Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10014 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10014 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31272/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrenti –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI MILANO n. 1517/2018, depositata il 23/03/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano con la quale era stata condannata al risarcimento dei danni a favore degli acquirenti di un’unità immobiliare inserita in una corte oggetto di ristrutturazioni ad essa affidate.
1.1. La vicenda giudiziaria era stata avviata da NOME COGNOME e NOME, i quali adivano il Tribunale di Milano deducendo: di aver stipulato con RAGIONE_SOCIALE, in data 13.03.2009, un preliminare di compravendita di un immobile in fase di ristrutturazione sito in INDIRIZZO, in vista della loro unione matrimoniale prevista per giugno 2010; di avere pattuito un prezzo di acquisto di € 145.000,00, con contestuale impegno della promittente venditrice all’esecuzione di opere sulle parti esterne dell’edificio da ultimare entro il 30.04.2010: impegno a fronte del quale RAGIONE_SOCIALE riconosceva alla controparte il diritto di trattenere €30.000,00 sino all’ultimazione delle opere; di aver stipulato il rogito il 09.10.2009 in cui il termine di immissione degli acquirenti nel possesso materiale dell’immobile veniva posticipato al 31.10.2009, con previsione di una penale giornaliera di € 100,00 per ogni giorno di ritardo. Sulla base dell’asserita mancata ultimazione dei lavori indicati in rogito, relativi al rifacimento delle parti comuni e agli allacciamenti dei servizi essenziali, NOME COGNOME e NOME chiedevano al Tribunale di Milano, con ricorso sommario ex art. 702bis cod. proc. civ.: l’accertamento del grave inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, con conseguente decorrenza, ai fini risarcitori, della penale giornaliera stabilita dalla dalle parti, quantificata in € 70.000,00; il rimborso dei costi sostenuti per opere eseguite in luogo della promittente venditrice, quantificati in € 15.000,00; la condanna della promittente venditrice all’ultimazione delle opere contrattualmente pattuite, nonché al rifacimento di quelle
non effettuate a regola d’arte; il rilascio del certificato di agibilità dell’immobile.
La Corte d’appello di Milano accoglieva parzialmente l’appello disponendo che:
la somma a titolo di penale deve essere corrisposta dagli appellanti sino alla data di completamento degli interventi, previsti in contratto e non eseguiti, non già come aveva previsto il Tribunale fino al rilascio del certificato di abitabilità dell’immobile;
è da rigettare, invece, la domanda di riduzione della penale, ritenendo giustificato l’importo convenuto in contratto;
il riconoscimento dell’importo di € 14.498,00 va confermato, quale risarcimento dei danni per spese sostenute dagli appellati per ovviare alla mancanza di alcuni servizi essenziali, stante l ‘assenza di contestazione delle singole voci dei lavori da parte degli appellanti;
è da rigettare la richiesta di compensazione con le somme dovute dagli appellati dell’importo di € 30.000,00 per il saldo, ritenuto dagli acquirenti a fronte dell’inadempimento degli appellanti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, affidandolo a cinque motivi e illustrandolo con memoria.
Resistono NOME COGNOME e NOME depositando controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1382 cod. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Rileva la ricorrente che la penale per il ritardo di cui all’art. 4 del contratto di vendita accede esclusivamente all’obbligo di consegna e di trasmissione del possesso materiale del cespite immobiliare oggetto di vendita libero da persone e cose, non
ha alcunché da spartire né con il rilascio del certificato di abitabilità, come ritenuto dal T ribunale in prime cure, né con l’esecuzione delle opere previste dall’art. 6 del contratto di vendita, né con quelle elencate dal giudice di prime cure nel secondo capo del dispositivo, come ritenuto dalla Corte d’appello.
Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 e 1453 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4) e 3) cod. proc. civ. Lamenta la ricorrente che la stessa controparte nelle proprie domande correlava la domanda di pagamento della penale giornaliera per il ritardo unicamente alla consegna materiale dell’immobile libero da persone e cose, svolgendo separate domande di condanna all’adempimento mediante esecuzione delle opere non eseguite e consegna del certificato di abitabilità, oltre a chiedere che dagli importi delle condanne pecuniarie fosse sottratta la somma di € . 30.000,00 trattenuta sul prezzo a garanzia dell’ultimazione dei lavori. …
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto entrambi sollevano la questione del dies ad quem della penale, ed entrambi sono fondati.
Come emerge dagli atti del giudizio di merito, puntualmente riprodotti dalla ricorrente in ossequio ai principi di specificità ed autosufficienza, l’art. 4 dell’atto notarile di vendita così recita: «Le Parti convengono a carico della parte venditrice una penale pari ad Euro 100,00 (cento) per ogni giorno di ritardo nella consegna». Alla luce del noto principio in claris non fit interpretatio, ha errato la Corte d’Appello nel ritenere «riduttiva» una lettura del testo contrattuale che non rispettasse la natura abitativa dell’immobile , ampliando la nozione di «consegna» fino a comprendere in essa i servizi che la società venditrice si era impegnata a realizzare (fornitura di energia elettrica,
gas, acqua, sistema fognario); così in parte avvalorando l’interpretazione già fornita dal giudice di prime cure, il quale addirittura spingeva l’individuazione del momento in cu i poteva dirsi effettivamente intervenuta la consegna alla data di rilascio del certificato di abitabilità. Tale operazione interpretativa tradisce la corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi/integrativi, tanto da escludere la concreta operatività dei secondi quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente -come nel caso che ci occupa – a rendere palese la «comune intenzione delle parti stipulanti» (Cass. Sez. 3, n. 4923 del 02.03.2018, in motivaz.; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14432 del 15/07/2016). A corroborare la sufficienza del testo negoziale interviene il ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. notificato dagli acquirenti alla società venditrice, ove si fa espresso riferimento al pagamento della penale in relazione alla consegna materiale dell’immobile alla data del 31.10.2009.
La sentenza non si è attenuta ai suddetti principi.
4. Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 115 e 132, n. 4) cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 nn. 4) e 3) cod. proc. civ. La ricorrente si duole del fatto che i giudici di merito hanno riconosciuto agli attori il risarcimento di danni per circa € . 15.000,00 nonostante la contestazione specifica delle allegazioni avversarie, nell’ an come nel quantum delle pretese, la mancata deduzione di prove al riguardo e il mancato esperimento di alcuna istruttoria, trattandosi di lavori prevalentemente non dovuti dai venditori e non indicati neppure dalla CTU esperita e posta a base della condanna di eseguire le opere.
4.1. Il motivo è fondato, poiché si è in presenza di una motivazione apparente: la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che tale vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 – 01).
Rispetto alla questione della prova del risarcimento dei danni, il giudice di seconde cure si è limitato ad avallare l’argomentazione del Tribunale, sovrapponendo le voci dei lavori eseguiti dagli acquirenti, benché contrattualmente garantiti dalla società venditrice, ai costi da essi effettivamente sostenuti per realizzarli (v. sentenza p. 3, 3° capoverso), senza invece riesaminare criticamente la questione alla luce delle censure che erano state mosse e senza adeguatamente esaminare le risultanze istruttorie in merito alla documentazione delle spese asseritamente sostenute.
5. Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 112, 115 e 132, n. 4) cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1382 e 1453 cod. civ., in relazione all’art. 360 nn. 4) e 3) cod. proc. civ. Deduce la ricorrente l’erroneo rigetto della domanda riconvenzionale proposta da RAGIONE_SOCIALE per ottenere il pagamento del saldo del prezzo di € . 30.000,00, nonostante gli attori stessi avessero
in origine chiesto di compensare tale importo con le maggiori somme. In ogni caso, avendo gli attori agito per l’adempimento e per il risarcimento del danno, le prestazioni sinallagmaticamente dovute rimanevano ferme ed intatte, salvo appunto il risarcimento del danno.
5.1. Il motivo è fondato, per la medesima ragione espressa al punto 3.1. (motivazione apparente). La Corte d’Appello non ha spiegato quali siano le ragioni per cui non ha condiviso l’interpretazione suggerita dall’appellante società in merito alla ritenzione dell’importo di € . 30.000,00, trattenuto dagli acquirenti alla data del rogito a garanzia del completamento delle opere che la venditrice si era impegnata a realizzare. Né ha verificato se effettivamente le opere di cui all’art. 6 del contratto (richiamato dall’allora appellan te) fossero state effettivamente eseguite dalla venditrice, sì da non poter giustificare la ritenzione della somma a garanzia.
Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1384, 1218 e 1343 cod. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.
I giudici di merito hanno omesso di esaminare il presupposto alternativo stabilito dalla legge per la riduzione della penale, consistente dell’avvenuto adempimento tardivo della prestazione principale di consegna dell’immobile. Non hanno, poi, tenuto conto della ratio dell’istituto, che è quella di impedire che l’autonomia delle parti si spinga a consentire risarcimenti indebiti ed esorbitanti, come avvenuto nel caso di specie, in cui a fronte di un prezzo di vendita dell’immobile di € . 145.000,00 sono stati corrisposti ai venditori solo € 115.000,00, mentre controparte pretende, a titolo di penale, una somma di oltre € . 300.000,00.
6.1. Anche il quinto motivo è fondato.
A prescindere dai risvolti punitivi, o comunque sanzionatori, rimarcati in più riprese e sotto diverse prospettive da attenta dottrina, la causa della penale (patto accessorio dotato di propria funzione e di proprio oggetto, collegato al contratto costitutivo dell’obbligazione) rimane pur sempre una causa risarcitoria: precisamente, la ragion pratica è quella del definire in anticipo e di vincolare la riparazione dovuta al creditore, così rafforzando la posizione creditoria. L’esigenza che la penale assolva la sua funzione di preventiva determinazione del danno senza convertirsi in uno strumento di pena per il debitore, e di indebito arricchimento per il creditore, è espressa dal potere di riduzione riconosciuto al giudice dall’art. 1384 cod. civ., se l’obbligazione principale sia stata eseguita in parte, ovvero se l’ammontare della penale sia manifestamente eccessivo: potere funzionale a un interesse generale dell’ordinamento (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 33159 del 16/12/2019, Rv. 656304 – 01).
6.1.1. Sotto il diverso profilo del bilanciamento degli opposti interessi delle parti, l’effetto di limitazione del diritto al risarcimento previsto dalla disciplina della clausola penale risponde all’interesse di certezza del debitore in ordine all’ammontare della prestazione accessoria di danno; interesse, a sua volta, limitato dalla possibilità consentita dalla legge al creditore di chiedere l’ulteriore danno rispetto alla penale, purché previamente convenuta tra le parti.
6.2. Nella pronuncia impugnata, la Corte distrettuale ha privilegiato l ‘aspetto di « remora all’inadempimento » rappresentata dalla penale in discussione, così giustificando non solo la sua misura ma anche la non necessità di una sua riduzione (v. sentenza p. 3, penultimo capoverso). A tal proposito, questa Corte ha avuto occasione di stabilire che nell’esercizio del potere di riduzione della penale, il criterio di riferimento per il giudice non è la valutazione della prestazione in sé
astrattamente considerata, ma l’interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all’adempimento di essa, tenendo conto delle ripercussioni dell’inadempimento sull’equilibrio delle prestazioni e della sua effettiva incidenza sulla situazione contrattuale concreta (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26901 del 20/09/2023, Rv. 669054 -02, richiamata in memoria dalla ricorrente). Più approfonditamente: ai fini dell’esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l’interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola – come sembra indicare l’art. 1384 cod. civ., riferendosi all’interesse che il creditore «aveva» all’adempimento – ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 cod. civ., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell’art. 1384 cod. civ., impiegando il verbo avere all’imperfetto, si riferisca soltanto all’identificazione dell’interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11908 del 19/06/2020, Rv. 658162 -01).
6.3. Nel caso di specie, risulta agli atti che gli acquirenti avevano ovviato essi stessi alla realizzazione dei servizi essenziali, rendendo così abitabile l’appartamento; inoltre, essi non vivono più nell’appartamento di cui è causa (come dichiarato nel controricorso, p. 19, 2° capoverso, circostanza non contestata in memoria), sì che dovrà essere valutata dal giudice di rinvio la sussistenza ovvero la portata di un interesse attuale al completamento dei lavori e. soprattutto la dedotta eccessività della caparra.
La sentenza merita, pertanto, di essere cassata, con rinvio per nuovo esame alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2023.