Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11174 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11174 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2024
R.G.N. 1334/19
U.P. 9/4/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
Vendita -Preliminare -Clausola penale -Riduzione -Tutela consumatore sul ricorso (iscritto al N.R.G. 1334/2019) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo (C.F.: CODICE_FISCALE), in persona del suo amministratore e dei suoi liquidatori pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente –
avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte d’appello di Bologna n. 2552/2018, pubblicata il 12 ottobre 2018;
udita la relazione RAGIONE_SOCIALE causa svolta nella pubblica udienza del 9 aprile 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P.M., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse dei ricorrenti, in ragione dell’originaria fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, c.p.c., nonché in ragione RAGIONE_SOCIALE successiva fissazione dell’udienza pubblica, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
richiamata la precedente ordinanza interlocutoria n. 32722/2023, depositata il 24 novembre 2023, all’esito RAGIONE_SOCIALE camera di consiglio non partecipata del 14 novembre 2023, di rimessione alla pubblica udienza;
sentito , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’AVV_NOTAIO per i ricorrenti.
RITENUTO IN FATTO
1. -In forza di clausola compromissoria contenuta nell’art. 15 del contratto preliminare di vendita immobiliare concluso tra le parti il 9 settembre 1998, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di promissari acquirenti, e la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di promittente alienante, promuovevano la definizione in via
arbitrale RAGIONE_SOCIALE controversia insorta all’esito RAGIONE_SOCIALE mancata stipulazione del definitivo di vendita, nonostante i congrui acconti sul prezzo convenuto versati dai promissari acquirenti e la consegna dell’immobile a cura RAGIONE_SOCIALE promittente alienante.
Con lodo arbitrale emesso il 29 luglio 2002, il Collegio arbitrale pronunciava la risoluzione del preliminare di vendita per inadempimento dei promissari acquirenti e condannava quest’ultimi alla restituzione dell’immobile di cui avevano ottenuto la detenzione anticipata nonché la società promittente venditrice alla ripetizione, all’esito dell’ottenuto rilascio del bene, delle somme ricevute in acconto per euro 72.869,16, senza interessi, esclusione degli accessori giustificata dalla compensazione con il godimento del cespite nel frattempo esercitato.
2. –COGNOME NOME e COGNOME NOME impugnavano il lodo arbitrale, ai sensi dell’art. 828 c.p.c., dinanzi alla Corte d’appello di Ancona, chiedendo che ne fosse dichiarata la nullità, in quanto pronunciato oltre il tempo massimo consentito di 180 giorni dall’accettazione RAGIONE_SOCIALE nomina del collegio, trattandosi di arbitrato avente natura rituale. Chiedevano, per l’effetto, che fosse disposta l’esecuzione in forma specifica del preliminare ex art. 2932 c.c.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, la quale contestava la qualificazione dell’arbitrato, ritenendo che esso avesse natura irrituale. Nel merito, chiedeva che fosse pronunciata la risoluzione del preliminare per inadempimento dei promissari acquirenti, con la conseguente condanna alla restituzione dell’immobile consegnato anticipatamente a quest’ultimi e con l’accertamento del diritto a trattenere gli acconti versati a titolo di penale, nonché con la condanna al risarcimento degli ulteriori danni subiti.
Decidendo sull’impugnazione del lodo, l’adita Corte d’appello, con sentenza n. 219/2009, depositata il 28 marzo 2009, previa qualificazione dell’arbitrato come rituale, dichiarava la nullità del lodo arbitrale per mancato rispetto del termine decadenziale di cui all’art. 820 c.p.c. vigente ratione temporis , atteso che la proroga concessa in udienza difettava RAGIONE_SOCIALE forma scritta ad substantiam , e conseguentemente, nel merito, previa dichiarazione RAGIONE_SOCIALE nullità RAGIONE_SOCIALE clausola del preliminare che obbligava i promissari acquirenti a sottostare ad un indeterminato futuro regolamento condominiale predisposto dal costruttorevenditore, pronunciava la risoluzione del preliminare per inadempimento degli stessi promissari acquirenti all’obbligo di stipulare il definitivo, avverso cui avevano opposto un rifiuto ingiustificato, e al correlato obbligo di pagamento del saldo del prezzo, pari ad euro 51.645,69.
Condannava, poi, i promissari acquirenti alla restituzione dell’immobile e la promittente venditrice alla restituzione degli acconti versati, mentre, in ordine alla penale prevista nel contratto, nella misura pari a tutte le somme versate a titolo di anticipo, ne disponeva la riduzione nei limiti dei soli interessi spettanti sulla restituzione dei versamenti effettuati a titolo di acconto, rigettando la domanda di risarcimento degli ulteriori danni, in quanto non provati.
3. -Avverso tale pronuncia proponeva ricorso in cassazione la RAGIONE_SOCIALE, la quale lamentava l’indebita riduzione RAGIONE_SOCIALE penale e l’ingiustificato rigetto RAGIONE_SOCIALE domanda di risarcimento degli ulteriori danni subiti.
Si costituivano in giudizio i controricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali contestavano le ragioni del ricorso principale e spiegavano ricorso incidentale avverso l’accertamento dell’inadempimento imputabile a loro colpa e la conseguente reiezione RAGIONE_SOCIALE domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare.
Con sentenza n. 22550/2015, depositata il 4 novembre 2015, questa Corte accoglieva il primo motivo del ricorso principale, ritenendo che la motivazione sulla riduzione RAGIONE_SOCIALE penale non fosse stata adeguata, in difetto di alcuna indicazione dei criteri adottati per addivenire alla sua disposizione nella misura indicata, dichiarava assorbito il secondo motivo inerente al rigetto RAGIONE_SOCIALE domanda di risarcimento degli ulteriori danni e respingeva il ricorso incidentale, cassando la pronuncia impugnata, in ordine al motivo accolto, e rinviando alla Corte d’appello di Bologna.
4. -Riassumeva il giudizio davanti al giudice di rinvio la RAGIONE_SOCIALE, la quale adduceva che nella riduzione RAGIONE_SOCIALE penale non si era tenuto conto dell’interesse del creditore all’adempimento, dell’equilibrio delle prestazioni, dell’effettiva incidenza sulla situazione contrattuale concreta e, in particolare, del periodo nel quale le controparti avevano detenuto l’immobile (per 9 anni) e del valore locatizio del bene, sicché insisteva nella quantificazione RAGIONE_SOCIALE penale nella misura prevista dal contratto, pari agli acconti versati di euro 72.869,15, e nel riconoscimento dell’ulteriore danno da illegittima occupazione, in conseguenza RAGIONE_SOCIALE protratta indisponibilità dell’immobile.
Si costituivano nel giudizio di rinvio COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali chiedevano che la domanda volta a far valere la condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE penale nella misura indicata in contratto fosse respinta, tenuto conto che la RAGIONE_SOCIALE aveva trattenuto per anni gli acconti ricevuti e li aveva restituiti senza interessi, lucrando perciò la somma ricavata dal proficuo impiego di tali versamenti. Contestavano, poi, la cumulabilità RAGIONE_SOCIALE penale con il rivendicato maggior danno per l’indisponibilità dell’immobile, chiedendo che le statuizioni adottate dalla sentenza cassata fossero confermate sotto altra motivazione e, in subordine, che la riduzione RAGIONE_SOCIALE penale avvenisse secondo equità.
Decidendo nel giudizio di rinvio, la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza di cui in epigrafe, condannava COGNOME NOME e COGNOME NOME al pagamento, a titolo di penale, in favore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE somma di euro 61.600,00, rigettava la domanda di risarcimento degli ulteriori danni pretesi e regolamentava le spese di lite.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che l’oggetto del giudizio di rinvio era circoscritto all’applicazione RAGIONE_SOCIALE penale e alla sua prospettata riduzione, all’individuazione e alla prova, con relativa motivazione, di un eventuale maggior danno e alla regolamentazione delle spese; b ) che era pacifico e coperto dal giudicato interno il fatto che si fossero verificate le condizioni perché la RAGIONE_SOCIALE potesse pretendere la penale ex art. 7 del preliminare risolto, secondo cui, a tale titolo, la promittente alienante avrebbe potuto trattenere le somme versate quale anticipo dai promissari acquirenti; c ) che la penale contemplata in
contratto era prevista in misura variabile e non fissa, sicché dovevano essere considerate le circostanze concrete affinché potesse essere valutata la sua eventuale eccessività; d ) che detta clausola penale poteva ritenersi eccessiva, avuto riguardo alla somma già versata pari ad euro 72.869,15 e all’ulteriore somma da versare pari ad euro 51.645,69, pur in relazione ad un’occupazione dell’immobile di fatto protrattasi per molti anni e all’interesse del creditore alla vendita o ad un diverso utilizzo, con la messa a frutto del cespite; e ) che, ancora, i promissari acquirenti avevano già versato la maggior parte del prezzo mentre la promittente venditrice aveva potuto, nel tempo, lucrare interessi attivi sulla somma incassata ovvero risparmiare gli interessi passivi sulle somme che avrebbe potuto alternativamente pretendere a mutuo; f ) che i promissari acquirenti avevano allegato un canone locatizio figurativo di euro 400,00 mensili, anziché di euro 700,00 mensili come indicato dalla promittente alienante, sicché si riteneva equo e conforme ai parametri e ai criteri di valutazione indicati in sede nomofilattica riferirsi ad un valore locatizio intermedio, rispetto a quello rispettivamente rivendicato dalle parti, di euro 550,00 mensili, per un importo complessivo dovuto di euro 61.600,00, senza interessi e rivalutazione, in considerazione RAGIONE_SOCIALE disponibilità pluriennale RAGIONE_SOCIALE somma ricevuta dalla promittente venditrice; g ) che il maggior danno da occupazione sine titulo non poteva essere riconosciuto, poiché, in concreto, la RAGIONE_SOCIALE non aveva allegato, né presuntivamente dimostrato, il relativo nocumento.
-Avverso la sentenza emessa in sede di rinvio hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo, già RAGIONE_SOCIALE
-I ricorrenti hanno presentato memoria illustrativa in ragione RAGIONE_SOCIALE fissazione dell’adunanza camerale.
Con ordinanza interlocutoria n. 32722/2023, depositata il 24 novembre 2023, all’esito RAGIONE_SOCIALE camera di consiglio non partecipata del 14 novembre 2023, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.
-Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
All’esito, i ricorrenti hanno depositato ulteriore memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
-Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 capoverso c.c., in relazione all’art. 33, secondo comma, lett. f ), del d.lgs. n. 206/2005 (cod. cons.), in ordine alla clausola vessatoria priva di specifica doppia sottoscrizione nel contratto concluso tra professionista e consumatore, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 capoverso c.p.c. e dell’art. 36, primo e terzo comma, del d.lgs. n. 2 06/2005, in ordine all’omesso rilievo d’ufficio RAGIONE_SOCIALE nullità di protezione, per avere la Corte di merito mancato di
dichiarare la nullità RAGIONE_SOCIALE clausola penale che imponeva il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento di importo manifestamente eccessivo, determinando così una presunzione di vessatorietà per il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, secondo la normativa prevista a tutela del consumatore.
Al riguardo, gli istanti obiettano che l’art. 7 del preliminare prevedeva che, in caso di inadempimento dei promissari acquirenti, la promittente venditrice avrebbe potuto trattenere, a titolo di penale per il ritardo conseguente all’inadempimento parziale, fatto salvo il risarcimento del maggior danno, le somme versate a titolo di acconto sul prezzo finale di vendita, clausola non specificamente approvata per iscritto ed imposta dal professionista.
Aggiungono che la rilevazione d’ufficio del profilo di nullità non avrebbe potuto ritenersi preclusa dal giudicato implicito formatosi a seguito RAGIONE_SOCIALE pronuncia RAGIONE_SOCIALE Corte di legittimità sulla carenza di motivazione RAGIONE_SOCIALE riduzione RAGIONE_SOCIALE penale, in quanto il giudicato implicito, formandosi sulle questioni e sugli accertamenti che avessero costituito il presupposto logico indispensabile di una questione o di un accertamento su cui fosse intervenuto il giudicato esplicito, non avrebbe potuto configurarsi in relazione alle questioni pregiudiziali all’accertamento del merito.
2. -Con il secondo motivo i ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c., in ordine alla riduzione RAGIONE_SOCIALE penale manifestamente eccessiva, per avere la Corte territoriale quantificato la penale dovuta, all’esito RAGIONE_SOCIALE disposta riduzione, in
spregio alla previsione che impone di avere riguardo all’interesse del creditore all’adempimento al momento in cui il contratto è concluso ed in contrasto con le valutazioni che regolano la rideterminazione RAGIONE_SOCIALE penale in base ad elementi ex post dichiarati e non provati.
Osservano, sul punto, gli istanti che avrebbe dovuto essere valutato, in termini oggettivi, soltanto l’interesse patrimoniale del creditore all’integrale esecuzione del contratto, commisurando la penale alla posizione reciproca delle parti come individuata nel momento di costituzione del rapporto, escludendo qualsiasi apprezzamento circa il pregiudizio realmente subito e, quindi, essendo ininfluente l’interesse al risarcimento del danno dipendente dall’inadempimento, per difetto di rilevanza degli scopi ulteriori che il creditore abbia potuto avere di mira.
Ad avviso dei ricorrenti, sarebbe stato indebitamente ricostruito l’interesse del creditore, non già come finalizzato alla mera compravendita dell’immobile, bensì anche ad un diverso utilizzo, con ‘messa a frutto’ dello stesso bene, presupponendo così che la RAGIONE_SOCIALE avesse un interesse alternativo teso a ricavare dal cespite un canone locatizio, deduzione, questa, ultronea e apodittica.
Né la riconduzione ad equità RAGIONE_SOCIALE penale, attraverso il riferimento al parametro del valore locatizio intermedio, rispetto a quelli indicati dalle parti, avrebbe assicurato il congruo e motivato esercizio RAGIONE_SOCIALE discrezionalità giudiziale, essendo il mero precipitato RAGIONE_SOCIALE stima dei pretesi danni ex post e non già ex ante , peraltro senza alcuna specifica dimostrazione di tale pregiudizio, neanche in via presuntiva.
3. -Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., RAGIONE_SOCIALE violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 111, sesto comma, Cost., per avere la Corte distrettuale adottato una motivazione anomala per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, con relativo vulnus arrecato al minimo costituzionale RAGIONE_SOCIALE motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
E tanto per il fatto che la pronuncia impugnata, dopo aver ribadito che la promittente alienante non aveva provato né l’ammontare del canone locatizio dell’immobile, né il presupposto indispensabile RAGIONE_SOCIALE volontà concreta di concederlo in affitto, avrebbe ricondotto ad equità la clausola penale in base ad elementi da essa stessa riconosciuti come spuri, non provati, non suffragati nemmeno da valenza indiziaria di presunzione semplice, come la concreta intenzione locativa RAGIONE_SOCIALE ditta proprietaria e l’effettivo congruo ammontare ipotetico del canone locatizio.
4. -In ordine al primo motivo, il Collegio evidenzia, anzitutto, che la normativa a tutela del consumatore (secondo la versione vigente ratione temporis ) è applicabile anche ad un contratto preliminare di compravendita di bene immobile, allorquando venga concluso tra un professionista, che stipuli nell’esercizio dell’attività imprenditoriale -ovvero con un professionista intellettuale -, ed altro soggetto, che contragga per esigenze estranee all’esercizio RAGIONE_SOCIALE propria attività imprenditoriale o professionale (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 497 del 14/01/2021).
Nella fattispecie, emerge ex actis (come dedotto sin dall’origine del giudizio e mai contestato dalle parti) che la RAGIONE_SOCIALE
ha promesso la cessione dell’immobile sito in San AVV_NOTAIO del Tronto, ad uso di civile abitazione, nella sua qualità di professionista (costruttrice e venditrice), in favore dei coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di consumatori, che avrebbero dovuto destinare il cespite a prima casa, come riportato nella sentenza impugnata.
4.1. -All’esito, si rileva che, sebbene in materia contrattuale le caparre, le clausole penali ed altre simili, con le quali le parti abbiano determinato in via convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto all’altra in caso di recesso o inadempimento, non abbiano natura vessatoria, non rientrando tra quelle di cui all’art. 1341 c.c. e non necessitando, pertanto, di specifica approvazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18550 del 30/06/2021; Sez. 2, Sentenza n. 6558 del 18/03/2010; Sez. 3, Sentenza n. 23965 del 23/12/2004; Sez. 3, Sentenza n. 20744 del 26/10/2004; Sez. 3, Sentenza n. 9295 del 26/06/2002), allorché il rapporto sia intrattenuto tra professionista e consumatore, per effetto RAGIONE_SOCIALE disciplina introdotta dall’art. 1469 -bis , terzo comma, n. 6, c.c. vigente ratione temporis (ora, art. 33, secondo comma, lett. f , cod. cons.), ai sensi RAGIONE_SOCIALE legge 6 febbraio 1996, n. 52 -le cui disposizioni sarebbero in astratto applicabili al negozio di specie, concluso in data 9 settembre 1998 -, sussiste una presunzione di vessatorietà delle clausole che, in caso di inadempimento, prevedano il pagamento di una somma manifestamente eccessiva.
Ai sensi dell’art. 1469 -quinquies c.c. vigente ratione temporis , l’inefficacia delle clausole vessatorie opera soltanto a
vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
4.2. -Tanto premesso, occorre chiedersi se sulla nullità ( recte inefficacia) RAGIONE_SOCIALE clausola penale -quale questione nuova sollevata dai promissari acquirenti solo in sede di legittimità (all’esito del rinvio disposto da una precedente sentenza di questa Corte) attraverso l’articolazione di una specifica doglianza si sia formato il giudicato implicito interno, presupponendo la decisione sulla riduzione, come invocata dagli stessi promissari acquirenti nel corso dei gradi di merito del giudizio, la validità ed efficacia RAGIONE_SOCIALE clausola, con la conseguente preclusione RAGIONE_SOCIALE rilevazione dell’abusività RAGIONE_SOCIALE clausola stessa, oppure se alla stregua RAGIONE_SOCIALE giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Corte di giustizia -tale inefficacia possa essere comunque rilevata d’ufficio anche in sede di legittimità, pure all’esito di un precedente rinvio (nella fattispecie, nessuna censura inerente alla validità/efficacia RAGIONE_SOCIALE clausola penale è stata a monte sollevata dai ricorrenti incidentali all’esito del primo ricorso principale in cassazione, con cui si contestava il difetto di motivazione sui termini RAGIONE_SOCIALE disposta riduzione).
La disposizione RAGIONE_SOCIALE rimodulazione RAGIONE_SOCIALE clausola penale manifestamente eccessiva postula, invero, implicitamente la validità ed efficacia RAGIONE_SOCIALE clausola oggetto di riduzione.
E la stessa Corte di merito, in sede di rinvio, ha puntualizzato in premessa che avrebbe dovuto intendersi coperto dal giudicato interno il fatto che si fossero verificate le condizioni perché la RAGIONE_SOCIALE potesse pretendere la penale ex art. 7 del preliminare risolto, secondo cui, a tale titolo, la promittente
alienante avrebbe potuto trattenere le somme versate quale anticipo dai promissari acquirenti.
E ciò in adesione all’orientamento secondo cui nel giudizio di rinvio, il quale è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti RAGIONE_SOCIALE stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio RAGIONE_SOCIALE sua intangibilità (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023; Sez. 1, Sentenza n. 13759 del 31/05/2017; Sez. L, Sentenza n. 3320 del 19/02/2015; Sez. 6-5, Ordinanza n. 7656 del 04/04/2011; Sez. L, Sentenza n. 9278 del 10/06/2003; Sez. L, Sentenza n. 10046 del 10/07/2002).
4.3. -Espressamente questa Corte ha già statuito sull’aspetto emarginato, con precipuo riferimento al procedimento monitorio per decreto ingiuntivo, secondo cui tale preclusione implicita non opera, in osservanza del principio di effettività RAGIONE_SOCIALE tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti al consumatore dalla direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive dei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore, come interpretata dalle sentenze RAGIONE_SOCIALE CGUE del 17 maggio 2022, quando il titolo azionato sia appunto un decreto ingiuntivo non opposto e non motivato sul carattere non abusivo delle clausole
del contratto che è fonte del credito ingiunto, ferma restando la rilevabilità d’ufficio RAGIONE_SOCIALE nullità di protezione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9479 del 06/04/2023).
Per converso, in questa sede l’interrogativo verte sulla preclusione al giudice dell’impugnazione (e segnatamente al giudice di legittimità nuovamente adito all’esito del rinvio già disposto) del rilievo d’ufficio RAGIONE_SOCIALE nullità (inefficacia) del contratto (o di una sua clausola), a protezione del consumatore, laddove nel giudizio di merito sia stata disposta la riduzione RAGIONE_SOCIALE clausola penale manifestamente eccessiva e senza che le parti interessate abbiano mai sollevato il tema se non con l’odierno ricorso in cassazione.
4.4. -Si richiamano, in proposito, le quattro sentenze gemelle, pronunciate il 17 maggio 2022 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, la quale ha affrontato la questione relativa alla compatibilità, con i principi posti dagli artt. 6, § 1, e 7, § 1, RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13/CEE e dall’art. 47 RAGIONE_SOCIALE Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, delle norme processuali del diritto degli Stati membri (rispettivamente spagnolo, rumeno e italiano) che, in caso di intervenuta formazione del giudicato, impediscono al giudice dell’esecuzione (ovvero dell’appello) di esaminare, d’ufficio, la natura abusiva delle clausole contenute nei contratti posti a fondamento del provvedimento passato in giudicato.
In particolare, con due ordinanze di rinvio preliminare, il Giudice italiano, premessa la descrizione e l’operatività delle disposizioni di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c. e all’art. 2909 c.c., in materia di passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo non
tempestivamente opposto e di giudicato implicito, che copre le questioni dedotte e deducibili, ha chiesto: ‘Se ed a quali condizioni gli artt. 6 e 7 RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13 e l’art. 47 RAGIONE_SOCIALE Carta ostino ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato e che preclude allo stesso giudice, in caso di manifestazione di volontà del consumatore di volersi avvalere RAGIONE_SOCIALE abusività RAGIONE_SOCIALE clausola contenuta nel contratto in forza del quale è stato formato il titolo esecutivo, di superare gli effetti del giudicato implicito’.
La CGUE, riunite le cause C-693/19, RAGIONE_SOCIALE , e C831/19, Banco RAGIONE_SOCIALE , ha sancito, con la sentenza del 17 maggio 2022: ’65. Orbene, una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata, anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo, può, tenuto conto RAGIONE_SOCIALE natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotte so alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali. 66. Ne consegue che, in un caso del genere, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione … L’art. 6,
paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 1, RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame RAGIONE_SOCIALE loro validità -successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole’.
Il contenuto precettivo di tale sentenza è pienamente in linea con le pronunce rese nello stesso giorno, in relazione a quesiti consimili -tutti relativi alla compatibilità o meno del diritto nazionale con quello europeo, nella parte in cui non consente di superare il giudicato implicito formatosi in relazione a clausole abusive non espressamente esaminate dal giudice di primo grado -, formulati da giudici dell’esecuzione e, nella sentenza CGUE C -869/19, Unicaja Banco , dal giudice d’appello.
In particolare, in quest’ultima causa, la CGUE ha statuito: ‘L’art. 6, paragrafo 1, RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che esso osta all’applicazione di principi del procedimento giurisdizionale nazionale, in forza dei quali il giudice nazionale, adito in appello avverso una sentenza che limita nel tempo la restituzione delle somme indebitamente corrisposte dal
consumatore in base a una clausola dichiarata abusiva, non può sollevare d’ufficio un motivo relativo alla violazione RAGIONE_SOCIALE disposizione in parola e disporre la restituzione integrale di dette somme, laddove la mancata contestazione di tale limitazione nel tempo da parte del consumatore interessato non possa essere imputata a una completa passività di quest’ultimo’.
Nella sentenza resa nella causa C-600/19, Ibercaja Banco , la CGUE ha invece sancito: ‘L’art. 6, paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 1, RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che, a causa degli effetti dell’autorità di cosa giudicata e RAGIONE_SOCIALE decadenza, non consente né al giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di clausole contrattuali nell’ambito del procedimento di esecuzione ipotecaria, né al consumatore, dopo la scadenza del termine per proporre opposizione, di far valere il carattere abusivo di tali clausole nel procedimento in parola o in un successivo procedimento dichiarativo, quando dette clausole siano già state oggetto, al momento dell’avvio del procedimento di esecuzione ipotecaria, di un esame d’ufficio da parte del giudice quanto al loro eventuale carattere abusivo, ma la decisione giurisdizionale che autorizza l’esecuzione ipotecaria non comporti alcun punto RAGIONE_SOCIALE motivazione, nemmeno sommario, che dia atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dell’esame in parola né indichi che la valutazione effettuata dal giudice di cui trattasi in esito a tale esame non potrà più essere rimessa in discussione in assenza di opposizione nel termine citato’.
Nella sentenza gemella resa nella causa C-725/19, RAGIONE_SOCIALE , la CGUE ha quindi affermato: ‘L’art. 6, paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 1, RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non consente al giudice dell’esecuzione di un credito, investito di un’opposizione a tale esecuzione, di valutare, d’ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista che costituisce titolo esecutivo, dal momento che il giudice di merito, che può essere investito di un’azione distinta di diritto comune al fine di fare esaminare il carattere eventualmente abusivo delle clausole di un siffatto contratto, può sospendere il procedimento di esecuzione fino a che si pronunci sul merito solo dietro versamento di una cauzione di un’entità che è idonea a scoraggiare il consumatore dall’introdurre e dal mantenere un siffatto ricorso’.
I menzionati principi risultano in continuità con quanto più volte già sostenuto dalla CGUE in tema di rispetto del principio di effettività RAGIONE_SOCIALE tutela consumeristica apprestata dalla direttiva 93/13/CEE, in conformità all’art. 47 RAGIONE_SOCIALE Carta (CGUE 4 giugno 2009, in C-243/08, RAGIONE_SOCIALE , punti 31 e 32 RAGIONE_SOCIALE motivazione; 6 ottobre 2009, in C-40/08, RAGIONE_SOCIALE , punti 35 e 36 RAGIONE_SOCIALE motivazione; 17 dicembre 2009, in C-227/08, NOME COGNOME , punti 18 e 20 RAGIONE_SOCIALE motivazione; 9 novembre 2010, in C-137/08, VB Pénzügyi Lízing , punto 56 RAGIONE_SOCIALE motivazione; 18 febbraio 2016, in C-49/14, RAGIONE_SOCIALE , punto 77 RAGIONE_SOCIALE
motivazione; 26 gennaio 2017, in C-421/14, Banco Primus , punto 47 RAGIONE_SOCIALE motivazione; 7 novembre 2019, in C-419/18 e C-483/18 riunite, Profi Credit Polska , punto 66 RAGIONE_SOCIALE motivazione; 11 marzo 2020, in C-511/17, RAGIONE_SOCIALE , punti 26, 36 e 37 RAGIONE_SOCIALE motivazione; 4 giugno 2020, in C-495/19, RAGIONE_SOCIALE , punto 37 RAGIONE_SOCIALE motivazione).
In particolare, nella sentenza da ultimo citata la Corte di Lussemburgo ha sostenuto: ’37. Quindi, in primo luogo e per giurisprudenza costante, il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio, non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, il carattere abusivo di una clausola contrattuale rientrante nell’ambito di applicazione RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13 e, in tal modo, ad ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista … 51. I giudici nazionali, ove non possano interpretare e applicare la normativa nazionale in modo conforme alle disposizioni RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13, hanno l’obbligo di esaminare d’ufficio se le clausole convenute tra le parti abbiano natura abusiva e, a tal fine, di adottare le misure istruttorie necessarie, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione o giurisprudenza nazionali che ostino a tale esame … L’art. 7, paragrafo 1, RAGIONE_SOCIALE direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una disposizione nazionale la quale impedisca a un giudice, che sia investito di un ricorso proposto da un professionista nei confronti di un consumatore e rientrante nell’ambito di applicazione RAGIONE_SOCIALE direttiva stessa e che statuisca in contumacia per mancata comparizione del consumatore
all’udienza cui era stato convocato, di adottare i mezzi istruttori necessari per valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali sulle quali il professionista ha fondato la propria domanda, qualora detto giudice nutra dubbi in merito al carattere abusivo di tali clausole, ai sensi RAGIONE_SOCIALE citata direttiva’.
4.5. -Ora, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le sentenze interpretative del diritto dell’Unione europea rese dalla CGUE hanno effetto di ius superveniens e i principi esposti dalla CGUE sono dunque immediatamente applicabili nell’ordinamento nazionale. Sicché, in tema di giudizio di rinvio, rientrano nell’ambito dello ius superveniens , che travalica il principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento, anche i mutamenti normativi prodotti dalle sentenze RAGIONE_SOCIALE Corte di giustizia UE, che hanno efficacia immediata nell’ordinamento nazionale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14624 del 25/05/2023; Sez. 5, Sentenza n. 9375 del 05/04/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 25414 del 26/08/2022; Sez. L, Sentenza n. 19301 del 12/09/2014; Sez. 5, Sentenza n. 15032 del 02/07/2014; Sez. 5, Sentenza n. 10939 del 24/05/2005), con l’unico limite dei rapporti esauriti.
Segnatamente, allorché il ricorso di legittimità attenga allo ius superveniens costituito da una sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha efficacia immediata nell’ordinamento nazionale e ha valenza retroattiva, esso deve essere trattato, purché non siano necessari nuovi accertamenti di fatto, salvo il limite dei rapporti esauriti (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 25278 del 09/10/2019; Sez. U, Sentenza n. 13676 del 16/06/2014).
Inoltre, in tema di nullità di protezione, questa Corte ha avuto modo di sostenere che le indicazioni provenienti dalla stessa Corte di giustizia in tema di rilievo officioso (nella specie, delle clausole abusive nei contratti relativi alle ipotesi di cd. commercio business-to-consumer ) consentono di desumere un chiaro rafforzamento del poteredovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità. Con la conseguenza che la omessa rilevazione officiosa RAGIONE_SOCIALE nullità finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole. La rilevabilità officiosa, pertanto, sembra costituire il proprium anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate ‘di protezione virtuale’.
Il potere del giudice di rilevarle tout court appare essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti -quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost., e l’uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica -(Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014).
4.6. -Ancora, è opportuno puntualizzare che il giudicato implicito richiede, per la sua formazione, che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si deduce essere stata risolta implicitamente sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione e che la questione decisa in modo espresso non sia stata impugnata (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 7115 del
12/03/2020; Sez. 1, Sentenza n. 16824 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 5581 del 06/04/2012; Sez. 2, Sentenza n. 22416 del 27/10/2011; Sez. U, Sentenza n. 6632 del 29/04/2003).
In specie, è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio), quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza.
Nel caso in disputa, come innanzi esposto, la disposizione RAGIONE_SOCIALE riduzione RAGIONE_SOCIALE clausola penale manifestamente eccessiva postula implicitamente la sua validità/efficacia.
5. -Orbene, alla luce dei principi fissati dalla CGUE nelle citate sentenze, entro la cornice delineata dagli arresti di questa Corte, si ritiene che si giustifichi il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia RAGIONE_SOCIALE questione relativa alla possibilità del Giudice di legittimità, adito all’esito del già disposto rinvio, di verificare e a quali condizioni -, ove emerga ex actis , l’esistenza di una clausola che appaia abusiva in contratto concluso con un consumatore, anche a fronte RAGIONE_SOCIALE sollecitazione pervenuta dal consumatore, rilevandone d’ufficio l’inefficacia.
E ciò tenuto conto, nella fattispecie, del precedente rinvio disposto da questa Corte, affinché fosse adeguatamente motivata la riduzione di una penale reputata manifestamente eccessiva, vincolando nei termini anzidetti il potere del giudice di rinvio, quale giudizio a carattere chiuso ex art. 394 c.p.c. (Cass. Sez. 2,
Ordinanza n. 29879 del 27/10/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 27736 del 22/09/2022; Sez. 6-5, Ordinanza n. 26108 del 18/10/2018; Sez. L, Ordinanza n. 19436 del 20/07/2018; Sez. 65, Ordinanza n. 9768 del 18/04/2017; Sez. 6-3, Ordinanza n. 7506 del 23/03/2017; Sez. 2, Sentenza n. 6292 del 31/03/2016).
In sede di rinvio, alcuna nullità è stata rilevata e si è invece provveduto a rimodulare i termini quantitativi RAGIONE_SOCIALE riduzione RAGIONE_SOCIALE clausola penale reputata manifestamente eccessiva, in attuazione del disposto RAGIONE_SOCIALE Corte di legittimità.
Fa, infatti, da contraltare al rilievo d’ufficio RAGIONE_SOCIALE natura abusiva RAGIONE_SOCIALE clausola il principio di stabilità-intangibilità delle sentenze emesse in sede di legittimità. Infatti, all’esito del rinvio, è stato affermato un principio di diritto cui il giudice di merito doveva attenersi in ordine alla adeguata motivazione RAGIONE_SOCIALE riduzione RAGIONE_SOCIALE clausola penale manifestamente eccessiva, consumandosi così il potere di rilevazione d’ufficio di un’eventuale nullità RAGIONE_SOCIALE clausola (in quanto tale rilevazione si sarebbe posta in contrasto con il principio di diritto sancito).
Opererebbe dunque -in base al diritto processuale interno -la preclusione verso il giudice di legittimità, adito successivamente alla celebrazione del giudizio di rinvio, in ordine al rilievo d’ufficio (su impulso di parte, che mai prima dell’odierno ricorso aveva sollevato la questione, rimanendo sul punto del tutto inerte) RAGIONE_SOCIALE nullità/inefficacia di una clausola del preliminare di vendita a protezione del consumatore, nel caso in cui il giudizio rimesso al giudice del rinvio sia circoscritto all’applicazione RAGIONE_SOCIALE penale e alla sua riduzione.
Con la conseguenza che dovrebbe ritenersi coperto dal giudicato interno (implicito) il fatto che la penale ex art. 7 del preliminare di vendita immobiliare concluso tra le parti il 9 settembre 1998 (di cui è stata pronunciata la risoluzione per inadempimento dei promissari acquirenti) dovesse essere applicata, previa valutazione, da parte del giudice del rinvio, delle circostanze concrete inerenti alla sua possibile eccessività.
Il principio di stabilità-intangibilità delle pronunce del giudice di ultima istanza dovrebbe impedire, pertanto, di rilevare in questa sede la nullità/inefficacia RAGIONE_SOCIALE clausola abusiva a salvaguardia dell’unità dell’interpretazione giurisprudenziale rimessa alla Corte di legittimità, quale garante dell’uniforme interpretazione delle norme giuridiche e dell’unità del diritto oggettivo (ex art. 65, primo comma, dell’ordinamento giudiziario di cui al r.d. n. 12/1941).
Rispetto a tale ricostruzione si pone il nodo relativo alla possibilità che il diritto euro-unitario costituisca fonte di ius superveniens allorché il giudizio di merito sia stato chiuso con la precedente pronuncia di questa Corte relativamente alle questioni non oggetto di dispositivo cassatorio, pur avendo avuto, in quella sede, la Corte di legittimità il potere rilevare d’ufficio tali questioni (e, anzi, avendo annullato la pronuncia impugnata solo in ordine alla carenza di adeguate argomentazioni atte a pervenire alla riduzione, nella misura indicata, RAGIONE_SOCIALE clausola penale manifestamente eccessiva, ai sensi dell’art. 1384 c.c.).
E tanto tenuto conto altresì RAGIONE_SOCIALE completa e prolungata passività imputabile ai consumatori, che mai hanno contestato
tale inefficacia, se non con il secondo ricorso in cassazione, dopo il giudizio di rinvio.
-Pertanto, a fronte del quadro normativo interno e giurisprudenziale delineato, si ritiene opportuna la rimessione RAGIONE_SOCIALE questione interpretativa alla Corte di giustizia UE, alla quale va sottoposto il seguente quesito, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’UE:
‘Se l’art. 6, paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 1, RAGIONE_SOCIALE Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e l’art. 47 RAGIONE_SOCIALE Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea debbano essere interpretati:
(a) nel senso che ostino all’applicazione dei principi del procedimento giurisdizionale nazionale, in forza dei quali le questioni pregiudiziali, anche in ordine alla nullità del contratto, che non siano state dedotte o rilevate in sede di legittimità, e che siano logicamente incompatibili con la natura del dispositivo cassatorio, non possono essere esaminate nel procedimento di rinvio, né nel corso del controllo di legittimità a cui le parti sottopongono la sentenza del giudice di rinvio;
(b) anche alla luce RAGIONE_SOCIALE considerazione circa la completa passività imputabile ai consumatori, qualora non abbiano mai contestato la nullità/inefficacia delle clausole abusive, se non con il ricorso per cassazione all’esito del giudizio di rinvio;
(c) e ciò con particolare riferimento alla rilevazione RAGIONE_SOCIALE natura abusiva di una clausola penale manifestamente eccessiva, di cui sia stata disposta, in sede di legittimità, la rimodulazione RAGIONE_SOCIALE riduzione secondo criteri adeguati ( quantum ), anche in
ragione del mancato rilievo RAGIONE_SOCIALE natura abusiva RAGIONE_SOCIALE clausola a cura dei consumatori ( an ), se non all’esito RAGIONE_SOCIALE pronuncia adottata in sede di rinvio’.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rimette alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale d’interpretazione RAGIONE_SOCIALE Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e dell’art. 47 RAGIONE_SOCIALE Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, nei sensi di cui in motivazione.
Dispone la sospensione del processo e la trasmissione di copia degli atti alla cancelleria RAGIONE_SOCIALE Corte di giustizia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE Seconda