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Clausola penale e buona fede: la Cassazione decide

In un caso riguardante un contratto preliminare di cessione di quote societarie, la Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola penale non è dovuta se l’inadempimento del debitore è stato causato dal comportamento del creditore contrario a buona fede. La Corte ha ritenuto che la condotta del promittente venditore, caratterizzata da ritardi e mancanza di comunicazione, avesse reso l’inadempimento non imputabile al promissario acquirente, escludendo così il diritto a riscuotere la penale.

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Clausola penale e buona fede: quando il creditore perde il diritto al risarcimento

L’inserimento di una clausola penale in un contratto è una prassi comune per tutelarsi da eventuali inadempimenti. Tuttavia, il diritto a riscuoterla non è automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che se il creditore, con il suo comportamento contrario a buona fede, contribuisce a causare l’inadempimento del debitore, perde il diritto a pretendere il pagamento della penale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un contratto preliminare per la cessione di quote societarie. Il contratto prevedeva una penale a carico del promissario acquirente in caso di mancata stipula del contratto definitivo. Poiché l’acquirente non si presentava per la firma finale, il promittente venditore agiva in giudizio per ottenere il pagamento della somma pattuita nella clausola penale.

In primo grado, il Giudice di Pace accoglieva la domanda del venditore. Tuttavia, in appello, il Tribunale ribaltava la decisione, ritenendo che la penale non fosse dovuta. Secondo il giudice di secondo grado, era stato proprio il comportamento del venditore a rendere impossibile la stipula del definitivo. Egli, infatti, aveva fissato un nuovo incontro a distanza di oltre un anno e mezzo dal termine iniziale e non aveva inviato alcuna formale diffida scritta, venendo meno al suo dovere di agire secondo buona fede.

Il venditore, insoddisfatto, proponeva quindi ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza d’appello. Il punto centrale della decisione ruota attorno al nesso tra l’inadempimento del debitore e il comportamento del creditore. I giudici hanno stabilito che un presupposto fondamentale per l’applicazione della clausola penale è l’esistenza di un inadempimento ‘colpevole’, ovvero imputabile alla parte che doveva eseguire la prestazione.

Nel caso specifico, la Corte ha convalidato la ricostruzione del Tribunale, secondo cui il comportamento del creditore (il venditore) aveva di fatto causato l’impossibilità di adempiere per il debitore (l’acquirente).

Le Motivazioni: l’impatto della buona fede sulla clausola penale

La motivazione della Corte si fonda sull’articolo 1375 del Codice Civile, che impone alle parti di eseguire il contratto secondo buona fede. Questo principio non è una mera dichiarazione di intenti, ma un dovere giuridico che permea l’intera vita del contratto.

Il Tribunale prima, e la Cassazione poi, hanno individuato una serie di comportamenti del venditore che violavano questo dovere:

1. Mancata fissazione di una data entro i termini inizialmente previsti.
2. Comunicazione tardiva della nuova data, inviata solo pochi giorni prima dell’incontro con il notaio.
3. Inerzia prolungata per oltre un anno e mezzo prima di fissare un secondo incontro.
4. Assenza di una diffida scritta che consentisse formalmente alla controparte di adempiere entro un termine preciso, come previsto dal contratto.

Questo comportamento complessivo è stato ritenuto sintomatico di una condotta contraria a correttezza, tale da escludere l’imputabilità dell’inadempimento all’acquirente. Se l’inadempimento non è ‘colpevole’ perché indotto dal creditore stesso, viene a mancare il presupposto essenziale per far scattare la clausola penale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: la clausola penale non è uno strumento che opera in modo meccanico. La sua efficacia è subordinata alla condotta corretta e leale del creditore. Chi intende avvalersi di una penale deve dimostrare di aver agito secondo buona fede e di non aver ostacolato, con le proprie azioni od omissioni, l’adempimento della controparte. Per le parti contrattuali, ciò significa mantenere una comunicazione chiara, rispettare le scadenze e porre in essere tutti gli atti necessari a facilitare l’esecuzione del contratto, anche quando si verificano difficoltà. In caso contrario, il diritto a ottenere il risarcimento predeterminato potrebbe svanire.

Quando una clausola penale non è dovuta anche in caso di inadempimento?
La clausola penale non è dovuta quando l’inadempimento non è ‘colpevole’, ossia non è imputabile al debitore. Questo si verifica, ad esempio, se la mancata prestazione è stata causata dal comportamento del creditore contrario al principio di buona fede.

In che modo il comportamento del creditore può escludere il pagamento della penale?
Se il creditore, con le sue azioni o omissioni (come fissare incontri con preavviso minimo, rimanere inerte per lunghi periodi o non inviare le comunicazioni necessarie), rende di fatto impossibile o eccessivamente difficile l’adempimento per il debitore, viola il dovere di correttezza. Tale condotta può rendere l’inadempimento non imputabile al debitore, facendo venir meno il presupposto per l’applicazione della penale.

La mancanza di una diffida scritta impedisce sempre di chiedere la penale?
Non necessariamente, ma nel caso esaminato dalla Corte, l’assenza di una diffida scritta è stata considerata uno degli elementi di un più ampio comportamento del creditore contrario a buona fede. La Corte ha valutato la condotta complessiva, e la mancata diffida ha contribuito a dimostrare che il creditore non aveva agito correttamente per consentire alla controparte di adempiere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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