Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5936 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5936 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8415/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE),
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 8460/2021 depositata il 23/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME aveva concluso con la RAGIONE_SOCIALE in data 25.07.2008 concluso un contratto di appalto relativo alla ristrutturazione del proprio immobile sito in INDIRIZZO INDIRIZZO.
La Corte d’appello di Roma , con sentenza n. 8460/2021 pubblicata il 23/12/2021, in giudizio promosso da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’impugnazione del lodo arbitrale sottoscritto il 22/7/2014 , con il quale, respinta l’eccezione di nullità del contratto (per essere state eseguite le opere senza autorizzazione), era stato determinato in € 170.952,70 l’importo dovuto dalla committente e, dato atto del versamento di acconto pari ad € 138.332,33, era stata condannata la COGNOME al pagamento della differenza.
In particolare, i giudici hanno ritenuto che, poiché il contratto d’appalto contenente la clausola compromissoria era stato stipulato in data 25/7/2008, doveva essere applicato l’art.829 c.p.c. novellato, con conseguente esclusione dell’impugnabilità del lodo per questioni di diritto attinenti al merito della controversia; quindi, è stato respinto il primo motivo di impugnazione, con il quale la COGNOME sosteneva la nullità della clausola compromissoria ed il conseguente difetto di potestas iudicandi in capo al collegio arbitrale, in quanto, attesa la qualità di professionista in capo all’appaltatore e la qualità di consumatore, in capo alla COGNOME, la clausola doveva ritenersi vessatoria, ex art.33 comma 1, d.lgs. 2006/2005, perché determinante un significativo squilibrio tra le parti, con conseguente nullità del lodo, ex art.829, comma 1, n. 1 c.p.c.
La Corte territoriale ha rilevato che l’eccezione era stata sollevata per la prima volta in sede di impugnazione del lodo, in violazione dell’art.829 comma 2, secondo cui la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale (nella specie la nullità della convenzione di arbitrato) deve essere sollevata nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri nel giudizio arbitrale (Cass. 15613/2021).
Avverso la suddetta pronuncia, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, notificato il 21/3/2022, affidato a due motivi, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (che resiste con controricorso). Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 33 del D.lgs. 206/2005 e 1341 c.c., ex art 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente respinto l’eccezione di nullità della clausola compromissoria, e di conseguente nullità del lodo, per violazione dell’art. 829, comma 1°, c.p.c., in ragione della vessatorietà della clausola compromissoria contenuta nel contratto tra un consumatore ed un professionista, rilevabile in ogni stato e grado, perché tardiva in quanto non proposta in sede di giudizio arbitrale (presunta violazione dell’art. 829 comma 2 c.p.c.); b) con il secondo motivo, la nullità della sentenza per violazione degli art. 817 e 829 c.p.c., ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., e/o l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. , per avere la Corte d’appello erroneamente rigettato la domanda di nullità del lodo per violazione ex art 817 e 829, I comma, c.p.c., omettendo l’esame circa la nullità della clausola compromissoria, ritenendo illegittimamente ed immotivatamente applicabile al caso di specie le preclusioni ex art. 829 comma 2 c.p.c.. senza provvedere all’esame della normativa a tutela e protezione del consumatore ex
art 3 e 33 del D.lgs. 206/2005 che gli era stata sottoposta, peraltro rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, con conseguente ulteriore e contestale motivo ex art 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Lamenta la ricorrente che la clausola compromissoria (art.11), presente nel contratto di appalto sottoscritto il 25/7/2008 – allorché ella era conduttrice dell’immobile, adibito a casa di abitazione, oggetto dei lavori di ristrutturazione, e quindi doveva qualificarsi come un consumatore in rapporto a contratto di consumo -, non era stata oggetto di specifica sottoscrizione, malgrado la sua vessatorietà, e che, pur non essendo la questione della relativa nullità stata sollevata in sede di arbitrato, trattandosi di inefficacia a vantaggio del consumatore essa doveva essere rilevata d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado.
2. La controricorrente chiede il rigetto del ricorso, rilevando di avere, nel merito, allegato e provato che il contratto di appalto era stato stipulato a seguito di trattativa, caratterizzata dai requisiti della individualità, serietà ed effettività, cosicché la sottoscrizione della clausola compromissoria non poteva rientrare tra quelle indicate dall’art.33 del d.lgs. 206/2005, né poteva ritenersi applicabile l’art.1341 c.c., non essendo stato il contratto predisposto unilateralmente, ma oggetto di trattativa individuale. In ogni caso, quand’anche si potesse ritenere applicabile la tutela del consumatore, non vi era stato alcun significativo squilibrio contrattuale e operava la preclusione dettata dall’art.829, comma 1, n. 1 c.p.c., trattandosi di eccezione processuale (sulla validità della clausola compromissoria) che doveva essere sollevata a pena di decadenza nella comparsa di risposta davanti agli arbitri come difetto di potestas iudicandi degli arbitri e non poteva essere rilevata neppure d’ufficio dalla Corte d’appello, alla luce dell’art.38 c.p.c. e dell’art.829 c.p.c., non essendo stata eccepita alcuna nullità nel corso del giudizio arbitrale.
Occorre osservare che l’eccezione della controricorrente, in punto di inoperatività della normativa consumeristica, vertendosi in tema di contratto di appalto sottoscritto a seguito di trattativa individuale, attiene a profilo che non è stato affrontato dalla Corte d’appello, avendo essa ritenuto, in via preliminare, operante la preclusione all’ingresso del motivo di nullità del lodo rappresentata dall’art.816 c.p.c.
Questa Corte ha invero chiarito (Cass. 6802/2010; Cass. 21379/2010) che « La disciplina di tutela del consumatore posta dagli artt. 33 e ss. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo) prescinde dal tipo contrattuale prescelto dalle parti e dalla natura della prestazione oggetto del contratto, trovando applicazione sia in caso di predisposizione di moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti, che di contratto singolarmente predisposto. Infatti, detta disciplina è volta a garantire il consumatore dalla unilaterale predisposizione e sostanziale imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale, con la conseguenza che la vessatorietà della clausola può ben attenere anche al rapporto contrattuale che sia stato singolarmente ed individualmente negoziato per lo specifico affare (come nella specie, concernente un contratto di appalto privato di lavori di ristrutturazione di un immobile), risultando, quindi, categoria diversa dall’onerosità ex art. 1341, secondo comma, cod. civ., con cui concorre unicamente nell’ipotesi, per l’appunto, di contratti unilateralmente predisposti da un contraente in base a moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti ».
In motivazione, si è precisato che, allorquando un soggetto stipula un contratto non nell’esercizio della sua professione egli è « per ciò stesso debole rispetto alla controparte per la quale invece tale
stipulazione integri un atto della professione, con conseguente necessità di farsi pertanto luogo al giudiziale controllo, di carattere sostanziale, della regolamentazione contrattuale dalle parti posta in essere », cosicché la disciplina di tutela deve allora ricevere in tale ipotesi comune e generale applicazione, « in presenza cioè sia di contratti conclusi mediante moduli o formulari unilateralmente predisposti – in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti – da uno dei contraenti, sia di contratto da uno dei contraenti predisposto in vista della singola stipula per lo specifico affare (v. Cass., 27/2/2009, n. 4914; Cass., 26/9/2008, n. 24262) ».
Trattasi di disciplina, invero, altra e diversa da quella – concorrente – posta dall’art. 1341 ss. c.c., essendosi al riguardo sottolineato che, laddove l’onerosità ex art. 1341 c.c., comma 2, attiene a contratti unilateralmente predisposti da un contraente in base a moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti, la vessatorietà di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, ex art. 33 ss. può invece attenere anche al singolo contratto (v. Cass., 26/9/2008, n. 24262), essendo la disciplina posta dal Codice del consumo volta a garantire e tutelare il consumatore dalla unilaterale predisposizione e sostanziale imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso, sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale, nella fondamentale espressione rappresentata dalla libertà di determinazione del contenuto del contratto.
Sempre nel precedente citato del 2010, si è poi chiarito che per escludere l’applicabilità della disciplina di tutela del consumatore è necessario che ricorra il presupposto oggettivo della trattativa D.Lgs. n. 206 del 2005, ex art. 34, comma 4, caratterizzata dagli indefettibili requisiti della individualità, serietà ed effettività (v. Cass., 26/9/2008, n. 24262), trattativa « la cui sussistenza è
pertanto da considerarsi un prius logico rispetto alla verifica della sussistenza del significativo squilibrio in cui riposa l’abusività della clausola o del contratto, sicché spetta al professionista che invochi la relativa inapplicabilità dare la prova del fatto positivo dello svolgimento della trattativa e della relativa idoneità, in quanto caratterizzata dai suindicati imprescindibili requisiti, ad atteggiarsi ad oggettivo presupposto di esclusione dell’applicazione della normativa in argomento (v. Cass., 26/9/2008, n. 24262. Cfr. altresì Cass., 28/6/2005, n. 13890) ». Ad avviso della Corte, « non è allora il consumatore a dover provare il fatto negativo della mancanza di negoziazione, ma è invece il professionista che intenda far valere la disapplicazione, nel singolo caso concreto, della disciplina di tutela del consumatore a dover dare la prova del fatto positivo del prodromico svolgimento di una trattativa dotata dei caratteri essenziali suoi propri, quale fatto impeditivo della relativa applicazione ».
Ma, nella fattispecie qui in esame, non si è arrivati neppure alla prova dello svolgimento di una trattativa individuale, essendo stato « sbarrato » l’esame della inefficacia della clausola compromissoria per violazione della normativa consumeristica, in considerazione della rilevata preclusione dettata dall’art.829 , comma 2, secondo cui la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale (nella specie la nullità della convenzione di arbitrato) deve essere sollevata nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri nel giudizio arbitrale, considerato che l’eccezione era stata sollevata per la prima volta in sede di impugnazione del lodo.
Le due censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono fondate.
Occorre operare uno specifico richiamo alle pronunce della Corte di Giustizia sul tema che interessa.
Va, in generale, rammentato che le modalità di tutela dei diritti di origine comunitaria non debbono essere meno favorevoli delle forme di tutela previste per i diritti di natura interna (c.d. principio di effettività) e non debbono rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferito dall’ordinamento giuridico comunitario (c.d. principio di effettività). 5.1. Orbene, la Corte di giustizia, 26/10/2006, C-168/05, COGNOME , in una fattispecie regolata dal diritto spagnolo (giova rammentare che la legge spagnola 5 dicembre 1988, n. 36 all’art. 23 disponeva:« 1.L’opposizione all’arbitrato per incompetenza oggettiva degli arbitri, inesistenza, nullità o decadenza del compromesso arbitrale dev’essere proposta dalle parti in concomitanza alla presentazione dei loro rispettivi motivi iniziali ») , ha affermato che « La direttiva del Consiglio n. 93/13/CEE, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che essa implica che un giudice nazionale chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale rilevi la nullità dell’accordo arbitrale ed annulli il lodo, nel caso ritenga che tale accordo contenga una clausola abusiva, anche qualora il consumatore non abbia fatto valere tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo ».
Il giudice – afferma la Corte – può rilevare anche d’ufficio l’abusività della clausola (punto 27). Questa soluzione è l’unica in grado, secondo la Corte, di dotare di effettività la tutela dei consumatori imposta dall’art. 6 Dir. n. 13/1993 (concernente le clausole abusive nei contratti stipulati dai consumatori), disposizione imperativa (punto 36) e di ordine pubblico (punto 38) ai sensi della quale le clausole abusive non devono vincolare i consumatori.
La Corte UE si è discostata dalle conclusioni dell’AVV_NOTAIO , che suggeriva di ritenere la norma del tenore di quella enunciata, precludendo l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale derivante
da una clausola compromissoria abusiva, lesiva del fondamentale diritto di difesa e per questa via contrastante con l’ordine pubblico comunitario; la Corte di Giustizia ha invece qualificato direttamente la normativa a tutela dei consumatori come di ordine pubblico, tale dunque da rilevare in sede di controllo giudiziale sui lodi.
Detta tutela può essere conseguita solo consentendo sempre all’autorità giudiziaria statale di giudicare della abusività della clausola, il che non accade se il giudice dell’impugnazione non potesse annullare il lodo perché il consumatore non ha sollevato l’eccezione di nullità dell’accordo di arbitrato davanti agli arbitri.
Quindi, la clausola compromissoria annessa a un contratto stipulato da un consumatore deve essere considerata nulla per vessatorietà e il lodo reso sulla sua scorta deve essere annullato, anche allorquando la relativa eccezione non sia stata sollevata nel corso del procedimento arbitrale, non potendo maturare alcuna preclusione nel corso de giudizio davanti agli arbitri.
La Corte UE ha riconosciuto che, in linea di principio, la natura e l’importanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la direttiva 93/13 garantisce ai consumatori potrebbero persino giustificare che il giudice nazionale sia tenuto a valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale, in tal modo ponendo un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista.
Tuttavia, in tale sentenza, la Corte non ha tratto alcuna conseguenza da tale considerazione, poiché essa era stata adita in merito alla questione se un consumatore possa invocare la nullità di una clausola compromissoria per la prima volta dinanzi al giudice nazionale chiamato a pronunciarsi su una domanda di annullamento di un lodo arbitrale.
5.2. Nella successiva sentenza del 4 giugno 2009, COGNOME (C -243/08, punti 32 e 35), in cui, nell’ambito di un giudizio per ingiunzione di pagamento rivolta a consumatore, si poneva la
questione dell’eventuale abusività della clausola attributiva di competenza inclusa nelle condizioni generali del contratto controverso, la Corte UE ha chiaramente indicato che il ruolo attribuito al giudice nazionale dal diritto dell’Unione non si limita alla mera facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva, bensì comporta parimenti l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (punto 32: « Il giudice adito ha dunque il compito di garantire l’effetto utile della tutela cui mirano le disposizioni della direttiva. Di conseguenza, il ruolo così attribuito al giudice nazionale dal diritto comunitario nell’ambito di cui trattasi non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, bensì comporta parimenti l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, incluso il caso in cui deve pronunciarsi sulla propria competenza territoriale »; punto 35: « Si deve pertanto risolvere la seconda questione dichiarando che il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non la applica, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Tale obbligo incombe al giudice nazionale anche in sede di verifica della propria competenza territoriale »).
5.3. Un ulteriore passo in avanti è stato compiuto con altra sentenza resa nel 2009.
La Corte di Giustizia era stata chiamata (Corte di Giustizia CE, 6 ottobre 2009, C-40/08, Asturcom ) ad affrontare, sempre in via di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, un delicato profilo relativo alla facoltà per il giudice nazionale dell’esecuzione di
rilevare d’ufficio la nullità di una clausola compromissoria abusiva. La Corte si è dovuta confrontare con la peculiare situazione, in cui l’inerzia della consumatrice aveva determinato la formazione del giudicato sulla pronuncia arbitrale e il rilievo della abusività della clausola compromissoria era effettuato, d’ufficio, soltanto in fase di esecuzione forzata del lodo. La Corte UE ha quindi risolto la questione dichiarando che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, a valutare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, qualora, secondo le norme procedurali nazionali, egli possa procedere a tale valutazione nell’ambito di ricorsi analoghi di natura interna. In tal caso, incombe a detto giudice di trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da detta clausola. Si è affermato contestualmente che « considerate la natura ed importanza dell’interesse pubblico sul quale si fonda la tutela che la dir. 93/13 garantisce ai consumatori, si deve constatare che il suo art. 6 dev’essere considerato come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblic o» (punto 52). Il che che consente alla Corte di arrivare alla conclusione secondo la quale il lodo che ha acquistato autorità di cosa giudicata pronunciato sulla base di una clausola compromissoria vessatoria secondo la dir. 93/13 cade di fronte alla finalità di tutela dell’ordine pubblico che la direttiva persegue.
Quindi, la Corte UE, confermando in maniera ancor più esplicita di quanto non avesse fatto nella pronuncia COGNOME COGNOME , la natura di
ordine pubblico della disciplina di tutela del consumatore di fronte alle clausole vessatorie, ha dichiarato che, dal momento in cui il giudice nazionale chiamato a pronunciarsi su un ricorso per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale definitivo dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari, quest’ultimo deve procedere d’ufficio a un controllo sul carattere abusivo delle clausole contrattuali su cui si basa il credito accertato in tale lodo rispetto alle disposizioni della direttiva 93/13, quando, in forza delle norme procedurali interne, egli deve, nell’ambito di un procedimento di esecuzione simile, valutare d’ufficio la contrarietà tra clausole di tal genere e le norme nazionali di ordine pubblico
5.4. Il principio è stato successivamente ribadito (ordinanza del 16 novembre 2010, Pohotovosť, C -76/10, punti 51, 53 e 54, nonché sentenza del 27 febbraio 2014, Pohotovosť, C -470/12, punto 42).
Facendo richiamo allo spartiacque, nell’interpretazione della normativa euro-unitaria consumeristica, rappresentato dalla sentenza del 4/6/2009, la Corte di Giustizia ha escluso la manifesta violazione del dritto dell’Unione in riferimento a « un organo giurisdizionale nazionale, il quale, prima della sentenza del 4 giugno 2009, COGNOME GSM (C -243/08, EU:C:2009:350), si era astenuto, nell’ambito di un procedimento di esecuzione forzata di un lodo arbitrale che accoglieva una domanda di condanna al pagamento di crediti in applicazione di una clausola contrattuale che deve essere considerata abusiva, ai sensi della direttiva 93/13, dal valutare d’ufficio il carattere abusivo di tale clausola, pur disponendo degli elementi di fatto e di diritto necessari a tal fine » (Corte Giustizia, 28/7/2016, causa C-168/15, COGNOME, punto 33).
Questa Corte ritiene che vada cassata la decisione impugnata, dovendosi affermare, alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia della normativa euro-unitaria, che un lodo (rituale) reso sulla base di una clausola arbitrale, contenuta in un
contratto fra un consumatore ed un professionista e che non abbia formato oggetto di trattativa individuale (nella specie, parte resistente ha peraltro allegato e offerto prova contraria, cui non si è dato però sfogo, avendo la Corte d’appello ritenuto precluso il motivo di impugnazione per invalidità, in via preliminare), può essere annullato anche se, nel corso del giudizio arbitrale, non sia stata eccepita la vessatorietà (e dunque la nullità) della stessa.
6.1. In generale, sul rilievo officioso dell’abusività delle clausole nei contratti stipulati tra consumatore e professionista, va richiamata, da ultimo, la pronuncia delle Sezioni unite n. 9374/2023, sulla questione di diritto (bilanciamento tra diritto del consumatore ad una tutela giurisdizionale effettiva e giudicato) sorta a seguito di quattro coeve pronunce della CGUE, emesse dal Collegio della Grande Sezione in data 17 maggio 2022 (sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco; sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C- 831/19, Banco di Desio e della RAGIONE_SOCIALE; sentenza in C725/19, RAGIONE_SOCIALE; sentenza in C-869/19, Unicaja Banco), una delle quali (sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C- 831/19, Banco di Desio e della RAGIONE_SOCIALE) a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Milano con ordinanze del 10 agosto 2019 e del 31 ottobre 2019.
Secondo tale pronuncia « Ai fini del rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti al consumatore dalla direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive dei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore, e dalle sentenze della CGUE del 17 maggio 2022, il giudice del procedimento monitorio, nella fase “inaudita altera parte”, deve esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo delle clausole rilevanti rispetto all’oggetto della domanda – esercitando, a tal fine, i poteri istruttori di cui all’art. 640 c.p.c. (richiedendo la produzione di documenti o i chiarimenti necessari, anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore) -e motivare
sinteticamente l’esito negativo di tale controllo nel decreto ingiuntivo, nonché, con lo stesso provvedimento, avvertire il debitore che, in assenza di opposizione, decadrà dalla possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e che il decreto non opposto diventerà irrevocabile; lo stesso giudice deve, invece, rigettare, in tutto o in parte, il ricorso, salva la riproponibilità della domanda, se il predetto controllo abbia esito positivo oppure se l’accertamento della vessatorietà imponga un’istruzione probatoria (quale quella tramite l’assunzione di testimonianze o l’espletamento di c.t.u.) incompatibile col procedimento monitori ».
6.2. Orbene, la disciplina italiana, in tema di impugnazione del lodo arbitrale, a seguito della riforma recata dal d.lgs. 40 del 2006, prevede la censurabilità del lodo a cagione della nullità della convenzione compromissoria soltanto laddove la relativa questione sia stata fatta valere dinanzi gli arbitri.
Infatti, a norma dell’art. 817, c. 2, secondo periodo, richiamato dall’art. 829, c. 1, n. 1, c.p.c. (l’impugnazione per nullità è ammessa, malgrado rinuncia preventiva, nel caso (1) in cui «l a convenzione d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’art.817, terzo comma »), « la parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile ».
Quindi l’impugnazione per nullità del lodo è ammessa se la convenzione di arbitrato è invalida (ex art. 829, comma 1, n. 1, c.p.c., come modificato dall’art. 24 del D.Lgs. n. 40/2006); tuttavia, la medesima disciplina dispone (all’art. 817, comma 2, c.p.c., ex art. 22, D.Lgs. cit.) che l’incompetenza degli arbitri per invalidità della convenzione di arbitrato deve essere eccepita nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri.
Si prevede quindi un’unica ma importante eccezione a questa regola generale: la nullità – o inesistenza che dir si voglia – della convenzione arbitrale per non compromettibilità della controversia può costituire valido motivo di impugnazione, a prescindere dall’eccezione nel corso del giudizio arbitrale.
6.3. In ordine al modo con cui superare le preclusioni poste, nel nostro ordinamento, dal combinato disposto degli artt.829 e 817 terzo comma c.p.c., si osserva quanto segue.
Sebbene una prima lettura degli artt. 829, co. 1, n. 1, e 817, co. 3, c.p.c. possa far ritenere che la nuova normativa si ponga in contrasto con la direttiva 13/93, si è proposta, in dottrina, un’interpretazione non collidente, facendo richiamo all’art. 817, c. 2, secondo periodo, c.p.c., che esclude il vigore della preclusione per le convenzioni di arbitrato, che siano nulle per non arbitrabilità della controversia e si è ritenuto che, se è vietata la inclusione di una clausola arbitrale in un contratto tra un consumatore ed un professionista, a meno di una seria e specifica trattativa individuale, pena la nullità ai sensi dell’art. 36, ciò significa che le controversie che eventualmente traggano origine da quel contratto non sono arbitrabili a norma dell’art. 806 c.p.c.
Si evidenzia che l’art.806, nel testo introdotto con la Riforma 2006, individua le controversie non arbitrabili, oltre per il contenuto ed all’oggetto delle stesse (« le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili »), anche nell’ « espresso divieto di legge ».
Altra tesi, richiamando le pronunce della Corte di Giustizia laddove, nell’affermare la nullità della convenzione di arbitrato contenuta in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, perché contraria alle norme imperative di tutela del consumatore, norme di ordine pubblico (comunitario), ritiene applicabile l’art.829, comma 3, c.p.c.
L’art.829, comma 3, introdotto con la Riforma 2006, consente l’impugnazione del lodo, anche d’equità, per contrasto con l’ordine pubblico. Più precisamente, il disposto del novellato art. 829, comma 3, c.p.c. ha escluso, in via generale, la possibilità di impugnare il lodo per violazione di norme di diritto relative al merito della controversia, se tale possibilità non è espressamente prevista dalle parti o dalla legge, consentendola, in via eccezionale, solo nel caso in cui la decisione sia contraria a principi di ordine pubblico.
Secondo tale impostazione della questione, il lodo, reso sulla base di un accordo di arbitrato contenuto in un contratto tra un consumatore ed un professionista, a sua volta contrario all’ordine pubblico (perché contraria è la clausola arbitrale per effetto della quale esso è stato pronunciato), è impugnabile con il nuovo motivo di impugnazione previsto nell’art. 829, c. 3, c.p.c..
Tuttavia, si è obiettato che, ai sensi dell’art.829, comma 3, il lodo può essere annullato, in forza di questo motivo, solo se il suo contenuto e i suoi effetti contrastino con l’ordine pubblico, mentre nel caso risolto dalla Corte di giustizia, invece, la nullità della decisione degli arbitri per contrasto con l’ordine pubblico è stata delineata come nullità del lodo « derivata » dalla nullità della convenzione di arbitrato per violazione dell’ordine pubblico, cosicché si tratterebbe così di un contrasto con l’ordine pubblico che non concerne il contenuto e il dispositivo del lodo; sarebbe poi una nullità del lodo per ragioni di rito, giacché esso sarebbe reso da arbitri che risultano privi della potestas iudicandi a causa della nullità, per violazione dell’ordine pubblico, della clausola arbitrale, mentre la nozione presa in esame dal terzo comma dell’art.829 c.p.c. guarda l’ordine pubblico c.d. sostanziale..
Questa Corte (Cass. 21850/2020) ha affermato, aderendo ad una interpretazione restrittiva (rispetto ad altra secondo cui la nozione di ordine pubblico, in esame, coincide con l’insieme delle norme
imperative dell’ordinamento) che il richiamo alla clausola dell’ordine pubblico operato in sede di impugnazione del lodo vada interpretato come rinvio alle norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento.
Sempre questa Corte (Cass. 14405/2022) ha anche affermato che « In tema di impugnazione di lodo arbitrale, gli arbitri hanno l’obbligo di segnalare alla parte l’esistenza di una nullità c.d. di protezione, quale la violazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 122 del 2005, che impone al costruttore l’obbligo di rilasciare e consegnare all’acquirente una fideiussione di importo corrispondente alle somme riscosse. Qualora gli arbitri non pongano in essere tale segnalazione, questa deve essere compiuta dal giudice statale adito in sede di impugnazione del lodo e la mancata segnalazione della nullità di protezione è motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 829, comma 3 c.p.c., attenendo la disposizione che commina la nullità di protezione all’ordine pubblico comunitario ».
Sempre, in relazione all’art.829, comma 3, c.p.c., si segnala Cass. 27615/2022: « In tema di impugnazione del lodo per contrarietà all’ordine pubblico, deve escludersi che la decisione arbitrale possa essere impugnata per violazione del divieto del patto commissorio, poiché il disposto dell’art. 2744 c.c., pur trattandosi di una norma imperativa, non esprime in sé un valore insopprimibile dell’ordinamento, ma è posto a tutela del patrimonio del contraente, tant’è che lo stesso legislatore ha previsto casi in cui tale divieto non si applica ex art. 6 del d.lgs. n. 170 del 2004 ». In motivazione, si è ribadito che « solo se l’error iuris in iudicando comporta la violazione di un principio che è espressione di un valore essenziale dell’ordinamento (cio è di ordine pubblico), il lodo stesso frustra tale valore e diviene intollerabile, al punto da giustificarne la rimozione degli effetti (fase rescindente) e la riforma della decisione (fase rescissoria) » e che « il richiamo alla clausola dell’ordine pubblico, operato dall’art. 829, comma 3,
c.p.c., deve essere interpretato come rinvio alle norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento e non sottende una nozione “attenuata” di ordine pubblico, che comprende tutte le norme imperative esistenti (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 21850 del 09/10/2020 e Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 25187 del 17/09/2021) »; deve trattarsi in sostanza di violazione di « quei principi etici, economici, politici e sociali che, in un determinato momento storico, caratterizzano il nostro ordinamento nei vari campi della convivenza sociale, i “valori d ì fondo” del sistema giuridico italiano, che trovano in larga parte espressione nella Carta costituzionale », di quel « complesso di norme e principi che esprimono interessi e valori generalizzati dell’intera collettivit à , dettati a tutela di interessi generali, per questo non derogabili dalla volont à delle parti, n é suscettibili di compromesso »
6.4. Ritiene il Collegio che, nel confronto tra la disciplina generale sull’arbitrato (artt.829 e 817, terzo comma, c.p.c.) e quella speciale derogatoria dettata a tutela del consumatore, che rappresenta una base fondante dell’ordinamento euro -unitario essendo i diritti dei consumatori fondamentali per i cittadini dell’Unione, si debba procedere comunque alla disapplicazione da parte del giudice, per contrarietà alla legislazione comunitaria (quale originata anche dalle pronunce interpretative della Core di Giustizia), della norma di cui al combinato disposto degli artt. 829 n. 1 e 817, 3° comma, c.p.c. secondo cui l’impugnazione per nullità del lodo basata sull’invalidità della convenzione d’arbitrato non è ammessa se non è stata eccepita nel corso del procedimento arbitrale.
L’inammissibilità del maturare di preclusioni nel corso del giudizio arbitrale dipende direttamente da una deroga di origine comunitaria rispetto a quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 829, c. 1, n. 1, e 817, c. 2, secondo periodo, c.p.c.
Sarà oggetto di prova contraria, nel giudizio di merito, l’allegata circostanza, invocata dal professionista, del fatto positivo del prodromico svolgimento di una trattativa dotata dei caratteri essenziali suoi propri, impeditiva della relativa applicazione della normativa consumeristica.
Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte Appello Roma in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione,