Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26258 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26258 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA BATTAGLIA NOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4613/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del curatore AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso per cassazione; – ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale dr. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO; rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso; – controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1790/2020, depositata il 13/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2024 dal dott. NOME COGNOME BATTAGLIA.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. In data 20/01/2012 la concedente RAGIONE_SOCIALE comunicò a ll’utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE di avvaler si della clausola risolutiva espressa apposta al contratto di leasing intercorso tra le parti (avente ad oggetto un immobile ad uso industriale), in conseguenza del mancato pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatrice. A seguito del fallimento di quest’ultima , venne ammesso al passivo il credito della società finanziaria per rate scadute e a scadere (comprese la maxi-rata finale), con la condizione della decurtazione del valore di riallocazione del bene. Rigettata l’opposizione allo stato passivo proposta dalla concedente e dichiarate inammissibili le domande in essa spiegate dalla curatela del fallimento dell’utilizzatrice, quest’ultima propose autonoma azione giudiziaria per ottenere la restituzione delle rate versate (detratto l’equo compenso ex art. 1526, comma 1, c.c.) e la riduzione -ai sensi dell’art. 1384 c.c. -dell’indennità contemplata dagli artt. 20 e 21 delle condizioni generali di contratto (comprendente, oltre ai canoni scaduti e non pagati, anche quelli a scadere e l’importo corrispondente a l prezzo finale di acquisto, detratto quanto ricavato dal concedente dalla vendita del bene).
Il Tribunale di Milano rigettò la domanda, ritenendo inapplicabile l’art. 1526 c.c., sul quale doveva prevalere la disciplina pattizia, da considerarsi idonea a ristabilire l’equilibrio contrattuale attraverso la previsione della necessità del diffalco del prezzo di riallocazione del bene dal credito spettante al concedente in conseguenza della risoluzione del contratto.
La c orte d’ appello confermò la decisione di primo grado, sul presupposto che le clausole pattizie ricalcavano la disciplina medio tempore introdotta dalla L. n. 124/2017 (non direttamente
applicabile alla fattispecie ratione temporis , ma suscettibile di dare impulso a un’interpretazione storico -evolutiva, secondo quanto affermato da Cass., n. 8980/2019), in tal modo scongiurando l’ipotesi di un ingiustificato arricchimento del concedente. Del resto, anche a voler ritenere analogicamente applicabile l’art. 1526 c.c. (sulla scorta della qualificazione del contratto come leasing traslativo), la richiamata previsione convenzionale costituiva ‘ un correttivo adeguato ad assicurare il meccanismo di salvaguardia di cui all’art. 1384 c.c., relativo alla clausola penale, essendo esclusa la possibilità di un indebito arricchimento ai danni dell’utilizzatore (. ..)’ (pag. 10 della sentenza impugnata). Né -aggiunse la Corte è sostenibile che il risarcimento del danno da risoluzione possa essere limitato all’interesse negativo (vale a dire quello derivante dall’aver stipulato un contratto poi risolto), discendendo dall’art. 1223 c.c. che esso possa estendersi al controvalore della prestazione inadempiuta.
Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, la quale ha successivamente depositato anche memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. Ha depositato controricorso RAGIONE_SOCIALE
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 11 e 12 disp. prel. c.c. e 1526 c.c., per avere il giudice di merito escluso l’applicabilità d i tale ultima norma, in relazione a un contratto di leasing cui non poteva applicarsi la l. n. 124/2017, siccome risolto anteriormente alla relativa entrata in vigore.
Il motivo è infondato.
È senz’altro vero (come osserva la parte ricorrente) che, secondo quanto statuito da Cass., Sez. un., n. 2061/2021, ‘ la disciplina di cui all’art. 1, commi 136-140, della legge n. 124 del 2017 non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge
stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente l’art. 72 quater l.fall. ‘. Errata è, tuttavia, la conseguenza giuridica che la ricorrente vorrebbe farne discendere, vale a dire che, alla stregua dell’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., le clausole contrattuali in discorso cadrebbero ineludibilmente sotto la scure del disposto del secondo comma di tale disposizione, imponendo al giudice di ‘ridurre l’indennità convenuta’ . Invero -sempre alla stregua del precedente delle Sezioni unite sopra richiamato -, il giudice è tenuto ad esercitare il potere correttivo di cui al combinato disposto degli artt. 1526, comma 2, e 1384 c.c. solo allorquando la concreta regolamentazione pattizia esprima un significativo squilibrio contrattuale, consentendo al concedente di acquisire, oltre alla proprietà del bene, anche i canoni maturati fino al momento della risoluzione medesima. Laddove, invece, le clausole contrattuali già contemplino -sub specie di cd. patto di deduzione meccanismi deputati a neutralizzare il suddetto squilibrio (improntando l’assetto contrattuale al la medesima ratio di fondo espressa dal successivo intervento normativo del 2017), le stesse non potranno che restare immuni dalla riduzione officiosa sopra richiamata. Ha osservato, al riguardo, Cass., n. 28022/2021, che ‘ è valida ed efficace sia la clausola che attribuisca al concedente il diritto al pagamento dei canoni scaduti e di quelli futuri attualizzati al momento della risoluzione, sia quella che gli attribuisca la facoltà di determinare unilateralmente il valore del bene oggetto del contratto al fine di detrarlo, previa eventuale vendita dello stesso, dal credito vantato verso l’utilizzatore; questa clausola (cd. patto di deduzione) deve, peraltro, essere interpretata ed eseguita secondo correttezza e buona fede, cosicché, nell’ipotesi in cui, al momento
dell’esazione del credito risarcitorio o restitutorio, il bene non sia stato ancora venduto, il concedente dovrà portarne in diffalco il valore commerciale (palesando il criterio adottato per individuarne il valore equo di mercato in caso di contestazione della stima da parte dell’utilizzatore, che avrà l’onere di provarne l’erroneità), mentre, nella contraria ipotesi in cui il bene sia stato già rivenduto, oggetto del diffalco sarà il ricavato della vendita, salva la riduzione del risarcimento, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., nel caso di vendita a prezzo vile per negligenza del concedente ‘ (circa la validità della ‘clausola di confisca che preveda la detrazione, in favore dell’utilizzatore, del prezzo effettivamente ricavato dalla vendita del bene oggetto di riconsegna ‘ si è espressa, tra le tante, anche Cass., n. 16632/2023). Ne consegue che, previa correzione della motivazione nel senso sopra indicato, il motivo dev’ essere rigettato. 3. Con il secondo motivo, la parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 1526 c.c., la cui corretta applicazione asseritamente preclude alle parti del contratto di leasing di pattuire convenzionalmente una clausola penale che valga a ricomprendere, nella somma dovuta al concedente in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, l’importo delle rate ancora a scadere. In caso contrario, la clausola sarebbe per ciò solo passibile di riduzione ex art. 1526, 2° comma, e 1384 c.c.
L’eccessività da ‘correggere’ dovrebbe rapportarsi, in altre parole, alla somma che competerebbe al concedente in conseguenza della risoluzione del contratto, e non già dell’ipotetica fisiologica esecuzione dello stesso.
Con il terzo motivo di ricorso, la RAGIONE_SOCIALE denunzia la falsa applicazione degli artt. 1223, 1453 e 1526 c.c., per non avere la c orte d’ appello limitato all’interesse negativo il perimetro del danno risarcibile in conseguenza della risoluzione, estendendolo all’equivalente delle rate ancora a scadere .
I motivi, che possono trattarsi congiuntamente in considerazione dell’ evidente connessione che li avvince, sono infondati.
All a stregua dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 2061/2021) oggetto della clausola penale è l’intero pregiudizio discendente dall’inattuazione del contratto (senza alcuna limitazione, quindi, al solo ‘ interesse negativo ‘) , purché non trasmodi in un arricchimento del concedente, che si realizza quando non si preveda che questi debba detrarre il valore del bene restituito dalle somme dovutegli dall’utilizzatore . A tal fine, si può richiamare quanto affermato da Cass., n. 28022/2021 (poco sopra citata), nonché da Cass., Sez. un., n. 2143/2021, nella cui motivazione si legge che ‘ l’equo compenso, ai sensi del primo comma dell’art. 1526 c.c., comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso, ma non include il risarcimento del danno spettante al concedente, che, pertanto, deve trovare specifica considerazione (Cass., 24 giugno 2002, n. 9162, Cass., 2 marzo 2007, n. 4969, Cass., 8 gennaio 2010, n. 73, Cass., 24 gennaio 2020, n. 1581) e, secondo la sua ordinaria configurazione di danno emergente e di lucro cessante (art. 1223 c.c., che impone che il danno patrimoniale sia integralmente ristorato, in applicazione del principio di indifferenza), tale da porre il concedente medesimo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto’ . La necessità di evitare la locupletazione del concedente non implica affatto, dunque, l’esclusione della possibilità di pattuire convenzionalmente la corresponsione, sub specie di risarcimento del danno da risoluzione, delle utilità che quegli avrebbe tratto dalla corretta esecuzione del contratto per la sua (residua) fisiologica durata.
Con il quarto motivo di ricorso, la parte ricorrente denunzia la violazione degli artt. 1384 e 1526 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., per aver e il giudice di merito accordato il risarcimento alla stregua delle
clausole contrattuali sopra menzionate, nonostante, in assenza della corrispondente domanda da parte della concedente, gli sarebbe stato consentito condannare l’utilizzatore al pagamento solo dell’equo compenso, a fronte della restituzione, da parte del concedente, dei canoni già percepiti.
Il motivo è infondato, tenuto conto che -a ben vedere – il giudice di merito si è limitato a rigettare la pretesa dell’utilizzatrice di ridurre il credito spettante al concedente sulla base della clausola n. 21 del contratto intercorso tra le parti, la cui applicazione (ricondotta o meno sotto l’egida dell’art. 1526 c.c. ) era, quindi, presupposta dalla stessa domanda introduttiva, avendo fondato l’ammissione al passivo delle relative voci.
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 1 1 .200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti del contributo unificato relativo al ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza sezione