Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 35092 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 35092 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12660/2022 R.G. proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME p.e.c.: EMAIL
-ricorrente –
contro
NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME (p.e.c.: ) e dall’avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Trieste n. 411/2021, pubblicata in data 3 novembre 2021 ed oggetto di correzione di errore materiale con ordinanza pubblicata in data 22 marzo 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Udine, RAGIONE_SOCIALE lamentando la ‘ indeterminatezza ‘ della clausola contrattuale relativa agli interessi inserita del contratto di leasing immobiliare stipulato con la convenuta e chiedendo la restituzione della somma di euro 842.478,42.
Si costituiva la convenuta, la quale, per l’ipotesi di nullità della clausola relativa agli interessi, spiegava domanda riconvenzionale volta ad ottenere la restituzione della somma di euro 119.248,20, da essa corrisposta a titolo di indicizzazioni in favore dell’utilizzatrice .
Nel corso del giudizio la convenuta evidenziava che, con atto di riscatto di leasing del 16 aprile 2018, la parte acquirente aveva dichiarato di non avere più nulla a pretendere in relazione al contratto.
Con sentenza n. 467/2020, il Tribunale dichiarava ‹‹ la nullità della clausola relativa al tasso contrattuale, contenuta alla lettera D del contratto di leasing ›› e, previa applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117 t.u.b., condannava la società concedente al pagamento in favore dell’attrice, a titolo di ripetizione di indebito, della somma di euro 210.213,89, oltre interessi ex art. 1284, quarto comma, cod. civ. dalla domanda giudiziale al saldo, e rigettava tutte le altre domande avanzate dall’attrice; accoglieva, altresì , parzialmente la domanda riconvenzionale, condannando l’attrice alla restituzione della
somma di euro 79.299,31; d ando atto dell’ intervenuto riscatto del bene in data 16 aprile 2018, rilevava la tardività della produzione del relativo atto notarile, perché avvenuta solo all’udienza del 28 gennaio 2019.
2. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 411/2021, in esito al gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE e, in via incidentale, da RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato, in dispositivo, l’appello principale , confermando la sentenza impugnata, ma, in motivazione, ha posto in rilievo che l’atto notarile del 16 aprile 2018, con il quale la società appellata aveva riscattato il bene, conteneva una clausola di chiaro tenore letterale in forza della quale la stessa società aveva espressamente dichiarato ‹‹ di non avere nulla più a pretendere in relazione al contratto di leasing inter partes ed alle somme versate in esecuzione del medesimo contratto ›› . Ritenendo che la dichiarazione avesse valore di atto di rinuncia, valido, perché il contratto di leasing al quale esso afferiva non era nullo, né aveva causa illecita, ha contestualmente considerato irrilevante che il deposito dell’atto di riscatto fosse avvenuto in primo grado dopo la scadenza dei termini ex art. 183 cod. proc. civ., ben potendo la cessazione della materia del contendere essere rilevata d’ufficio; ha pure escluso che si potesse parlare di clausola di stile, dal momento che era stata prevista in un atto non predisposto unilateralmente e che si inseriva ‹‹soprattutto in una situazione già contenziosa in cui ciascuna delle parti ben doveva ponderare e riflettere sul contenuto dell’atto ed era consapevole delle conseguenze di ogni affermazione››. Ha, infine, dichiarat o assorbita ogni altra questione, ivi compreso il gravame incidentale.
Con ordinanza pubblicata in data 22 marzo 2022, la Corte d’appello, accogliendo il ricorso ex art. 287 cod. proc. civ. depositato da NOME COGNOME, ha proceduto alla correzione del dispositivo della
suddetta sentenza , così provvedendo: ‹‹la Corte d’appello di Trieste definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda di ripetizione di indebito formulata dall’appellata RAGIONE_SOCIALE››.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione della suddetta sentenza oggetto di correzione, con quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso principale , deducendo ‹‹la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ed in particolare dell’art. 287 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e/o all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.››, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello , in difetto dei necessari presupposti, ha accolto l’istanza di correzione di errore materiale consistito nell’avere indicato, in dispositivo, il rigetto dell’appello invece che l’accoglimento.
1.1. Questa Corte già con la sentenza n. 1205 del 1984 (che peraltro richiama precedenti ancora più lontani, quali Cass., n. 4188/79; Cass., n. 16/78 e Cass., n. 2784/68) ha sancito il principio secondo cui ‹‹ il contrasto tra formulazione letterale del dispositivo (di rigetto della domanda) e pronunzia adottata in motivazione (di accoglimento) integra, non un vizio incidente sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, come tale emendabile con la procedura ex art. 287 cod. proc. civ.».
Anche la giurisprudenza successiva si è espressa in tal senso, precisando che ‹‹ il contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – distinguendosi, quindi, sia dall’ error in iudicando deducibile ex art. 360 c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4 – ed è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepito e rilevato ictu oculi , senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza ›› (Cass., sez. 2, 30/08/2004, n. 17392; Cass., sez. 1, 20/09/1999, n. 10129; Cass., sez. 6 -5, 17/10/2018, n. 26074; Cass., sez. 2, 12/03/2018, n. 5939; Cass., sez. 6 -5, 26/09/2017, n. 22433; Cass., sez. 5, 19/07/2006, n. 16488).
1.2. Nel caso de quo, la Corte d’appello ha fatto puntuale applicazione dei suesposti principi, ritenendo che il contrasto tra il dispositivo e la parte motivazionale della sentenza integrasse una mera svista, poiché dalla lettura della sentenza era facilmente evincibile quale delle due parti fosse risultata vittoriosa in appello e quale, invece, soccombente ed ha, correttamente, considerato emendabile l’errore materiale.
La censura prospettata dalla ricorrente deve, pertanto, essere rigettata, con conseguente assorbimento dell’unico motivo del ricorso
incidentale condizionato, con il quale RAGIONE_SOCIALE ha dedotto, ai sensi del n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 132, 156, 161 cod. proc. civ., la nullità della sentenza nella sua originaria formulazione, non emendata, per insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione.
Con il secondo motivo del ricorso principale, rubricato: ‹‹Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare degli artt. 1362 e seguenti c.c., dell’art. 1965 c.c. in combinato disposto con gli artt. 1418 c.c. e 1346 c.c. e violazione e falsa applicazione di norme di diritto in particolare dell’art. 1972 c.c. e 1419 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.›› , la ricorrente si duole del fatto che il giudice di secondo grado abbia considerato e valorizzato la dichiarazione inserita nell’atto di riscatto, senza tuttavia soffermarsi ad analizzare la natura di tale atto in termini di eventuale rinuncia o di transazione, avente o non efficacia novativa, e trascurando di prendere in esame, ai fini dell’interpretazione della dichiarazione, i criteri ermeneutici rinvenibili nel codice civile e, comunque, i principi relativi alla ratio di ogni transazione.
2.1. La censura è infondata.
2.2. È ben vero che, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte (v. ex plurimis , Cass., sez. L, 31/01/2011, n. 2146; Cass., sez. 3, 20/01/2003, n. 729), ai fini della qualificazione di una dichiarazione liberatoria sottoscritta dalla parte come quietanza o piuttosto come transazione, occorre considerare che la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisce, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell’interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti e, pertanto, concreta una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale; tuttavia, la stessa giurisprudenza ha chiarito che, nella dichiarazione liberatoria sono ravvisabili gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in
senso stretto quando, per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde , risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti.
Occorre pure ribadire che l’interpretazione di un atto negoziale è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito (Cass., sez. L, 28/04/2015, n. 8586; in precedenza, ex multis , cfr. Cass., sez. L, 03/08/2007, n. 17067; Cass., sez. 3, 19/05/2006, n. 11756), con una operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto (tra le tante, Cass., sez. L, 15/04/2013, n. 9070), e che le valutazioni del giudice di merito in ordine all’interpretazione degli atti negoziali soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente ( ex plurimis , Cass, sez. L, 04/04/2022, n. 10745; Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718; Cass., sez. L, 27/02/2009, n. 4851; Cass., sez. L, 09/02/2009, n. 3187; Cass., sez. L, 10/06/2008, n. 15339; Cass., sez. 3, 19/05/2006, n. 11756; Cass., sez. L, 03/05/2003, n. 6724; Cass., sez. 3, 18/11/2003, n. 17427).
Peraltro, la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione -ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni di una eventuale deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito -non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass., sez. L, 03/07/2024, n. 18214; Cass., sez. 3, 28/09/2009, n. 20752; Cass., sez. 2, 07/07/2004, n. 12468; Cass., sez. 3, 07/12/2004, n. 22979, Cass., sez. L, 17/05/2003, n. 7740; Cass., sez. 2, 22/08/2002, n. 12366; Cass., sez. L, 24/08/2000, n. 11053). E per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal
giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito -dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass., sez. 1, 09/04/2021, n. 9461; Cass., sez. 1, 27/06/2018, n. 16987; Cass., sez. 3, 28/11/2017, n. 28319; Cass., sez. L, 06/05/2015, n. 9120; Cass., sez. 2, 27/04/2010, n. 10044; Cass., sez. 3, 12/07/2007, n. 15604; Cass., sez. 1, 22/02/2007, n. 4178; Cass., sez. 1, 02/05/2006, n. 10131). Infatti il ricorso in sede di legittimità -riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo -laddove censuri l’interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (in termini: Cass., sez. L, 23/08/2006, n. 18375; conforme, più di recente, Cass., sez. L, 03/06/2014, n. 12360; Cass., sez. L, 28/04/2015, n. 8586).
2.4. Orbene, nella specie, la ricorrente genericamente contesta la presunta violazione delle regole legali dell’interpretazione, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale, senza tuttavia evidenziare specifiche deficienze o contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito, in quanto, nella sostanza,
si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole, argomentando che la dichiarazione inserita nell’atto di riscatto di leasing del 16 aprile 2018, rep. n. 156801 e n. 68284 Racc. del notaio COGNOME -laddove si legge ‹‹ La parte acquirente dichiara di non aver più nulla a pretendere nei confronti della Banca e/o dei suoi danti causa in relazione al contratto di locazione finanziaria di cui sopra ed alle somme versate a qualsiasi titolo in dipendenza di tale contratto ›› -costituisce una mera clausola di stile, che, per l’ampiezza ed indeterminatezza dell’oggetto, sarebbe inidonea a chiarire la natura della pretesa (restitutoria, risarcitoria, o a titolo di ingiustificato arricchimento, di indebito o altro) a cui la stessa avrebbe abdicato, riguardo alle somme versate a qualsiasi titolo in dipendenza del contratto, e si porrebbe in contrasto con la volontà da essa manifestata prima della stipula del rogito stesso in senso diametralmente opposto.
Le doglianze, a ben vedere, anche sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, sono finalizzate a rimettere in discussione l’accertamento di fatto , ossia l’interpretazione dell’atto di riscatto fornita dal giudice di appello, che, con motivazione sintetica, ma del tutto plausibile, dopo avere escluso che alla dichiarazione possa riconoscersi efficacia transattiva, in assenza di reciproche concessioni, cosicché del tutto inconferenti si rivelano i richiami alle norme che disciplinano la transazione (artt. 1972 e 1965 cod. civ.), ha piuttosto ritenuto che, con la sottoscrizione dell’atto notarile, la COGNOME, ben consapevole della pendenza del giudizio avente ad oggetto la domanda di restituzione di somme, già precedentemente introdotto con atto di citazione notificato in data 2 maggio 2017, e dei presunti vizi da cui sarebbe affetto il contratto o alcune sue clausole, dalla stessa denunciati nell’ambito del medesimo giudizio e già portati a conoscenza della Banca, aveva inteso rinunciare al diritto rivendicato
in quel giudizio e di cui poteva liberamente disporre. In tal modo ha riconosciuto efficacia negoziale alla dichiarazione espressa all’art. 3 dell’atto di riscatto e negato al contempo che l’espressione onnicomprensiva ‹‹non avere null’altro a pretendere in relazione al contratto di locazione finanziaria ›› potesse essere assimilata ad una clausola di stile, di per sé non sufficiente a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell’interessata, tenuto conto che la dichiarazione, inserita in un rogito notarile e non in una scrittura unilateralmente predisposta, conteneva non solo un generico riferimento al contratto di locazione finanziaria intercorso tra le parti, ma un puntuale e specifico richiamo ‹‹ alle somme versate in esecuzione del medesimo contratto ›› , ossia proprio alle somme di cui la ricorrente aveva con l’atto di citazione in origine richiesto la restituzione a titolo di indebito; ha, pertanto, ritenuto trattarsi di affermazione dalla quale chiaramente traspariva che la COGNOME avesse ben ‘ponderato’ e ‘riflettuto’ sul contenuto dell’atto , nella consapevolezza delle conseguenze da essa derivanti, ed avesse inteso esprimere una volontà contraria a quella manifestata con l’introduzione del giudizio, ossia di voler rinunciare a qualsiasi diritto o azione, anche giudiziale, nei confronti della società locatrice, alla stregua di una ‹‹ quietanza a saldo ›› .
2.5. A tali conclusioni non è , d’altro canto, di ostacolo né la circostanza di una precedente riserva, espressa dalla COGNOME con lettera del 5 dicembre 2017, volta a fare salvi ‹‹ gli effetti del giudizio pendente innanzi al Tribunale di Udine, n. 2122/2017 Dott.ssa NOME COGNOME› , trattandosi, all’evidenza , di una riserva superata dalla successiva pattuizione contrattuale inserita nell’atto di riscatto e con essa incompatibile, né l’ulteriore inciso in base al quale Hypo (oggi JPS) si era ivi riservata ‹‹… la facoltà di effettuare, successivamente alla sottoscrizione del presente atto, delle verifiche
sui conteggi degli interessi e delle indicizzazioni del contratto in oggetto, anche su espressa segnalazione dell’utilizzatore/acquirente , emettendo, se del caso, apposite note di accredito a favore dell’utilizzatore/acquirente›› , essendosi in presenza di una mera facoltà accordata alla sola concedente, come tale inidonea a scalfire la p ortata della dichiarazione resa dall’acquirente con l’atto di riscatto.
Con il terzo motivo è dedotto ‹‹ omesso esame di un fatto decisivo -violazione di legge in relazione all’art. 183 c.p.c. ed all’art. 153 c.p.c. sulla produzione documentale -tardività dell’eccezione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.›› e, con il quarto motivo, si prospetta ‹‹ omesso esame di un fatto decisivo ed in particolare omessa pronuncia sull’eventuale cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione o rinuncia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.; violazione di norma di legge ed in particolare dell’art. 1350 n. 12 e 2684 n. 4 c.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.›› .
La ricorrente, trattando congiuntamente le due doglianze sopra riportate, lamenta il mancato accoglimento, da parte del giudice d’appello, dell’eccezione di tardività della produzione dell’atto di riscatto, effettuata dalla società concedente soltanto all’udienza del 28 gennaio 2019, rimarcando che, sebbene il documento fosse venuto ad esistenza successivamente al maturarsi delle preclusioni istruttorie, avrebbe comunque dovuto essere prodotto in giudizio entro la prima difesa utile, con la conseguenza che la produzione ‘ intempestiva ‘ (avvenuta dopo circa tre udienze dalla data di formazione del documento) ne impediva l’esame ai fini della decisione. Ciò ‘in ragione del principio per cui i documenti devono essere depositati, a pena di decadenza, nei termini ex art. 183 c.p.c., ovvero previa motivata istanza di rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c.’. Sostiene, pure, che la Corte territoriale avrebbe omesso ogni valutazione anche in tema di ‘presunta cessazione della
materia del contendere’ e che a nulla vale qualificare, ove possibile, l’eccezione di cessazione della materia del contendere quale rilevabile d’ufficio laddove manca il minimo sostegno documentale alla decisione che deve, essere, comunque, tempestivo.
3.1. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché strettamente connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
3.2. È pacifico tra le parti che alla data di stipula dell’atto di riscatto di leasing , intervenuto in data 16 aprile 2018, e della sua produzione in giudizio erano già stati concessi dal giudice i termini di cui al sesto comma dell’art 183 cod. proc. civ. ed erano già maturate le preclusioni di rito.
Tanto è sufficiente per escludere la violazione dell’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., poiché non è in discussione che è certamente ammissibile la produzione di documenti sopravvenuti al formarsi delle preclusioni istruttorie di cui alla disposizione invocata, in virtù del principio secondo cui la circostanza che un documento, o qualsiasi altra fonte di prova, sia venuto ad esistenza dopo il maturare delle preclusioni processuali legittima la rimessione in termini della parte che non abbia potuto produrlo precedentemente, e il solo fatto di allegare quel documento agli atti costituisce di per sé una implicita richiesta di rimessione in termini (Cass., sez. 3, 13/06/2019, n. 15879; Cass., sez. 6 -3, 15/10/2018, n. 25631; Cass., sez. 3, 14/03/2006, n. 5465; Cass., sez. L, 22/05/2006, n. 11922).
3.3. Piuttosto le doglianze svolte la ricorrente attingono la decisione dell a Corte d’appello nella parte in cui ha disatteso l’eccezione di tardività della produzione dell’atto di riscatto di leasing , avvenuta nel corso del giudizio di primo grado, e laddove ha ritenuto che non fosse maturata alcuna decadenza, tanto che ha posto quel documento a fondamento del decisum .
La ricorrente nella rubrica del terzo motivo evoca anche la violazione dell’art. 153 cod. proc. civ., ma non illustra in modo specifico e puntuale le ragioni per le quali il giudice d’appello sarebbe incorso nella violazione di tale disposizione normativa, limitandosi a richiamare quanto evidenziato dal giudice di primo grado, secondo cui ‹‹pur non essendovi una decadenza sancita dalla legge, l’onere della parte di allegare tempestivamente -e, dunque, alla prima udienza utile -un documento sopravvenuto risponde al principio generale per cui ogni eccezione o difesa deve essere svolta nel primo momento processuale possibile, si tratti di udienza o di memoria, ed è conforme ai canoni di disponibilità del processo e di diritto al contraddittorio››; assume, quindi, che il documento avrebbe dovuto essere prodotto ‘alla prima udienza utile’ immediatamente successiva alla sua formazione e non alla terza udienza successiva -e precisamente all’udienza del 28 gennaio 2019 così lasciando intendere, in sostanza, che la controparte sarebbe incorsa in una decadenza e che essa ricorrente non sarebbe stata posta nelle condizioni di poter adeguatamente svolgere le proprie difese.
L ‘assunto difensivo non può essere condiviso .
Premesso che non vi è decadenza sancita dalla legge, nella specie, in realtà, non si può porre una questione di violazione del principio del contraddittorio e di pregiudizio del diritto di difesa, in quanto la odierna ricorrente era ben a conoscenza dell’esistenza dell’atto di riscatto e delle conseguenze che da esso derivavano, avendolo sottoscritto, sicché la circostanza che quel documento non sia stato ‘ tempestivamente ‘ depositato agli atti del giudizio, ma sia stato prodotto alla terza udienza successiva alla sua formazione, è del tutto irrilevante, non potendo da essa farsi discendere l’effetto di avere limitato o, addirittura, impedito il diritto di difesa, trattandosi di atto di diretta emanazione della stessa parte ricorrente, che ne aveva
la disponibilità e ne conosceva il contenuto.
D’altro canto, la censura si rivela pure inammissibile, in quanto, il preteso vulnus al principio del contraddittorio ed ai propri diritti tesi alla dimostrazione di un una diversa ricostruzione della vicenda fattuale, non si lascia apprezzare perché la ricorrente, una volta affermata l’esistenza dell’ error in procedendo asseritamente commesso dal giudice di secondo grado, non spiega quali sarebbero stati le ulteriori allegazioni e, soprattutto, gli elementi probatori che avrebbe potuto offrire al giudice di merito e che sarebbero rimasti preclusi per effetto della ‘intempestiva’ produzione dell’atto di riscatto (Cass., sez. 1, 02/02/2018, n. 2626).
È sufficiente al riguardo considerare che l’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo , di talché, ove la parte ricorrente non indichi la specifica lesione subita, il lamentato vulnus procedurale non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento del provvedimento impugnato. Invero, tutte le deduzioni concernenti l’osservanza delle regole processuali, ivi comprese quelle volte a garantire il rispetto del principio del contraddittorio, soggiacciono al principio dell’interesse al gravame, e cioè alla verifica dell’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del mezzo azionato (cfr. Cass. civ., sez. L, 23/05/2008, n. 13373), il che comporta che l’impugnante, a pena di inammissibilità della censura, deve indicare quale sia stato il danno arrecato alle proprie attività difensive dalla invocata nullità processuale (cfr. Cass., sez. 3, 04/06/2007, n. 12952).
3.4. A tanto deve aggiungersi che neppure è ravvisabile il vizio di
omesso esame ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nei termini prospettati con le doglianze in disamina, posto che la disposizione da ultimo richiamata, come riformulata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass., sez. 2, n. 17005 del 20/06/2024; Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054).
3.5. Da ultimo, la qualificazione , da parte del giudice d’appello, della dichiarazione contenuta nell’atto di riscatto come atto di rinuncia alla pretesa sostanziale originariamente azionata, rende non pertinente la dedotta violazione degli artt . 1350 n. 12 e dell’art. 2684, n. 4, cod. civ., poiché tali disposizioni normative si riferiscono alla transazione.
Il ricorso principale deve, pertanto, essere rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, e agli accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione