Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21819 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21819 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
sul ricorso 4694/2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 950/2021 depositata il 17/08/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME ricorre a questa Corte -sulla base di due motivi, illustrati pure con memoria, ai quali resiste con controricorso e memoria l’intimata Intesa San Paolo -al fine di sentire cassare la sopra riportata sentenza con la quale la Corte di appello di Torino, rigettandone il gravame, ha confermato la decisione di primo grado nella parte in cui questa aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva di Intesa San Paolo -cessionaria per effetto del d.l. 25 giugno 2017 n. 99 convertito in l. 31 luglio 2017, n. 121 della azienda bancaria già facente capo a Veneto Banca s.p.a. nelle more sottoposta a liquidazione coatta amministrativa -a ripetere in favore dell’odierno ricorrente le somme indebitamente introitate da Veneto Banca in relazione ai pregressi rapporti bancari correnti tra le parti.
Nel dettaglio La Corte territoriale, confutato il primo motivo di gravame in quanto l’asserita non contestazione della propria legittimazione da parte di Intesa San Paolo non era ostativa a che il giudice, tenuto conto degli insegnamenti di SS.UU. 2951/2016, potesse pur sempre esaminare il punto, trattandosi di «circostanza rilevabile d’ufficio se risultante dagli atti», ha ritenuto, nel merito, di dover condividere l’assunto decisorio del primo giudice e di confermare così la dichiarata carenza di legittimazione passiva in capo alla banca intimata. Si è osservato infatti che il rapporto di che trattasi risultava estraneo al perimetro del negozio di cessione di azienda, posto che sebbene l’art. 3, comma 1, lett. c) d.l. 99/2017 avesse previsto che la cessione non si estendesse alle “controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività”, il criterio temporale non era in tal senso decisivo, dal momento che in sede di stipulazione del negozio di cessione, allorché si era proceduto all’art. 3 a disciplinare l'”Insieme Aggregato” includente tutte le attività e le
passività oggetto di trasferimento, si era dato rilievo anche al criterio dell'”inerenza e funzionalità all’esercizio dell’impresa bancaria”, sempreché del rapporto oggetto di cessione vi fosse una “risultanza contabile”. Di conseguenza, prosegue la Corte, poiché il conto corrente in relazione al quale erano maturate le ragioni di indebito azionate dalla correntista si era estinto il 17.8.2009, il rapporto in parola doveva considerarsi escluso dall’insieme aggregato, atteso che il credito relativo ad un rapporto chiuso prima della cessione ad Intesa non può ritenersi “funzionale all’esercizio dell’impresa bancaria” che è la condizione primaria a cui è subordinato il trasferimento di eventuali passività. In sintesi, come pure si evince dal successivo atto ricognitivo intervenuto tra le parti il 17.1.2018, che esclude dal trasferimento i rapporti estinti ed i contenziosi sui medesimi, «la circostanza che il contenzioso fosse pendente alla data della cessione, avendo ad oggetto un rapporto “non riferibile ad attività e passività incluse”, e comunque non “inerente all’impresa bancaria”, risulta pertanto del tutto irrilevante e non vale di per sé sola ad includerlo nel perimetro della cessione. Dunque l’art. 3.1.2 lettera b) non va letto in modo atomistico, ma va coordinato con le ulteriori disposizioni dettate dell’art. 3 del Contratto di Cessione che definisce l’Insieme Aggregato ceduto a Intesa Sanpaolo, da cui emerge che perché una passività possa ritenersi inclusa deve derivare da rapporti “inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria” e un rapporto estinto prima della Cessione deve ritenersi abbia esaurito ogni sua funzionalità. Si deve pertanto ritenere che, ai sensi dell’art. 3.1.4 B del contratto di cessione sopra esaminato, il rapporto negoziale di cui si discute, estinto senza pendenze nel mese di agosto 2009 e quindi in epoca ben precedente la messa in liquidazione coatta amministrativa della banca e al conseguente contratto di cessione di ramo d’azienda, rapporto al quale inserisce la pretesa fatta valere nell’ambito di questo giudizio, dalla RAGIONE_SOCIALE
S.r.l., non si sia trasferito a Intesa Sanpaolo spa, ma faccia parte proprio dell’Attivo-Passivo Escluso: ne consegue che nessuna successione si è operata nella posizione negoziale di Veneto Banca s.c.p.a. e, di conseguenza, nessuna successione di Intesa Sanpaolo spa è intervenuta nella posizione processuale di Veneto Banca s.c.p.a. ai sensi delle disposizioni specificamente dettate per la liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca s.c.p.a.».
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il primo motivo di ricorso -con il quale si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. per non aver dato rilievo alla mancata contestazione di Intesa San Paolo in relazione alla sua titolarità soggettiva passiva del rapporto e alla conseguente sua legittimazione passiva nel giudizio, vero che nel costituirsi la convenuta non si era data cura di eccepire il relativo difetto, ma si era limitata a contestare la chiamata in causa, in ciò palesandosi anche alla luce del precedente citato dal decidente, una circostanza incompatibile con la negazione della legittimazione -è infondato e non merita seguito.
Premesso, per vero, che dallo stesso arresto delle SS.UU. si ricava la duplice certezza che «la titolarità del diritto è un fatto, appartenente alla categoria dei fatti-diritto che della domanda costituisce il fondamento» e che «la non contestazione deve essere attentamente valutata dal giudice specie quando non attenga alla sussistenza di un fatto storico, ma riguardi un fatto costitutivo ascrivibile alla categoria dei fatti-diritto», è assorbente in direzione di quanto ritenuto dal decidente la considerazione che, come si è già chiarito, «il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il
giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento» ( ex plurimis , Cass., Sez. III, 7/06/2023, n. 16028). E tanto ha fatto il giudice di appello allegando, proprio sulle orme del precedente da esso richiamato non inteso così dal ricorrente, che «il semplice difetto di contestazione non impone un vincolo di conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto».
In buona sostanza il giudicante ha ritenuto che la questione dovesse essere definita in base alle risultanze processuali acquisite ed, in questa ottica, è correttamente pervenuto a negare, per mezzo del ragionamento interpretativo successivamente sviluppato, la legittimazione passiva della banca intimata.
3.1. Il secondo motivo di ricorso -con il quale si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2558, 2560, 1362, 1366, 1367, 1369, 1370 e 1371 cod. civ., dell’art. 3 d.l 99/2017 e degli artt. 1.1.1., 3.1.1., 3.1.2. e 3.1.4. del contratto di cessione d’azienda per aver essa erroneamente ritenuto Intesa San Paolo carente di titolarità soggettiva passiva in ordine al rapporto e per aver così dichiarato la conseguente sua carenza di legittimazione passiva nel giudizio, e ciò malgrado l’art. 2560 cod. civ. ponga quale unica condizione alla traslazione dei debiti la loro contabilizzazione nelle scritture aziendali e la corretta interpretazione del dettato normativo e, con esso, delle richiamate norme negoziali, nonché, in questo ambito, la focalizzazione del requisito dell’inerenza e della funzionalità all’esercizio dell’impresa ex latere cedente , portassero a concludere per l’inclusione della passività in oggetto nel perimetro del’operata cessione d’azienda -è, ancorché infondato,
come pure si dirà, primariamente inammissibile in quanto è volto a censurare il ragionamento interpretativo svolto dal decidente di merito a suffragio della decisione assunta.
3.2. E’ presto detto, infatti, a conforto della preclusione così rilevata, che «l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti» ( ex plurimis , Cass., Sez. III, 14/07/2016, n. 14355); enunciazione, questa, a cui poi si deve pure accostare la considerazione che «la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra» ( ex plurimis , Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319).
3.3. Il motivo in disamina non ottempera minimamente a questi precetti.
Siamo in presenza di una confutazione della pretesa legittimità del ragionamento interpretativo del decidente di merito che, lungi dall’integrare anche solo sommariamente i presupposti per la sua scrutinabilità in questa sede, vero che la ricorrente si astiene dall’indicare nel dettaglio dove e perché l’interpretazione accolta violi i criteri legali di ermeneutica, difetta perciò di contenuto critico, evidenzia una finalità puramente esplorativa e concreta, al più, l’indiretta sollecitazione a rinnovare il giudizio di merito.
3.4. Ciò nondimeno, non crede comunque il collegio di non poter osservare, nel merito, che il d.l. 99/2017, per definire il quadro dei rapporti oggetto di trasferimento in capo ad Intesa, si è dato cura di demandare il compito di stabilire termini e condizioni all’accordo tra le parti formalizzato nella duplice intesa del 26.1.2017 e del 17.2018. Anzi, vi è di più, perché come annota la Corte Costituzionale nella sentenza 225 del 2022 il decreto riflette il testo dell’intesa a tal riguardo intercorsa tra le parti e, per essere più precisi, il testo dell’offerta che era stata in tal senso formulata da Intesa San Paolo. Ora, questo significa che nella risoluzione della questione di specie si sarebbe dovuto aver riguardo non solo al dettato normativo risultante dal d.l. 99/2017, ma anche a quanto previsto dagli accordi raggiunti tra le parti e formalizzati, come detto negli scritti del 26.6.2017 e del 17.1.2018.
3.5. Come si è perciò già notato in altra sede, segnatamente da Cass. 15083/25 -che, nell’occasione, ha enunciato un principio di diritto a cui il collegio intende aderire -va sottolineata la peculiarità dell’assetto regolamentare che viene in tal modo al vaglio di questa Corte, ove emerge come il decreto legge abbia inteso impiegare il
contratto quale strumento di attuazione del programmato intervento normativo, rendendolo così implicitamente ma ineluttabilmente suscettibile di diretta interpretazione da parte della Corte di cassazione. «Quello stipulato il 26 giugno 2017 dai commissari liquidatori delle menzionate Banche Venete ed Intesa Sanpaolo s.p.a.» -si è detto nel precedente citato di questa Corte -«è sì un contratto, e non una fonte normativa, ma è nondimeno un contratto sui generis , che si intreccia con il dato normativo, il quale riflette a propria volta i pregressi accordi e pattuizioni e conferisce al contratto efficacia rispetto ai terzi, affidando ai contraenti di stabilire cosa rientri, o non, nel perimetro della cessione: il contratto intercorso tra i commissari liquidatori ed Intesa Sanpaolo S.p.A. costituisce così espressione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, e dunque rientra nella nozione di contratto accolta dall’art. 1321 c.c. , suscettibile di interpretazione secondo i criteri dell’interpretazione contrattuale, ma incide altresì sulla regolamentazione di un’ampia pluralità di rapporti con conseguente esigenza dell’adozione di modalità interpretative tali da garantire uniformità applicativa, necessaria affinché il congegno adottato non fallisca il suo compito di fondare la compiuta regolazione di detti rapporti».
3.6. Dall’intreccio tra dati normativi (art. 3, comma 1, lett. c), d.l. 99/2017) e dati negoziali (art. 3.1.2, lett. b), art. 3.1.4. e art. 3.1.4, lett, b) del contratto, che identificano il perimetro della cessione, stabilendo, in particolare, il primo che sono oggetto di cessione le passività ” che derivano da rapporti inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria”), emerge, allora, che per stabilire se i debiti derivanti rapporti (come quello di cui oggi si discute) cessati in data antecedente all’apertura (avvenuta il 25 giugno del 2017) della liquidazione coatta amministrativa della banca, siano ricompresi o no nel contenzioso pregresso e siano perciò o meno oggetto di
trasferimento non è sufficiente il mero dato temporale della sola pendenza della corrispondente lite al momento (26 giugno 2017) della cessione, ma occorre chiedersi se si tratti o meno di debiti che ” derivano da rapporti inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria”. A questo riguardo si è ritenuto necessario precisare, a fronte dell’oggettiva opinabilità della locuzione, che essa deve essere intesa, in adesione, del resto, alla volontà rappresentata dalle parti -e, segnatamente, dalla parte forte del rapporto -nel senso di ritenere inclusi nella cessione i soli rapporti aziendali che rilevino finalisticamente per lo svolgimento della specifica attività di impresa della cessionaria, sicché le passività oggetto di trasferimento debbono inscriversi in rapporti che per tale ragione si rendano funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria da parte della cessionaria. E’ palese, perciò, che il riferimento a debiti che ” derivano da rapporti inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria”, non può che essere interpretato nella prospettiva dell’istituto di credito cessionario, privilegiando, cioè, non già un concetto astratto di inerenza e funzionalità del rapporto all’attività bancaria, bensì, una funzionalità all’effettivo e concreto svolgimento dell’attività bancaria da parte del cessionario medesimo. Il che porta, come ovvia conseguenza, ad affermare che la cessione non può ricomprendere le liti inerenti a rapporti estinti, non essendo essi, per definizione che ne evidenzia la mancanza di attualità, “inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria”.
3.7. Letteralmente, dunque, l’interpretazione a cui presta adesione il decidente è pienamente giustificata sul piano della coerenza testuale, dato che già la mera lettura del testo negoziale dimostra che il criterio della pendenza della lite non è l’unico individuato dai contraenti per considerare la relativa passività come inclusa nel perimetro del negozio traslativo.
Questo assunto si rafforza anche alla stregua del comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto. E ciò perché secondo l’Accordo ricognitivo del 17.1. 2018, l’esclusione dalla cessione dei contenziosi relativi a rapporti estinti (sancita al punto 4 dell’Allegato 1.1) è stata ribadita dai commissari liquidatori delle due Banche Venete in l.c.a. e da Intesa Sanpaolo s.p.a. con efficacia, appunto, meramente ricognitiva (e, proprio per tale ragione, munita della medesima efficacia verso i terzi attribuita dall’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017 al contratto di cessione) degli accordi già sanciti e desumibili dall’interpretazione del contratto di cessione qui considerata conforme a legge.
3.8. Va allora conclusivamente ribadita la convinzione, già enunciata dal precedente citato, che, applicando correttamente i principi di ermeneutica contrattuale, « l’unica lettura possibile del contratto di cessione de quo è quella per cui la pendenza della lite non può ritenersi un criterio sufficiente, da solo, per reputare un rapporto incluso nel perimetro della cessione ad Intesa Sanpaolo s.p.a., in quanto una passività, benché oggetto di un contenzioso pendente al 26 giugno 2017, ben potrebbe non integrare il requisito della inerenza e funzionalità all’impresa bancaria della odierna controricorrente».
3.9 La Corte di appello si è esattamente uniformata a questo ragionamento e perciò neanche nel merito la sentenza da essa pronunciata si renderebbe suscettibile di emenda.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 7200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il 30 maggio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME