Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25061 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25061 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12522/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME -domicilio digitale alla PEC: mercuristudiolegale@pec.it-
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME -domicilio digitale alla PEC: EMAIL–
-controricorrente-
nonchè contro
NOME COGNOME e NOMECOGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 850/2019 depositata il 08/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. In data 14.11.1999 era intervenuto un contratto preliminare di compravendita tra NOME COGNOME (promissario acquirente) e la Società RAGIONE_SOCIALE (promittente venditrice).
Il COGNOME aveva successivamente adito il Tribunale di Foggia domandando la risoluzione del preliminare per inadempimento della promittente venditrice, con condanna della stessa alla restituzione degli acconti già corrisposti sul prezzo, facendo subordinatamente valere la nullità della clausola 7 del contratto -con la quale le parti avevano disciplinato la penale per inadempimento; l’attore aveva chiamato in giudizio anche NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di COGNOME RAGIONE_SOCIALE società costruttrice proprietaria dell’immobile promesso in vendita- e NOME COGNOME successivo acquirente del bene già promesso in vendita al ricorrente-, chiedendone la condanna, in solido con RAGIONE_SOCIALE, al risarcimento dei danni subiti, i primi due a titolo di responsabilità extracontrattuale e la terza a titolo di responsabilità contrattuale.
Costituendosi in giudizio RAGIONE_SOCIALE aveva invocato in via riconvenzionale , ex art.7 del contratto preliminare, l’operatività della clausola risolutiva espressa, non essendosi il promissario acquirente presentato avanti al notaio senza addurre giustificazione alcuna, e il suo diritto di trattenere, a titolo di penale, l’importo già versato da COGNOME; quest’ultimo , nella prima memoria ex art.183 c.p.c., aveva chisto, in subordine rispetto alla domanda di declaratoria di nullità della clausola pure originariamente proposta in citazione, la riduzione della stessa ad equità ex art.1384 c.c.
Il primo Giudice, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale della convenuta, aveva dichiarato risolto il contratto preliminare, qualificando come inadempiente il comportamento del promissario acquirente COGNOME -che aveva disertato senza valido motivo l’incontro fissato avanti al notaio per la conclusione del contratto definitivo-, riducendo però l’importo della penale e disponendo la restituzione a COGNOME del di più versato alla RAGIONE_SOCIALE, con rigetto di tutte le altre domande.
La società promittente venditrice aveva proposto appello, cui aveva aderito NOME COGNOME; COGNOMENOME si era costituito senza proporre appello incidentale.
La Corte d’Appello di Bari aveva respinto l’impugnazione osservando quanto segue (per quanto ancora rileva in questa sede):
-quanto alla prospettata errata interpretazione della clausola 7 del contratto preliminare risolto, relativa alla duplice valenza della stessa di risoluzione espressa e di determinazione della penale, apparivano condivisibili le considerazioni del primo Giudice: questo sia per la limitazione della sua validità quale clausola risolutiva espressa; sia per la declaratoria di sua illegittimità quanto alla determinazione, troppo generica, della somma dovuta a titolo di penale (che avrebbe dovuto corrispondere a tutte le somme a vario titolo versate nel tempo dal promittente venditore); sia quanto alla ricorrenza dei presupposti di applicazione della riduzione ex art.1384 c.c. Sotto l’ultimo profilo evidenziato ‘ correttamente rilevava il Tribunale che, in virtù della suddetta determinazione generica, comprensiva di tutte le somme versate, la clausola penale poteva determinarsi in una somma, lievemente inferiore al prezzo complessivo convenuto e, quindi, con una manifesta sproporzione che legittimava la riduzione ad equità della stessa ex art.1383 c.c. ‘; ‘ La previsione normativa predetta era, tra l’altro, perfettamente applicabile per la contestuale sussistenza di entrambi i presupposti normativamente richiesti, ovvero il parziale adempimento dell’obbligazione principale (versamento di £ 125.000.000 a fronte del prezzo concordato per il definitivo in £ 155.000.000) e la manifesta eccessività della stessa, supportata dalla evidente sproporzione riscontrata ‘; il giorno successivo alla stipula prevista per il 9.9.2002 e non effettuata, inoltre, la promittente venditrice aveva già concluso un altro contratto per un corrispettivo identico a quello concordato nel contratto preliminare oggetto di controversia;
-infondata era anche la censura di irritualità della domanda subordinata di riduzione ad equità, perché ipotizzata come tardivamente proposta in aggiunta alla domanda subordinata di nullità della clausola 7 originariamente formulata, con una mutatio libelli affermata appunto inammissibile (la Corte richiamava, per motivare il rigetto della censura, sia le SSUU n.12310/2015, sia il fatto che la riduzione della penale avrebbe potuto essere disposta d’ufficio).
Contro tale sentenza, ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a tre motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME mentre NOME COGNOME e NOME COGNOME sia in proprio che per RAGIONE_SOCIALE sono rimasti intimati.
La ricorrente e il controricorrente hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE lamenta un ‘Vizio di attività, erronea applicazione della legge processuale -art.360 co 1 n.4 c.p.c. mutatio libelli ‘ .
A dire della ricorrente, la richiesta di riduzione della penale, formulata per la prima volta nella prima memoria ex art.183 co 6 n.1 c.p.c. sarebbe tardiva -anche ai sensi della sentenza delle SSUU di questa Corte n.12310/2015- perché costituente una inammissibile mutatio libelli . Si tratterebbe infatti di una domanda ulteriore che si sarebbe andata ad aggiungere a quelle originarie di risoluzione del contratto preliminare e di risarcimento danni.
Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta un ‘Erroneo esercizio del prudente apprezzamento della prova -art.360 co 1 n.5 c.p.c.- Erronea valutazione della prova documentale -art.360 co 1 n.4 c.p.c.motivazione apparente’.
La Corte di merito non avrebbe tenuto conto del fatto che, se è vero che la riduzione della penale è esercitabile d’ufficio, è altrettanto vero che detto esercizio non può essere arbitrario ma deve essere subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova incombenti sulla parte interessata; la Corte avrebbe invece fondato la decisione su un’affermazione generica, senza specificare i riferimenti istruttori acquisiti sui quali essa si sarebbe dovuta basare e con una motivazione solo apparente.
Il secondo motivo deve essere esaminato con priorità, perché potenzialmente assorbente rispetto al primo: ove infatti si riconosca il carattere officioso del potere di intervento del Giudice sull’entità della penale nell’operarne la riduzione ex art.1384 c.c., sarebbe ininfluente valutare se si debba o meno ritenere tempestiva la richiesta di riduzione ad opera della parte contro la quale la clausola è fatta valere, effettuata per la prima volta con la prima memoria ex art.183 co VI n.1 c.p.c., in alternativa alla domanda di declaratoria di nullità della clausola stessa inizialmente articolata.
Il motivo è infondato.
S ull’esistenza del potere officioso del Giudice di riduzione della penale, ex art.1384 c.c., non possono più esservi dubbi, essendosi espresso in tal senso l’orientamento interpretativo di questa Corte ormai da decenni: si richiama, in
proposito, la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n.18128/2005, secondo la quale ‘ In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art.1384 cod. civ. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l’obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacchè in quest’ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta ‘; da questa regola, originante appunto un orientamento interpretativo consolidato -tra le altre, Cass. 8293/ 2006; Cass. 2202/ 2007; Cass. 25334/2017; Cass. n.34021/2019; Cass. n.11439/2020, cfr. anche Cass. n.19320/2018 sulla possibilità di richiedere per la prima volta la riduzione della penale in appello-, è stata derivata la conseguenza che la riduzione può operare anche contro la volontà delle parti, proprio perché è prevista non solo nell’interesse di una di esse, ma nell’interesse generale a che non si stipulino contratti eccessivamente iniqui, ed anche, quindi, se le parti ne prevedano espressamente l’irriducibilità o se vi sia stato adempimento spontaneo rispetto ad essa -cfr., da ultimo, Cass. n.3297/2024-.
E’ di conseguenza totalmente irrilevante stabilire se la parte debitrice -ormai pacificamente individuata in NOME COGNOME il cui inadempimento ha determinato, secondo la pronuncia di merito che non è più in discussione sul punto, l’operatività della clausola risolutiva espressa pure pattuita all’art. 7 del contratto preliminare- abbia introdotto la richiesta di riduzione tempestivamente e/o se detta domanda costituisca una mutatio libelli oppure no: a prescindere da qualsiasi iniziativa delle parti, ove si tratti di applicare una penale il potere del Giudice di valutare l’esistenza dei presupposti per una sua riduzione ad equità deriva direttamente dall’art.1384 c.c., senza necessità di essere mediato da opportune iniziative della parte interessata.
RAGIONE_SOCIALE lamenta che i Giudici di merito, da ultimo la Corte d’Appello di Bari, avrebbero operato senza che COGNOMENOME avesse adempiuto agli oneri di allegazione e prova, comunque, su di lui incombenti. In particolare, la Corte di merito non avrebbe dato conto delle valutazioni compiute ‘ in ordine all’interesse della creditrice all’adempimento e all’incidenza
dell’inadempimento del COGNOMENOME sull’equilibrio delle prestazioni ‘ -così il ricorso a pag.16-.
Anche questo profilo di doglianza deve essere disatteso, perché la Corte d’Appello di Bari ha motivato, sulla base delle circostanze di fatto e degli elementi di prova ritualmente acquisiti agli atti, valorizzandoli ai fini del vaglio della penale in termini di congruità. In particolare, ha: -rilevato come la previsione che dovesse essere considerata penale l’intera somma progressivamente versata costituisse una sproporzione manifesta, considerata l’entità dell’importo versato (£ 125.000.000) rispetto al pattuito (£ 155.000.000), e tenuto conto altresì del parziale adempimento di una parte significativa della prestazione che sarebbe stata a carico del promissario acquirente; sottolineato la ‘evidente insussistenza’ di danni per la promittente venditrice, che il giorno dopo la mancata presentazione di COGNOME alla stipula aveva concluso il contratto di compravendita immobiliare con un terzo allo stesso prezzo pattuito con il controricorrente.
Come si vede, la Corte di merito ha argomentato in modo logico e comprensibile, sulla base di quanto allegato agli atti dalle parti -secondo una valorizzazione del materiale istruttorio che, secondo l’art.116 c.p.c., è propria del Giudice di merito, non sottostà ad alcuna sollecitazione e/o limitazione ad opera delle parti e non è sindacabile in sede di legittimità, salvo la violazione delle norme regolatrici delle prove che certamente non ricorre nel caso di specie (cfr., sul punto, Cass. a SSUU n.20867/2020)-, nel pieno rispetto del disposto dell’art.132 n.4 c.p.c. e con esclusione di qualsivoglia apparenza di motivazione: quest’ultima ricorre, secondo la costante giurisprudenza di legittimità quando ‘ la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145) ‘ -così da ultimo, in motivazione, la sentenza delle SSUU n.2767/2023-, mentre, in concreto, è chiaramente identificabile il percorso logico che ha condotto la Corte d’Appello di Bari -e, prima, il Tribunale di Foggia- a ritenere esistenti i presupposti di riduzione
della penale e i criteri attraverso i quali essa doveva essere ricondotta quantitativamente ad equità.
In sostanza, a fronte di decisioni conformi in primo e in secondo grado, la ricorrente vorrebbe una rivisitazione degli elementi istruttori acquisiti che, al contrario di quanto ritenuto in sede di merito, conduca ad escludere l’esistenza dei presupposti di riduzione della penale, sollecitando un tipo di valutazione inammissibile in sede di legittimità e preclusa, anche per eventuali profili di rilievo ex art.360 n.5 c.p.c., dal disposto dell’art.348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., applicabile ratione temporis .
Le esposte considerazioni assorbono logicamente l’esame del primo motivo (sulla mutatio libelli).
Con un ulteriore motivo di critica RAGIONE_SOCIALE lamenta ‘inadempimento dell’attore -parametro di riferimento della riduzione ad equità della clausola penale erroneo esercizio del prudente apprezzamento della prova -art.360 co 1 n.5 c.p.c.- violazione o falsa applicazione di norme di diritto -art.360 co 1 n.3 c.p.c.-‘.
Secondo la ricorrente, sotto un primo profilo, il Giudice di primo grado, confermato dal Giudice d’Appello, non avrebbe tenuto conto che COGNOMENOME si era obbligato ad acquistare per £ 179.550.000, considerati i lavori extracontratto, come puntualmente approfondito dalla promittente venditrice: la Corte di merito, in particolare, non avrebbe tenuto conto che COGNOMENOME non avrebbe adempiuto agli oneri di allegazione e prova che gli incombevano. Sotto un secondo profilo, vi sarebbe nel caso di specie una evidente confusione tra clausola risolutiva espressa e clausola penale, tanto che i Giudici di merito avrebbero applicato la clausola penale prevista all’art. 8 del contratto, mentre la clausola sub 7 sarebbe stata solo una clausola risolutiva espressa alla quale l’art.1384 c.c. non poteva essere applicato.
Il motivo in esame è inammissibile perché, per il primo profilo, puramente meritale e per il secondo profilo carente di autosufficienza.
Attraverso la contestazione sull’identificazione di quello che avrebbe dovuto essere considerato il prezzo pattuito, nel quale si assume la ricomprensione del corrispettivo per lavori extra, si vuole rimettere in discussione la valutazione di merito operata dalla Corte attraverso l’interpretazione e la valorizzazione degli elementi istruttori acquisiti agli atti, in un contesto di inapplicabilità del disposto dell’art.360 n.5 c.p.c. per l’identità di decisione nei due gradi di merito.
Il preteso errore di interpretazione delle clausole negoziali in cui si assume sarebbero incorsi i Giudici di merito si fonda, tra l’altro, sul contenuto e sull’interpretazione della clausola 8 del contratto preliminare, il cui testo non viene riportato né nel testo del ricorso né nel motivo in esame e alla quale non vi è alcun riferimento, nemmeno indiretto, nella sentenza impugnata: non è quindi, prima di tutto, rispettato il disposto dell’art.366 co 1 n.6 c.p.c. dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione della clausola che, secondo la ricorrente, sarebbe stata erroneamente applicata rispetto a quella presa invece a riferimento, con indicazione degli elementi da cui l’errore lamentato emergerebbe, al fine di consentire alla Corte una verifica adeguata anche in materia l’orientamento interpretativo di legittimità è consolidato e confortato dalla giurisprudenza comunitaria in relazione all’art.6 CEDU: cfr., tra le tante, Cass. n.25728/2013, Cass. n.28319/2017, Cass. n.6735/2019, Cass. n.13163/2019, Cass. n.21346/2024-. In sostanza, non essendo stata trascritta la citata clausola n. 8 e non essendo stata valorizzata la parte delle clausole sulle quali si fonderebbe l’assunto dell’intervenuta applicazione della clausola 8 invece che, come emergente dalla sentenza, della clausola 7 espressamente indicata come contenente anche la clausola penale, non è dato comprendere in che modo sia predicabile la prospettata violazione di legge. Il richiamo al documento contrattuale non è utile a superare la carenza di autosufficienza perché pretende inammissibilmente di far fare alla Corte l’attività di individuazione e interpretazione delle clausole e/o delle parti del contratto dalle quali si dovrebbe ricavare la violazione prospettata.
In conclusione, il ricorso proposto deve essere integralmente respinto, con inevitabile addebito delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, alla ricorrente risultata soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna RAGIONE_SOCIALE a rimborsare le spese del giudizio di legittimità al NOME COGNOME liquidandole in complessivi € 5.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il