Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3315 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3315 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
Ordinanza
sul ricorso n. 11786/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , difesa d all’ AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 6188/2019 del 3/10/2018.
Ascoltata la relazione del consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
La subappaltante e committente COGNOME proponeva dinanzi al Tribunale di Velletri, Sezione distaccata di RAGIONE_SOCIALE, nei confronti della subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE, opposizione al decreto ingiuntivo di pagamento di € 8.780 a titolo di corrispettivo. L’opponente eccepiva preliminarmente l’incompetenza territoriale del giudice adito sulla base di una clausola di deroga della competenza legislativa (in favore del Tribunale di Roma), contenuta negli ordini di acquisto. Nel merito la COGNOME contestava il debito, in parte perché già saldato, in parte perché i lavori non erano stati eseguiti a regola d’arte
e proponeva convenzionale risarcitoria nell’ammontare pari a € 10.000. Il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo e condannava peraltro la subappaltante COGNOME al pagamento di € 5.040 (rigettando il resto), nonché alle spese processuali (compensate per metà). In secondo grado, rigettato l’appello principale della subappaltante COGNOME, veniva accolto parzialmente quello incidentale della RAGIONE_SOCIALE (con un aumento di € 1,94 della cifra da corrispondere a titolo di interessi).
Ricorre in cassazione la subappaltante COGNOME con tre motivi di ricorso. Resiste la subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Ragioni della decisione
1. -Con il primo motivo (p. 6) la subappaltante COGNOME censura che sia stata disconosciuta la validità ex art. 29 c.p.c. della clausola di deroga della competenza territoriale. Si deduce la violazione degli artt. 18, 19, 20 e 637 c.p.c. nonché la falsa a pplicazione degli artt. 1341, 1342 c.c. e dell’art. 29 c.p.c., dell’art. 1182 c.c. circa il luogo dell’adempimento, in relazione all’art. 637 c.p.c. In particolare, si fa valere che tale clausola non può essere equiparata né alle condizioni generali di contratto ex art. 1341 c.c., né al contratto concluso mediante moduli o formulari con la conseguenza dell’inapplicabilità di tali norme sostanziali ai fini del giudizio di validità formale della clausola. Così come si ritiene erronea l’equiparazione tra l’art . 1182 co. 3 c.c. circa il luogo del pagamento presso il domicilio del creditore e l’art. 637 c.p.c. che individua il giudice competente per l’ingiunzione di pagamento in quello che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria (che sarebbe il Tribunale di Roma, in relazione alla sede della debitrice subappaltante COGNOME).
Il primo motivo non è fondato.
Come accertato in sede di merito, la clausola di cui si discute prevede che: «Per qualsiasi controversia sarà competente il Tribunale di Roma » ed è riportata, a stampa, in entrambi gli ordini di acquisto predisposti dalla RAGIONE_SOCIALE e concernenti le due fatture per le quali la RAGIONE_SOCIALE ha
chiesto l’ingiunzione di pagamento. A condivisibile avviso della Corte di appello, tale formulazione generica non individua affatto un foro convenzionale esclusivo. Tale può ritenersi il foro convenzionale solo quando vi sia una dichiarazione espressa univoca dalla quale risulti la concorde volontà delle parti, non solo di derogare alla ordinaria competenza territoriale, ma anche di escludere la concorrenza del foro designato con quelli previsti dalla legge in via alternativa (cfr. 21010/2020).
La conformità della sentenza impugnata a tale principio di diritto, colto nelle sue articolazioni in relazione al caso di specie (così come concretizzate dalla Corte di appello) implica logicamente il rigetto di ogni ulteriore profilo di contestazione della competenza fatto valere dalla ricorrente.
Il primo motivo è rigettato.
2. Il secondo motivo (p. 7) denuncia la violazione dell’art. 1665 co. 4 c.c. per avere la Corte di appello equiparato l’emissione della prima fattura n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO ad accettazione tacita dei lavori pattuiti inter partes, mentre era previsto che l’emissione della fattura fosse subordinata all’autorizzazione della stazione appaltante (cioè l’Istituto religioso), senza prescindere dal sopralluogo del direttore dei lavori, l’architetto NOME COGNOME, in data 2/12/2005, cui seguiva una lettera di contestazione di inadempimento dei lavori ricevuta dalla COGNOME, che a sua volta inoltrava ad RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE una lettera di contestazione il 19/12/2005.
Il secondo motivo non è fondato.
Come accertato in sede di merito, la subappaltante COGNOME ha allegato di aver pagato la fattura n. 620/NUMERO_DOCUMENTO (€ 3.540) il 23/11/2005, prima della notifica del decreto ingiuntivo, avvenuta il 5/12/2005, ed ha impugnato la sentenza di primo grado per la condanna al pagamento del credito residuo di € 5.040 di cui alla fattura n. 648/2005. Al riguardo la COGNOME ha eccepito che l’emissione di tale fattura non era stata autorizzata dal responsabile di commessa così come richiesto dalle condizioni contrattuali e che la corretta esecuzione della verniciatura delle serrande era stata tempestivamente
contestata nel dicembre 2005, trattandosi di vizi che si sono manifestati solo con l’abbassamento delle temperature dovuto all’arrivo della stagione invernale e le piogge.
In realtà -come condivisibilmente argomenta la Corte di appello -una clausola che la fattura può essere emessa solo previo nulla osta specifico rilasciato dal responsabile principale della commessa è inefficace qualora (come constatato nel caso di specie) non sia stata sottoscritta espressamente dal subappaltatore ex artt. 1341 co. 2 e 1342 c.c. In secondo luogo, la Corte di appello ha accertato che la fattura n. 648/2005 non è stata respinta dalla subappaltante COGNOME a conferma dell’avvenuta consegna in quella data, senza riserve, del lavoro eseguito.
Il giudizio d’ infondatezza del secondo motivo, che già è avviato dalla conformità della sentenza impugnata al principio di diritto appena menzionato, è rafforzato dagli ulteriori rilievi che, rispetto alla emissione di tale fattura alla fine di luglio 2005, è tardiva la contestazione inviata per la prima volta il 19/12/2005, dopo più solleciti di pagamento e la notificazione del decreto ingiuntivo, non solo perché l’allegazione della RAGIONE_SOCIALE che il vizio si è manifestato con il passaggio alla stagione fredda è stata ritenuta poco verosimile, ma anche perché la lettera di contestazione, inviata dal direttore dei lavori dopo il sopralluogo dell’inizio di dicembre, faceva riferimento a precedenti contestazioni.
Il secondo motivo è rigettato.
3. – Il terzo motivo (p. 8) denuncia la violazione degli artt. 645, 654 c.p.c. in riferimento agli artt. 2049 e 2946 c.c. per avere la Corte di appello da un lato richiamato l’art. 653 c.p.c., dall’altro confermato di fatto il decreto ingiuntivo opposto sia per quanto concerne l’originario importo residuo di € 5.040 a debito della RAGIONE_SOCIALE, con addebito all’appellante degli interessi legali con condanna alla rifusione delle spese del giudizio di appello.
Il terzo motivo non è fondato.
Nel suo impianto, il motivo sottovaluta che il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ha un duplice oggetto: da un lato, i requisiti di validità del decreto ingiuntivo ; dall’altro lato, l’accertamento del credito azionato con il ricorso per ingiunzione, per cui la revoca del decreto ingiuntivo in risposta al primo profilo può ben accoppiarsi, in risposta al secondo profilo, ad una condanna al pagamento di una somma anche di importo identico a quello ingiunto (senza contraddizione alcuna). Parimenti, con riferimento alle spese, la sentenza emanata all’esito del giudizio di opposizione si sostituisce al provvedimento monitorio. Pertanto, è immune da vizi sia il capo che ha liquidato globalmente (sia per la fase monitoria, che per quella dell’opposizione) le spese processuali , sia quello relativo agli interessi per il ritardato pagamento, fermo rimanendo l’accertamento di merito che il pagamento parziale di € 3.540 è stato effettuato dall’appellante COGNOME in data 23/11/2005, mentre il ricorso per decreto ingiuntivo è stato depositato da RAGIONE_SOCIALE in data 15/11/2005.
Il terzo motivo è rigettato.
4. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unif icato a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 1.400, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso a Roma il 18/01/2024.