Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 676 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 676 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 710/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata, fisicamente, in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME, domiciliazione digitale come in atti
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata, fisicamente, in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 3558/2022 depositata il 11/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, esponendo, per quanto ancora qui di utilità, che:
-aveva stipulato, quale utilizzatrice, un contratto di locazione finanziaria immobiliare con la convenuta, quale concedente;
-essendo rimasta inadempiente nel pagamento di alcuni canoni, la concedente l’aveva convenuta per ottenere la dichiarazione di risoluzione contrattuale e la condanna alla restituzione degli immobili, pronunciata in primo grado;
-pendente l’appello, era intervenuto il rilascio del cespite;
-la deducente aveva quindi separatamente agito per ottenere la dichiarazione di nullità della clausola pattizia che permetteva alla concedente di trattenere i canoni riscossi, quelli a scadere e, in aggiunta, anche il costo di esercizio del diritto di opzione, chiedendo in linea subordinata che fossero determinati tempi e modi di corretta collocazione sul mercato degli immobili, con riduzione della penale pattuita;
-il Tribunale rigettava la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare: la clausola penale
era valida prevedendo, al fine di realizzare compiutamente l’interesse della parte contrattuale non inadempiente evitando al contempo ingiuste locupletazioni, che dal dovuto pattuito fosse portato a deconto il valore del cespite riottenuto, il quale, nell’ipotesi, doveva ritenersi corrispondente a quello di effettivo realizzo, nonostante fosse inferiore a quello ipotizzato dal consulente tecnico nominato d’ufficio in prime cure, sia perché la relazione peritale era risultata incompleta, sia perché, comunque, non erano state allegate né dimostrate specifiche negligenze nella vendita quale finalizzata, con fisiologica tempistica dal rilascio, nella concreta congiuntura di mercato;
avverso questa decisione ricorre, sulla base di tre motivi, corredati da duplice memoria, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, già RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso Intesa San Paolo Provis s.p.a.;
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1526, secondo comma, 1322, 1418, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la clausola pattuita era invalida, prevedendo anche il diritto di ottenere il prezzo per l’opzione di acquisito;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1384, 1175, 1366, 1375, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando comunque di ridurre, per manifesta eccessività, la clausola penale, con esclusione del diritto di ottenere anche il corrispettivo del patto di opzione;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2967, 1375, 1227, cod. civ., 115, 360, n. 5, 132, n. 4, cod. proc. civ., 111, sesto comma, Cost., poiché la Corte di appello avrebbe errato:
-obliterando, con motivazione apparente, le conclusioni peritali officiose sul valore del cespite -per un’apodittica e insignificante mancata visione interna degli appartamenti, ipotizzando falsamente
che lo stato di conservazione fosse stato indicato nella consulenza come ottimo e non solo normale, travisando la possibile destinazione non solo abitativa avuta presente dal consulente, non tenendo conto delle fotografie unite alla perizia, né del fatto che il perito aveva considerato la congiuntura non favorevole del mercato riducendo il valore stimato;
-aderendo acriticamente alla posizione del concedente che non aveva provato, come suo onere, di aver fatto indagini di mercato o altri tentativi di vendita, effettuata, nel 2017, per un corrispettivo inferiore di due terzi a quello di acquisto dei beni, concluso nel 2005;
-addossando alla deducente l’inerzia per non aver procurato eventuali diversi e migliori acquirenti, dimenticando che non aveva più la disponibilità dei beni;
-affermando, in modo non corrispondente al vero, che la documentazione in atti non palesasse criticità inerenti all’operazione di collocazione sul mercato degli immobili, avvenuta trasferendo a società con intenti speculativi un enorme compendio in cui erano state inserite le più disparate unità, con volatilizzazione delle singole valorizzazioni;
Considerato che
i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati;
questa Corte ha chiarito, a Sezioni Unite, la legittimità della clausola penale con cui, nel leasing immobiliare finanziario traslativo (non di mero godimento), si pattuisca che, nell’ipotesi d’inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, dopo la risoluzione, perda i ratei versati, debba quelli a scadere e anche il costo dell’opzione di acquisto, al netto del valore di stima del bene o quello di suo realizzo (Cass., Sez. U., 28/01/2021, n. 2061, pag. 35, richiamando l’orientamento di Cass., 12/06/2018, n. 15202);
si tratta, infatti, di clausola non inibita dall’art. 1526, secondo comma, cod. civ. (analogicamente applicabile alle fattispecie con risoluzione anteriore alla legge n. 124 del 2017) che prevede espressamente la possibilità di deroga convenzionale riferita, letteralmente, all’ipotesi regolata nel primo comma, e dunque quella di restituzione dei canoni pagati salvo il diritto all’equo compenso e fermo il risarcimento ulteriore;
si tratta, inoltre, di penale che mira, legittimamente, a realizzare l’interesse negoziale perseguito dal concedente con l’operazione traslativa posta in essere -tale qualificata dalla Corte territoriale (v. ad es. a pag. 13) e discussa senza censure sul punto -in cui l’opzione di acquisto è quella fisiologica, tenuto conto del già versato e del valore del bene acquisibile (a differenza della fattispecie in cui il rapporto ha essenzialmente una funzione di finanziamento a scopo, per l’appunto, di godimento e, quindi, con una previsione dei canoni su base eminentemente corrispettiva di tale scopo, essendo marginale e accessoria la pattuizione relativa al trasferimento del bene alla scadenza dietro pagamento del prezzo d’opzione);
il correttivo, cui devono aver riguardo i poteri giudiziali di riduzione della clausola ove manifestamente eccessiva, è quello della necessità di detrarre il valore del bene la cui proprietà non sia, appunto, traslata, e sia stato quindi riappreso;
le Sezioni Unite sopra richiamate hanno anche specificato, quanto alla detrazione del valore del bene restituito, che il giudice di merito deve provvedere ad una «stima in base ai valori di mercato al momento della restituzione dello stesso (se il bene non sia stato venduto o altrimenti allocato e, dunque, in tale evenienza costituendosi a parametro i valori rispettivamente conseguiti)» (Cass., Sez. U., n. 2061 del 2021, cit., pag. 36);
tale orientamento si è consolidato, sottolineandosi che, nella ricostruzione della legittimità pattizia in parola, il riferimento al
valore di mercato, che costituisce una stima probabilistica, è un’ipotesi correlata alla non intervenuta vendita (Cass., 12/06/2023, n. 16632);
difatti il creditore, almeno di regola, ha interesse al miglior effettivo e immediato incasso dalla vendita, preferibile alla necessità di dover recuperare dall’utilizzatore il residuo in sofferenza;
per questa ragione la ‘vendita negligente’ si atteggia a fatto modificativo del diritto, correlato alla penale, quale conformato dalle allegazioni e dimostrazioni del concedente che, nel caso, abbia ricollocato il bene sul mercato;
dal che consegue che, al pari della relativa allegazione, anche l’onere di dimostrare che quella negligenza vi sia stata fa capo all’utilizzatore, che, in speculare coerenza, è creditore dell’importo da detrarre (Cass., n. 16632 del 2023, cit.);
è appena il caso di osservare che risulta del tutto aspecifica l’asserzione, contenuta alla fine del ricorso (pag. 19) senza che sia chiarito come svolta e dimostrata nelle sedi di merito, di non meglio precisate emergenze documentali attestanti le affermate ‘criticità’ della stessa vendita;
l’autonoma ragione decisoria spesa sul punto dalla Corte distrettuale non è dunque incisa dalle censure formulate, restando così irrilevanti le contestazioni sul merito delle ricostruzioni peritali di stima;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 16.200,00, di cui 200,00 euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6/11/2024