Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33458 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33458 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 4426/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Angri (SA), alla INDIRIZZO in persona del presidente ed amministratore delegato NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME, presso il cui studio elettivamente domicilia in Angri (SA), alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 987/2020 della CORTE DI APPELLO DI SALERNO, pubblicata il giorno 03/08/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 18/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato il 13 giugno 2005, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE premesso di essersi resa cessionaria della quota di partecipazione al capitale della RAGIONE_SOCIALE detenuta da NOME COGNOME citò quest’ultimo innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore chiedendone la condanna al pagamento della somma di € 208.740,88, o di quella diversa da determinarsi in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione, in virtù della clausola, contenuta nell’articolo 3 dell’atto di cessione del 14 marzo 1998, con la quale era stato pattuito che il cedente versasse alla società cessionaria l’importo corrispondente a qualsiasi sopravvenienza passiva – fino alla concorrenza del 40% del suo ammontare e dedotti gli accantonamenti riportati nel bilancio al 31 dicembre 1997 – che traesse origine nel periodo antecedente alla stipula del contratto.
1.1. Costituitosi il convenuto, che contestò l’avversa pretesa, l’adito tribunale rigettò la domanda attrice con sentenza del 24 marzo 2016, n. 441. In particolare, richiamato il contenuto della clausola predetta, quel giudice ritenne, in linea con le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, che i pagamenti effettuati dalla menzionata società non potessero rientrare nel ‘ concetto di sopravvenienza passiva ‘, non integrando ‘ nuove passività ‘ destinate ad aggiungersi ‘ alle precedenti o nuovi costi ‘, correlati ‘ ad operazioni, estranee alla normale gestione dell’impresa ‘, manifestatesi ‘ in modo accidentale ed imprevisto ‘, scaturendo da un rapporto instaurato dalla RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE fin dall’anno 1989, delle cui vicende era rinvenibile chiara traccia nella contabilità e nelle note di accompagnamento ai bilanci sociali, a maggior ragione considerando che gli stessi contraenti, al fine di indicare, a titolo esemplificativo, quali esborsi potessero essere ricondotti nella nozione di sopravvenienza passiva, avevano fatto cenno ‘ ad inaspettate ripetizioni di contribuzioni da parte di enti o al pagamento di oneri previdenziali o tributari non previsti, né prevedibili dal
bilancio societario ‘, in cui ‘ l’elemento dell’imprevedibilità ‘ costituiva ‘ la caratteristica della sopravvenienza ‘.
Il gravame promosso dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contro questa decisione fu respinto dalla Corte di appello di Salerno con sentenza del 16 luglio/3 agosto 2020, n. 987, pronunciata nel contraddittorio con il Romano.
2.1. Quella corte affermò non potersi « imputare al Tribunale di Nocera Inferiore alcun errore nell’interpretazione della clausola contrattuale di cui all’articolo 3 dell’atto di cessione e, segnatamente, delle parole ‘sopravvenienza passiva’ in essa rinvenibili », posto che: i ) « Innanzi tutto, il sostantivo ‘sopravvenienza’, nell’italiano comune e, quindi, in virtù di un’interpretazione meramente letterale del termine, ha il significato del sopraggiungere di un fatto inatteso, potendo essere usato, sul piano, non è superfluo ribadirlo, meramente lessicale, per tutti gli eventi o avvenimenti imprevisti, che, appunto, sopravvengano rispetto ad una determinata situazione. Quindi, già nell’accezione comune, la parola ‘sopravvenienza’, in linea con l’interpretazione prospettata dal Giudice di primo grado, il quale l’ha ricondotta proprio a questo significato, allude ad un mutato quadro di una certa situazione, ad un cambiamento imprevedibile di essa »; ii ) « gli assunti de RAGIONE_SOCIALE nemmeno convincono con riferimento al significato tecnicocontabile al quale sarebbe rimasta confinata l’attività ermeneutica del Giudice di primo grado, il quale l’avrebbe prediletta aderendo all’interpretazione caldeggiata dal consulente tecnico d’ufficio . A parte quanto si è poc’anzi detto, riguardo al fatto che il termine ‘sopravvenienza’ è riconducibile al significato ad esso attribuito dal Tribunale di Nocera Inferiore anche adoperando il criterio di interpretazione letterale della volontà contrattuale, la circostanza che i contraenti abbiano utilizzato proprio la locuzione ‘sopravvenienza passiva’ e non parole che solitamente vengono usate per riferirsi, in clausole di garanzia correlate alla cessione di quote o azioni sociali, a tutte le ‘pendenze’ o alle ‘passività’ co stituisce un elemento ulteriore che non può non indirizzare nell’esegesi dell’intenzione avuta di mira dalle parti »; iii ) « l’atto di cessione del 14 marzo 1998 è stato rogato da un notaio e, cioè, da un professionista in grado di comprendere esattamente
e trasporre adeguatamente in termini giuridici la volontà dei contraenti – tra i quali proprio RAGIONE_SOCIALE una società di capitali, nemmeno di secondo piano, e, quindi, una contraente particolarmente qualificata e non certo a digiuno del significato, anche tecnico-contabile, delle parole utilizzate – e l’aver adoperato il termine ‘sopravvenienza’ assume, pertanto, un significato ben più pregnante, perché induce a ritenere – in mancanza di qualsivoglia elemento, di natura testuale, rinvenibile in singole parole o espressioni o nel complessivo tenore del regolamento negoziale, o aliunde desumibile o rilevabile, sulla scorta dei criteri di interpretazione contemplati dalla legge che non sia stato usato a caso, ma proprio nel senso ad esso attribuito dal Tribunale di Nocera Inferiore e, quindi, non quale riferimento generico a qualunque esborso di denaro eziologicamente correlato a fatti o vicende antecedenti alla stipula dell’atto di cessione, bensì a quelli imprevisti ed imprevedibili, tenuto conto degli elementi desumibili dalla contabilità della società, ed estranei all’ordinaria attività dell’impresa ed al normale andamento economico e finanziario di essa, perché correlati ad eventi eccezionali, accidentali, casuali . A ciò si aggiunga – e questo profilo è stato messo apertis verbis in rilievo del Giudice di primo grado, sulla scorta di argomentazioni non oggetto, in maniera dettagliata e specifica, di alcuna censura – che, al fine di fornire delucidazioni, sia pure a titolo esemplificativo, sul ‘concetto di sopravvenienza passiva’, i contraenti hanno menzionato ‘la richiesta di restituzione a favore di enti di somme erogate a titolo di contribuzione in conto esercizio o in conto capitale’ e ‘la richiesta di pagamenti di oneri previdenziali o tributari’, che attengono, appunto, a situazioni non previste e non prevedibili dalla mera scorsa della contabilità sociale, così come tutte quelle situazioni straordinarie da cui dipenda l’insorgere di passività accidentali »; iv ) « il Tribunale di Nocera Inferiore ha correttamente escluso che i pagamenti correlati al rapporto intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.n.cRAGIONE_SOCIALE potessero essere ricompresi nell’ambito della nozione di ‘sopravvenienza passiva’, quale fatta propria dai contraenti, perché, come ha mess o in evidenza il consulente tecnico d’ufficio, sulla scorta, peraltro, di argomentazioni sostanzialmente recepite dal Giudice di
primo grado e non oggetto di censura, dalla lettura della contabilità della RAGIONE_SOCIALE era possibile arguire agevolmente non solo l’esistenza del rapporto instaurato con la Laudato s.n.c., rientrante nell’ambito dell’ordinaria gestione dell’attività so ciale, ma anche la situazione debitoria che era via via maturata , per cui gli esborsi per i quali RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il pagamento, evocando l’obbligo assunto dal cedente in virtù dell’articolo 3 dell’atto di cessione, non potevano – e non possono – in alcun modo essere reputati imprevisti o imprevedibili »; v ) « Il Tribunale di Nocera inferiore, , non ha sostenuto che gli esborsi dei quali è stato chiesto, ancorché in parte, il pagamento non potessero essere considerati sopravvenienze passive perché derivanti da un rapporto, quello instaurato tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, antecedente all’atto di cessione, ma ha messo meramente in evidenza che, nell’ambito di un rapporto risalente nel tempo, rientrante, per di più, nell’ambito dell’ordinaria gestione dell’attività sociale, era maturata un’imponente debitoria, che aveva portato all’insorgere di una controversia ed anche al ricorso ad arbitri, per cui gli esborsi sostenuti non potevano che iscriversi nell’ambito di quella situazione, co nsolidatasi nel tempo ed evincibile dalla contabilità sociale »; vi ) « il riferimento agli accantonamenti riportati in bilancio dimostra solamente, non essendo possibile, in mancanza di qualsivoglia elemento, certo ed inoppugnabile, che dimostri una diversa intenzione dei contraenti, che questi ultimi hanno pattuito di non far gravare sul cedente esborsi, non specificamente determinati per natura, tipologia e consistenza, che sarebbero potuti comunque essere coperti, quanto meno in termini di comparazione quantitativa, dall’ammontare degli accantonamenti »; vii ) « Nessun elemento, di ordine testuale o di altra natura, in ogni caso, permette di revocare in dubbio, a fronte dell’interpretazione da dare alle parole ‘qualsiasi sopravvenienza passiva’, quale enun ciata nelle pagine che precedono, che i contraenti – meno che mai con il riferimento alla deducibilità degli accantonamenti – volessero alludere a tutti i pagamenti che traessero la loro origine in fatti ed in situazioni risalenti ad epoca antecedente all’ atto di cessione e non, invece, solamente a quelli dipendenti da eventi imprevisti ed imprevedibili »; viii ) « nessun elemento, di carattere letterale
o altrimenti emerso nel corso del giudizio, permette, ancora una volta, di intravedere quella natura transattiva – peraltro, genericamente, se non apoditticamente evocata dell’atto di cessione o del suo contenuto, non potendo certamente predicarsi in relazione al prezzo pagato, sulla scorta, è lecito arguire, di determinazioni negoziali liberamente assunte, che non consente di instaurare alcuna relazione, chiara ed incontrovertibile, con l’assunzione, da parte del cedente, dell’obbligo di rispondere per ‘qualsiasi sopravvenienza passiva’, trattandosi di una clausola di garanzia che, come si è più volte detto, frequentemente viene inserita in caso di trasferimento di azioni o quote sociali, né permette di arguire alcunché – il prezzo pagato riguardo all’estensione dell’impegno assunto dal cedente, che, a voler seguire, per mera ipotesi astratta, la ricostruzione contestata da RAGIONE_SOCIALE, avrebbe probabilmente visto la società cessionaria acconsentire ad un pagamento – a suo dire – così ingente – in relazione, invero, al mero valore nominale della partecipazione sociale dell’ appellato – pretendendo garanzie di ben altra consistenza, oltre che l’omissione di qualsivoglia limitazione – o una limitazione di portata meno ampia nella quantificazione dell’obbligo gravante sul cedente, diversamente da quanto è avvenuto, essendo stata circoscritta – tale limitazione – al 40% – e, quindi, ad un ammontare non particolarmente cospicuo, non corrispondente nemmeno alla metà – di ‘qualsiasi sopravvenienza passiva’, dedotti, per di più, gli accantonamenti riportati nel bilancio al 31 dicembre 1997 ».
Per la cassazione di questa sentenza, la s.pRAGIONE_SOCIALEa. La RAGIONE_SOCIALE ha promosso ricorso affidato a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, NOME COGNOME
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di interpretazione del negozio secondo la comune intenzione dei contraenti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Riportato il tenore letterale della clausola di cui all’art. 3 dell’atto di cessione del 14 marzo 1998 [‘ a),
garantisce la parte cedente, in proprio, l’adempimento di qualsiasi sopravvenienza passiva (quali, a solo titolo esemplificativo: la richiesta di restituzione a favore di Enti di somme erogate a titolo di contribuzione in c/esercizio o in c/capitale: richiesta di pagamenti di oneri previdenziali o tributari) di competenza del periodo antecedente il presente trasferimento di quota e ciò fino al 40% (quaranta per cento) di tali sopravvenienze, dedotti gli eventuali accantonamenti evidenziati nel bilancio chiuso al 31.12.1997. Nell’ipotesi che una singola sopravvenienza passiva sia di importo inferiore all’ammontare del corrispondente accantonamento iscritto in bilancio, l’esubero di accantonamento dovrà essere utilizzato in detrazione di eventuali altre soprav venienze passive per le quali l’accantonamento è stato effettuato in misura inferiore alla sopravvenienza effettiva. In definitiva, a fronte di tutte le sopravvenienze passive riferibili ai sopra citati accantonamenti dovranno dedursi tutti gli accantonamenti complessivamente considerati come evidenziati nel bilancio chiuso al 31.12.1997. Nulla sarà dovuto dalla cessionaria al cedente nella ipotesi in cui l’importo di tutti gli accantonamenti sia superiore all’importo di tutte le sopravvenienze passive »], la ricorrente assume, tra l’altro, che: i ) « Discostandosi dal dato testuale della norma contrattuale, la Corte territoriale ha ritenuto le spese sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE, non qualificabili come ‘sopravvenienze passive’, omettendo lo scrutinio testuale del contratto e rinunciando a conseguire l’esatta rappresentazione dell’effettiva e comune intenzione delle parti »; ii ) «La volontà delle parti di obbligare il cedente a rispondere di ogni futura passività/esborso (citata nell’atto di cessione come ‘sopravvenienza passiva’) nella misura concordata del 40% al netto degli accantonamenti è quindi chiaramente riferita a fatti o vicende non solo precedenti, ma anche noti e previsti in bilancio»;
II) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 cod. civ. – Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia autonomia negoziale delle parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c. ». Si sostiene che, « Nei precedenti gradi di merito, la valutazione della fondatezza della
domanda ha avuto come parametro di scrutinio esclusivamente una nozione asseritamente tecnica di ‘sopravvenienza passiva’: ciò ha determinato la palese violazione dell’art. 1322 cod. civ., che, nel sancire il principio di libertà negoziale, consente alle p arti di liberamente ‘determinare il contenuto del contratto…’. Ed infatti, qualunque sia il significato che la Corte territoriale avesse voluto attribuire all’espressione utilizzata dalle parti, il relativo potere di sindacato nello scrutinio della norma contrattuale si sarebbe dovuto arrestare sulla soglia del lecito esercizio della libertà negoziale delle parti, garantita dalla norma in parola. Nel caso di specie, a prescindere dal significato che si vuole attribuire alla terminologia da esse usata, le parti hanno lecitamente stabilito che laddove si fosse verificata una sopravvenienza passiva (comunque intesa), il cedente sarebbe stato obbligato a rimborsare la cessionaria del solo 40% della parte eccedente gli accantonamenti, invece che l’intero ammont are della sopravvenienza stessa »; ii ) « La Corte ha altresì omesso di mettere in relazione l’espressione ‘sopravvenienza passiva’ utilizzata dalle parti, con il termine ‘accantonamento’ che le parti stesse hanno a tale espressione sempre riferito »;
III) « Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 cod. civ. – Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di interpretazione del negozio secondo la comune intenzione dei contraenti – Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia autonomia negoziale delle parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Si contesta l’argomentazione con cui la corte distrettuale ha negato la natura transattiva della predetta clausola dell’atto di cessione.
Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano complessivamente inammissibili.
2.1. Innanzitutto, con specifico riferimento al vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. invocato nel secondo motivo, deve affermarsene l’inammissibilità per una duplice ragione: i ) avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del
2022 ma qui applicabile ratione temporis (giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dalla odierna ricorrente con citazione del 28 aprile/2maggio 2016, come emerge dalla pag. 3 della decisione oggi impugnata e dalla pag. 4 del controricorso. L’epig rafe della medesima sentenza, peraltro, conferma l’avvenuta iscrizione a ruolo dell’impugnazione nel 2016. Cfr . Cass. n. 11439 del 2018), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numer o 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘), questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice »), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( cfr . Cass. n. 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere rimasto, invece, assolutamente inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza de qua ; ii ) l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. -nel testo introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 3 agosto 2020) -riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (vale a dire che,
se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 26255, 19371, 17021, 6127 e 2607 del 2024; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018).
2.2. Per il resto, tutte le descritte censure mostrano di non considerare che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, tra le più recenti, Cass. nn. 26383, 18079, 13621, 10786 e 2607 del 2024; Cass. nn. 30878, 13408, 13005 e 7978 del 2023), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione).
2.3. Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi
in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr ., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 7963 del 2018; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023; Cass. nn. 2607, 10786, 13621 e 18079 del 2024). In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).
2.4. La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ( cfr. Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021).
2.5. Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che i motivi in esame si risolvono nel sostenere una diversa lettura della clausola contrattuale invocata contrapponendola a quella preferita (e certamente non implausibile) dalla corte di appello, di cui si è ampiamente dato conto nel paragrafo 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, da intendersi qui richiamato per intuibili ragioni di sintesi. La ricorrente, peraltro, non ha prospettato una obiettiva ed inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito dalla corte territoriale al testo ed ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva della clausola de qua, ma ha inteso insistere sulla propria diversa (rispetto a quella preferita dalla corte distrettuale) lettura della medesima clausola.
2.6. È indubbio, quindi, che, così operando, la stessa intende affidare a codesta Corte il compito (inammissibile) di revisione del ragionamento decisorio, inteso come opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata ( cfr . Cass. nn. 20012 e 25332 del 2014).
2.7. In definitiva, la corte territoriale ha offerto, nella specie, una ricostruzione del contenuto di quella clausola, fornendo una motivazione argomentata, non sindacabile in ordine alle ragioni dell’esito dell’interpretazione, che si sottrae, quindi, a verifiche in questa sede, dovendosi qui solo aggiungere che il giudizio legittimità non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 10712, 19423 e 25495 del 2024).
In conclusione, dunque, il ricorso della s.p.a. RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal costituitosi controricorrente, con attribuzione all’Avv. NOME COGNOME dichiaratosene antistatario, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della menzionata società, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso della sRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal costituitosi controricorrente, liquidate in complessivi € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge, con attribuzione all’Avvocato NOME COGNOME dichiaratosene anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile