Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4126 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4126  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25752/2021 R.G.  proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale rappresentante,  rappresentata  e  difesa,  giusta  procura  in  calce  al ricorso,  dall’AVV_NOTAIO (EMAIL), domiciliata  per  legge  presso  la  Cancelleria  della  Corte  Suprema  di cassazione
– ricorrente –
contro
AUTOMATIC ALL GAMES di COGNOME NOME
-intimata – avverso  la  sentenza della  Corte  d’ appello  di  Venezia  n.  1865/2021, pubblicata in data 29 giugno 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 dicembre 2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOMEAVV_NOTAIO COGNOME
Fatti di causa
1. Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. RAGIONE_SOCIALE NOME conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE per sentire dichiarare la risoluzione del contratto di installazione  di  gioco  lecito  concluso  in  data  16  gennaio  2010 e per ottenere la condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 26.280,00 a titolo di penale.
Deduceva a sostegno della domanda che aveva concesso in uso alla convenuta gli apparecchi di gioco che erano stati installati presso il locale dalla stessa gestito; con missiva del 28 dicembre 2013 la convenuta aveva chiesto il ritiro dei macchinari presenti nel locale, affermando ‹‹ di avere inviato in data 19 ottobre 2012 la comunicazione di disdetta ›› ; in data 4 gennaio 2013, aveva ricevuto una comunicazione da parte del gestore RAGIONE_SOCIALE, con cui si evidenziava che presso il locale risultavano collegati numerosi apparecchi forniti da diversi gestori concorrenti; aveva, quindi, inviato una diffida alla convenuta, ma, poiché la destinataria non aveva provveduto nel termine concesso a scollegare gli altri apparecchi, aveva provveduto al ritiro dei macchinari.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che eccepiva,  tra  l’altro,  l’incompetenza  per  territorio  del  Tribunale  di Verona a favore del Tribunale di Trento e opponeva di avere inviato comunicazione di disdetta del contratto; chiedeva, in via riconvenzionale, che venisse dichiarata la cessazione degli effetti del contratto  alla  data  del  31  dicembre  2012;  in  via  subordinata,  che venisse  accertata  la  risoluzione  consensuale  del  contratto  e,  in  via
ulteriormente subordinata, che venisse accertata la nullità del contratto; in via gradata che venisse accertato che la clausola penale, prevista in contratto, era eccessiva.
All’esito  dell’attività  istruttoria, il  Tribunale  adito  respingeva  le domande avanzate dalla parte attrice, ritenendo valida e tempestiva la disdetta inviata da RAGIONE_SOCIALE in data 19 ottobre 2012.
 Interposto  appello  dalla  soccombente, la  Corte  d’appello  di Venezia  accoglieva  il  gravame  e  condannava  RAGIONE_SOCIALE  al  pagamento,  in  favore  della  controparte,  della somma di euro 1 . 944,00, oltre interessi, a titolo di penale contrattuale.
In sintesi, i giudici di appello, disattese le eccezioni di difetto di legittimazione attiva e di nullità della procura alle liti, hanno ritenuto infondata l’eccezione di incompetenza per territorio, per non avere la parte fornito alcuna indicazione con riferimento al criterio del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio dove va essere eseguita, ed inapplicabile il codice del consumo. Hanno, inoltre, osservato che la disdetta inviata da RAGIONE_SOCIALE in data 19 ottobre 2012 non poteva considerarsi efficace, perché inoltrata a soggetto diverso dall’appellante , e che, in ogni caso, la prova testimoniale non aveva dimostrato l’effettivo invio della disdetta nei termini previsti dalla clausola 2.1. del contratto, di talché non poteva ritenersi che RAGIONE_SOCIALE avesse validamente esercitato il diritto di recesso dal contratto, che aveva continuato a spiegare i suoi effetti sino al 24 gennaio 2013, data in cui lo stesso si era risolto, ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., a seguito di diffida ad adempiere di RAGIONE_SOCIALE, che aveva intimato a RAGIONE_SOCIALE di ripristinare degli apparecchi concessi in godimento. Hanno, quindi, ritenuto che per il periodo intercorrente tra il 28 dicembre 2012, data in cui si era verificata la violazione delle
disp osizioni contrattuali da parte dell’esercente RAGIONE_SOCIALE , e la intervenuta risoluzione contrattuale ex art. 1454 cod. civ., dovesse trovare applicazione la clausola penale di cui all’art. 3 del contratto di installazione del gioco lecito, secondo la quale ‹‹ la violazione di tutti gli obblighi dell’esercente ed in particolare quelli del diritto di esclusiva e di mantenere in funzione gli apparecchi comporterà a suo carico una penale pari a euro 400,00 di incasso lordo al giorno/inteso come entrata per il rimanente periodo di contratto per apparecchio, oltre al risarcimento degli ulteriori danni arrecati, come pagamento ISI-IVA, mancato guadagno, ecc. ›› , respingendo l ‘ eccezione di nullità della clausola per violazione del disposto di cui all’art. 1341 cod. civ.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di nove motivi, avverso la decisione d’appello.
RAGIONE_SOCIALE  di  NOME  NOME  non  ha  svolto  attività difensiva in questa sede.
 La  trattazione  è  stata  fissata  in  camera  di  consiglio  ai  sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa e nota spese.
Ragioni della decisione
 Con  il  primo  motivo  la ricorrente  deduce  ‹‹ violazione  delle norme sulla  competenza  in  relazione  all’art.  20  c.p.c., ex art.  360, primo comma, n. 3, c.p.c.›› e sostiene che l’eccezione, diversamente da  quanto  ritenuto  dalla  Corte  d’appello,  era  stata  correttamente formulata con riferimento a tutti i concorrenti criteri previsti dall’art. 20 cod. proc. civ.
1.1. La censura è infondata.
1.2. La  Corte  d’appello,  muovendo  dalla  considerazione  che  il convenuto  deve  formulare  l’eccezione  di  incompetenza  territoriale con riferimento a tutti i concorrenti criteri previsti dagli artt. 18, 19 e
20 c.p.c., ha rilevato che, nella specie, nessuna indicazione era stata fornita ‹‹con  riferimento  al  criterio  del  luogo  in  cui  l’obbligazione dedotta in giudizio doveva essere eseguita ›› .
La decisione, ol tre ad essere in linea con l’orientamento di questa Corte (Cass., sez. 3, 28/07/1999, n. 8224; Cass., sez. 3, 21/05/2001, n. 6893; Cass., sez. 1, 11/01/2001, n. 313; Cass., sez. 1, 15/03/2005, n. 5572), non contrasta con il tenore dell’eccezione sollevata dalla odierna ricorrente con la comparsa di costituzione in primo grado, emergendo, dallo stralcio riprodotto a pag. 18 del ricorso, che in quella sede la parte ha così argomentato: ‹‹ Eccepiamo espressamente l’incompetenza per territorio del Tribunale di Verona a favore del Tribunale di Trento ove ha sede la società convenuta. La dedotta incompetenza viene eccepita con riferimento a tutti i concorrenti criteri previsti dall’art. 20 (atteso che il contratto con RAGIONE_SOCIALE è stato concluso presso la sede di RAGIONE_SOCIALE, in Trento, talché ivi sono sorte le obbligazioni dedotte in giudizio) ›› .
Con tale eccezione la ricorrente ha fatto espresso riferimento al foro del luogo in cui l’obbligazione era sorta, ma ha omesso qualsiasi riferimento  al  foro  del  luogo  in  cui l’obbligazione  doveva  eseguirsi, come rilevato dai giudici di merito, sicché, sul punto, la sentenza va esente dalle censure ad essa rivolte, non potendo essere dichiarata la competenza in base a criteri di collegamento non contestati  (Cass., sez.  6-3,  20/08/2020,  n.  17374;  Cass.,  sez.  6  -3,  04/08/2011,  n. 17020).
La  irritualità  della  eccezione  rende  superflua  ogni  valutazione  in merito all’eccepito  difetto  di  doppia  specifica  sottoscrizione  della clausola di individuazione convenzionale del foro esclusivo.
 Con  il  secondo  motivo si  denunzia  ‹‹violazione  e/o  falsa applicazione delle norme  di  diritto in relazione alla carenza  di legittimazione attiva (art. 99 e/o 100 e/o 112 c.p.c.) e di nullità della
procura alle liti dell’appellante (art. 75 e/o 83 e/o art. 2495 c.c.) con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.››.
La ricorrente ribadisce che dalla visura camerale prodotta in giudizio si evinceva che l ‘impresa RAGIONE_SOCIALE era stata cancellata dal registro delle imprese in data 12 aprile 2016 per ‹‹ cessazione di ogni attività ›› a far data dal 31 marzo 2016, essendo stata, il 12 gennaio 2016, ceduta l’azienda; tali eventi erano avvenuti prima della proposizione dell’atto di appello e prima del rilascio della procura alle liti, per cui doveva ritenersi errata la decisione della Corte territoriale che aveva disatteso le eccezioni sollevate sul punto.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. È sufficiente rammentare che la cancellazione dell’imprenditore individuale dal registro delle imprese non fa venir meno i diritti di credito a lui spettanti in funzione dell’attività imprenditoriale svolta, sicché legittimata ad agire davanti l’autorità giudiziaria è proprio la persona fisica che fu imprenditore (Cass., sez. 1, 15/12/2020, n. 28658; Cass., sez. 07/01/2016, n. 98; Cass., sez. 3, 23/09/2013, n. 21714; Cass., sez. 4/05/2011, n. 9744; Cass., sez. 2, 22/11/2021, n. 35962). A tanto consegue che la disciplina dell’art. 2495 cod. civ. non è estensibile alle vicende estintive della qualità di imprenditore individuale, essendo l’inizio e la fine di detta qualità subordinati all’effettivo svolgimento o al reale venir meno dell’attività imprenditoriale e non alla formalità della cancellazione dal registro delle imprese, che pertanto non incide sulla legittimazione e capacità processuale del titolare dell’impresa individuale.
 Con  il  terzo  motivo,  censurando  la  decisione  gravata  per ‹‹violazione di legge; violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 e 1342  c.c.  in  relazione  all’art.  360,  primo  comma,  n.  3,  c.p.c.››, la ricorrente  deduce  di  avere  proposto,  con  la  memoria ex art.  183,
sesto comma, n. 2, cod. proc. civ. la questione della nullità della clausola di tacita proroga, contenuta nel contratto di installazione di gioco lecito, e di averla riproposta in sede di gravame. Addebita alla Corte d’appello di avere, erroneamente, ritenuto che la tecnica redazionale adottata dalla predisponente (RAGIONE_SOCIALE) fosse idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore e dunque rispettosa degli artt. 1341 e 1342 cod. civ.; rappresenta, invece, che il richiamo dell’art. 2.1. (contenente la previsione della tacita rinnovazione) , in calce allo stesso contratto, tra le clausole sottoposte alla specifica approvazione non valeva a superare l’eccepita nullità, sia perché RAGIONE_SOCIALE aveva richiamato, indistintamente, quasi tutte le condizioni di contratto, sia perché nel richiamare la clausola 2.1. non aveva menzionato la ‹‹ tacita rinnovazione del contratto ›› ed aveva preferito descrivere il contenuto con l’anodino riferimento alla ‹‹durata dell’accordo››, insufficiente a mettere sull’avviso l’altro contraente.
La doglianza incentrata sulla pRAGIONE_SOCIALEsa inefficacia della doppia sottoscrizione della clausola di tacita rinnovazione del contratto è infondata, risultando, nella specie, la clausola correttamente richiamata, in conformità al principio affermato da Cass. n. 22984/2015, secondo cui, nel caso di condizioni generali di contratto, l’obbligo della specifica approvazione per iscritto a norma dell’art. 1341 cod. civ. della clausola vessatoria è rispettato anche nel caso di richiamo numerico a clausole, onerose e non, purché non cumulativo, salvo che quest’ultimo non sia accompagnato da un’indicazione, benché sommaria, del loro contenuto, ovvero che non sia prevista dalla legge una forma scritta per la valida stipula del contratto.
L a Corte d’appello, con accertamento di fatto, ha rilevato  che nel contratto di installazione di gioco lecito la clausola in esame risultava evidenziata  mediante  una  indicazione  sommaria  del  contenuto,  così
risultando rispettata l’esigenza di tutela codificata nell’art. 1341 cod. civ., dovendo reputarsi essere stata l’attenzione del contraente, ai cui danni le clausole sono state predisposte, adeguatamente sollecitata e la sua sottoscrizione in modo consapevole rivolta specificamente proprio anche al contenuto a lui sfavorevole (Cass., sez. 6 -3, 02/04/2015, n. 6747). Deve, infatti, negarsi l’idoneità di un mero richiamo cumulativo, a clausole vessatorie e non, ma soltanto se si esaurisca nella mera indicazione del numero e non anche, benché sommariamente, del contenuto ( ex multis , Cass., 29/02/2008, n. 5733; Cass., 11/06/2012, n. 9492; Cass., sez. 6- 3, 09/07/2018, n. 17939).
Con il quarto motivo la ricorrente deduce ‹‹ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ›› .
Sostiene che già in comparsa di costituzione e risposta in primo grado aveva valorizzato il fatto che l’avvenuto ritiro degli apparecchi dal  punto  vendita  da  essa  gestito,  cronologicamente  collocato  poco dopo  la  fine  dell’anno  2012,  fosse  avvenuto  consensualmente  e lamenta che, sul punto, manca qualsiasi apprezzamento da parte dei giudici  di  appello,  sebbene  la  circostanza  avesse  trovato  riscontro nella prova testimoniale assunta nel giudizio di merito.
4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto, dopo la modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis , non trova più accesso al sindacato di legittimità di questa Corte il vizio di mera insufficienza od incompletezza logica dell’impianto motivazionale, qualora dalla sentenza sia evincibile la regula juris , che non risulti totalmente avulsa dalla relazione logica tra premessa (in fatto) e conseguenza (in diritto) che deve giustificare il decisum (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).
Pertanto, laddove non si contesti l’inesistenza del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un ‹‹ fatto storico ›› controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‹‹ decisivo ›› ai fini di una diversa decisione (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; Cass., sez. U, 22/09/2014, n. 19881; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).
Rimane,  quindi,  estranea  al  predetto  vizio  di  legittimità ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. qualsiasi contestazione volta a  criticare  il  convincimento  che  il  giudice  si  è  formato  in  esito all’esame  del  materiale  probatorio  mediante  la  valutazione  della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova.
4.2. Nel caso di specie, la censura svolta, concernente la presunta omessa  valutazione  di  deduzioni  difensive,  non  è  riconducibile  nel paradigma del vizio contestato (Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass, sez. 6 -1, 06/09/2019, n. 22397).
Con il quinto motivo, deducendo la ‹‹violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. co n riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. e travisamento della prova››, la ricorrente censura la decisione gravata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto sussistente la violazione delle disposizioni contrattuali e operante la clausola penale, assumendo che tale conclusione sarebbe conseguenza di un cattivo apprezzamento del materiale probatorio e si tradurrebbe in un travisamento della prova.
Evidenzia,  con  specifico  riferimento  all’obbligo  ‹‹ di  mantenere in funzione gli apparecchi ›› , che questi erano stati ‹‹ scassettati ›› (vale a dire svuotati dalla moneta presente al loro interno) e distaccati dalla stessa RAGIONE_SOCIALE per il tramite dei propri dipendenti, poi
escussi  in  qualità  di  testi,  e  che  lo  scollegamento  ed  il  ritiro  erano avvenuti, consensualmente, ‹‹ proprio in considerazione della consapevolezza dell’avvenuto venir meno del rapporto contrattuale›› .
Sostiene che i giudici di merito non hanno correttamente letto il materiale sottoposto alla loro attenzione, così incorrendo nel vizio di travisamento della prova.
5.1.  Anche  il  quinto  motivo  non  si  sottrae  alla  declaratoria d’in ammissibilità.
5.2. La statuizione censurata con il motivo in esame costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito nell’attività, a llo stesso riservata, di apprezzamento dei fatti e di apprezzamento delle prove, sicché rispetto ad essa non è configurabile né la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20867 del 2020, e neppure il vizio di travisamento delle prove, il quale, anche per l’orientamento che ne ammette la censurabilità per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (ma la questione, oggetto di contrasto, è attualmente all’esame delle Sezioni Unite di questa Corte: Cass., sez. L., 29/03/2023, n. 8895; Cass., sez. 3, 27/04/2023, n. 11111), postula che l’errore del giudice di merito cada, non sulla espressione del giudizio di valutazione della prova, ma sulla descrizione del contenuto oggettivo della medesima, traducendosi nell’utilizzazione di prove che non esistono nel processo ovvero che hanno un contenuto oggettivamente ed inequivocabilmente diverso da quello loro attribuito (cfr., in tema, Cass. 4/03/2022, n. 7187; Cass. 26/04/2022, n. 12971; Cass. 9/02/2003, n. 3955).
Con  il sesto motivo, denunziando  ‹‹violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ››, la
ricorrente  assume  che  i  giudici  di  secondo  grado,  individuando  il giorno di ‹‹ inizio ›› per il computo della penale nel 28 dicembre 2012, sarebbero incorsi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto  ed  il  pronunciato,  posto  che  la  stessa  RAGIONE_SOCIALE aveva individuato il primo giorno di disconnessione nel 31 dicembre 2012.
6.1. La censura è fondata.
6.2. Effettivamente, dall’esame del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (pag. 3 del ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ.), espressamente richiamato alla nota 34 a pag. 38 del ricorso per cassazione, nel rispetto del principio di autosufficienza di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., emerge che l’impresa RAGIONE_SOCIALE aveva evidenziato che la disconnessione degli apparecchi dalla RAGIONE_SOCIALE telematica ha avuto inizio a decorrere dal 31 dicembre 2012.
Ciò impone la cassazione in parte qua della sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, ai sensi dell’ar t. 384 cod. proc. civ., può essere decisa nel merito, facendo applicazione dei criteri di computo individuati dalla Corte territoriale nella nota a pag. 13 della sentenza impugnata; la penale deve, quindi, essere rideterminata nel minor importo di euro 1.728,00, oltre interessi legali, somma cui si perviene calcolando euro 400,00 di incasso lordo al giorno per ciascuno dei tre macchinari, moltiplicato per ventiquattro giorni in cui il contratto è rimasto vigente, per un totale di 28.800,00, somma sulla quale deve applicarsi la percentuale del 6 per cento sull’incasso lordo che il gestore aveva diritto di percepire.
 Con  il  settimo  motivo, denunziando  la  ‹‹violazione  e/o  falsa applicazione  di  norme  di  diritto  con  riferimento  all’art.  115,  primo comma, c.p.c.  ed  all’art.  1384  c.c.  con  riguardo  all’art.  360,  primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti››, la ricorrente, rimarcando che nel corso del giudizio di merito aveva eccepito l’eccessività della penale, lamenta che la Corte d’appello non avrebbe preso in esame tale questione, sebbene la RAGIONE_SOCIALE non avesse mai contestato, né in modo specifico né genericamente, i criteri di calcolo da essa proposti a dimostrazione della redditività giornaliera per apparecchio, di gran lunga inferiore rispetto alla penale giornaliera richiesta.
Il motivo è inammissibile. Pur se articolata come denunzia di violazione di legge, infatti, la doglianza è, in realtà, volta a censurare le ragioni adottate dalla corte d’appello a sostegno della valutazione, implicita, di non manifesta eccessività della penale, in sé non sindacabile in quanto espressione del potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità se non negli aspetti relativi alla motivazione (Cass., sez. 3, 16/02/2012 n. 2231; Cass., sez. 2, 01/10/2018, n. NUMERO_DOCUMENTO).
In ogni caso, e quanto ai profili di censura attinenti a tale specifico vizio, la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b) , del d.l. 22.6.2012, n. 83, lo ha circoscritto all’ipotesi di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, inteso come fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (cfr. Cass., sez. 3, 24/10/2017, n. 23940). Ma, anche sotto tale profilo, la sentenza qui impugnata va esente dalla censura ad essa rivolta, in quanto la Corte d’appello, nella nota 4 ) in calce a pag. 13 della motivazione della sentenza, ha evidenziato che, ai fini della liquidazione della penale, ha operato un calcolo che teneva
conto  dell’incasso  lordo  al  giorno  (euro  400,00),  moltiplicato  per  il numero  dei  macchinari,  e  della  percentuale  (6%)  sull’incasso  lordo che  il  gestore  aveva  diritto  di  percepire,  in  tal  modo  rendendo  una motivazione adeguata ed esente da vizi logici.
Con l’ottavo motivo si prospetta ‹‹ travisamento della prova in relazione  al  ritenuto  mancato  invio  della  disdetta  e/o  in  ordine  alla mancata  conoscenza  della  stessa  in  capo  alla  ditta  RAGIONE_SOCIALE  NOME  COGNOME.  Violazione  e/o  falsa  applicazione  di norme di diritto in relazione all’art. 214 c.p.c., 215 c.p.c. e 2712 c.c. in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››.
La ricorrente lamenta che la questione attinente alla data di invio della disdetta, che il giudice d’appello ha ritenuto non compiutamente dimostrata, confligge con il dato documentale e con la mancata contestazione della controparte; sotto altro profilo, evidenzia che, a fronte della produzione della disdetta accompagnata dalla esplicitazione che essa era diretta sia ad RAGIONE_SOCIALE che al RAGIONE_SOCIALE, la controparte avrebbe dovuto disconoscere il documento, cosicché, in difetto, dovrebbe ritenersi tacitamente riconosciuta la paternità della sottoscrizione risultante sull’avviso di ricevimento. In ogni caso, prosegue la ricorrente, l’invio della disdetta e la conoscenza, in capo alla ditta RAGIONE_SOCIALE, della medesima disdetta, erano state dimostrate mediante prova testimoniale.
La censura è inammissibile, in quanto non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia e si risolve , sotto l’apparente deduzione di vizi  di  violazione  e  falsa  applicazione  di  legge,  in  una  richiesta  di riesame  delle  risultanze  probatorie  e,  comunque,  del  merito  della causa, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34476).
La  Corte  d’appello,  in fatti,  ha  escluso  che  la  disdetta  prodotta
dall’odierna  ricorrente  potesse  valere  a  far  cessare  l’efficacia  del contratto,  ponendo  in  rilievo  che  essa  risultava  indirizzata  ad  un soggetto diverso dalla ditta RAGIONE_SOCIALE NOME (ossia alla RAGIONE_SOCIALE), cosicché il titolare NOME COGNOME non era  tenuto  a  disconoscere  la  sott oscrizione  apposta  sull’avviso  di ricevimento, proprio perché essa era diretta ad una persona giuridica diversa.
Tale accertamento non risulta minimamente scalfito dalla censura in  esame,  che  è  sostanzialmente  incentrata  sul  diverso  rilievo  del rispetto  dei  termini  previsti  dall’art.  2.1.  del  contratto  per  l’inoltro della disdetta, pure preso in esame dai giudici di merito.
Con il nono motivo, denunciando ‹‹violazione di legge. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, comma 5, del decreto del Ministero della Giustizia 10.3.14, n. 55, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››, la ricorrente censura la statuizione concernente la liquidazione delle spese di lite, sottolineando che è stata omessa la distinzione delle varie fasi in cui i giudizi di primo e secondo grado si sono svolti e la indicazione specifica in relazione a ciascuna di esse del l’importo dovuto, impedendo in tal modo di poter verificare la correttezza dei parametri utilizzati.
La censura resta assorbita dall’accoglimento del sesto motivo di ricorso come sopra precisato. Difatti, in applicazione del disposto di cui all’art. 336 cod. proc. civ., secondo cui la cassazione parziale ha effetto sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata, l’annullamento in sede di legittimità della pronunzia del giudice del merito, ancorché limitata ad un solo capo di essa, si estende automaticamente alla statuizione relativa alle spese processuali in detta sentenza contenuta.
Conclusivamente, va accolto il sesto motivo, assorbito il nono
motivo, e vanno rigettati i restanti motivi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta;  decidendo  la  causa  nel  merito,  ai  sensi  dell’art.  384  cod. proc. civ., e, in accoglimento della originaria domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE NOME, la RAGIONE_SOCIALE deve essere condannata al pagamento, a titolo di penale, della minor somma di euro 1.728,00, oltre interessi legali a decorrere dalla data del 1° marzo 2013.
Le spese dell’intero giudizio, in ragione dell’esito complessivo del giudizio, devono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo, dichiara assorbito il nono motivo e rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favor di RAGIONE_SOCIALE  di  COGNOME  NOME,  a  titolo  di  penale  contrattuale,  della somma di euro 1.728,00, oltre interessi legali a decorrere dalla data del 1° marzo 2013.
Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Terza  Sezione