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Clausola penale e condominio: quando è vessatoria?

Una società fornitrice di servizi energetici ha citato in giudizio un condominio per il mancato pagamento di una fattura e dei relativi interessi di mora, pattuiti al 9,25%. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, stabilendo che il condominio deve essere considerato un ‘consumatore’. Di conseguenza, una clausola penale che prevede interessi di mora ‘manifestamente eccessivi’ è da considerarsi vessatoria e nulla ai sensi del Codice del Consumo. La Corte ha chiarito che spetta al professionista, e non al condominio, l’onere di provare l’esistenza di una specifica trattativa individuale sulla clausola contestata.

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Clausola Penale nel Condominio: La Cassazione Tutela il Consumatore

La stipula di contratti di fornitura per un condominio nasconde insidie legali che possono avere conseguenze economiche rilevanti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il condominio, nei rapporti con i fornitori, agisce come consumatore e gode delle relative tutele. Ciò significa che una clausola penale per ritardato pagamento, se ritenuta eccessiva, può essere dichiarata nulla. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una società specializzata in servizi termici citava in giudizio un condominio milanese per ottenere il pagamento del saldo di una fattura del 2011 e dei relativi interessi di mora, fissati contrattualmente al 9,25%. Il condominio si opponeva, contestando sia il debito principale sia la validità della clausola sugli interessi, ritenendola vessatoria.

La Clausola Penale e la Decisione dei Giudici di Merito

Il Tribunale di primo grado rigettava completamente la domanda della società, qualificando il condominio come consumatore e giudicando vessatoria la clausola sugli interessi di mora ai sensi dell’art. 33, lettera f) del Codice del Consumo. La Corte d’Appello, pur riconoscendo che il debito principale era stato nel frattempo saldato, confermava la nullità della clausola. I giudici ritenevano il tasso del 9,25% ‘manifestamente eccessivo’, soprattutto se confrontato con il tasso legale dell’epoca. Di conseguenza, il condominio veniva condannato a pagare gli interessi solo nella misura legale, molto più bassa.

La qualifica del condominio come consumatore

Il punto di partenza dell’intera vicenda legale è la natura giuridica del condominio. La Corte di Cassazione, in linea con il suo orientamento consolidato, ha affermato che quando un amministratore stipula un contratto con un professionista (ad esempio, un fornitore di servizi), agisce come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini. Poiché i condomini sono persone fisiche che agiscono per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale o professionale, essi devono essere considerati consumatori. A cascata, l’intero condominio beneficia della disciplina di tutela prevista dal Codice del Consumo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La società fornitrice ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: una motivazione apparente da parte della Corte d’Appello e una violazione delle norme sugli interessi e sull’onere della prova. La Suprema Corte ha respinto entrambi i motivi, consolidando importanti principi.

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dell’art. 33, comma 2, lettera f) del Codice del Consumo. Questa norma definisce vessatoria la clausola che impone al consumatore, in caso di inadempimento o ritardo, il pagamento di una somma di denaro ‘di importo manifestamente eccessivo’ a titolo di risarcimento o clausola penale.

La Corte ha specificato che la valutazione sulla manifesta eccessività è un potere discrezionale del giudice di merito, il quale ha correttamente confrontato il tasso contrattuale (9,25%) con quello legale, evidenziando una notevole sproporzione a danno del condominio-consumatore.

Un altro aspetto cruciale riguarda l’onere della prova. La società sosteneva che dovesse essere il condominio a provare l’eccessività della penale. La Cassazione ha ribaltato questa prospettiva: nel diritto dei consumatori, è il professionista a dover dimostrare che la clausola potenzialmente vessatoria sia stata oggetto di una ‘trattativa individuale, seria ed effettiva’. In assenza di tale prova, che la società fornitrice non ha fornito, la clausola si presume imposta unilateralmente e, se squilibrata, viene dichiarata nulla.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre una lezione chiara per amministratori di condominio e fornitori di servizi.

1. Per i fornitori: È essenziale riconoscere che i contratti con i condomini ricadono sotto la disciplina consumeristica. Imporre clausole penali con tassi di interesse molto elevati, anche se allineati a quelli delle transazioni commerciali, espone al rischio che vengano dichiarate nulle. Per renderle valide, è necessario non solo inserirle nel contratto, ma essere in grado di dimostrare una reale e specifica negoziazione su quel punto.

2. Per gli amministratori e i condomini: Questa decisione rafforza la posizione del condominio come parte debole del contratto. In caso di clausole che appaiono sproporzionate, come interessi di mora molto alti, è possibile contestarne la validità e chiederne la disapplicazione, con un conseguente e significativo risparmio economico.

Un condominio può essere considerato un ‘consumatore’ ai fini legali?
Sì. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, quando l’amministratore stipula un contratto per conto del condominio, agisce come rappresentante dei singoli condomini, i quali, essendo persone fisiche che operano per scopi non professionali, sono qualificati come consumatori. Di conseguenza, al contratto si applica la tutela del Codice del Consumo.

Una clausola che prevede interessi di mora elevati in un contratto con un condominio è sempre legittima?
No. Se l’importo degli interessi è ‘manifestamente eccessivo’, la clausola può essere considerata una clausola penale vessatoria ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo. In tal caso, la clausola è nulla e il fornitore avrà diritto solo agli interessi nella misura legale, che è generalmente molto più bassa.

In caso di contestazione, chi deve provare che una clausola contrattuale è stata negoziata individualmente?
L’onere della prova grava sul professionista (il fornitore del servizio), non sul consumatore (il condominio). Il fornitore deve dimostrare che la clausola potenzialmente vessatoria è stata oggetto di una trattativa specifica, seria ed effettiva con il rappresentante del condominio. In mancanza di tale prova, la clausola si presume non negoziata e può essere dichiarata nulla dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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