Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1975 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1975 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26617/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME rappresentato e difeso da se stesso ed elettivamente domiciliato presso la propria pec:
-ricorrente-
contro
FINO 1 RAGIONE_SOCIALE e per essa RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in ROMA INDIRIZZO, pec:
-controricorrente-
nonchè contro RAGIONE_SOCIALE
– -intimata-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 1101/2022 depositata il 01/09/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dalla
Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
Il signor NOME COGNOME in qualità di fideiussore della società RAGIONE_SOCIALE in forza del contratto stipulato nel 2008, propose opposizione ad un decreto ingiuntivo del 2014 con cui la Unicredit SpA gli aveva intimato il pagamento della somma di € 19.063,90, oltre accessori e spese, per lo scoperto di conto corrente della società garantita (dichiarata fallita nel 2014), rientrante nell’importo massimo garantito di € 32.500,00; a base dell’opposizione dedusse la violazione, da parte della banca, del l’art. 1956 c.c. per avere la medesima continuato ad erogare credito, senza informare il fideiussore, nonostante l’evidente peggioramento delle condizioni patrimoniali della debitrice; in particolare rilevò che la banca, con un accordo fatto con la società debitrice, aveva, con successivi affidamenti, prorogato il termine di pagamento così pregiudicando la posizione del fideiussore. La Unicredit, nel costituirsi in giudizio, contestò l’operatività nella fattispecie dell’art. 1956 c.c. in quanto l’affidamento non era aumentato ma si era ridotto, rilevò di non aver concesso nuovo credito e di non aver mai superato il limite del rischio assunto dal fideiussore; quanto alla pretesa mancata informazione del COGNOME, la banca affermò che il garante, molto attivo nei riguardi della società, era a conoscenza della condizione patrimoniale della stessa essendosi, peraltro, contrattualmente impegnato a tenersene costantemente al corrente. Il COGNOME, con la comparsa conclusionale, eccepì la nullità della fideiussione -secondo quanto previsto da Cass. n. 29810 del 12/12/2017 -in quanto il modulo fideiussorio conteneva la clausola approvata dal l’ABI in deroga all’art. 1957 c.c. che la Cassazione aveva ritenuto nullo per violazione della normativa antitrust.
Il Tribunale di Macerata non ravvisò l’esistenza di una clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c., ritenne che nessun elemento intervenuto nel rapporto tra debitore e creditore potesse escludere l’obbligo di pagamento incombente sul fideius sore, e rigettò l’opposizione condannando l’opponente al pagamento delle somme di cui al d.i. e alle spese del grado.
Il COGNOME propose appello deducendo, con un primo motivo, la nullità della fideiussione perché contenente una clausola derogatoria ai termini dell’art. 1957 c.c. che, secondo la Cassazione, era nulla per violazione della normativa antitrust; e, con un secondo motivo, la violazione dell’art. 1956 c.c. per avere il giudice rigettato l’eccezione di estinzione della fideiussione pur avendo la banca dato nuovo credito, in presenza del peggioramento delle condizioni patrimoniali della società debitrice senza i nformare né ottenere l’autorizzazione del fideiussore.
La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza pubblicata in data 1/9/2022 e notificata in data 19/9/2022, ha rigettato l’appello condannando l’appellante alle spese.
Avverso la sentenza della corte di merito il COGNOME propone ora ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Resiste RAGIONE_SOCIALE cessionaria del credito e, per essa, RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
L’altra intimata non ha svolto attività difensiva.
Considerato che:
con il primo motivo di impugnazione, sviluppato a pagg 9 e ss. del ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, co. 1, n. 3 e 4 c.p.c. dell’art. 1957 c.c. sulla nullità della fideiussione per conformità allo schema ABI dichiarato nullo dalla Suprema Corte, il contrasto con precedenti giurisprudenziali, il mancato esame della produzione documentale e la violazione dell’art 1421 c.c.
In particolare il ricorrente si duole del fatto che la corte territoriale, a fronte del motivo di appello con si chiedeva di pronunciare la nullità della fideiussione contenente la clausola di deroga all’art. 1957 c.c. prevista nell’accordo ABI, abbia rite nuto inapplicabile alla fattispecie la sentenza di questa Corte n. 29810 del 2017. La clausola era meramente riproduttiva degli schemi contrattuali uniformi ABI, censurabili per il precipuo scopo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dagli obblighi di diligenza della banca e dall’invalidità o inefficacia dell’obbligazione principale e quindi la sentenza sarebbe censurabile per non aver dichiarato la nullità ai sensi dell’art. 1421 c.c.
Il motivo è inammissibile perché le rationes decidendi dell’impugnata sentenza, qui di seguito riportate, non risultano impugnate:
l’eccezione di nullità ex art. 1957 c.c. per contrasto con il modulo ABI è inammissibile per mancata prova della coincidenza tra fideiussione oggetto di causa e testo frutto dell’intesa restrittiva, questione rimasta priva di supporto probatorio perché formulata solo con la comparsa conclusionale di primo grado e neppure istruibile in appello per la preclusione al deposito di nuovi documenti ex art. 345 c.p.c.;
l’interpretazione della clausola contrattuale quale derogatoria dell’art. 1957 c.c. per rinuncia ai termini non è condivisa dalla corte in quanto (p. 5) ‘L’interpretazione letterale e teleologica della clausola portano incontrovertibilmente ad affermare che l’obbligo di garanzia assunto dal RAGIONE_SOCIALE non è stato correlato alla scadenza dell’obbligazione principale bensì al suo integrale soddisfacimento’ con la conseguente applicazione della giurisprudenza di questa Corte che esclude, in casi del genere, la rilevanza dei termini di decadenza di cui all’art. 1957 c.c.
A fronte della mancata impugnazione di tali due rationes decidendi il motivo è inammissibile apparendo, altresì, evidente che il ricorrente
avrebbe dovuto, in primis, prospettare la violazione delle regole di d’ufficio delle nullità negoziali perché tesi in contrasto con sinto credito.
ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c., cosa che si è ben guardato bene dal fare; e in ogni caso evitare di invocare la rilevabilità la giurisprudenza di questa Corte secondo cui le nullità negoziali, che non siano state dedotte in primo grado, possono essere rilevate d’ufficio anche in appello o in cassazione a condizione della tempestiva allegazione- entro il termine delle preclusioni- degli elementi di fatto che sorreggono la pretesa nullità (Cass., 3, n. 20173 del 17/7/2023; Cass., 3, n. 28983 del 18/10/2023, Cass., 3, n. 4867 del 23/2/2024). Con il secondo motivo di ricorso, sviluppato a pagg. 11 e ss., si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, co. 1, n. 3 e 4 c.p.c., dell’art. 1956 c.c. Il ricorrente impugna il capo di sentenza con cui la corte territoriale ha ritenuto non sussistente il peggioramento delle condizioni economiche della società debitrice, e in ogni caso evidente l’avvenuta riduzione del finanziamento da parte della banca; secondo il ricorrente la corte avrebbe errato nel ritenere che la banca, con nuove pattuizioni relative ad importi ridotti e termini ravvicinati di rientro, avesse inteso tutelare le ragioni del fideiussore in quanto le nuove pattuizioni erano proprio matiche del timore dell’istituto di non veder soddisfatto il proprio
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto si riferisce ad un generico mancato esame della documentazione versata in atti e riproduce puramente e semplicemente il secondo motivo di appello senza dare conto delle statuizioni della impugnata sentenza che si ritengono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie. Esso, inoltre non censura in iure l’impugnata sentenza ma si limita ad evocare, da parte di questa Corte, una nuova valutazione sulla sussistenza dei presupposti oggettivi (peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore) e soggettivi (autorizzazione richiesta al
fideiussore per continuare ad erogare credito) dell’art. 1956 c.c., rimessa alla valutazione del giudice del merito.
Con il terzo motivo di impugnazione, sviluppato a pagg. 13 e ss. del ricorso, si deduce la nullità della sentenza per errata motivazione ed omessa valutazione delle risultanze probatorie documentali. In particolare censura l’affermazione della corte second o cui la doglianza circa la modifica da parte della Banca dell’originaria concessione di un fido a revoca con l’obbligazione a termine con scadenza, è stata effettuata solo in grado di appello; essa era, invece, già contenuta nell’atto di citazione in oppo sizione a decreto ingiuntivo e le modifiche dell’obbligazione principale risulterebbero per tabulas dalla produzione documentale versata in atti e neppure contestate da controparte. Inoltre impugna il capo di sentenza che ha ritenuto la doglianza infondata perché la nuova obbligazione era inferiore all’originaria e gravante in maniera inferiore sulla posizione del garante.
Il motivo è del tutto privo di specificità, di autosufficienza e tende alla rivalutazione degli elementi di prova su cui la corte del merito si sofferma in modo diffuso e privo di criticità (pp.6-7).
Con il quarto motivo di impugnazione, sviluppato a pagg. 14 e ss. del ricorso, si deduce la nullità della sentenza per illogicità e contraddittorietà della motivazione per mancato rispetto dei principi giurisprudenziali di cui alle sentenze della Suprema Corte n. 5630 del 07.03.2017 e n. 12901 del 28.12.1993 e n. 4189/1980 secondo cui non è opponibile al fideiussore l’accordo che, intercorso tra creditore e debitore principale, successivamente al negozio giuridico che ha regolato l’obbligazione principale, dilazioni il termine di pagamento per il debitore derogando alla disciplina dell’art. 1957 c.c. e spostando ad libitum il termine di decadenza potendo il medesimo produrre effetti solo tra le parti contraenti e non sul fideiussore.
Il motivo è inammissibile perché il ricorrente deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione che non sono più vizi prospettabili ai sensi dell’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c.
La sentenza ha applicato il consolidato principio di diritto secondo cui ‘ Nell’ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza dell’obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, l’azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 1 957 c.c.’ (Cass., 3, 26906 del 20/9/2023; Cass., 1, n. 31569 del 3/12/2019; Cass., 1, n. 16836 del 13/8/2015).
In ragione della soccombenza il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente.
Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altra intimata, non avendo la medesima svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 4.200,00 (di cui € 200,00 per esborsi), oltre accessori e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile dell’8/10/2024
Il Presidente NOME COGNOME