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Clausola penale leasing: il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società utilizzatrice in un caso di leasing immobiliare. La controversia verteva sull’applicabilità dell’art. 1526 c.c. e sulla validità di una clausola penale leasing. La Suprema Corte ha rigettato i motivi del ricorso per vizi procedurali, tra cui la genericità delle censure e il difetto di autosufficienza, poiché i ricorrenti non avevano riprodotto i passaggi chiave degli atti di appello né il testo della clausola contestata.

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Clausola Penale Leasing: L’Importanza della Specificità nel Ricorso per Cassazione

L’ordinanza n. 7901/2024 della Corte di Cassazione offre un importante monito sulla necessità di rigore tecnico nella redazione dei ricorsi, in particolare quando si contesta una clausola penale leasing. La vicenda, nata dalla risoluzione anticipata di un contratto di leasing immobiliare, si è conclusa con una declaratoria di inammissibilità che vanifica le pretese dell’utilizzatore, non per il merito della questione, ma per vizi formali dell’impugnazione. Analizziamo i passaggi salienti di questa decisione.

I Fatti del Contenzioso

Una società stipulava un contratto di leasing immobiliare per un capannone. Anni dopo, comunicava alla concedente la volontà di recedere dal contratto e riconsegnare l’immobile, chiedendo la restituzione dei canoni versati al netto di un equo compenso, secondo quanto previsto dall’art. 1526 c.c. La società concedente, a fronte del mancato pagamento dei canoni residui, attivava una clausola risolutiva espressa e chiedeva il saldo.

Il Tribunale di primo grado, pur escludendo l’applicabilità dell’art. 1526 c.c. a causa di una specifica clausola penale, condannava la concedente a pagare una somma all’utilizzatrice, calcolata come differenza tra il valore di stima del bene e il credito residuo.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ribaltava completamente la decisione. Accoglieva il gravame della società concedente, stabilendo che la questione sull’inapplicabilità dell’art. 1526 c.c. era ormai coperta da giudicato, non essendo stata specificamente impugnata dall’utilizzatrice. Inoltre, riteneva che il valore del bene, secondo il contratto, dovesse essere determinato dal prezzo di effettiva ricollocazione sul mercato e non da una stima peritale. In assenza di prova di negligenza da parte della concedente nel trovare un nuovo acquirente, la domanda dell’utilizzatrice veniva respinta.

Le Motivazioni della Cassazione: analisi della clausola penale leasing

I soci della società utilizzatrice proponevano ricorso in Cassazione basato su quattro motivi, tutti dichiarati inammissibili. Vediamo perché.

Primo Motivo: L’inammissibilità per genericità e difetto di autosufficienza

I ricorrenti lamentavano l’errata applicazione dell’art. 1526 c.c. e contestavano la formazione del giudicato sul punto. La Corte Suprema ha respinto la censura definendola generica e priva di autosufficienza. I ricorrenti, infatti, si sono limitati ad affermare di aver sempre invocato tale norma, senza però riprodurre nel ricorso le parti specifiche dell’atto di appello con cui avrebbero contestato la decisione del primo giudice. Senza questi elementi, la Corte non ha potuto verificare la fondatezza della doglianza.

Secondo e Terzo Motivo: La mancata riproduzione della clausola penale leasing

Con questi motivi, i ricorrenti sostenevano che la clausola penale leasing fosse manifestamente eccessiva e costituisse una condizione meramente potestativa, quindi nulla. Anche in questo caso, il ricorso è stato giudicato inammissibile. La ragione è semplice e fondamentale: i ricorrenti non hanno riportato il testo della clausola contrattuale contestata. Questo ha impedito alla Corte di Cassazione di poter scrutinare la censura, che si riduceva a una mera valutazione di merito non consentita in sede di legittimità.

Quarto Motivo: L’aspecificità della censura sulla buona fede

L’ultimo motivo, relativo alla presunta violazione del principio di buona fede contrattuale da parte della concedente, è stato anch’esso dichiarato inammissibile per la sua aspecificità. La Corte ha evidenziato come l’illustrazione del motivo fosse confusa, mescolando vizi tra loro incompatibili (omessa pronuncia e omessa motivazione) e non indicando chiaramente le parti della sentenza impugnata ritenute errate.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione sottolinea una lezione cruciale: nel processo civile, e in particolare nel giudizio di legittimità, la forma è sostanza. L’inammissibilità del ricorso non deriva da una valutazione negativa nel merito delle ragioni dell’utilizzatore, ma dall’incapacità di presentare tali ragioni in modo processualmente corretto. Il principio di autosufficienza impone al ricorrente di fornire alla Corte tutti gli elementi per decidere, riproducendo i documenti e gli atti essenziali. Omettere il testo di una clausola contrattuale che si intende contestare o non indicare con precisione i motivi di appello rende l’impugnazione sterile. Questo caso serve da promemoria sull’importanza di un approccio meticoloso e tecnicamente ineccepibile nella redazione degli atti giudiziari.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per vizi procedurali. I ricorrenti non hanno rispettato il principio di autosufficienza, omettendo di riprodurre nel ricorso le parti essenziali degli atti di appello e il testo della clausola penale contestata, rendendo impossibile per la Corte valutare la fondatezza delle censure.

Cosa significa che una decisione è coperta da ‘giudicato’ secondo l’ordinanza?
Significa che una specifica statuizione della sentenza di primo grado (in questo caso, l’inapplicabilità dell’art. 1526 c.c.) non è stata contestata con uno specifico motivo di appello. Di conseguenza, quella parte della decisione è diventata definitiva e non può più essere messa in discussione nelle fasi successive del giudizio.

È possibile contestare una clausola penale leasing ritenuta eccessiva o nulla davanti alla Cassazione?
Sì, è possibile, ma il ricorso deve essere tecnicamente ben formulato. Come dimostra questa ordinanza, è indispensabile riprodurre integralmente il testo della clausola contestata e articolare le censure in modo specifico e non generico, per consentire alla Corte di svolgere il proprio ruolo di giudice di legittimità senza dover esaminare atti esterni al ricorso stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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