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Clausola penale: riduzione e poteri del giudice

In una controversia tra ex coniugi soci, la Corte di Cassazione conferma la drastica riduzione di una clausola penale prevista in un patto parasociale. La Suprema Corte stabilisce che il giudice, nel ridurre la penale, può valutare il comportamento complessivo del creditore, come il suo ‘disimpegno’ verso la società, che dimostra un mutato e ridotto interesse all’adempimento, giustificando così la diminuzione dell’importo originariamente pattuito.

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Clausola Penale: Quando il Giudice Può Ridurla Drasticamente?

L’ordinanza n. 426/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul potere del giudice di ridurre una clausola penale considerata manifestamente eccessiva. La pronuncia chiarisce che, ai fini di questa valutazione, non conta solo l’inadempimento in sé, ma anche il comportamento complessivo del creditore, il quale può rivelare un interesse all’adempimento diverso da quello originario. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I Fatti del Caso: Un Patto Parasociale tra Ex Coniugi

La vicenda trae origine da un patto parasociale stipulato tra due ex coniugi per regolare la gestione di una S.p.A. a seguito dello scioglimento della loro comunione legale. Successivamente, a causa di un aumento di capitale sottoscritto interamente dall’ex moglie, la sua partecipazione sociale aumentava esponenzialmente dal 45% al 97,30%, mentre quella dell’ex marito si riduceva drasticamente dal 50% al 2,5%.

L’ex marito agiva in giudizio chiedendo la condanna della ex moglie al pagamento di una penale di 1,5 milioni di euro, prevista nel patto, a fronte di tre diverse violazioni contrattuali. La Corte d’Appello, chiamata a decidere in sede di rinvio dalla Cassazione, riduceva la penale a soli 75.000 euro. L’ex marito, ritenendo la riduzione eccessiva e contraria ai principi stabiliti dalla stessa Cassazione, proponeva un nuovo ricorso.

I Criteri per la Riduzione della Clausola Penale

Il cuore della controversia risiede nell’articolo 1384 del Codice Civile, che conferisce al giudice il potere di diminuire equamente la penale se l’obbligazione principale è stata in parte eseguita ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione aveva già in precedenza annullato una decisione d’appello, incaricando il giudice del rinvio di effettuare una nuova valutazione che tenesse conto di tutti gli elementi rilevanti trascurati in precedenza. Tra questi, il comportamento complessivo tenuto dall’ex marito, il suo interesse all’adempimento e la natura prevalentemente risarcitoria della clausola.

La Decisione della Corte: il “Disimpegno” del Creditore

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’ex marito, ritenendo corretta la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale della motivazione è che il giudice di merito ha legittimamente valorizzato il “disimpegno” manifestato dal creditore (l’ex marito) rispetto alle sorti della società.

L’Importanza dell’Interesse del Creditore nel Tempo

La Corte ha sottolineato che l’interesse del creditore, parametro fondamentale per valutare l’eccessività della clausola penale, non è una grandezza statica, da cristallizzare al momento della firma del contratto. Al contrario, va valutato anche al momento dell’inadempimento.

Il comportamento dell’ex marito – in particolare la sua mancata sottoscrizione dell’aumento di capitale, pur riconoscendone la necessità – è stato interpretato come un chiaro segnale del suo disinteresse per le sorti aziendali e, di conseguenza, di un affievolimento del suo interesse al rispetto degli accordi da parte dell’ex moglie.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su tre argomenti principali, respingendo i motivi di ricorso.

In primo luogo, ha chiarito che il giudice del rinvio aveva correttamente seguito i principi indicati dalla precedente sentenza di cassazione. La valutazione del comportamento complessivo dell’ex marito, definito come “un evidente disimpegno”, era un elemento centrale per stabilire il suo reale interesse all’adempimento. La sua indifferenza verso il rilevante mutamento dell’assetto proprietario, causato dalla sua mancata sottoscrizione, è stata considerata una prova del suo ridotto interesse, giustificando la riduzione della penale.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibile la censura sulla misura della riduzione. L’apprezzamento sulla riduzione equitativa rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, è correttamente motivato. La Corte d’Appello ha utilizzato un criterio logico e pertinente: ha confrontato la percentuale di capitale sociale detenuta dall’ex marito al momento della stipulazione del patto con quella, irrisoria, detenuta al momento dell’inadempimento. Questo confronto ha permesso di misurare concretamente la diminuzione del suo interesse.

Infine, la Cassazione ha respinto l’ultimo motivo, che lamentava una violazione del principio per cui la penale è dovuta indipendentemente dal danno. La Corte ha precisato che la mancata sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte dell’ex marito non è stata considerata come un suo inadempimento, ma come un elemento fattuale espressivo del suo “disimpegno” e del suo mutato interesse rispetto agli accordi, legittimando pienamente la decisione di ridurre la penale.

le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la clausola penale non è uno strumento punitivo svincolato dalla realtà del rapporto contrattuale, ma deve mantenere una proporzione con l’interesse concreto che il creditore ha all’adempimento. La decisione insegna che il giudice ha ampi poteri discrezionali nel ridurre una penale manifestamente eccessiva, potendo a tal fine considerare l’intera dinamica del rapporto, incluso il comportamento del creditore stesso. Chi redige un contratto deve essere consapevole che l’efficacia di una penale molto elevata non è assoluta e può essere temperata dal giudice qualora le circostanze, come il mutato interesse di una delle parti, lo giustifichino.

Quali elementi può considerare il giudice per ridurre una clausola penale manifestamente eccessiva?
Il giudice può considerare non solo l’inadempimento in sé, ma anche l’interesse che il creditore aveva all’adempimento, l’effettiva incidenza della violazione sull’equilibrio contrattuale e il comportamento complessivo del creditore stesso, che può dimostrare un mutato o ridotto interesse rispetto a quello iniziale.

L’interesse del creditore all’adempimento va valutato solo al momento della stipula del contratto?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che l’interesse del creditore deve essere valutato non solo al momento della stipulazione della clausola, ma anche con riguardo al momento in cui la prestazione è rimasta ineseguita. Un cambiamento di tale interesse può giustificare la riduzione della penale.

Il comportamento del creditore, anche se non inadempiente, può influenzare la riduzione della penale?
Sì. Nel caso di specie, la mancata sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte del creditore, pur non essendo un inadempimento, è stata considerata un elemento espressivo del suo ‘disimpegno’ e disinteresse verso la società, idoneo a dimostrare un suo ridotto interesse al rispetto degli accordi e a giustificare la riduzione della penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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