Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9510 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9510 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
R.G.N. 21180/20
C.C. 26/03/2025
Vendita -Circonvenzione d’incapace Nullità
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 21180/2020) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in proprio e in qualità di aventi causa di COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti –
contro
VITALE NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1220/2020, pubblicata il 3 aprile 2020, notificata a mezzo PEC il 22 maggio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 24 aprile 2008, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Napoli, NOME COGNOME chiedendo che fosse pronunciato l’annullamento dell’atto di vendita stipulato tra il proprio figlio COGNOME NOME e la convenuta, con atto pubblico del 7 maggio 2007, avente ad oggetto l’immobile da poco ristrutturato, sito nel centro di Napoli, alla INDIRIZZO in palazzo di pregio storico, per il prezzo di euro 260.000,00, in ragione del disturbo psichico, tale da pregiudicare la sua capacità di intendere e di volere, dell’alienante, di cui l’acquirente era a conoscenza, in quanto moglie separata del di lui fratello NOMECOGNOME con cui aveva continuato ad avere rapporti e frequentazione.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME la quale contestava: il difetto di legittimazione attiva dell’attrice rispetto alla domanda di annullamento ex art. 428 c.c.; l’insussistenza di qualsiasi prova dell’incapacità naturale di COGNOME NOME; -la mancanza di alcun rapporto e frequentazione con COGNOME NOME e con la di lui famiglia; – la sua adesione alle pressanti richieste di prestiti in denaro avanzate da COGNOME NOME, con l’accettazione quale datio in solutum -dell’acquisto del bene p er cui è causa. Chiedeva, pertanto, che le domande avversarie fossero rigettate e spiegava domanda riconvenzionale, con cui chiedeva che fosse
ordinato il rilascio del bene ancora detenuto sine titulo dall’attrice e dai suoi due figli.
Nel corso del giudizio erano disattese le richieste di prova avanzate dalle parti.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1665/2015, depositata il 3 febbraio 2015, ritenuta fondata l’eccezione inerente al difetto di legittimazione attiva dell’attrice, rigettava la domanda principale e accoglieva la domanda riconvenzionale, condannando la Guaccio al rilascio dell’immobile oggetto di contesa.
2. -Con ulteriore atto di citazione notificato l’11 settembre 2009, NOME instaurava altro giudizio, sempre davanti al Tribunale di Napoli, nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo la condanna dei convenuti al rilascio dell’immobile oggetto del contratto di vendita innanzi descritto, in mancanza di alcun titolo che li legittimasse ad occuparlo.
In tale ulteriore giudizio si costituiva la sola convenuta COGNOME NOME, la quale preliminarmente eccepiva la litispendenza con il giudizio già incardinato; evidenziava, poi, che era stata sporta querela in sede penale per i gravissimi fatti perpetrati in danno di COGNOME NOME, quale proprietario dell’immobile oggetto di lite, che avrebbe dovuto indurre il giudicante quantomeno a sospendere la causa.
Con sentenza n. 13270/2015, depositata il 21 ottobre 2015, l’avanzata domanda era accolta e, per l’effetto, i convenuti erano condannati al rilascio dell’immobile, in quanto privi di titolo per la sua detenzione.
3. -Con separati atti di citazione NOME proponeva appello A) avverso la pronuncia n. 1665/2015, lamentando: 1) l’erroneo rigetto delle istanze istruttorie in primo grado sul presupposto che non fosse ipotizzabile il reato di circonvenzione di incapace; 2) l’erroneità della pronuncia di difetto di legittimazione attiva dell’istante, ben potendo essere esperita l’azione di nullità ex art. 1421 c.c. da chiunque avesse avuto interesse, diversamente da quanto stabilito dall’art. 1441 c.c. per la diversa azione di annullamento; B) avverso la pronuncia n. 13270/2015, contestando: 1) l’omessa pronuncia in merito alla preliminare eccezione di litispendenza, con la conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; 2) la violazione del principio del ne bis in idem , avendo il Tribunale ordinato, per ben due volte, il rilascio del medesimo bene oggetto di contesa, nell’ambito di due distinti giudizi.
Si costituiva nei due giudizi NOME COGNOME la quale instava per il rigetto dell’impugnazione, con la conseguente conferma delle sentenze impugnate.
Decidendo sui gravami interposti, previa riunione, la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava gli appelli proposti e compensava integralmente le spese di lite.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la sentenza n. 1665/2015 non era stata impugnata e, pertanto, era divenuta cosa giudicata in ordine alla pronunciata declaratoria di difetto di legittimazione di NOME alla proposizione della domanda di annullamento, poiché le censure esposte dall’appellante riguardavano il mancato accoglimento della domanda di nullità
proposta in corso di lite, sull’assunto dell’irrimediabile invalidità del negozio posto in essere a seguito della circonvenzione di COGNOME NOME, affetto da disturbo psicotico, la cui dimostrazione avrebbe potuto essere rilevata all’esito dell’ammissione della prova testimoniale articolata; b ) che, in ordine alla reiterata istanza di ammissione delle prove orali richieste, non risultava dagli atti del primo giudizio che la COGNOME, in sede di precisazione delle conclusioni del 13 ottobre 2014, avesse mai ripreso dette istanze istruttorie, come disattese dal Tribunale, sicché la richiesta era inaccoglibile; c ) che la richiesta era infondata anche sotto un altro profilo, ossia per difetto di decisività, atteso che nessuno dei capitoli articolati nella memoria difensiva appariva idoneo a dare contezza delle specifiche attività e strumenti attraverso cui la COGNOME eventualmente avesse approfittato e avesse circuito COGNOME NOME, non risultando quali fossero i rapporti tra la COGNOME e il COGNOME e non essendo in alcun modo spiegati i dettagli, gli episodi e le circostanze concrete da cui inferire il rapporto di sudditanza psicologica del secondo rispetto alla prima; d ) che, anzi, era stato allegato che COGNOME NOME conviveva, oltre che con la madre, con il fratello NOME, sicché appariva ben più plausibile la teoria di parte appellata, secondo cui sarebbe stato proprio quest’ultimo a proporle la vendita censurata per procurarsi la liquidità finanziaria di cui aveva bisogno, convincendo così il fratello a stipulare la vendita.
4. -Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e in qualità di aventi causa di COGNOME NOME.
Ha resistito, con controricorso, l’intimata NOME COGNOME
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Preliminarmente -in adesione all’eccezione sollevata dalla controricorrente -deve essere dichiarato il difetto di legittimazione processuale a spiegare il ricorso di COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali aventi causa di NOME
Infatti, non è stata data alcuna contezza del titolo di successione genericamente dedotto.
Ora, colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, propone impugnazione deve fornire la prova, ex art. 2697 c.c., di tale sua qualità, posto che la titolarità, attiva o passiva, della posizione soggettiva vantata in giudizio è elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento da parte del convenuto o lo svolgimento di difese incompatibili con la sua negazione, a pena di inammissibilità dell’impugnazione (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 25860 del 27/09/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 3793 del 12/02/2024; Sez. 6-3, Ordinanza n. 11276 del 10/05/2018; Sez. U, Sentenza n. 12065 del 29/05/2014).
Pertanto, la disamina dei motivi deve essere limitata alla posizione processuale dei ricorrenti in proprio.
-Tanto premesso, con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per error in procedendo , con violazione degli artt. 112 e 101 c.p.c., per avere la Corte di merito
erroneamente dichiarato la contumacia di COGNOME NOME e COGNOME NOME, sebbene regolarmente costituiti nel giudizio di secondo grado, con la conseguente omessa valutazione delle loro difese ai fini del decidere.
Obiettano gli istanti che si erano costituiti ritualmente in via telematica il 9 marzo 2016 nel giudizio d’appello con cui la COGNOME aveva chiesto il rilascio del cespite.
2.1. -Il motivo è infondato.
Ed invero, l’erronea dichiarazione di contumacia di una delle parti non incide sulla regolarità del processo e non determina un vizio della sentenza, deducibile in sede di impugnazione, se non abbia provocato, in concreto, alcun pregiudizio allo svolgimento dell’attività difensiva (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 5408 del 27/02/2020; Sez. 3, Sentenza n. 3704 del 09/03/2012; Sez. 2, Sentenza n. 9649 del 27/04/2006).
Senonché i ricorrenti non hanno affatto dedotto quale pregiudizio concreto sarebbe derivato dall’erronea considerazione della loro contumacia.
E segnatamente non hanno affatto indicato quali argomentazioni innovative sarebbero state trascurate, in termini distinti rispetto alle obiezioni proposte dalla COGNOME.
-Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per error in procedendo , con violazione dell’art. 329 c.p.c., per avere la Corte territoriale applicato il principio di acquiescenza su un capo della sentenza in effetti impugnato in appello, con la conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. per
omessa pronuncia su un motivo di gravame, nonché con la violazione dell’art. 161, primo comma, c.p.c.
Osservano gli istanti che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che non fosse stato proposto gravame, con il conseguente passaggio in giudicato, avverso la declaratoria di carenza di legittimazione di COGNOME NOME alla proposizione della domanda di annullamento della vendita per incapacità di intendere e di volere dell’alienante.
3.1. -Il motivo è infondato.
Secondo quanto riportato dagli stessi ricorrenti, la sentenza n. 1665/2015 è stata impugnata in sede di appello solo relativamente alla parte in cui non è stata dichiarata la nullità dell’atto di vendita, in conseguenza della circonvenzione di incapace, ma non è stata spiegata specifica impugnazione avverso la deliberazione del difetto di legittimazione attiva della Guaccio a proporre la domanda di annullamento per incapacità di intendere e di volere del figlio venditore.
4. -Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., con motivazione omessa e/o apparente sulla richiesta di ammissione di consulenza medicolegale d’ufficio, per avere la Corte distrettuale omesso ogni argomentazione sulla reiterata richiesta di consulenza sulla persona di COGNOME NOME, come formulata da COGNOME NOME sia nel giudizio di primo grado sia nel giudizio d’appello.
Espongono gli istanti che, a fronte della conferma del rigetto delle richieste di prova testimoniale, alcuna motivazione sarebbe
stata dedicata sulla reiterata richiesta di ammissione della consulenza d’ufficio.
4.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, la conferma del rigetto delle prove orali volte a dimostrare l’esistenza di una circonvenzione di incapace, in mancanza di alcuna deduzione nei capitoli di prova dei rapporti tra la COGNOME e il COGNOME e di alcuna specificazione dei dettagli, degli episodi e delle circostanze concrete da cui poter inferire il rapporto di sudditanza psicologica del secondo rispetto alla prima, non avrebbe potuto giustificare l’ammissione di una consulenza tecnica d’ufficio dalla portata meramente esplorativa e surrogatoria dell’onere probatorio ricadente sulle parti.
E questo perché la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 10373 del 12/04/2019; Sez. 6-1, Ordinanza n. 30218 del 15/12/2017; Sez. 6-L, Ordinanza n. 3130 del 08/02/2011).
Ed invero, tale consulenza avrebbe al più potuto dimostrare lo stato psichico dell’alienante al tempo della vendita, ma non già
l’ipotizzata circonvenzione d’incapace, collegata all’emersione di elementi fattuali e di contesto e non già ad aspetti tecnici.
-In conseguenza delle argomentazioni esposte, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali aventi causa di COGNOME NOME, per il loro difetto di legittimazione, mentre deve essere respinto il ricorso proposto dai ricorrenti in proprio.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara l’inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali aventi causa di COGNOME NOME, rigetta il ricorso proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME in proprio e condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.800,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda