Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19894 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19894 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8881/2020 R.G. proposto da :
COGNOME quale titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO DI CATANIA INDIRIZZO CATANIA, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n.1979/2019 depositata il 16.9.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5.6.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 24.10.2011, il Condominio di INDIRIZZO in Catania, si opponeva al decreto ingiuntivo n.1454/2011, emesso dal Tribunale di Catania sulla scorta di due fatture azionate in INDIRIZZO da NOME COGNOME, titolare dell’omonima ditta individuale, relative ai lavori di rifacimento della facciata dell’edificio condominiale, eseguiti in forza del contratto di appalto stipulato tra le parti. L’opponente, senza contestare la debenza delle somme portate dai titoli, ne domandava la compensazione con un importo asseritamente dovuto dall’impresa a titolo di penale per il ritardo nell’ultimazione dei lavori, e con una somma ritenuta dovuta per il ripristino di alcune opere non realizzate a regola d’arte.
La ditta si costituiva in giudizio, spiegando domanda riconvenzionale volta ad ottenere il risarcimento dei danni per il mancato pagamento delle somme di cui agli stati di avanzamento entro i termini contrattualmente previsti.
Con la sentenza n. 2474/2018, il Tribunale di Catania accoglieva l’opposizione, revocando l’opposto decreto ingiuntivo emesso per l’importo di € 57.059,00, compensato con la maggiore somma dovuta dall’impresa, quantificata in € 57.865,67, e condannando NOME COGNOME al pagamento della differenza di € 806,67 oltre interessi e rivalutazione monetaria.
NOME COGNOME proponeva gravame avverso la predetta pronuncia.
Nella resistenza del Condominio, con la sentenza n. 1979/2019 del 13/16.9.2019 la Corte d’Appello di Catania confermava la pronuncia di prime cure, che aveva rilevato l’insussistenza, nel contratto stipulato inter partes , di termini perentori per contestare l’applicazione della clausola penale. Inoltre, il Giudice di secondo grado statuiva che la mancata contestazione, in corso di rapporto contrattuale, del ritardo dell’appaltatore nel completamento dei
lavori non integrava una violazione dei principi di correttezza e di buona fede nell’esecuzione del contratto, laddove non funzionale a cagionare un danno alla controparte e priva di apprezzabile interesse per il committente. La Corte territoriale riteneva altresì insussistente l’interesse dell’appellante a dolersi della natura extracontrattuale della sua responsabilità nei confronti del Condominio, nonché inapplicabile la disciplina processuale e sostanziale della compensazione propria all’accertamento delle reciproche obbligazioni, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, trattandosi di compensazione impropria. Infine, la Corte distrettuale riteneva di non poter esaminare, per indeterminatezza del petitum , il motivo di appello relativo al rigetto della domanda riconvenzionale.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME quale titolare dell’omonima ditta individuale, ha proposto ricorso a questa Corte, affidandosi a sei motivi, ed il Condominio di INDIRIZZO in Catania, ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 1382 cod. civ.. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la mancata indicazione di un limite temporale nel contratto stipulato dalle parti avrebbe consentito al committente di contestare l’applicazione della clausola penale al di fuori del rapporto contrattuale. Inoltre, il Giudice di secondo grado avrebbe omesso di rilevare che, qualora le fosse stato consentito nel corso dei lavori, l’impresa appaltatrice avrebbe potuto dimostrare l’imputabilità al solo Condominio delle ragioni del ritardo nell’ultimazione dei lavori.
Col primo motivo parte ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 1382 cod. civ., relativo agli effetti della clausola penale, ed in relazione all’art. 360
comma primo n. 5) c.p.c., la mancata considerazione della deposizione resa dal direttore dei lavori, dalla quale sarebbero emerse le ragioni oggettive che avrebbero giustificato il ritardo nel completamento dei lavori appaltati, e della circostanza che durante l’esecuzione dell’appalto non vi erano mai state da parte del Condominio committente, o del direttore dei lavori, contestazioni per il mancato rispetto del termine di ultimazione dei lavori del 10.4.2008, stabilito all’art. 15 del contratto di appalto, mentre se quelle contestazioni fossero avvenute in costanza di rapporto, l’impresa avrebbe potuto dimostrare che il ritardo era dipeso da decisioni dello stesso Condominio (tardiva scelta del colore della facciata condominiale, tardiva effettuazione di lavori nelle abitazioni private propedeutici a quelli condominiali, e tardiva rimozione di una pensilina di proprietà di un terzo, che ostacolava il montaggio del ponteggio sul lato nord-est dell’edificio), non avendo la controparte assolto l’onere di provare la colpa dell’appaltatore.
Per quanto concerne la violazione dell’art. 1382 cod. civ., il motivo é inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non assume che la Corte d’Appello non abbia correttamente individuato in astratto la disciplina degli effetti della penale per ritardato adempimento del contratto di appalto, essendo stato accertato in 257 giorni il ritardo nell’ultimazione dei lavori rispetto al termine contrattuale del 10.4.2008, stabilito all’art. 15 del contratto di appalto, con applicazione della penale contrattualmente prevista di € 200,00 giornalieri e con conseguente stima del danno da ritardo in € 51.400,00 (€ 200,00 x 257), posto che non sono stati richiesti danni ulteriori per tale voce, e che la penale é dovuta indipendentemente dalla prova del danno, e che non era previsto contrattualmente alcun termine di decadenza per far valere la penale, e punta piuttosto, inammissibilmente, ad ottenere una rideterminazione della durata del ritardo, attraverso un diverso apprezzamento in fatto delle ragioni giustificative dello stesso che
sono state addotte, delle quali l’impugnata sentenza ha escluso la rilevanza, perché l’appaltatore non ha richiesto la proroga del termine di ultimazione dei lavori, entro il termine di decadenza, previsto dalle parti all’art. 27 del contratto di appalto.
Quanto alla doglianza ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., é inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. per ‘ doppia conforme ‘, non avendo parte ricorrente allegato diversità nella ricostruzione in fatto, nello stesso senso compiuta dai giudici di primo e di secondo grado, e comunque, per completezza, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘ la volontà di avvalersi della clausola, che fissa una penale può essere manifestata per la prima volta in sede giudiziale ‘ (Cass. n.2129/1978).
2) Col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1175 cod. civ.. Il Giudice di seconde cure avrebbe erroneamente ritenuto non sussistente la violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, nonché legittima la condotta del Condominio, che avrebbe lasciato inevasa la richiesta di proroga del termine contrattuale formulata dall’odierno ricorrente.
Col secondo motivo parte ricorrente, pur richiamando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1175 cod. civ., relativo alla buona fede nell’esecuzione delle obbligazioni, non deduce che il giudice di secondo grado abbia seguito un’errata nozione di buona fede, intesa in termini di correttezza, ma assume che il Condominio committente, pur in assenza di una norma contrattuale che gli imponesse di rappresentare preventivamente alla controparte l’intenzione di avvalersi della penale convenzionale per ritardato adempimento, abbia violato l’obbligo generale di buona fede a suo carico, puntando inammissibilmente ad ottenere un terzo grado di giudizio di merito davanti a questa Corte, giudice di legittimità. Il
motivo, inoltre, non si confronta con la motivazione addotta dall’impugnata sentenza, che alle pagine 5 e 6 ha ricordato, che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 10127/2006; Cass. n. 24274/2006), il ritardo nell’esercizio di un diritto, in particolare nei diritti potestativi, ai quali corrisponde dall’altra parte una mera soggezione, ritardo che non sia finalizzato a recare un danno alla controparte e che non derivi da uno specifico interesse del ritardatario, non vale ad escludere la tutela giudiziaria, a meno che non sia intervenuta una rinuncia tacita al diritto prima del suo esercizio.
Attraverso la terza doglianza, articolata in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Il Giudice del gravame avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante la qualificazione del titolo di responsabilità addebitabile all’impresa, che era stata condannata dal Tribunale di Catania al risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. per i vizi dell’opera oggetto di contratto, pur in assenza di una domanda del Condominio in tal senso.
Il terzo motivo, col quale si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello avrebbe accertato la responsabilità extracontrattuale della ditta COGNOME in mancanza di una domanda in tal senso del Condominio, é inammissibile, perché non si confronta con la motivazione dell’impugnata sentenza. Essa, infatti, in conformità alla domanda avanzata dal Condominio, ha applicato all’appaltatore la penale contrattuale per il ritardo rispetto al termine di ultimazione dei lavori fissato all’art. 15 dello stesso contratto, ed ha riconosciuto la responsabilità dell’appaltatore per alcuni vizi dell’opera, evidentemente riconoscendone la responsabilità contrattuale.
Quanto al secondo motivo di appello, il giudice di secondo grado ha poi spiegato, che il richiamo fatto dal Tribunale di Catania alla giurisprudenza di questa Corte sull’art. 1669 cod. civ., era
avvenuto, non per affermare l’esistenza di una non invocata responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore, ma a conferma della possibile coesistenza della responsabilità, nella determinazione dello stesso evento dannoso, del progettista con quella dell’appaltatore, che di fronte ad eventuali errori progettuali a lui non direttamente ascrivibili, data la sua particolare competenza tecnica, poteva andare esente da responsabilità, solo se forniva prova di avere agito come nudus minister, avendo manifestato preventivamente il proprio dissenso sull’altrui scelta progettuale, e dimostrato di avervi poi dato esecuzione per l’insistenza del committente e previa assunzione del rischio da parte di quest’ultimo. Parte ricorrente non ha mosso alcuna censura a tale motivazione, ammettendo anzi di non avere colto immediatamente l’errore progettuale (quello della previsione del montaggio di una fascia di marmo col gocciolatoio e di una grondaia come sistema di raccolta e smaltimento dell’acqua meteorica). Ad ulteriore conferma dell’accertata responsabilità contrattuale dell’appaltatore, la sentenza di appello ha sottolineato, che il giudice di primo grado ha applicato la compensazione impropria tra i crediti delle parti, evidentemente riconducendoli tutti al medesimo contratto di appalto.
4) Col quarto motivo, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1667, 1668, 1669 cod. civ.. Il Giudice di secondo grado avrebbe erroneamente addebitato all’impresa un errore di progettazione, omettendo di rilevare che la stessa aveva dato esecuzione ad una scelta rivelatasi errata soltanto in seguito alla sua realizzazione e che, in ogni caso, l’appaltatore doveva considerarsi esente da qualsivoglia responsabilità, attesa l’accettazione dell’opera da parte del Condominio committente.
Col quarto motivo parte ricorrente invoca, da un lato la violazione e falsa applicazione degli articoli 1667, 1668 e 1669 cod. civ., e
dall’altro l’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. perché l’impugnata sentenza avrebbe posto a carico dell’appaltatore un errore di progettazione allo stesso non imputabile e non un errore di esecuzione. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello, in ordine all’errore progettuale sopra indicato, non avrebbe colto il significato della sua doglianza, che era volta a fare accertare come quell’errore progettuale non fosse rilevabile prima dell’esecuzione dei lavori, e come lo stesso direttore dei lavori avesse collaudato positivamente le opere eseguite, che sarebbero state quindi accettate dal Condominio committente.
Relativamente alla lamentata violazione degli articoli 1667, 1668 e 1669 cod. civ., il motivo é inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo dato comprendere sotto quali specifici profili le relative discipline normative sarebbero state violate dalla Corte d’Appello, e richiedendo l’invocato effetto liberatorio dell’accettazione dell’opera per le difformità o vizi dell’opera ex art. 1667 comma 1° cod. civ., l’unico profilo specifico indicato, una ricostruzione in fatto diversa da quella compiuta dai giudici di primo e di secondo grado. Quanto alla violazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., il motivo é inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. per ‘ doppia conforme ‘, non essendo state neppure allegate difformità di decisione tra il primo ed il secondo grado, nella ricostruzione della responsabilità dell’appaltatore.
5) Con la quinta censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1242 cod. civ.. Secondo il ricorrente, i Giudici di merito avrebbero omesso di considerare che la compensazione giudiziale, ancorché impropria, estingue i crediti dal momento della loro esistenza e che, pertanto, rimanendo questi ultimi esposti separatamente ai relativi eventi, nella somma compensata dovevano conteggiarsi quantomeno gli interessi derivanti dalle fatture emesse.
Col quinto motivo parte ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia ritenuto inapplicabili alla compensazione impropria, ossia alla compensazione tra crediti derivanti dallo stesso rapporto, degli articoli 1241, 1242 e 1243 cod. civ., dettati per la compensazione in senso stretto, anziché le sole norme processuali che per quest’ultima pongono preclusioni e decadenze alla proponibilità delle eccezioni.
In particolare assume parte ricorrente, che in forza dell’art. 1242 cod. civ. la compensazione propria, o impropria, estingue i crediti dal momento della loro esistenza, per cui i crediti conserverebbero le proprie autonome caratteristiche fino al momento della dichiarazione di estinzione per compensazione, sicché nel caso di specie al credito dell’appaltatore per le fatture n. 4 del 26.2.2010 e n. 8 del 29.6.2010 doveva essere applicata la penale prevista dall’art. 23 del contratto di appalto di € 200,00 giornalieri per ogni giorno di ritardo superiore a 45 giorni dalla diffida con lettera raccomandata, o almeno gli interessi moratori, o legali dalle date di emissione delle fatture, mentre i crediti del Condominio erano divenuti liquidi ed esigibili solo con la sentenza, per cui su essi non andavano computati interessi, mentre l’impugnata sentenza si era limitata a confrontare la sorte capitale dei crediti delle parti, senza computare gli interessi maturati sui crediti dell’appaltatore prima della dichiarazione di estinzione per compensazione.
Il motivo é infondato, in quanto l’impugnata sentenza, a pagina 10, ha correttamente escluso che alla compensazione impropria si applichi la disciplina processuale e sostanziale della compensazione in senso stretto, richiamando la sentenza di questa Corte n. 18452/2014, facendone discendere l’inapplicabilità degli articoli 1241, 1242 e 1243 cod. civ..
Nello stesso senso é stato affermato da questa Corte che ‘ quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico rapporto non vi è luogo ad un’ipotesi di compensazione
“propria” ex artt. 1241 cod. civ. e segg. (secondo cui i debiti tra due soggetti derivanti da distinti rapporti si estinguono per quantità corrispondenti fin dal momento in cui vengono a coesistere), che presuppone l’autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale; tale accertamento (c.d. compensazione “impropria”), pur potendo dare luogo ad un risultato analogo a quello della compensazione propria, non per questo è soggetto alla relativa disciplina tipica, sia processuale che sostanziale (Cass. ord. 9.10.2024 n. 26365; Cass. 19.2.2019 n. 4825; Cass. sez. lav. 7.10.1991 n. 10447; Cass. 6.7.2009 n. 15796; Cass. 25.8.2006 n. 18498).
In particolare la sentenza n. 10447/1991 della sezione lavoro citata, relativa ad un contratto di agenzia, ha chiarito, in motivazione, che poiché nella compensazione impropria i crediti nascono da un unico rapporto, essi non hanno una propria autonomia, di modo che prima deve determinarsi tra essi il saldo contabile, e poi solo sull’eventuale differenza possono essere applicati la rivalutazione monetaria (ove spettante) e gli eventuali interessi legali, per cui correttamente l’impugnata sentenza ha comparato le sole sorti capitali dei contrapposti crediti nascenti dallo stesso rapporto contrattuale.
6) Attraverso la sesta censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., ci si duole dell’omesso esame su un punto decisivo del giudizio. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile, per indeterminatezza del petitum , la censura con cui l’appellante si doleva del rigetto della domanda riconvenzionale articolata in primo grado, omettendo di rilevare che l’impresa aveva espressamente scelto il rimedio sanzionatorio del pagamento degli interessi moratori previsti dal negozio stipulato.
Con l’ultimo motivo parte ricorrente lamenta l’omesso esame su un punto decisivo del giudizio ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto inammissibile la censura formulata nell’atto di appello, per il mancato riconoscimento della penale e/o degli interessi per il mancato pagamento delle fatture dell’appaltatore nei termini stabiliti dal contratto di appalto per indeterminatezza del petitum, omettendo di considerare che erano stati richiesti gli interessi moratori previsti dall’art. 23 del contratto di appalto, e che era stato lamentato che il giudice di primo grado avesse respinto la domanda ritenendo indimostrato il danno lamentato dall’appaltatore.
Tale ultimo motivo é inammissibile, in quanto il vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. può essere invocato per la mancata considerazione di fatti storici principali, o secondari oggetto di discussione tra le parti decisivi, e non in quanto si assuma la non corrispondenza del decisum del giudice di secondo grado rispetto ai motivi di doglianza fatti valere con l’atto di appello, e quindi un vizio processuale e non di motivazione in punto di fatto.
In base al principio della soccombenza il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo, da distrarsi in favore del legale antistatario del controricorrente, avvocato NOME COGNOME.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso di NOME COGNOME e lo condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità del controricorrente, liquidate in € 200,00 per spese ed € 5.600,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarsi in favore del legale antistatario del controricorrente, avvocato NOME COGNOME. Dà atto che sussistono i
presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n.115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5.6.2025