Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33478 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33478 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5042/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME domiciliazione telematica come in atti
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE e per essa RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME domiciliazione telematica come in atti
-controricorrenti-
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2560/2022 depositata il 20/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
la s.r.lRAGIONE_SOCIALE NOME Nero e NOME COGNOME convenivano in giudizio Intesa San Paolo Provis s.p.a., quale soggetto subentrato a Mediocredito Italiano s.p.a. per i crediti in sofferenza derivanti da contratti di locazione finanziaria conclusi da Leasint s.p.a., chiedendo che fosse dichiarata la risoluzione di un leasing traslativo del 2008 per avvalimento, nel 2012, da parte della concedente, di una clausola risolutiva espressa, conseguentemente accertando l’obbligo di restituzione dei canoni versati, con contestuale restituzione dell’imbarcazione oggetto di negozio, riducendo al contempo ad equità l’indennità d’uso e il risarcimento del danno quale pattuiti con penale, così da escludere ogni residua pretesa creditoria da parte della concedente e per essa della creditrice cessionaria, il tutto evidenziando di aver messo in mora la controparte sin dal 6 marzo 2013;
allegavano inoltre che andava detratto dal dovuto il valore del bene al momento dell’offerta sia pure informale di restituzione del bene, e la somma spesa per migliorie;
il Tribunale dichiarava inammissibili le domande concernenti la riduzione delle somme dovute al locatore ad equità, per previo giudicato derivante dalla sentenza di rigetto di un’opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla concedente stessa per i canoni scaduti, escludendo, però, che la debitrice fosse in mora dopo l’offerta restitutoria del bene avvenuta nel 2013, in assenza di
giustificato motivo di rifiuto, e ritenendo suscettibili solo di separato giudizio le questioni inerenti alla restituzione dell’imbarcazione e alla detrazione del valore di vendita della medesima dal dovuto a titolo di penale, secondo le pattuizioni espresse;
la Corte di appello confermava la decisione di prime cure quanto alla prima delle due riassunte statuizioni e riformava la seconda, osservando che:
-sulla domanda di ripetizione dei canoni ai sensi dell’art. 1526, cod. civ., si era già pronunciato il Tribunale in sede di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto per i ratei scaduti, disattendendola per la sussistenza di una valida clausola contrattuale, art. 21, volta ad assicurare al locatore l’ottenimento dei medesimi vantaggi pattuiti, comprensivi dei canoni anche a scadere unitamente all’importo dovuto per l’esercizio del diritto di opzione di acquisto, detratto il valore ottenuto dalla futura vendita dell’imbarcazione, così dovendosi escludere ogni ingiustificata locupletazione e, pertanto, ogni manifesta eccessività della clausola penale tale da dover legittimare riduzioni delle debenze così concordate;
-di qui il rigetto della domanda inerente ai rapporti di dareavere con accertamento dell’inesistenza di ulteriori pretese creditorie della concedente, essendo diverse le domande concernenti la restituzione del bene e l’imputabilità del relativo ritardo;
-quanto a quest’ultimo tema non poteva dirsi avere valenza liberatoria l’offerta di cui alla comunicazione del 6 marzo 2013 perché fatta da soggetto privo di procura, non documentata, e senza specifica della data e del luogo per compiere le operazioni rese sostanzialmente non risolvibili de plano «stanti le pretese di pagamento di elevati compensi per il deposito e per le intervenute opere di manutenzione eseguite sull’imbarcazione, commissionate dalla conduttrice e non ancora all’epoca pagate (ed ancora, in
buona parte, documentalmente non onorate nel 2018), fra cui quelle che il cantiere Isola Bianca ed il manutentore avevano tentato di addebitare alla società di leasing (v. doc. 10, 11 e 12 del fascicolo di primo grado dell’appellata), tanto che in data 15 maggio 2018 il signor NOME COGNOME della RAGIONE_SOCIALE aveva inviato una email (prodotta in atti dagli appellanti sub. doc. 25 nel corso dell’udienza del 23.5.2018 avanti al Tribunale), in cui ribadiva la necessità di ‘provvedere a stretto giro alla firma dell’accordo sugli importi dovuti dal leasing relativamente alla sosta dell’imbarcazione’, precisando altresì che ‘per quanto attiene ai lavori eseguiti a seguito del sinistro e oggetto di discussione in più di un’occasione, essendo volontà di RAGIONE_SOCIALE quella di regolare direttamente la partita, credo sia opportuno escluderla da nostro accordo’, così riferendo che i debiti al riguardo contratti dalla conduttrice, a quell’epoca, non erano ancora stati onorati»;
-dunque, aggiungeva la Corte territoriale, «la riconsegna del natante, in concreto ed utilmente, si è potuta ottenere da parte della concedente soltanto in data 7 e 8 agosto 2018, allorquando il signor NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE ha partecipato alle relative operazioni, sottoscrivendo il relativo verbale di ritiro presso il cantiere Isola Bianca di Olbia alla presenza del signor NOME COGNOME intervenuto in rappresentanza di Mediocredito Italiano RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta Intesa Sanpaolo Provis spa), oltre che l’allegata dichiarazione manoscritta, in cui lo stesso precisava di avere contestualmente riconsegnato la dotazione descritta in apposita appendice, ‘fatta eccezione per il materiale evidenziato in giallo, al momento non reperito’, in tale modo riconoscendo la non completezza di quanto in quel momento posto a disposizione della società di leasing (v. doc. 30 prodotto da RAGIONE_SOCIALE in prime cure). Pertanto, nella fattispecie, non si è verificato alcun ritardo, né alcuna violazione dei canoni di buona fede imputabili alla finanziaria, sicché il Giudice di prime cure effettivamente ha
errato nell’avere attribuito all’appellata una condotta illegittima con riferimento alla riconsegna del bene, che, per contro, RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto rendere alla concedente fin dalla intimazione di risoluzione contrattuale del 28.11.2012»;
-ne conseguiva che «l’accertamento dell’asserito valore della nave alla data del 6.3.2013, come richiesto dagli appellanti (rapportato al 6.3.2013), non ha alcuna rilevanza ai fini della decisione, né appare di utilità nel presente processo, a tacere che la società concedente non ha neppure azionato i crediti alla medesima spettanti ex art. 21 delle condizioni generali di contratto, così che le relative questioni -come bene ritenuto dal Giudice a quo – appaiono prive di attualità e di interesse ex art. 100 cpc, dovendosi affrontare, in tale eventualità, in apposita separata sede, tenendo conto dell’effettivo incasso ottenuto al momento della concreta ricollocazione sul mercato dell’imbarcazione, pari ad € 926.000,00 oltre iva, come documentato dall’appellata (v. comunicazione del 20.9.2021 resa da RAGIONE_SOCIALE al signor NOME COGNOME, depositata con apposita nota del 1.12.2021 di parte resistente), sul punto non smentita dai qui procedenti»;
-la consulenza tecnica per l’accertamento del valore del bene era in coerenza inammissibile perché esplorativa, così come generiche ed ininfluenti erano le richieste di prova orale al riguardo;
per la cassazione di questa decisione ricorre, sulla base di dodici motivi, NOME COGNOME quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, prima dichiarata fallita ma poi tornata in bonis per la revoca del fallimento, e quale fideiussore;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito della originaria concedente e rappresentata da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, divenute cessionarie dei rapporti negoziali
implicati e dei relativi crediti;
le parti hanno depositato memorie;
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 1526, cod. civ., 132, n. 4, 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché, in particolare, la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare, se non con apodittiche affermazioni, che proprio la clausola penale, non inibita e anzi prevista come possibile dalla disciplina codicistica della vendita con riserva di proprietà valutata applicabile, giustificava la domanda di accertamento dei rapporti di dare-avere in relazione alla detrazione, in tal modo consensualmente prevista, del valore dell’imbarcazione da restituire, tenendo conto anche dei canoni già versati, thema decidendum espressamente escluso dal giudicante dell’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto solo per i canoni scaduti e in quel momento dovuti, con conseguente esclusione di ogni preclusione da giudicato;
con il secondo e terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1526, 1384, 1418, 1325, 1375, 1374, cod. civ., 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché, in particolare, la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la richiamata normativa codicistica era il presupposto della coerente validità della clausola penale relativamente alla quale sussisteva il potere giudiziale di riduzione della stessa, tenuto complessivamente conto della condotta delle parti, posto che la locataria era in mora di sole tre mensilità al momento della risoluzione mentre la nave si trovava presso il cantiere per necessarie riparazioni e i conseguenti interventi di «refitting», a seguito di un grave incidente, per incendio a bordo, e il bene non poteva essere utilizzato per l’attività di charter, che costituiva l’attività d’impresa del locatario, laddove il contratto aveva avuto regolare esecuzione per un tempo pari a circa la metà della durata pattuita ed erano state versate dall’utilizzatore somme per oltre tre milioni di euro, in relazione a un finanziamento di sei milioni di euro relativo a un’operazione
complessiva di circa sette milioni di euro, fermo che l’utilizzatore stesso, dalla comunicazione della concedente di volersi avvalere della risoluzione non aveva avuto più la disponibilità giuridica del bene, ferma l’offerta restitutoria del 6 marzo 2013;
con il quarto, quinto, sesto, decimo e undicesimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1526, 2909, cod. civ., 100, 112, 132, n. 4, 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché, in particolare, la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare, se non con apodittiche affermazioni, come, posto che la domanda di accertamento dei rapporti di dare-avere in base alla clausola penale ritenuta valida non era preclusa dalla pronuncia sull’opposizione al monito per i canoni scaduti, sul punto vi era stata omessa pronuncia nel merito e in ogni caso era stata erroneamente affermata la carenza d’interesse attuale all’accertamento del valore dell’imbarcazione, rimettendo ad altra e futura sede giurisdizionale la questione, con lesione del diritto di difesa e del principio di economia processuale;
con il settimo, ottavo e nono motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1220, 1175, 1375, 1388, 1393, 1394, 1730, 1734, cod. civ., 115, 116, 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché, in particolare, la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che:
-la comunicazione di messa a disposizione dell’imbarcazione del 6 ottobre 2013 non era stata riscontrata né contestata quanto alla riferibilità alla locataria, oltre ad essere stata ratificata in occasione della successiva azione legale;
-i costi, palesati da documentazione obliterata, per rendere l’imbarcazione trasportabile, per sosta movimentazione e varo, erano di soli 23.780,00 euro, dovendosi escludere gli altri relativi alla manutenzione e oggetto di distinta discussione, ed erano dunque pienamente sopportabili dalla concedente che, per l’obbligo di leale collaborazione contrattuale anche a tutela dei legittimi
interessi della controparte, avrebbe dovuto attivarsi per prendere in carico la nave e ricollocarla utilmente senza attendere il facile deprezzamento di un bene notoriamente quanto pacificamente soggetto a forte obsolescenza;
-il ricordato obbligo collaborativo sperava anche la mancanza di specifica di data e luogo della riconsegna;
-le dotazioni pretesamente mancanti erano poi risultate, in base a documenti invece travisati ovvero esaminati solo parzialmente, solo quelle di pertinenza all’attività di charter lasciate dalla locataria per favorire la vendita del bene e, dunque, insuscettibili di legittimare alcun rifiuto di presa in consegna;
con il dodicesimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, cod. civ., 115, 116, 61, cod. proc. civ., poiché, in particolare, la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il valore del bene al momento dell’offerta di riconsegna era di tre milioni di euro, come documentato da un inserto pubblicitario prodotto senza contestazioni, fermo che, in caso di dubbi, il giudice avrebbe dovuto ammettere la sollecitata consulenza tecnica invece di disattende ogni emergenza e possibilità istruttoria per poi rigettare le correlate prospettazioni difensive;
Considerato che
i primi sei motivi, il decimo, l’undicesimo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati per quanto di ragione, con assorbimento logico del dodicesimo;
questa Corte (Cass., Sez. U., 28/01/2021, n. 2061 e succ. conf.) ha chiarito che la disciplina di cui all’art. 1, commi 136-140, della legge n. 124 del 2017 non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione
analogica, a quest’ultima figura, quale pacificamente quella in esame, della disciplina dell’art. 1526 cod. civ., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente l’art. 72-quater, legge fallimentare;
nella giurisprudenza di legittimità si è specificato che deve ritenersi valida la clausola penale con cui si stabilisca che, in ipotesi di risoluzione addebitabile all’utilizzatore, quale anche in tal caso quella in esame, restino acquisiti e dovuti i canoni pagati, scaduti e scadere, oltre all’importo per l’esercizio della cd. opzione di acquisto, qualora sia prevista la detrazione del valore d’intervenuta rivendita del bene ovvero quello di mercato, così evitandosi ingiuste locupletazioni e assicurandosi solo che la parte non inadempiente ottenga i legittimi vantaggi pattuiti senza ingiuste locupletazioni, in coerenza con i disposti degli artt. 1526, secondo comma, 1384, cod. civ., e del generale principio di buona fede contrattuale;
nella fattispecie, pacificamente, è stata sottoscritta proprio una tale clausola;
come visto, in un previo giudizio di opposizione a un decreto ingiuntivo ottenuto per i canoni scaduti, definito con pronuncia passata in giudicato, la clausola era già stata ritenuta valida, così come in questo giudizio, e, come dimostrato nel ricorso (v. in specie alle pagg. 25-26) in coerenza con il principio di specificità dello stesso codificato nell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., il giudice aveva ritenuto proprie di altra sede le questioni connesse alla restituzione del bene, avvenuta nel corso del presente processo, e pertanto alla relativa imputabilità dell’eventuale ritardo quale causa del possibile deprezzamento del bene, evidentemente nell’ottica della compiuta applicazione della clausola penale sopra ricordata; ciò posto, e al di là delle espressioni riferite alla riduzione dei canoni scaduti e già ingiunti, ne discende necessariamente che la
domanda di accertamento dei rapporti di dare-avere, in relazione alla penale, è stata espressamente posta fuori dal perimetro del giudizio previamente definito;
risulta pertanto erronea la pronuncia affermativa di una preclusione da giudicato;
del resto, la conclusione è illuminata dalla stessa apodittica contraddizione in cui è incorsa la Corte territoriale, quando, come sopra anticipato, ha affermato, infine, a fronte della descritta domanda di accertamento dei rapporti di dare-avere tra le parti sul punto, nell’ottica conclusivamente negatoria di ogni residua possibilità di avversa pretesa, che «la società concedente non ha neppure azionato i crediti alla medesima spettanti ex art. 21 delle condizioni generali di contratto, così che le relative questioni -come bene ritenuto dal Giudice a quo – appaiono prive di attualità e di interesse ex art. 100 cpc, dovendosi affrontare, in tale eventualità, in apposita separata sede, tenendo conto dell’effettivo incasso ottenuto al momento della concreta ricollocazione sul mercato dell’imbarcazione, pari ad € 926.000,00 oltre iva, come documentato dall’appellata»;
la concreta attualità dell’interesse a tale pronuncia, a prescindere dalla manifestazione anche giudiziale di quelle pretese, nasceva dalla clausola stessa, dal versamento dei canoni e dalla riconsegna dell’immobile infine avvenuta, fatti pacifici e accertati;
il giudice di merito avrebbe dovuto quindi ricostruire il dovuto in base alla penale e il valore del bene da detrarre, pertanto da accertare anche alla luce della documentazione prodotta (pag. 83 del ricorso) comprensiva d’altro canto dello stesso contratto che attribuiva un valore, per tempo, alla res, se del caso approfondendo con una verifica tecnica officiosa, solo assertivamente indicata come esplorativa a fronte della ritenuta irrilevanza, peraltro, nel processo, dello stesso accertamento di quel valore;
così facendo lo stesso giudice avrebbe dovuto pronunciare sul merito della domanda medesima, in modo da vagliare se, come prospettato, non potessero residuare altre pretese da parte del titolare del credito del concedente ovvero se dovesse disporsi un rimborso di quanto già versato in base al decreto ingiuntivo confermato in un momento in cui, correttamente, non essendovi stata riconsegna dell’imbarcazione ed essendo stato ritenuto questo tema estraneo a quel giudizio sulla sussistenza dell’obbligo di pagamento dei canoni a quel tempo scaduti, non poteva procedersi alla detrazione prevista dalla clausola in parola (cfr., utilmente, Cass., 22/03/2022, n. 9210, secondo cui, in tema di leasing traslativo, dal principio di salvaguardia del corretto equilibrio contrattuale discende che l’utilizzatore abbia diritto all’eventuale restituzione delle rate pagate solo previa restituzione del bene, dal momento che solo dopo tale restituzione il concedente potrà trarre dalla cosa ulteriori utilità e sarà possibile ricostruire quanto spettante alle parti; cfr. anche Cass., 14/03/2023, n. 7367, specie pag. 10, citata in memoria dalla difesa ricorrente, sulla funzione sinallagmatica, nel suddetto senso, della restituzione del bene oggetto di leasing);
il settimo, ottavo e nono motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
pur rispondendo ai generali e indiscussi obblighi di collaborazione attuativi della buona fede contrattuale il riscontro, omesso dal concedente, dell’invito alla ripresa di possesso dell’imbarcazione fatta nel 2013 dall’utilizzatore, così da superare agevolmente la mera mancanza di data e luogo per tali operazioni, e parimenti verificare la riferibilità alla controparte della stessa comunicazione, per il resto pacificamente quanto significativamente specifica, nella prospettazione dei ricorrenti avrebbero dovuto essere ritenuti irrilevanti i costi di sosta, movimentazione e varo da saldare per
ottenere la riconsegna della nave, ammontanti a 23.780,00 euro, anche alla luce del valore della cosa e nell’ottica dell’obbligo di rivendita o acquisizione del controvalore di un bene particolarmente soggetto a obsolescenza, per preservare la corretta ed equilibrata attuazione della clausola penale;
tra le ragioni decisorie che hanno indotto la Corte territoriale ad affermare la sussistenza di un legittimo rifiuto di presa in consegna del bene quale offerta, vi sono sia i costi di deposito che quelli di manutenzione dovuti e oggetto di discussione;
l’affermazione è stata fatta con riferimento alla impossibilità di ‘risolvere de plano’ ogni questione necessaria alla ripresa del bene, e dunque anche alla singola questione di costi di sosta, movimentazione e varo;
la sentenza in questa sede gravata ha quindi ritenuto che non potesse farsi carico di un tale onere al creditore rendendo in questo modo illegittimo in concreto il suo rifiuto, e la conclusione è oggetto di un giudizio di fatto motivato in modo non implausibile e perciò non emendabile in chiave di corretta sussunzione dei fatti constatati nella corrispondente fattispecie legale, posto che la somma di quasi 24 mila euro non è irrisoria sicché il suo pagamento, per converso, era allora obbligo di buona fede negoziale in primis del debitore non scaricare indebitamente sulla controparte (cfr., in tema, Cass., 04/04/2017, n. 8672, pagg. 910: «la violazione delle regole della buona fede rappresentano, per la Corte d’appello, il punto di approdo di una valutazione globale dell’intero quadro probatorio esistente»);
tanto basta al rigetto sul punto;
alla fondatezza nei suindicati termini dei primi sei motivi di ricorso, nonché del decimo e dell’ undicesimo motivo, assorbito il dodicesimo motivo e rigettati gli altri motivi, consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d ‘A ppello di Milano,
che in diversa composizione procederà a nuovo esame facendo applicazione dei suindicati disattesi principi, e provvederà anche in ordine alle le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione i primi sei motivi, nonché il decimo e l’ undicesimo motivo; dichiara assorbito il dodicesimo motivo; rigetta gli altri motivi. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d ‘A ppello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 3/10/2024