Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8249 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8249 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28852 -2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Pescara, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura allegata al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , giusta procura allegata al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 880/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA , pubblicata il 22/5/2029;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2023 dal consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nel maggio 2012, RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Pescara, NOME AVV_NOTAIO esponendo che, in data 23/9/2010, aveva stipulato con la convenuta un contratto di appalto per la fornitura e posa in opera di un edificio residenziale a due piani, in legno lamellare, con fornitura di struttura e definizioni tecniche, per il complessivo prezzo di Euro 185.000,00.
In particolare, la società rappresentò che l’ opera appaltata era una casa da realizzarsi in legno, in adattamento, però, di un progetto architettonico di una casa in cemento armato o muratura ed erano perciò necessarie specifiche soluzioni tecniche; pertanto, in contratto, era stato dedotto sia l’obbligo di elaborazione di un progetto esecutivo, sia la realizzazione dell’opera; COGNOME si era impegnata a pagare alla firma del contratto la somma di Euro 9.250,00, oltre I.V.A., importo poi regolarmente fatturato e, quindi, alla firma dei disegni costruttivi, il prezzo di Euro 175.750,00 per la realizzazione dell’ intera opera; per mero ripensamento, tuttavia, la convenuta si era rifiutata di firmare i disegni esecutivi forniti e di proseguire nella realizzazione del progetto esecutivo del fabbricato; chiese, pertanto, la condanna della convenuta, previo accertamento e declaratoria della risoluzione del contratto di appalto per suo inadempimento, al pagamento della somma di Euro 10.175,00, come fatturata, corrispondente alla quota di prezzo convenuto alla firma e il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento .
1.1. COGNOME sostenne, invece, che il contratto prevedesse la sottoposizione al suo gradimento dei disegni esecutivi delle opere, al
fine di verificarne la corrispondenza al progetto architettonico; rappresentò che si era rifiutata di firmare i progetti e aveva comunicato la sua volontà di non accettare l’opera perché le soluzioni trasmesse dalla società in merito alla copertura del fabbricato erano divergenti dal progetto architettonico iniziale e comportavano modifiche e adattamenti tali da stravolgerne l’impianto; chiese, pertanto, il rigetto della domanda attrice e, in via subordinata, la risoluzione per inadempimento della società.
Espletata c.t.u. per la verifica della corrispondenza del progetto esecutivo fornito al progetto architettonico, il Tribunale di Pescara, riscontratala, con sentenza n. 1112/2015, dichiarò la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta COGNOME, condannandola al pagamento della somma pretesa per la parziale esecuzione del contratto, ma rigettando la domanda di risarcimento danni.
Con sentenza n. 880/2019, la Corte d’appello di L’Aquila rigettò l’appello di COGNOME: considerò, infatti, la peculiarità dell’opera appaltata, una casa da realizzarsi in legno, in adattamento, però, di un progetto architettonico di una casa in cemento armato o muratura che necessitava perciò di specifiche soluzioni tecniche, sicché era stato convenuto l’obbligo di fornire un progetto esecutivo e, poi, di realizzare materialmente la costruzione; escluse, quindi, che nella clausola n. 2 del programma lavori fosse ravvisabile una clausola di gradimento, in considerazione della sua formulazione letterale e in considerazione del tipo di opera appaltata; ritenne che le parti non avessero inteso sottoporre il contratto alla condizione sospensiva della clausola di gradimento, ma avessero invece voluto subordinare l’inizio della fase esecutiva alla previa verifica della conformità dei progetti esecutivi a quello architettonico; rimarcò che i plurimi progetti esecutivi sottoposti alla committente erano, secondo quanto affermato dal c.t.u., completi
in tutti i loro elementi e comunque non difformi dal disegno architettonico fornito dalla committente, sicché effettivamente non risultava giustificato l’inadempimento della convenuta COGNOME all’obbligo di controfirmarli per l’avvio della realizzazione dell’opera e fondata la richiesta del pagamento della quota di prezzo riconosciuta in primo grado.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, a cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME ha lamentato la violazione dell’art. 1362 cod. civ., per non avere la Corte d’appello interpretato la clausola n. 2 del programma lavori quale clausola di gradimento, non applicando correttamente né il criterio letterale né il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto.
1.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis cod. proc. civ., perché formulato in contrasto con l’orientamento ormai consolidato di questa Corte in materia di interpretazione di una clausola contrattuale.
L a Corte d’appello, in applicazione del criterio letterale e funzionale, ha interpretato la controfirma dei disegni esecutivi dell’opera in legno richiesta alla clausola n. 2 – come conferma, da parte della committente, dell’esito positivo della verifica della conformità dell’opera in legno a realizzarsi con il progetto architettonico da lei stessa consegnato per definire i termini dell’appalto; ha fondato questa interpretazione sulla peculiarità dell’oggetto dell’appalto, cioè la realizzazione di una costruzione in legno su un preciso progetto architettonico elaborato per una casa in cemento armato o in muratura, da adattare, perciò, necessariamente secondo diverse soluzioni tecniche; ha infine escluso, proprio in
riferimento alla formulazione letterale della clausola, che il «gradimento» della committente, inteso come potere di decidere se proseguire o non nell’esecuzione dell’opera appaltata seppure corrispondente al progetto fornito, fosse stato dedotto dalle parti in condizione sospensiva del contratto.
L’interpretazione è plausibile e la censura non è adeguatamente formulata, perché si risolve nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, laddove, per giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., ave ndo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati e, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato; l’interpretazione della clausola non deve , infatti, essere l’unica astrattamente possibile, ma soltanto una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Sez. 3 – , Sentenza n. 28319 del 28/11/2017; Sez. 1 – , Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018).
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello «omesso di considerare i rilievi del c .t.u.» sul punto della rispondenza della progettazione esecutiva rispetto al progetto architettonico allegato al contratto: in particolare, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia richiamato le conclusioni del c.t.u. senza
considerare che «erano frutto di considerazioni apodittiche non suffragate da riscontri tecnici».
2.1. Anche questo motivo è inammissibile: seppure vi sia denunciata, infatti, una violazione del 115 cod. proc. civ., non vi si prospetta che il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti, nel senso che abbia basato la motivazione su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio o tratto da una fonte di prova un’informazione che è invece impossibile ricondurre a tale mezzo (Cass. Sez. U, n. 20867 del 30/09/2020; ex plurimis Sez. 3, n. 12971 del 26/04/2022).
La censura, invece, si appunta sulla attribuzione, da parte della Corte territoriale, di una maggior forza di convincimento ad alcune prove piuttosto che ad altre, ma tale attività valutativa è consentita al Giudice dall’art. 116 cod. proc. civ. (Sez. U n. 20867/2020 cit.).
A ciò si aggiunga che le critiche sono formulate non in riferimento alla motivazione della sentenza impugnata e alla adesione alla c.t.u., ma alla motivazione della relazione stessa di c.t.u., sicché si risolvono in una richiesta di rivalutazione in merito della sussistenza dell’accertata corrispondenza dei disegni , evidentemente preclusa in questa sede di legittimità.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1453 cod. civ.: la Corte d’appello avrebbe infondatamente ritenuto adempiente la società appaltatrice che, invece, aveva sì redatto più disegni esecutivi, ma nessuno conforme al progetto architettonico.
3.1. Anche questa censura è inammissibile. Per principio consolidato, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una
norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità ( ex plurimis , Cass. Sez. 1, n. 24155 del 13/10/2017; Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019).
Nel motivo, invece, è censurato l’apprezzamento del giudice di merito sulla sussistenza di elementi comprovanti l’inadempimento e la sua gravità nel quadro dell’economia contrattuale, con implicazione della risoluzione di questioni di fatto, laddove questo apprezzamento è insindacabile in Cassazione se immune da errori logici o giuridici.
Il ricorso dev’essere, perciò, dichiarato inammissibile (cfr. quanto alla formula definitoria, Cass. Sez. U, n. 7155 del 2017; Sez. 2, n. 29629 del 28/12/2020).
Segue, per il principio della soccombenza, la condanna della ricorrente COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore della società RAGIONE_SOCIALE, liquidate in dispositivo in relazione al valore del credito contestato , con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario .
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda