Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26562 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26562 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5682/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (EMAIL), COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al ricorso. -ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo
studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente- avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1552/2021 depositata il 11/08/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società RAGIONE_SOCIALE, unitamente ai suoi garanti sigg. NOME COGNOME e NOME COGNOME, evocava dinanzi al Tribunale di Firenze la società RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la risoluzione di due contratti di leasing stipulati tra le parti, per inadempimento di essa utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE, con accertamento -ed eventuale compensazione- dei reciproci rapporti di dare/avere ai sensi dell’art. 1526 cod. civ., esclusa invece l’applicabilità alla fattispecie della clausola n. 21 delle condizioni generali di contratto.
Si costituiva resistendo RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, in via riconvenzionale chiedendo fosse accertato l’inadempimento dell’utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE e che la stessa fosse condannata al pagamento dei canoni di locazione insoluti, oltre interessi convenzionali.
1.1. Con sentenza n. 1685/2016 il Tribunale di Firenze dichiarava estinti per compensazione i rispettivi debiti tra le parti,
derivanti dai contratti di leasing, per restituzione canoni da un lato ed equo compenso e risarcimento danni da mancata regolare esecuzione dei contratti dall’altro, compensando le spese di lite tra le parti.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello principale.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, resistendo e proponendo appello incidentale per contestare l’applicazione al caso di specie dell’art. 1526 cod. civ.
2.1. Con sentenza n. 1552/2021 dell’11 agosto 2021 la Corte d’Appello di Firenze rigettava sia l’appello principale sia l’appello incidentale.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE in rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE, incorporante di RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ‘Art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. con riferimento al riconoscimento del diritto, per RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), di percepire la penale prevista dall’art. 21 delle condizioni generali dei contratti di leasing. Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e quindi dell’art. 112 cod. proc. civ.’.
Lamentano che nel porre a carico di RAGIONE_SOCIALE, a titolo di risarcimento del danno, la penale prevista
dall’art. 21 dei contratti di leasing, così azzerando in compensazione il suo credito per la restituzione di quanto pagato in eccedenza rispetto all’equo compenso, la c orte d’ appello, confermando la sentenza del tribunale, ha sostituito la domanda formulata da RAGIONE_SOCIALE con un’altra, del tutto diversa ed estranea al suo petitum originario, dato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva invocato la clausola penale.
La corte di merito, nel confermare la sentenza del tribunale, avrebbe quindi fatto applicazione della clausola penale all’utilizzatore, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e così incorrendo nel vizio di ultrapetizione.
Con il secondo motivo denunciano ‘Art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Erronea applicazione degli artt. 1382 e 1526 cod. civ. -Violazione dell’art. 2697 cod. civ. per carenza di prova del danno’.
Lamentano che la corte d’appello non ha tenuto conto che, non potendo essere applicata al caso di specie la clausola risolutiva espressa, perché non invocata dalla società concedente, il danno doveva essere provato in tutta la sua entità, fermo restando che in tema di leasing traslativo, il concedente, in caso di risoluzione contrattuale, non può e non deve conseguire un indebito vantaggio derivante da un cumulo di utilità (equo compenso, residuo valore del bene e addirittura canoni futuri) in contrasto con lo specifico dettato normativo di cui all’art. 1526 cod. civ., che è norma di ordine pubblico economico e dunque inderogabile (viene richiamata Cass., 27/09/2011, n. 19732).
Con il terzo motivo denunciano ‘Art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. in punto di anticipata restituzione del bene, ai fini della valutazione della congruità della penale: omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti; Art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. In punto di valutazione economica
del ‘quantum’ della penale: erronea applicazione degli artt. 1382, 1384 e 1526 cod. civ.’
Lamentano che la corte d’appello ha ragionato sull’implicito presupposto, erroneo, dell’indisponibilità dell’immobile fino all’aprile 2021, trascurando anche il fatto storico, pacifico e d’altronde dimostrato del rilascio avvenuto svariati anni prima, a maggio 2016, ed ha illegittimamente escluso che la quantificazione della penale operata dal Tribunale fosse eccessiva’.
Con il quarto motivo denunciano ‘art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in punto di valutazione economica del ‘quantum’ della penale: erronea applicazione degli artt. 1382, 1384 e 1526 c.c.’.
Lamentano che l’impugnata sentenza non solo è pervenuta alla integrale compensazione dei rispettivi debiti e crediti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, mediante l’illegittima applicazione di una penale che non era stata richiesta dalla concedente, ma anche che sarebbe comunque emerso un saldo creditorio in favore di RAGIONE_SOCIALE, se la penale non fosse stata determinata in misura palesemente eccessiva e irragionevole.
Lamentano, inoltre, che l’impugnata sentenza ha omesso di procedere all’abbattimento del valore locativo dell’immobile, di notevoli dimensioni, concesso in leasing, a dispetto della stima effettuata dal C.T.U.
5. Il primo motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, ricorre il vizio di extra o ultrapetizione qualora il giudice pervenga a pronunciare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (v., tra le
tante, Cass., 13/05/2022, n. 15368; Cass., 11/06/2021, n. 16608, che precisa che il dovere imposto al giudice di non pronunciare oltre i limiti della domanda, né di pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, non comporta l’obbligo di attenersi all’interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni, essendo la valutazione degli elementi documentali e processuali, necessaria per la decisione, pur sempre devoluta al giudice, indipendentemente dalle opinioni, ancorché concordi, espresse in proposito dai contendenti).
E’ stato inoltre precisato che ‘Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti: ne deriva che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate’ (Cass., 13/07/2019, n. 17897).
5.1. Orbene, nel caso di specie, l’impugnata sentenza ha così espressamente motivato: ‘Sebbene nella sua comparsa di costituzione e risposta in primo grado, contenente altresì domanda riconvenzionale, RAGIONE_SOCIALEora RAGIONE_SOCIALE) non abbia fatto espresso riferimento alla penale contrattuale, vi è nel medesimo atto esplicita richiesta di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale’; rispetto a tale valutazione, svolta con motivazione scevra da vizi-logico-giuridici, i ricorrenti
prospettano l’accoglimento della loro diversa interpretazione fondata sul riesame del contenuto della clausola penale, termini invero inammissibili nella presente sede di legittimità.
Deve altresì osservarsi che a p. 21 del ricorso i ricorrenti riportano parte del loro atto di appello, evidenziando che nel medesimo ‘si sviluppava, alle successive pagine 14 e 15, il seguente motivo di impugnazione: Nella denegata ipotesi di applicabilità della clausola penale, non sono logiche e coerenti le ragioni addotte dal giudice a quo per la sua quantificazione nella misura massima contrattuale’ .
Il riferimento alla clausola penale era dunque presente anche negli atti degli stessi odierni ricorrenti, e faceva parte dunque parte del thema decidendum , per cui la corte territoriale non è incorsa nel lamentato vizio di ultrapetizione.
6. Il secondo motivo è inammissibile.
Presuppone che non ‘vi sia spazio per la clausola penale perché non richiesta’, il che non è, alla luce delle ragioni svolte nello scrutinio del primo motivo, per cui risulta fondato su una mera ipotesi.
7. Il terzo motivo è inammissibile.
Sotto la formale invocazione della violazione di legge sollecita una rivalutazione della tempestività o meno della riconsegna dell’immobile da parte della società utilizzatrice e della sua incidenza, in termini di vantaggi economici derivanti per la concedente, dal recupero della disponibilità del bene, con la possibilità del suo fruttuoso reimpiego; trattasi di valutazioni di fatto, il cui riesame è precluso in sede di legittimità, anche esorbitando dai limiti in cui può essere dedotto il vizio di omesso esame ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (v., tra le tantissime, Cass., Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 25/10/2013, n. 24148; Cass., 24/05/2006, n. 12362; Cass., 23/05/2014, n. 11511; Cass., 13/06/2014, n. 13485).
Il quarto motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Viena ivi dai ricorrenti riproposta la questione della mancata espressa richiesta di applicazione della clausola penale da parte della società concedente, in maniera infondata, come si è rilevato nello scrutinio del primo e del secondo motivo.
Quanto poi al valore locativo, la corte territoriale ha svolto un motivato accertamento in fatto, affermando: ‘il valore locativo, quale espressione dell’equo compenso per l’uso della cosa, deve essere parametrato all’utilizzo che ne abbia fatto il conduttore nello specifico caso in esame. La società appellante, nel caso di specie, si è resa conduttrice di entrambi i cespiti oggetto dei due contratti di leasing e pertanto correttamente il primo Giudice non ha proceduto ad alcun abbattimento. Né alcun abbattimento sarebbe predicabile laddove il valore locativo venisse parametrato ad un unico ipotetico contratto di locazione, ben potendo anche in tal caso i due beni essere separatamente locati e consentire introiti senza alcuna decurtazione’.
Il motivo sollecita quindi, inammissibilmente, un riesame del fatto e della prova, precluso in sede di legittimità.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 9.000,00 per compensi, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115
del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza