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Retrocessione ramo d’azienda: quando è evasione

Il Tribunale di Torino ha stabilito che una simulata cessazione di attività, che nasconde una retrocessione ramo d’azienda alla società controllante, integra evasione contributiva. L’azienda aveva ottenuto la CIGS per cessazione, ma il giudice ha accertato la continuità aziendale, negando il beneficio e confermando l’avviso di addebito dell’ente previdenziale.

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Retrocessione ramo d’azienda: la finta cessazione è evasione contributiva

Una recente sentenza del Tribunale di Torino ha acceso i riflettori su operazioni societarie complesse, stabilendo che una finta cessazione di attività, finalizzata a mascherare una retrocessione ramo d’azienda alla società controllante, costituisce evasione contributiva. Questa decisione offre importanti chiarimenti sui limiti dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, come la CIGS per cessazione, e sulle responsabilità del datore di lavoro in caso di manovre elusive.

I Fatti di Causa: Dallo Spin-Off alla Presunta Cessazione

La vicenda ha origine da un’operazione di spin-off: una società madre, attiva nel settore dell’ingegneria, aveva conferito il suo ramo d’azienda specializzato in progettazione a una nuova società, creata ad hoc e da essa controllata. A distanza di circa due anni, la nuova società entrava in crisi.

Contemporaneamente, la società madre ricostituiva al suo interno un’unità operativa con funzioni analoghe a quelle del ramo ceduto, assumendo anche personale dirigenziale proveniente dalla controllata. Poco dopo, la società controllata veniva posta in liquidazione volontaria, avviava una procedura di licenziamento collettivo per cessazione di attività e richiedeva la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per i suoi dipendenti.

L’ente previdenziale, a seguito di un’ispezione, contestava l’operazione. Secondo gli ispettori, non si trattava di una reale cessazione, bensì di una manovra per trasferire nuovamente l’attività e il personale più qualificato alla società madre, eludendo le tutele previste dall’art. 2112 c.c. in caso di trasferimento d’azienda e beneficiando indebitamente della CIGS. Di conseguenza, l’ente emetteva un avviso di addebito per quasi un milione di euro per contributi e sanzioni, contro cui l’azienda proponeva opposizione.

La Retrocessione Ramo d’Azienda Mascherata

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione della sequenza di eventi. Per l’azienda opponente, si trattava di una legittima cessazione di attività dovuta a difficoltà economiche. Per l’ente previdenziale, invece, l’intera operazione era una simulazione: la liquidazione e la richiesta di CIGS erano solo un paravento per nascondere la retrocessione ramo d’azienda e selezionare il personale da mantenere, scaricando i costi degli esuberi sulla collettività.

Il Tribunale ha dovuto quindi valutare se l’attività fosse realmente cessata o se fosse proseguita, sotto mentite spoglie, in capo alla società controllante. La decisione si è basata sull’analisi della continuità operativa, del know-how e delle risorse umane.

L’Accusa di Evasione Contributiva e la Retrocessione Ramo d’Azienda

Il giudice ha ritenuto che il mancato versamento dei contributi, in un contesto di finta cessazione, non potesse qualificarsi come una semplice omissione, ma come una vera e propria evasione contributiva ai sensi dell’art. 116 della Legge 388/2000. L’evasione si configura quando c’è l’intenzione specifica di non versare i contributi, occultando la reale situazione.

In questo caso, l’occultamento è stato individuato proprio nella falsa rappresentazione della cessazione aziendale. Dichiarare di chiudere l’attività, mentre in realtà la si sta trasferendo, è una condotta finalizzata a ingannare l’ente previdenziale per ottenere un beneficio (la CIGS) non dovuto e per non pagare i contributi pieni.

le motivazioni

Il Tribunale ha rigettato l’opposizione dell’azienda, confermando la legittimità dell’avviso di addebito. Le motivazioni della decisione si fondano su diversi pilastri. In primo luogo, il giudice ha dato pieno credito alla ricostruzione dell’ente previdenziale, considerandola supportata dalle prove raccolte, incluse le testimonianze del personale. È emerso che l’attività di ingegneria, soprattutto quella a maggior valore aggiunto, era di fatto proseguita senza soluzione di continuità presso la società madre, grazie al personale chiave (prima distaccato e poi riassunto) e all’utilizzo degli stessi strumenti, come le licenze software.

Il Tribunale ha definito l’operazione come una ‘occulta retrocessione del ramo di azienda’. La natura occulta non richiedeva il trasferimento di tutti i beni materiali; era sufficiente il trasferimento del nucleo essenziale dell’attività, costituito dal personale qualificato e dal know-how. La corte ha inoltre ritenuto che l’azienda richiedente la CIGS fosse l’unica responsabile, in quanto datore di lavoro formale che aveva avanzato la richiesta sulla base di un presupposto (la cessazione) rivelatosi falso. L’intenzione di occultare la realtà dei fatti per non versare i contributi dovuti e beneficiare indebitamente degli ammortizzatori sociali ha integrato, secondo il giudice, la fattispecie più grave dell’evasione contributiva, giustificando l’applicazione delle relative sanzioni.

le conclusioni

Questa sentenza rappresenta un monito significativo per le imprese che pianificano operazioni di ristrutturazione. Dimostra che i giudici sono disposti a guardare oltre la forma giuridica delle operazioni per valutarne la sostanza economica e le reali finalità. Qualsiasi schema che appaia finalizzato a eludere le norme a tutela dei lavoratori (come l’art. 2112 c.c.) e ad abusare degli ammortizzatori sociali è esposto a un serio rischio di contestazione.

In pratica, una cessazione di attività, per essere considerata tale, deve essere totale e definitiva. Se l’attività, o il suo nucleo essenziale, prosegue in un’altra entità dello stesso gruppo, l’operazione può essere riqualificata come trasferimento d’azienda, con tutte le conseguenze legali e contributive che ne derivano. Le aziende devono quindi agire con la massima trasparenza, soprattutto quando sono coinvolti fondi pubblici, per non incorrere in pesanti sanzioni per evasione.

Una società può ottenere la CIGS per cessazione di attività se, di fatto, il suo ramo d’azienda viene riassorbito dalla casa madre?
No. Secondo la sentenza, se la cessazione di attività è solo apparente e nasconde una continuità aziendale attraverso il trasferimento occulto del ramo d’azienda a un’altra società del gruppo, non sussistono i presupposti per la concessione della CIGS per cessazione.

Quando un’operazione aziendale viene considerata una ‘retrocessione ramo d’azienda’ nascosta?
Si ha una retrocessione nascosta quando, nonostante una formale dichiarazione di cessazione e liquidazione, l’attività produttiva principale, il know-how e il personale chiave vengono trasferiti a un’altra società (in questo caso, la controllante che aveva originariamente ceduto il ramo), garantendo la continuità operativa. La prova si basa sulla sostanza dei fatti più che sulla forma giuridica dell’operazione.

Il mancato pagamento di contributi in un caso di finta cessazione è semplice omissione o evasione contributiva?
Secondo il Tribunale, si tratta di evasione contributiva. L’atto di occultare la reale continuità aziendale, presentando una falsa dichiarazione di cessazione per ottenere indebitamente la CIGS e non versare i contributi, integra l’intenzionalità richiesta per la fattispecie più grave dell’evasione e non della semplice omissione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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