Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21248 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21248 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23476/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2042/2022 depositata il 09/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
–RAGIONE_SOCIALE ha concesso un immobile in locazione finanziaria alla società RAGIONE_SOCIALE con socio unico srl’, la quale ha poi ceduto il contratto alla RAGIONE_SOCIALE.
Poiché quest’ultima non ha adempiuto all’obbligo di pagare i canoni, Mediocredito Italiano s.p.a. ha ottenuto un decreto ingiuntivo per la somma corrispondente a quella dovuta dalla utilizzatrice del bene, e da quest’ultima non corrisposta.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione ed ha eccepito di avere ceduto il ramo di azienda alla società RAGIONE_SOCIALE, poi dichiarata fallita, comprensivo del contratto in questione.
COGNOME ha altresì proposto domanda riconvenzionale, chiedendo l’applicazione dell’articolo 1526, primo comma, cod. civ. e dunque la restituzione delle rate versate, o, in subordine, la riduzione della clausola penale prevista nel contratto.
Il Tribunale di Milano ha accolto in parte l’opposizione, riducendo la somma dovuta, ma rigettando la domanda riconvenzionale.
Nel corso del giudizio è intervenuta, quale successore nel diritto controverso, Intesa San Paolo s.p.a.
La decisione del primo grado è stata confermata in appello.
-Ricorre RAGIONE_SOCIALE, con due motivi.
Intesa San Paolo ha depositato controricorso.
La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie illustrative.
Ragioni della decisione
1. -Il primo motivo prospetta violazione degli articoli 112 cod. proc. civ., 111, sesto comma, Cost., 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 276, secondo comma, cod. proc. civ., 118, primo e secondo comma, disp. att. cod. proc. civ., 1526, primo comma, cod. civ.
La tesi è la seguente.
Il Tribunale, in primo grado, ha applicato la clausola penale senza che il concedente, ossia la parte adempiente, lo avesse chiesto.
Questa circostanza era stata denunciata con l’atto di appello, con il quale la ricorrente aveva eccepito la violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., e dunque la circostanza che il giudice di primo grado aveva riconosciuto il diritto derivante dalla clausola penale, pur in assenza di una domanda della parte volta a far valere quella clausola.
La Corte di Appello a questa censura ha risposto che la questione della applicabilità della clausola penale era stata posta dalla stessa ricorrente con la domanda riconvenzionale, ed in particolare con la subordinata, con cui per l’appunto si chiedeva la riduzione della penale ad equità.
Ma, secondo la ricorrente, la natura autonoma della clausola penale ( rectius , del diritto di cui è fonte) impedisce di statuire d’ufficio su di essa, anche se è stata proposta domanda di risoluzione o di risarcimento.
La concedente aveva, per l’appunto, proposto domanda di risarcimento e tale richiesta era incompatibile con quella di applicazione della clausola penale, su cui dunque non poteva esservi pronuncia d’ufficio.
Conseguentemente, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata non ha risposto al motivo di appello, che denunciava violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., ed inoltre ha esaminato la domanda subordinata (contenuta nella riconvenzionale) prima di quella principale, e dunque è incorsa in un vizio sia di difetto di
motivazione che di ultrapetizione a sua volta, avendo perpetuato l’ultrapetizione del primo grado.
Il motivo è infondato.
È pacifico che la ricorrente, con la domanda riconvenzionale, ha introdotto il tema della equità della clausola penale e della complessiva liceità dell’accordo che consenta al concedente di trattenere i canoni già versati, qualora tale beneficio a suo favore sia compensato da altre previsioni.
Il Tribunale, proprio in risposta alla domanda riconvenzionale, ha affrontato la questione della liceità e della iniquità della clausola penale, risolvendola in senso positivo ossia dicendo che la previsione in essa contenuta, secondo cui il concedente poteva pretendere il pagamento dei canoni scaduti, ma anche trattenere quelli versati, era bilanciata dalla previsione di detrarre dal dovuto l’equivalente del ricavato della vendita.
Dunque, se la pronuncia del primo giudice è in questi termini, ed è pacifico, essa è l’effetto della domanda riconvenzionale, ossia di quanto chiesto dalla stessa ricorrente, e non vi è dunque alcuna violazione del principio della domanda.
Se il convenuto chiede che si accerti che la clausola penale venga dichiarata inapplicabile, o ne venga ridotto l’ammontare, il giudice che di conseguenza decide che la penale non è iniqua, né illecita (per contrasto con una qualche disposizione) altro non fa che decidere sulla domanda posta.
L’applicabilità della penale, che secondo la ricorrente avrebbe dovuto essere oggetto di una apposita domanda da parte del concedente, è in realtà l’effetto dell’accertamento che la clausola non è iniqua o illecita. E dunque si tratta di un effetto che, pur se non oggetto di una diretta domanda, segue naturaliter al rigetto della domanda inversa: se quest’ultima è nel senso di dichiarare la riduzione della penale, l’effetto di applicarla integralmente discende dal rigetto della pretesa di riduzione.
Né può ovviamente costituire vizio il fatto che tale rigetto è dovuto all’esame della subordinata, in assenza di un esame della principale. Intanto, l’esame della subordinata segue il rigetto implicito della domanda principale. Il Tribunale ha ritenuto di non accogliere la domanda riconvenzionale principale ed ha dunque esaminato la domanda riconvenzionale subordinata, senza dunque invertire l’ordine della decisione. Ma, comunque, l’eventuale decisione sulla subordinata, senza espressa pronuncia sulla principale, ove non manifesti rigetto implicito di quest’ultima, è semmai omessa pronuncia sulla principale, per l’appunto, e dunque costituisce vizio a sé, diverso da quello qui denunciato.
Tanto porta ad escludere anche la denunciata violazione dell’art. 1526 cod. civ.
2. -Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 112 cod. proc. civ. e 1362, 1382, 1384 e 1526, secondo comma, cod. civ.
La ricorrente si duole del fatto che l’accertamento della eccessività dell’importo fissato nella clausola penale, o meglio della iniquità di quest’ultima, è stato compiuto dal giudice di merito senza una effettiva e concreta valutazione dei valori e senza ricorrere ad una stima, eventualmente fornita da un consulente tecnico.
Il motivo è inammissibile.
L’apprezzamento del giudice di merito circa l’eccessività della penale è rimessa alla discrezionalità di quest’ultimo ed è censurabile solo se non motivata adeguatamente (Cass., n. 6158/2007; Cass., n. 2231/2012; Cass., n. 23750/2018).
Peraltro, nel caso presente, la valutazione del giudice ha riguardato la complessiva liceità della penale, secondo i parametri di cui a Cass., sez. U, n. 2061/2021, ed anche tale apprezzamento, vale dire l’apprezzamento del se il contenuto di quel patto comporti o meno un arricchimento ingiustificato del concedente, è un apprezzamento in fatto, rimesso al discrezionale giudizio del giudice di merito.
In ogni caso, la valutazione operata dalla Corte d’appello si pone in linea con i principi enunciati dalle Sezioni Unite sopra richiamate, le quali hanno chiarito che il risarcimento del danno del concedente può essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell’art. 1382 cod. civ. ed hanno confermato la coerenza con la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 1526 cod. civ. della penale inserita nel contratto di leasing traslativo che prevede l’acquisizione dei canoni riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito (cfr. Cass., sez. 1, 30/03/2022, n. 10249; Cass., sez. 3, 14/03/2023, n. 7367).
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre 200,00 euro per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione