Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3096 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 3096  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13613/2021 proposto da:
NOME,  DI  MASSA  MODESTA,  RAGIONE_SOCIALE,  in persona del Legale Rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato  NOME  COGNOME  e  domiciliati  presso  il  domicilio digitale del medesimo
Pec:
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE,  quale  incorporante  RAGIONE_SOCIALE,  e  per  essa  RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Procuratore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, INDIRIZZO
Pec:
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1275/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/02/2021;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 12/10/2023 dal Cons. NOME COGNOME;
Rilevato che
La società RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) chiese ed ottenne dal Tribunale di Cassino un decreto ingiuntivo con cui intimò alla COGNOME, utilizzatrice di beni concessi in leasing, la consegna dei beni, alla stessa utilizzatrice e al fideiussore NOME di pagare in solido tra loro una somma a titolo di sorte capitale, penale ed interessi di mora e sempre alla stessa NOME COGNOME e ai due fideiussori NOME NOME e COGNOME NOME di pagare somme in relazione ad un altro contratto;
avverso il  decreto la società  intimata  e  i  fideiussori  proposero opposizione, la causa fu istruita con CTU contabile e decisa nel senso dell’accoglimento  dell’opposizione con  revoca  del  decreto  ingiuntivo opposto;
RAGIONE_SOCIALE  (già  RAGIONE_SOCIALE)  propose appello e la Corte d’Appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 17/2/2021,  ha  accolto  il  gravame  e  riconosciuto  sia  la  debenza  di somme a titolo di canoni scaduti ed interessi maturati sia la debenza di somme a titolo di penale sia la rideterminazione degli interessi con espunzione di quelli accertati nel corso del rapporto;
avverso la sentenza che, accogliendo  l’appello,  ha  provveduto altresì alla riliquidazione delle spese del doppio grado, la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi;
ha  resistito  RAGIONE_SOCIALE  quale  mandataria  di  RAGIONE_SOCIALE con controricorso;
il  ricorso  è  stato  assegnato  per  la  trattazione  in  Adunanza Camerale ricorrendo i presupposti dell’art. 360 bis c.p.c.
Considerato che
con il primo motivo -violazione e falsa applicazione dell’articolo 1526 c.c. e 1384 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione con riguardo al capo con cui la Corte d’Appello ha ritenuto che la clausola n. 8 del contratto di leasing valga ad evitare l’indebita locupletazione della concedente. Natura del contratto di leasing ed illegittimità della clausola relativa alla penale -i ricorrenti lamentano che l ‘ impugnata sentenza non è conforme al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità avallato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte ( v. Cass., Sez. Un., n. 2061 del 2021 ) in base al quale la disciplina con cui il legislatore ha tipizzato il leasing traslativo non si applica ai contratti relativamente ai quali i presupposti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore si siano verificati anteriormente all’ entrata in vigore della L. n. 124 del 2017, atteso che in tema di leasing finanziario la disciplina di cui all’art. 1, commi 136-140, L. n. 124 del 2017 non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente l’art. 72 quater l.fall. (Cass., 3, n. 2631 del 30/9/2021);
si dolgono non essersi considerato che avrebbe dovuto trovare nella specie applicazione l’art. 1526 c.c. ;
il motivo è in ammissibile per violazione dell’art. 360 bis c.p.c. contrastando con la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la clausola penale inserita in un contratto di leasing traslativo é legittima se, in caso di risoluzione, permette al concedente di ricevere non più di quanto egli avrebbe ottenuto dalla regolare esecuzione del contratto. Tali principi sono stati confermati dalla recente sentenza a S.U. n. 2061 del 28/1/2021 secondo cui ‘l’equo compenso, ai sensi del primo comma dell’art. 1526 c.c. com prende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso tale da porre il concedente medesimo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto…In tale contesto quindi si è fatta applicazione del secondo comma dell’art. 1526 c.c. e del principio già contemplato dall’art. 1384 c.c. della riduzione equitativa che sebbene comunque lecita si palesi eccessiva così da ricondurre l’au tonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela e riequilibrando quindi la posizione delle parti, avendo pur sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento integrale ‘;
la risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore di un contratto di leasing traslativo, concluso anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136 e ss., l. n. 124 del 2017, è sottoposta all’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., sicché il giudice, ove ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, prevedendo, per il caso della menzionata risoluzione, il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà (c.d. clausola di confisca),
ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto, procedendo alla stima del bene secondo il valore di mercato al momento della restituzione (salvo che non sia stato già venduto o altrimenti allocato, considerando, nel qual caso, i valori conseguiti) e poi detrarre tale valore dalle somme dovute dall’utilizzatore al concedente, con diritto del primo all’eventuale residuo (Cass., 1, n. 10249 del 30/3/2022);
ne consegue pertanto, che secondo il consolidato orientamento di  questa Corte l’applicazione dell’art. 1526 c.c. non è incompatibile con la previsione contrattuale di una clausola penale sussistendo l’unico limite che la stessa non attribuisca al concedente più di quanto egli avrebbe ottenuto dalla regolare esecuzione del contratto;
con il secondo motivo -violazione e falsa applicazione dell’art. 1815 co. 2 c.c. 644, co. 4 c.p. art. 2, co. 4 L n. 108 del 1996 e art. 1 co. 4 d.l. n. 394 del 2000, convertito in L. n. 24 del 2001 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.i ricorrenti lamentano non essersi considerato che i contratti di leasing in esame sono affetti da usura sopravvenuta;
il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., in quanto contrasta con il consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui la norma di interpretazione autentica della L. 108/96 attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario al momento della pattuizione dello stesso e non al momento del pagamento degli interessi; cosicché deve escludersi che il meccanismo dei tassi soglia previsto dalla legge sia applicabile alle pattuizioni di interessi stipulate in data precedente la sua entrata in vigore anche se riferite a rapporti ancora in corso a tale data (Cass. S.U. n. 24675 del 19/10/2017);
alle suesposte considerazioni consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al  pagamento,  in  solido,  delle  spese  del  giudizio  di  cassazione,  che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
A i sensi dell’art. 13, co. 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  Camera  di  Consiglio  della  Terza