Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29014 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29014 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26563/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrentericorrente incidentaleavverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1501/2020 depositata il 19/10/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nonchè NOME COGNOME in proprio e quale Presidente e legale rapp.p.t. della RAGIONE_SOCIALE proponevano ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano nr 2801/2013 con quattro mezzi cui resisteva RAGIONE_SOCIALE con controricorso e ricorso incidentale condizionato con due mezzi, al quale replicavano i ricorrenti principali con controricorso.
La controversia aveva riguardato la richiesta di parziale riforma per inefficacia e nullità dei capi del lodo arbitrale, sottoscritto in data 14/11/2008 e comunicato in data 17/11/2008, nel quale il Collegio arbitrale aveva deciso “sulle domande riguardanti (i) la dichiarazione di responsabilità dei convenuti ( COGNOME) per le violazioni delle dichiarazioni rese e delle garanzie prestate nonchè degli obblighi assunti con la sottoscrizione di due differenti contratti -rispettivamente di opzione e di acquisizione stipulati fra RAGIONE_SOCIALE e i Signori COGNOME. in data 28 luglio 2000 – aventi per oggetto (…) l’esercizio del diritto di opzione da parte della società finalizzato all’acquisto della totalità delle azioni
rappresentative del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE e della totalità della quota di partecipazione nel capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE, non detenuta da quest’ultima società, (ii) la condanna al risarcimento dei costi, spese e danni, sofferti da RAGIONE_SOCIALE – quale titolare dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto suddetto a seguito della designazione effettuata da RAGIONE_SOCIALE a norma dell’art. 1401 c.c. – in relazione ed in conseguenza delle violazioni citate sub (i), oltre al pagamento delle spese arbitrali.” (fol. 8 della sent.).
Segnatamente le domande erano state focalizzate sugli obblighi assunti ai sensi dei paragrafi 5 e 7 del contratto di acquisizione ed il Collegio arbitrale così aveva provveduto, come sintetizzato nella sentenza impugnata: “1. Accertata la violazione da parte dei convenuti delle garanzie da essi prestate secondo quanto stabilito dall’art. 5 del contratto di acquisizione, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, li condannava in solido fra loro al pagamento in favore di NOME della complessiva somma di Euro 6.401.007,30, oltre a interessi al tasso convenzionale a decorrere dal 24 marzo 2004 sino al saldo; 2. dichiarava inammissibili le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei convenuti aventi ad oggetto l’accertamento di obblighi di garanzia dei convenuti stessi rispetto a passività di carattere potenziale; 3 respingeva tutte le altre domande, provvedendo sulle spese”.
La Corte territoriale, innanzi tutto, respingeva l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione del lodo arbitrale, eccezione proposta da RAGIONE_SOCIALE assumendo la natura di arbitrato internazionale del giudizio svoltosi in prima istanza, con la conseguente applicazione dell’art. 832 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis.
Riteneva inammissibile gran parte dei motivi di appello, in quanto volti al riesame del merito, focalizzava la sua attenzione sui due motivi afferenti alle garanzie collegate al patrimonio sociale (businnes warranties) sotto il profilo dell’errore di diritto, segnatamente concernenti l’eccezione di prescrizione e l’eccezione di decadenza.
In proposito la Corte territoriale, disattendendo le tesi degli appellanti, confermava il lodo e statuito che le cosiddette business warranties, lungi dal rappresentare il veicolo attraverso il quale i venditori aveva promesso qualità essenziali dell’oggetto della compravendita di azioni, costituivano patti autonomi rispetto a quest’ultima frutto dell’autonomia negoziale, in quanto non attenevano all’oggetto immediato del negozio, ovvero la partecipazione sociale, ma alla consistenza o al valore del patrimonio; ha quindi escluso la applicabilità alle stesse della disciplina di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c..
Con sentenza nr 2019 nr 7183 la Corte di cassazione osservava, con riferimento all’eccezione di prescrizione del diritto di garanzia azionato da RAGIONE_SOCIALE, eccezione respinta sia dal Collegio arbitrale che dalla Corte territoriale, che non sussisteva la dedotta violazione di legge degli artt. 1490,1492,1494,1495,1497,1418 c.c. denunciata dai ricorrenti ritenendo invece fondati il terzo motivo ed il quarto motivo, proposti in via subordinata, con cui era stata denunciata la nullità della sentenza per omessa pronuncia (il terzo) e difetto assoluto di motivazione (il quarto) circa la operatività nella fattispecie in esame della intervenuta decadenza convenzionale (trenta giorni per la comunicazione delle passività dal momento dell’accertamento).
Sottolineava infatti che la Corte di appello non aveva in alcun modo pronunciato e motivato sulle decadenze connesse ai patti autonomi di garanzia assunti dal venditore nei confronti del compratore e, contrariamente a quanto sembra assumere la Corte territoriale le considerazioni svolte per respingere i primi due motivi, concernenti la non applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c., al caso di specie, non sono idonee a giustificare il rigetto del terzo e quarto motivo.
La Corte di cassazione passava poi ad esaminare i motivi introdotti nel ricorso incidentale in via condizionata e considerava meritevole di accoglimento la prima censura afferente al rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’arbitrato, proposta dalla società sulla considerazione che si sarebbe trattato di arbitrato internazionale in quanto una delle parti del contratto di opzione e del conseguente contratto di acquisizione era la RAGIONE_SOCIALE società di diritto francese che aveva poi nominato, ai sensi dell’art. 1401 c.c., COGNOME, odierna ricorrente incidentale, come soggetto nei confronti del quale si sarebbero prodotti gli effetti del contratto da essa stipulato, con la conseguente applicabilità dell’art. 832 c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis), che precludeva, in presenza di arbitrati di tale specie, la disamina di eventuali errori di diritto di cui fosse stato affetto il lodo impugnato ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2.
Osservava che la natura internazionale dell’arbitrato, cui consegue l’esclusione dell’impugnabilità dell’arbitrato per inosservanza delle regole di diritto, attraverso il collegamento con l’art. 838 c.p.c., andava ricondotta ai due criteri alternativi sopra menzionati ed il primo di detti criteri, di tipo soggettivo – invocato nel caso in esame-qualificava come arbitrato internazionale quello in cui una
delle parti risieda o abbia la propria sede effettiva all’estero al momento della sottoscrizione della clausola compromissoria o del compromesso, fattispecie che ricorreva nel caso in esame perchè risultava pacifico in atti (v. pag. 13 della sentenza impugnata e pag. 6 del controricorso RAGIONE_SOCIALE al ricorso incidentale condizionato di RAGIONE_SOCIALE) che al momento della sottoscrizione della clausola una delle parti era la RAGIONE_SOCIALE, società con sede in Francia.
La Corte di appello di Milano aveva tuttavia rigettato l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione del lodo arbitrale, sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE osservando, sulla base della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7217/2013), che l’intervenuto subentro di RAGIONE_SOCIALE nel rapporto di cui era in origine titolare la società francese RAGIONE_SOCIALE, per effetto della dichiarazione di nomina di quest’ultima, aveva comportato per la subentrante l’acquisto dei diritti e l’assunzione degli obblighi della parte originaria con effetto ex tunc, con la conseguente irrilevanza del dato relativo alla nazionalità della società originaria contrente “dovendosi fondatamente ritenere che ab initio, nessuna delle parti contraenti fosse da considerarsi estera”.
Rilevava tuttavia che la Corte territoriale non aveva tenuto conto, né aveva in alcun modo motivato sul punto, della clausola contrattuale (art. 2.2. del contratto di acquisizione inter partes), in forza della quale il compratore sarebbe rimasto “in ogni modo responsabile in solido” con la persona nominata del corretto e tempestivo adempimento delle obbligazioni derivanti al contratto, clausola che andava invece valutata e interpretata al fine di poter affermare o escludere che RAGIONE_SOCIALE fosse rimasta
comunque parte del rapporto contrattuale, a cui ineriva la clausola compromissoria, e che l’arbitrato in questione potesse o non configurarsi come arbitrato internazionale ai sensi degli artt. 832 e 838 c.p.c., vigenti e applicabili ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio.
La causa veniva cassata e rinviata alla Corte di appello di Milano avanti alla quale il giudizio veniva riassunto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nonchè NOME COGNOME in proprio e quale Presidente e legale rapp.p.t. della RAGIONE_SOCIALE .
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE reiterando la preliminare domanda di inammissibilità dell’impugnazione del lodo per violazione delle norme di diritto.
Con sentenza nr 1501/2020 la Corte di appello di Milano rigettava l’impugnazione proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nonchè NOME COGNOME in proprio e quale Presidente e legale rapp.p.t. della RAGIONE_SOCIALE.
Relativamente alla natura dell’arbitrato osservava che la pattuizione negoziale che prevedeva che all’originario sottoscrittore ( società di diritto francese) subentrasse nel contratto un soggetto terzo con efficacia ex tunc non operava nel senso di mantenere in capo all’originario firmatario la qualifica di parte del rapporto contrattuale avendone facoltà e con efficacia a lei sostitutiva ex tunc, un diverso soggetto italiano attribuendone il diverso ruolo di garante dell’adempimento degli obblighi di garanzia assimilabile a quella del fideiussore.
Sosteneva che tale ruolo di natura accessoria non era in grado di modificare il carattere nazionale dell’arbitrato.
Con riguardo all’eccezione di decadenza dal diritto a chiedere l’indennizzo per mancata osservanza del termine previsto dall’art 7 del contratto rilevava che la denuncia avente ad oggetto circostanze idonee a render operativa la garanzia in questione era avvenuta oltre i 30 giorni dalla scoperta e nell’ambito del termine di 36 mesi di cui al punto 7.04 della pattuizione.
Osservava che i giudici arbitrali avevano escluso, sulla base del dato testuale della mancata indicazione della conseguenza decadenziale in esito all’attività di denuncia entro e non oltre il termine di 30 giorni dalla scoperta e sulla base di una valutazione comparativa delle varie disposizioni contenute nella norma richiamata che le parti avessero voluto introdurre un’ipotesi di decadenza dal diritto.
La Corte riteneva tale operazione interpretativa svolta dagli arbitri conforme ai criteri di ermeneutica giuridica applicabili nella materia in questione.
Avverso tale decisione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nonchè NOME COGNOME in proprio e quale Presidente e legale rapp.p.t. della RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE e ricorso incidentale condizionato cui hanno, a loro volta replicato, i ricorrenti principali con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono la nullità della sentenza per motivazione apparente e art 360 primo comma nr 4 in relazione all’art 132 c.p.c. ,118disp att c.p.c. per avere la Corte di appello recepito acriticamente le motivazioni contenute nel lodo
senza svolgere argomentazioni in fatto e diritto tali da motivare la ritenuta infondatezza delle doglianze formulate dai ricorrenti nel giudizio di rinvio.
Con un secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione degli art 1362,1363,1366. 1375 e 1371 c.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 3 c.p.c. per avere la Corte di appello nel pronunciarsi sull’eccezione di natura decadenziale del termine di 30 giorni lavorativi indicati nella clausola affermato il carattere sollecitario di tale termine nell’ambito della procedura di indennizzo prevista a tutela del RAGIONE_SOCIALE senza tenere conto del tenore letterale delle espressioni menzionate nella clausola, l’intento perseguito dalla parti e senza basarsi sul criterio sistematico del contratto e senza contemperare equamente gli interessi delle parti.
Con il terzo motivo i ricorrenti principali si dolgono dell’omesso esame di un fatto decisivo per avere la Corte di appello mancato di considerare che RAGIONE_SOCIALE, nell’inviare la comunicazione di denuncia della violazione delle garanzie contrattuali, non ha osservato il termine di 30 giorni lavorativi previsti dall’art 7.02 del contratto di acquisizione.
Il primo motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa, pur graficamente esistente, risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (ad esempio per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e non renda, così, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture. e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Sez. L, n. 3819 del 14.2.2020,; Sez. 6 – 5, n. 13977 del 23.5.2019; Sez. 6 3, n. 22598 del 25.9.2018; Sez. 1, n. 16057 del 18.6.2018,; Sez. 3, n. 4448 del 25.2.2014).
Nella fattispecie la Corte di appello ha indicato le ragioni delle proprie determinazioni in modo sufficientemente chiaro e tale da delineare adeguatamente il percorso logico seguito, con riferimento alla specifica questione dedotta svolgendo considerazioni autonome rispetto al giudizio degli arbitri.
In questo senso hanno considerato che nel lodo in sede di disamina relativa all’eccezione di decadenza avevano dato rilievo’ sia al dato testuale della mancata indicazionein correlazione con l’attività di denuncia patrimoniale previstadella invocata conseguenza decadenziale in esito all’omissione dell’attività di denuncia entro e non oltre il termine di 30 giorni dalla scoperta, sia procedendo alla valutazione comparata delle varie disposizioni contenute nella norma richiamata per giungere alla conclusione dell’impossibilità in
esito all’interpretazione sistematica delle clausole le une per mezzo delle altre di pervenire al riscontro dell’invocato effetto preclusivo della decadenza’.
Ha quindi ritenuto che l’operazione interpretativa compiuta dagli arbitri fosse conforme ai criteri ermeneutici applicabili in detta materia sottolineando come il dato letterale dovesse rappresentare il punto di partenza nella ricerca della comune volontà negoziale armonizzato attraverso la disamina dell’intero precetto contrattuale e della sua ratio.
Ha poi aggiunto che in questo contesto non si poteva aderire all’interpretazione prospettata dagli attori in riassunzione né quanto al fatto che ‘ la mera locuzione ‘ non oltre’ sarebbe idonea ad integrare di per sé l’effetto decadenziale né quanto al fatto che la mancata attribuzione di un effetto di tal fatta all’omissione in commento renderebbe la disposizione ioci causa non riuscendo ad immaginare quale altra conseguenza possa ipotizzarsi per l’acquirente in caso di mancato rispetto di tale termine procedurale di denuncia, e quindi quale possa essere l’utilità pratica o la volontà e le ragioni che avrebbero spinto le pari a fissare tale termine’.
Pertanto, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti principali, la motivazione della sentenza impugnata per come sopra riassunta ha dato conto, in forma chiara, lineare ed esaustiva, delle ragioni del proprio convincimento e si colloca, quindi, al di sopra del minimo costituzionale di motivazione di cui all’art. 111 Cost.
La Corte di appello ha quindi, sufficientemente spiegato le ragioni per le quali la Corte ha convalidato la legittimità del lodo sotto il profilo del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e della coerenza logica del relativo
ragionamento sottraendosi in tal modo alla critica che le viene ora mossa.
Il secondo e terzo motivo che vanno esaminati congiuntamente in quanto diretti a criticare l’interpretazione del contratto relativamente alla clausola denominata procedura di cui al punto 7.2 del contratto.
La sentenza rescindente ha accolto il ricorso per cassazione in ordine alla mancata pronuncia sulle decadenze connesse ai patti autonomi di garanzia assunti dal venditore nei confronti del compratore ed ha in questo senso rinviato alla Corte di appello per il relativo esame.
Lo scrutinio dei due motivi del ricorso principale deve essere preceduto da alcune considerazioni di carattere generale necessarie a delimitare l’ambito cognitorio riservato a questa Corte.
Va in premessa ricordato il consolidato principio per il quale, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, la Corte non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata, nei limiti dei motivi di ricorso relativi alla violazione di legge e, ove ancora ammessi, alla congruità della motivazione della sentenza resa sul gravame, non potendo, peraltro, sostituire il suo giudizio a quello espresso dalla corte di merito sulla correttezza della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (fra le tante, Cass. 7 febbraio 2018, n. 2985), dovendo quindi il sindacato di legittimità essere condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità dei motivi della sentenza resa sul gravame ( cfr Cass. 30 novembre 2020, n. 27321; Cass. 26 maggio 2015, n. 10809).
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questo giudice di legittimità, l’interpretazione dei contratti e degli atti negoziali in genere, in quanto accertamento della comune volontà delle parti in essi espressa, costituisce attività propria ed esclusiva del giudice di merito, dovendo il sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità limitarsi alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (nonché, secondo la giurisprudenza anteriore alla modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 al controllo della coerenza e logicità della motivazione: censura nella specie neanche proposta, avendo la società ricorrente, come sopra rilevato, denunciato soltanto la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale).
Ciò posto la Corte di appello ha interpretato la clausola dell’art 7.02, sia nel suo significato letterale che in relazione alla sua ragione pratica, ed in relazione alla lettura sistematica, escludendo che le parti avessero inteso sanzionare la tardiva denuncia del vizio con la decadenza condividendo l’operazione interpretativa svolta dagli arbitri e dissentendo da quella prospettata dagli attori in riassunzione
Sotto questo profilo ha spiegato che ‘la locuzione ‘ non oltre ‘ non poteva essere di per sé l’effetto decadenziale rilevando che la previsione di cui all’art 7.02 avesse un carattere organizzativo e sollecitatorio( e non già, in difetto di espressa comminatoria, una funzione decadenziale) al cui attivarsi consegue l’obbligo della controparte venditrice/ garante di procedere alle contrarie contestazioni nei 20 giorni successivi alla ricezione della denuncia, dovendosi -in mancanzaritenere accettata e condivisa la contestazione in questione’.
Ha poi affermato che ‘ in mancanza dell’avvio di una procedura di tal fatta, l’unico elemento effettivamente previsto a pena di decadenza è quello di cui al punto 7.04- inadempimento o difformità non denunciati dal compratore ai venditori entro il trentaseiesimo mese dalla data di esecuzioneche l’art 7.05 qualifica espressamente come decadenza convenzionale, operante secondo un regime autonomo e convenzionalmente fissato e quindi, anche in deroga ad ‘ ogni eventuale obbligo del compratore di denuncia o azione entro diversi termini comunque altrimenti fissati, anche a pena di decadenza( laddove il riferimento ai termini’ altrimenti fissati’ è evidentemente a quelli di natura normativa e non pattizia, quali sono quelli oggetto della norma in commento)’.
La questione interpretativa è stata esaustivamente, esaminata dalla Corte d’appello e risolta con motivazione adeguata, facendo corretta applicazione dei criteri di interpretazione del contratto, rimarcando come la decisione arbitrale avesse convincentemente evidenziato il dato testuale della mancata indicazione della conseguenza decadenziale dando rilievo al dato letterale armonizzato attraverso la disamina dell’intero precetto contrattuale e della sua ratio
Le censure sollevate nel ricorso principale, lungi dall’evidenziare l’erroneità incontestabile della conclusione raggiunta dal giudice di merito, mirano piuttosto a proporre una diversa soluzione interpretativa, alternativa a quella del giudice di appello, che però non appare necessariamente erronea.
Invero, secondo le indicazioni delle S.U. (sent. n. 24148 del 25/10/2013, n. 627790) la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di
merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Si è, infine, precisato che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (sentenze 20 novembre 2009, n. 24539; 18 novembre 2013, n. 25861, e 4 marzo 2014, n. 5016).
Con riguardo alla censura relativa all’omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dall’art 7.02 del contratto il rilievo è inammissibile posto che tutta la motivazione della decisione impugnata ruota proprio sull’esame di tale disposizione.
Il ricorso va rigettato.
Resta precluso l’esame del ricorso incidentale proposto in via condizionata al mancato accoglimento di quello principale.
Le spese della presente fase seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di legittimità in favore della controricorrente, che si liquidano in complessive € 15000,00 oltre € 200,00 per esborsi ed il 15% per spese generali. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma 23.10.2025
Il Presidente ( NOME COGNOME)