Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3583 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3583 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2600/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
LABORANTI NOMECOGNOME
-intimato – avverso la sentenza n. 2882/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME COGNOME esposto di essersi reso promissario acquirente di due unità immobiliari promessegli in vendita da NOME COGNOME per il complessivo prezzo di € 410.292,80, interamente versato, anche a titolo di caparra confirmatoria, che la controparte, nonostante i numerosi inviti non si era resa disponibile
per la stipula del contratto definitivo, che, di conseguenza, intendeva recedere dal contratto, chiese che, accertato il grave inadempimento del promittente alienante, quest’ultimo fosse condannato al pagamento del doppio della caparra, equivalente a € 820.585,60.
Il convenuto eccepì la nullità della caparra, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. e, in subordine, qualificata la stessa come penale, chiese disporne riduzione per manifesta eccessività.
Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando, di conseguenza, il convenuto al pagamento della somma di € 820.585,60, oltre interessi.
La Corte d’appello di Milano, qualificata la clausola negoziale di cui si discute quale penale, ritenne conforme a giustizia ridurne l’ammontare della metà, così accogliendo in parte l’impugnazione del RAGIONE_SOCIALE Tuttavia, in dispositivo determinò la somma da pagarsi al COGNOME in sole € 410.292,80.
2.1. Questi, in sintesi, per qual che qui rileva, gli argomenti fatti propri dalla sentenza di secondo grado.
Con il primigenio accordo il COGNOME aveva corrisposto, a titolo di caparra confirmatoria, la somma di € 50.000,00 e, via via nel tempo, attraverso altri acconti, era arrivato a saldare l’intiero prezzo di € 410.292,80. Per contro il promittente alienante si era reso inadempiente. Di conseguenza doveva <>. Il significato letterale delle parole utilizzate nello strumento negoziale non era ostativo a una tale interpretazione, in
presenza di altri elementi che militavano nel senso sposato dalla decisione.
La Corte locale, pervenuta così alla qualificazione di clausola penale, in ragione della ritenuta eccessività la riportò a equità nell’anzidetta misura.
NOME COGNOME ricorre sulla base di quattro motivi. La controparte è rimasta intimata. Il ricorrente ha depositato memoria.
Con il primo motivo viene denunciata violazione ed errata applicazione degli artt. 1362 e 1385 cod. civ.
Il ricorrente assume che la Corte locale abbia errato a qualificare la clausola come penale, invece che come caparra confirmatoria.
Per giungere a una tale conclusione, prosegue il ricorrente, la Corte d’appello aveva disatteso il chiaro dato letterale, senza che emergessero dal contratto elementi tali da fare risultare inconferente l’interpretazione rispettosa delle parole utilizzate dai contraenti.
4.1. Il motivo va rigettato.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che, qualora le parti, con riferimento al versamento di una somma di denaro effettuato al momento della conclusione del contratto, abbiano adoperato la locuzione “caparra confirmatoria”, la relativa dazione deve ritenersi avvenuta a tale titolo, secondo il criterio ermeneutico del significato letterale delle parole, potendo interpretarsi diversamente la comune volontà dei contraenti solo in presenza di altri elementi, quali circostanze o situazioni di segno opposto, che evidenzino l’uso improprio di una tale espressione o la non aderenza alla situazione oggettiva (Sez. 6, n. 12423, 21/05/2018, Rv. 648520 -01; conf., Cass. n. 28573/2013).
Il Collegio rileva che la qualificazione effettuata dalla Corte di Milano si pone in attuazione del principio sopra riportato. Qui, per vero, le circostanze o situazioni che evidenziano un uso improprio dell’espressione ‘caparra confirmatoria’ risultano essere state puntualmente individuate dal Giudice d’appello, il quale ha bene evidenziato la mancanza, in concreto, della bilateralità, necessaria ad attribuire senso all’apposizione di una clausola confirmatoria. Evidenza, questa, che rende del tutto plausibile interpretare la disposizione quale clausola penale, volta a garantire il solo promissario acquirente, il quale aveva totalmente adempiuto alla propria obbligazione, dall’inadempimento della controparte.
Anche assai di recente si è precisato che, nell’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, il criterio letterale va integrato, nell’obiettivo normativamente imposto di ricostruire la volontà delle parti, con gli altri canoni ermeneutici idonei a dare rilievo alla “ragione pratica” del contratto, in conformità agli interessi che le parti medesime hanno inteso tutelare, nel momento storico di riferimento, mediante la stipulazione negoziale (Sez. 3, n. 29288, 13/11/2024, Rv. 672663).
Stando così le cose, la sentenza ha, sul punto, reso interpretazione, rispettosa dei canoni legali, giungendo a un risultato coerente e plausibile, in questa sede non censurabile, avendo individuato la ‘ragione pratica’, ostativa all’interpretazione agognata dal ricorrente.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione ed errata applicazione degli artt. 1382 e 1384 cod. civ., addebitandosi alla sentenza impugnata di essere giunta <>, poiché, dopo avere qualificato la clausola come penale e averla ridotta della metà (€ 205.146,40, invece che € 410.292,80), in dispositivo ha condannato il RAGIONE_SOCIALE
al pagamento della sola somma di € 410.292,80, costituente mera e sola restituzione del prezzo pagato.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione ed errata applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la sentenza finito per assegnare al RAGIONE_SOCIALE un bene della vita, oltre quanto da costui prospettato, il quale si era limitato a chiedere la riqualificazione in clausola penale.
Il complesso censorio è palesemente fondato, avendo il ricorrente correttamente individuato l’irriducibile aporia, che ha portato la decisione a escludere del tutto la condanna al pagamento della penale, sia pure nella misura ridotta reputata di giustizia dalla Corte d’appello. Di conseguenza, oltre alla restituzione del prezzo, la controparte dovrà essere condannata al pagamento della penale nella misura ridotta individuata dalla Corte locale.
Il quarto motivo, con il quale il ricorrente denuncia violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in ordine al regolamento delle spese, è assorbito in senso proprio dall’accoglimento del secondo e del terzo motivo.
Cassata la sentenza in ragione di quanto esposto, il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo e il terzo motivo, rigetta il primo e dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata, in relazione agli accolti motivi, e rinvia alla Corte d’appello di Milano, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024