Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8983 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8983 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12493/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 220/2019 depositata il 30/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE citò in giudizio innanzi al Tribunale di Foggia NOME AVV_NOTAIO per chiedere la risoluzione del contratto del 6.5.2023 per colpa grave del convenuto, oltre alla condanna al risarcimento dei danni; in via subordinata chiese la rescissione del contratto.
La società attrice dedusse che con detta scrittura, COGNOME NOME e COGNOME NOME, entrambi costruttori e titolari di due distinte ditte individuali, volendo realizzare un plesso edilizio per civili abitazioni e boxes, avevano affidato al geom. COGNOME ed al figlio l’incarico di curare gli adempimenti preliminari tecnico -amministrativi; come controprestazione era stata prevista l’assegnazione di un alloggio al professionista su un suolo di sua proprietà. L’attrice lamentò che il convenuto non aveva provveduto al pagamento dei tecnici incaricati per le attività tecnico -amministrative necessarie per la costruzione dei fabbricati, obbligazione che gravava a suo carico.
COGNOME NOME si costituì ed eccepì la carenza di legittimazione attiva della società, che non era parte del contratto e chiese di chiamare in causa COGNOME NOME e COGNOME NOME, con cui aveva sottoscritto l’accordo; il convenuto propose domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna dei terzi chiamati al pagamento della penale pattuita, pari ad € 100,00 per ogni giorno di ritardo nella realizzazione del fabbricato, che era rimasto allo stato grezzo, in aggiunta al maggior danno derivante dai costi necessari per il completamento del fabbricato.
Il Tribunale di Foggia, disposta la chiamata in causa dei terzi COGNOME NOME e COGNOME NOME, regolarmente costituiti, rigettò la domanda principale ed accolse, per quanto di ragione, la domanda riconvenzionale.
In primo luogo, il Tribunale dichiarò la carenza di legittimazione della RAGIONE_SOCIALE; risolse il contratto stipulato il 6.5.2023 tra COGNOME NOME ed i terzi chiamati COGNOME NOME e COGNOME NOME, condannandoli al pagamento, in favore di COGNOME NOME, della somma di € 127.550,00, a titolo di penale.
Proposero appello la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME; si costituì COGNOME NOME, proponendo appello incidentale con cui lamentò la riduzione della penale ed il mancato riconoscimento degli ulteriori danni.
La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 30.1.2019, rigettò l’appello principale ed accolse, per quanto di ragione, l’appello incidentale, riconoscendo a COGNOME il risarcimento dei danni per il mancato completamento dei lavori.
Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte di merito non condivise la tesi della cessione del contratto perché l’accordo tra COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME prevedeva genericamente il subentro di ‘altro soggetto giuridico ad essi riconducibili’ e mancava il consenso del debitore ceduto. Le doglianze sul rigetto della domanda di rescissione per lesione furono reputate generiche e, in ogni caso, non risultava dalla documentazione in atti lo stato di bisogno della società.
Quanto alla domanda riconvenzionale proposta da COGNOME, la Corte distrettuale osservò che vi era stata la risoluzione di diritto del
contratto, a seguito di diffida ad adempiere da parte di COGNOME, considerato che il termine aveva carattere essenziale.
Quanto all’inadempimento di COGNOME all’obbligo di pagare i professionisti, non solo non vi era la prova che dette attività rientrassero tra quelle previste nella scrittura ma, in ogni caso, nel bilanciamento dei rispettivi inadempimenti, la Corte ritenne prevalente l’inadempimento di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che avevano lasciato l’immobile allo stato grezzo, rispetto al comportamento asseritamente inadempiente di COGNOME. Poiché al ritardo nell’adempimento era seguito l’inadempimento all’obbligo di consegna dell’alloggio, la Corte ritenne possibile la coesistenza tra la penale ed il maggior danno pari all’importo per il completamento del fabbricato.
La Corte d’appello liquidò quindi la somma di € 127.250,00 a titolo di penale per il ritardo ed il risarcimento del danno per il mancato completamento del fabbricato pari ad € 212.949,95.
Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME sulla base di cinque motivi.
NOME NOME ha resistito con controricorso
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce l’erronea e contraddittoria motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1368, 1371, 1325, 1197 e 1418 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c.; la Corte d’appello avrebbe errato nell’interpretazione del contratto, che sarebbe riconducibile ad una
datio in solutum in quanto le prestazioni professionali sarebbero state commissionate al ricorrente non da COGNOME e COGNOME ma dai precedenti proprietari dei suoli. Con l’accordo del 6.5.2003, le parti avrebbero inteso compensare le competenze professionali del geometra COGNOME, maturate per la progettazione dei fabbricati su un suolo di proprietà di terzi, con la realizzazione di un fabbricato su di un suolo di proprietà dello stesso predetto geometra, dando luogo ad una datio in solutum . In tal modo il progettista non solo avrebbe beneficiato di un mezzo anomalo di pagamento ma avrebbe sostituito agli originari debitori, ovvero i proprietari dei suoli, anche i costruttori. In via subordinata i ricorrenti deducono la nullità del contratto preliminare perchè, a fronte del compenso del professionista non vi sarebbe un’esatta indicazione delle opere da realizzare.
Il motivo è infondato.
Secondo il granitico l’orientamento di questa Corte, la qualificazione giuridica del contratto appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (tra le altre, Cass., 10 febbraio 2015, n. 2465).
La denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., essendo necessario specificare i canoni che in concreto si assumono violati e, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, giacchè le doglianze non possono risolversi nella mera contrapposizione tra
l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, non dovendo quest’ultima essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni; pertanto, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 28 novembre 2017, n. 28319).
Secondo l’interpretazione del contratto del 6.5.2003, fornita dalla Corte di merito, COGNOME NOME e COGNOME NOME si erano obbligati in solido a costruire a proprie cure e spese su un terreno di proprietà di COGNOME NOME, a titolo di corrispettivo per prestazioni dal medesimo già espletate nonché per le prestazioni future relative all’espletamento diretto o a mezzo terzi, sempre a cura del geometra, delle ulteriori prestazioni di natura tecnica inerenti la costruzione di alcuni fabbricati sui suoli che dovevano essere acquistati dai due costruttori.
Il contratto prevedeva, inoltre che, in caso di inadempienza agli obblighi assunti, COGNOME e COGNOME avrebbero dovuto corrispondere, oltre all’importo per le attività pregresse, anche l’ulteriore somma di € 80.000,00 come compenso per le prestazioni da espletarsi, salvi i maggior danni.
L’accordo contrattuale, secondo la plausibile interpretazione fornita dalla Corte di merito -alla quale non è stata contrapposta dal ricorrente la violazione dei criteri ermeneutici previsti dall’art.1362 c.c. e seg., con particolare riferimento al criterio letterale -non prevedeva alcuna partecipazione né alcuna obbligazione da parte dei
proprietari dei suoli sicchè non è ravvisabile alcun accollo del loro debito da parte di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Mancherebbe, pertanto, il presupposto della datio in solutum , cioè l’accollo del preesistente debito degli originari proprietari dei suoli.
Sfugge alla plausibile interpretazione del contratto la riconducibilità alla datio in solutum, in quanto oggetto del contratto del 6.5.2003 era il pagamento di prestazioni già rese dal professionista e di quelle future, da remunerare con la realizzazione di un alloggio su un suolo di sua proprietà.
Si deve poi ricordare, quanto alla questione della nullità per assenza di causa, che, in sede di legittimità, non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di Cassazione (Cass. n.2443/2016; n. 14477/2018).
Nel caso di specie, si era formato il giudicato interno sulla nullità, avendo il Tribunale risolto il contratto per inadempimento, che presupponeva la valutazione della validità del contratto e non era stata dedotta la nullità in sede di gravame ( Cassazione civile sez. III, 08/05/2023, n.12131; Cass. sez. unite 4 settembre 2012 n. 14.828; Cass., sez. unite, 12 dicembre 2014 n. 26.242).
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1448 c.c e 115 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per non avere la Corte d’appello accolto la domanda di rescissione del contratto, senza tener conto che erano stati i proprietari dei suoli ad aver imposto alle ditte costruttrici un
tecnico di loro fiducia nella persona di NOME COGNOME, riversando così i costi sulle società.
Il motivo è infondato.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di azione generale di rescissione per lesione, la determinazione del valore delle prestazioni corrispettive, con riferimento all’epoca della conclusione del contratto, al fine di stabilire la ricorrenza o meno di una sproporzione ‘ultra dimidium’, implica una indagine di fatto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove sorretta da congrua motivazione (tra le altre Sez. 2, Sentenza n. 26970 del 07/12/2005, Sez. 2, Sentenza n. 5041 del 06/11/1978
La Corte d’appello, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha escluso che fosse emersa dalle risultanze istruttorie una situazione di difficoltà, neppure economica, tale da non consentire ai committenti di far fronte ad impegni di pagamento con mezzi normali e da incidere sulla libera determinazione a contrarre, sì da integrare lo stato di bisogno ( pag.10 della sentenza impugnata).
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’omessa ed errata interpretazione di clausole contrattuali della scrittura del 6.5.2023 e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 c.c. e 1460 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello errato nel valutare le clausole n.2) e 3) del contratto, che regolerebbero le ipotesi in cui il contratto non possa avere regolare esecuzione; in particolare la clausola n.2 disciplinerebbe l’ipotesi in cui il geometra COGNOME non avesse ottenuto la concessione edilizia per la realizzazione del fabbricato sul terreno di sua proprietà mentre
l’art.3) prevederebbe che, in caso di inadempimento, le imprese RAGIONE_SOCIALE e COGNOME si obbligavano a corrispondere a COGNOME NOME la somma di € 132.949,00 e la somma di € 80.000,00 per le prestazioni svolte. Alla luce di tali disposizioni contrattuali, sarebbe errata la decisione della Corte d’appello, che ha valutato il valore complessivo delle opere finite in € 678.599,00 mentre invece esse ammonterebbero ad € 197.437,37, secondo la stima del CTU; di conseguenza, sulle opere effettivamente svolte avrebbe dovuto essere calcolata la somma da corrispondere al geom. NOME COGNOME.
Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti non hanno dedotto l’applicabilità di dette clausole innanzi ai giudici di merito, sicchè la questione non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità.
Va ricordato che ove una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cassazione civile sez. II, 09/08/2019, n.21243; Cass. 20518/08).
Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per omesso esame ed illogica motivazione degli elementi di prova raccolti nel giudizio e della CTU su punti decisivi della controversia, oltre alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 c.c. e
dell’art.116 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., in ordine alla sproporzione dell’ammontare delle competenze pretese dal professionista per le pratiche tecnico amministrative relative alla realizzazione di un piccolo complesso edilizio e per l’errata valutazione delle risultanze della CTU.
Il motivo è inammissibile perché, in modo generico, attinge valutazioni che attengono al merito della causa.
Il quinto motivo di ricorso censura il capo della sentenza con il quale è stato accolto l’appello incidentale proposto da NOME COGNOME, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 c.c., 1383 c.c., 1384 c.c., 1453 c.c. e 1460 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., sotto il profilo della valutazione dei rispettivi inadempimenti delle parti; le ricorrenti sostengono che mentre i costruttori avevano parzialmente realizzato i lavori edili, il geometra COGNOME non avrebbe pagato i tecnici sicchè sarebbe erroneo il riconoscimento della penale per il ritardo ed il risarcimento delle somme per il completamento dell’opera.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha, in primo luogo, affermato che non vi era la prova dell’inadempimento del professionista sulla base delle dichiarazioni dei testi, che avevano riferito di aver ricevuto ulteriori incarichi dal geom. COGNOME, aderendo alla tesi difensiva secondo cui si trattava di ulteriori prestazioni non previste nella scrittura privata del 6.5.2003.
In ogni caso, anche qualora si ritenesse che i tecnici incaricati dal professionista non fossero stati pagati, la Corte ha ritenuto prevalente l’inadempimento di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che
avevano lasciato l’immobile allo stato grezzo, rispetto al mancato pagamento dei professionisti.
Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito, in caso di inadempienze reciproche, di pronunciare la risoluzione, ai sensi dell’art.1453 c.c., o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere, a norma dell’art.1460 c.c., in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell’inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (Cassazione civile sez. II, 12/02/2020, n.3455).
Poiché al ritardo nell’adempimento era seguito l’inadempimento, la Corte ha correttamente ritenuto possibile la coesistenza tra la penale ed il maggior danno per il mancato completamento del fabbricato.
La clausola penale, la quale configura una concordata e preventiva liquidazione del danno in favore del creditore, può essere stipulata, secondo la previsione dell’articolo 1382 del c.c., per il caso di inadempimento ovvero per il caso di ritardo nell’adempimento. Qualora la penale sia fissata per il solo ritardo, il creditore, esigendola, non perde il diritto di pretendere la prestazione pur dopo il verificarsi di tale ritardo, né, quindi, il diritto, a fronte di un inadempimento definitivo, di essere risarcito del danno ulteriore e diverso rispetto a quello coperto dalla penale medesima.
L’art.1383 c.c., nel vietare il cumulo della penale pattuita per l’inadempimento con la prestazione principale, non esclude che la penale per il ritardo possa cumularsi, nel caso di risoluzione del
contratto con il risarcimento del danno da inadempimento; in tale ipotesi peraltro, per evitare un ingiusto sacrificio dell’obbligato ed il correlativo indebito arricchimento del creditore, dovrà tenersi conto, nella liquidazione della prestazione risarcitoria, dell’entità del danno per il ritardo, che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale ( Cassazione civile sez. II, 31/10/2018, n.27994 ; Cass. Civ. Sez. II, 13.1.2005, n.591).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 19 dicembre 2023.
La Presidente
NOME COGNOME