Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6923 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6923 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dal l’A vv. NOME COGNOME Pec: EMAIL
Contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME rappresentati e difesi da ll’ Avv. NOME COGNOME pec:EMAIL
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona n. 1094/2020, pubblicata il 22.10.2020, notificata il 17.11.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11.2 .2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto: Cessione di quote sociali di RAGIONE_SOCIALE
1 .-La controversia trae origine dal contratto preliminare di cessione di quota sociale, pari al 70% dello studio COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, società operante nel settore della consulenza fiscale e tributaria ed elaborazione dati, sottoscritto nel 2014 tra COGNOME NOME, socio fondatore e detentore dell’80% , e COGNOME NOME, neoabilitato all’esercizio della professione di dottore commercialista, il quale aveva iniziato un rapporto di collaborazione e consulenza all’interno dello studio nelle more della stipula del definitivo, avvenuta in data 27.12.2007 per la complessiva somma di euro 117.630,00 in parte corrisposta prima dell’atto di acquisto, in parte con rilascio di assegni scadenti entro il 2009; in prossimità della data stabilita per la stipula del contratto definitivo l’amministratore unico della società, COGNOME Laura, detentrice del restante 20%, avendo rilevato una serie di condotte omissive, lamentate dalla clientela e dal personale dipendente, aveva comunicato dapprima con raccomandata del 27.12.2007 la risoluzione del rapporto di consulenza fiscale con il COGNOME e successivamente le proprie dimissioni dalla carica; il COGNOME, con raccomandata datata 10.12.2007 ma spedita il 24.12.2007, aveva poi reso noto, con ovvi riflessi sulla cli entela, che dall’anno 2008 avrebbe provveduto personalmente agli adempimenti di consulenza del lavoro: a tali eventi, rimasti sconosciuti al COGNOME fino alla data del contratto definitivo, erano seguiti, nei mesi successivi, le dimissioni di tutto il personale, il quale era stato assorbito nella struttura parallela di servizi contabili costituita dai due soci uscenti, e la risoluzione dei contratti di assistenza professionale concluso da gran parte della clientela tra aprile e maggio 2008.
2.─ Con sentenza n. 509/2016 il Tribunale di Macerata, annullava il contratto di cessione di quota nonché del collegato atto costitutivo di fideiussione sottoscritto in pari data dal padre NOME «per dolo del cedente o per sua responsabilità derivante dalla violazione
del principio di correttezza e buona fede, sia durante le trattative che nel corso del preliminare, nonché nella fase di attuazione e di gestione del rapporto societario» , disponendo per l’effetto la restituzione in favore dell’attore delle somme versate a titolo di pagamento e degli assegni detenuti in garanzia dell’adempimento dell’obbligazione, con condanna di parte convenuta al pagamento delle spese di lite.
3 .─ COGNOME NOME proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Ancona. COGNOME NOME e NOME spiegavano appello incidentale. Il Giudice distrettuale ha r igettato l’appello principale e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale, ha condannato COGNOME NOME al pagamento in favore di COGNOME NOME e di NOME NOME della somma complessiva di euro 167.630,00 maggiorata degli interessi.
Con la sentenza qui impugnata la Corte adita ha in sintesi condiviso la sentenza di primo grado che aveva fondato la decisione quanto all’invalidità del contratto per dolo del cedente sull’ attività volta a rappresentare all’acquirente una realtà societaria, quella oggetto di cessione, diversa da quella poi negoziata, depauperando, nel contempo, la società stessa di una delle sue più importanti fonti di reddito dell’azienda. L’accoglimento del gravame incidentale si basa su ciò: il Tribunale non aveva pronunciato condanna al pagamento di una somma determinata, onde, «previa dichiarazione di non debenza delle somme concordate nel contratto di cessione per il venir meno della causa relativa al rapporto sottostante ad ogni assegno bancario emesso in pagamento o in garanzia», COGNOME NOME andava condannato alla restituzione in favore di COGNOME NOME e di COGNOME NOME della somma complessivamente versata in sede di preliminare e di atto pubblico pari ad euro 167.630,00 oltre agli interessi legali dalla data dei singoli versamenti.
COGNOME NOME ha proposto un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi ed ha depositato memoria.
NOME NOME e NOME NOME hanno resistono con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. ─ Con il primo motivo si deduce: nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 132 , n. 4, c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 , n. 4, c.p.c. per motivazione apparente e al di sotto del minimo costituzionale; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1439 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., quanto agli elementi indiziari comprovanti il dolo. Secondo il ricorrente la Corte di appello avrebbe induttivamente ritenuto provato il dolo omissivo sulla scorta di circostanze prive di gravità, precisione e concordanza e utilizzato elementi indiziari non accertati nella loro esistenza e nella loro derivazione causale, trascurando le prove contrarie offerte.
6.Con il secondo motivo si deduce: nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. per motivazione apparente, quanto alle ulteriori circostanze valorizzate dalla Corte d’appello a conferma del dolo. La Corte d’appello avrebbe imputato due circostanze (le dimissioni del «personale ignaro» e il recesso di gran parte dei clienti) alla parte cedente, senza minimamente spiegare in base a quali elementi di prova diretta o indiretta fosse possibile giungere a queste conclusioni.
6 .1─ In generale, una motivazione presenta il vizio previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., n. 3819/2020, Cass., n. 6758/2022). Ed è apparente la motivazione, carente del giudizio di fatto e basata su una affermazione generale e astratta (Cass., n. 4166/2024).
Ora, il lamentato vizio di motivazione non sussiste, perché si è al di sopra della soglia del « minimo costituzionale » (per cui cfr. Cass., Sez. U. n. 8053/2014); il ricorrente fa questione della non rispondenza della decisione alle prove, ma l’anomalia motivazionale deducibile in questa sede è un vizio che deve risultare dal testo della sentenza impugnata, « a prescindere dal confronto con le risultanze processuali » (sent ult. cit.); inoltre, onde assolvere all’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., n. 3126/2021; Cass., n. 25509/2014). Per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre inoltre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. U., n. 20867/2020; Cass., n. 16016/2021); infine, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit , i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass., n. 27266/2023). Il vero è che i due motivi sono diretti a un non consentito riesame delle valutazioni di fatto riservate al giudice del merito.
7 .─ Con il terzo motivo si deduce: omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, n. 5, c.p.c.; nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che l’Avv. COGNOME non aveva attuato quanto prospettato nella missiva del 24/12/2007, come dimostravano le prove testimoniali sul punto; la lettera del 27/12/2007, inviata dall’Amm. Unico rag.ra COGNOME al dott. COGNOME nasceva come risposta alla missiva che questi aveva consegnato il 7/12/2007 ad una dipendente e si inseriva in una accesa diatriba tra il consulente e l’amministratore unico.
7.1 ─ La censura lamenta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. perché la Corte non avrebbe esaminato una serie di evidenze.
Le sentenze di primo e di secondo grado sono convergenti nel conferire rilievo alla reticenza del convenuto quanto all’intendimento di porre fine a ll’attività di consulenza di cui lo stesso si era avvalso, quindi sul punto – lett era a) pag. 35 del ricorso -vi è doppia conforme ex art. 348ter , quarto e quinto comma, c.p.c.; riguardo alle circostanze di cui alle lettere b), c) e d) a pagg. 35 e 36 del ricorso , va osservato – in via assorbente ad ogni ulteriore rilievo che non si tratta di fatti che abbiano l’attributo della decisività, rappresentando solo degli elementi da cui possono trarsi, ma anche non trarsi, inferenze: il relativo giudizio è cioè rimesso al giudice del merito. Va ricordato che a mente del 360, n. 5 il fatto oggetto dell’omesso esame deve determinare un esito diverso della controversia, deve quindi incrinare il fondamento della decisione con certezza, non con mera probabilità.
8.─ Con il quarto motivo si deduce: nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 132, n. 4, e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 , n. 4, c.p.c.. Si rileva che non è dato comprendere come la Corte d’appello sia giunta a determinare la
somma di euro 167.630,00 e si assume che la controparte aveva domandato, in primo grado, una cifra diversa.
8.1La censura merita accoglimento.
La pronuncia è assai analitica e motivata nella parte relativa alla conferma della sussistenza del dolo nel comportamento dell’attuale ricorrente. Diversamente nella parte finale, in cui si affronta il tema dell’obbligo restitutorio conseguente alla statuizione di annullamento del contratto alla specificazione delle somme. La Corte, «previa non debenza delle somme concordate nel contratto di cessione per il venir meno della causa relativa al rapporto sottostante ad ogni assegno bancario emesso in pagamento o in garanzia», ha condannato alla restituzione «della somma complessivamente versata in sede di preliminare e di atto pubblico pari ad euro 167.630», senza esplicare il criterio con il quale è pervenuta all’individuazione di tale importo. La decisione è carente di una adeguata motivazione. E ciò avendo anche riguardo a precise circostanze: il fatto che il prezzo convenuto per la cessione, secondo quanto esposto a pag. 3 della sentenza impugnata, era pari ad euro 117.630,00, in parte corrisposta prima della stipula dell’atto di acquisto e in parte con rilascio di assegni scadenti entro il 2009; il dato, precisato facendo espresso richiamo alle conclusioni rassegnate nell’atto di citazione (pag. 40 del ricorso), per cui l’odierno controricorrente aveva domandato, con l’atto introdu ttivo, la condanna di controparte alla restituzione degli importi di euro 73.630,00 e di euro 25.000,00.
9.Per quanto esposto, il quarto motivo del ricorso è fondato, mentre i primi tre sono da dichiarare inammissibili. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte di Ancona, che statuirà in diversa composizione e deciderà anche con riguardo alle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso e dichiara inammissibili i primi tre. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione