempimento dell’accordo di transazione.
Con il sesto motivo, formulato in via subordinata, la ricorrente si duole essersi dalla corte di merito erroneamente ritenuto che nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo il fascicolo della fase monitoria possa essere prodotto anche in grado di appello, essendo asseritamente valida la produzione solo se compiuta nei ristretti termini di cui agli articoli 183, sesto comma, c.p.c.
Il motivo è inammissibile.
Nell’impugnata sentenza la corte di merito ha fatto invero richiamo alla sentenza Cass., Sez. Un., n. 14475 del 2015 ove si è affermato essere ammissibile il deposito del ricorso monitorio
financo in grado d’appello sul presupposto dell ‘ unitarietà del procedimento monitorio del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Come rilevato dalle Sezioni Unite, i documenti prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo rimasti a disposizione della controparte alla scadenza del termine per proporre opposizione, e quindi esposti al contraddittorio delle parti, non possono essere qualificati ‘nuovi’ nei successivi sviluppi del processo.
Pertanto, l’ interpretazione restrittiva che escluda, in caso di giudizio di primo grado bifasico, i documenti prodotti nella prima fase ma non riprodotti nell’opposizione comporterebbe una modifica del contenuto della norma, non consentita all’interprete.
In tal senso non può considerarsi inammissibile la produzione di detti atti, contenuti nel fascicolo di parte, che si attui a seguito dello spirare dei termini assegnati dal giudice per le produzioni documentali.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente RAGIONE_SOCIALE, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 20.200,00, di cui € 20.000 ,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento presso l’ufficio di merito competente , da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto .
Così deciso in Roma, il 23/5/2024.