Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8803 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8803 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
Presidente Consigliere Consigliere Consigliere Consigliera rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31432/2020 R.G., proposto da
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME (pec: EMAIL), NOME COGNOME (pec: EMAIL), NOME COGNOME (pec: EMAIL) , giusta procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentate pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO (pec:
Ud. 10/10/2023 CC Cron. R.G.N. 31432/2020
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EMAIL), giusta procura in calce al controricorso, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso il suo studio;
– controricorrente –
nonché nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dalla mandataria RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1575/2019 depositata il 23/07/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 ottobre 2023 dalla Consigliera NOME COGNOME;
Rilevato che
NOME COGNOME aveva proposto opposizione dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia avverso il decreto ingiuntivo n. 361 del 4 dicembre 2007 emesso dal Tribunale di Vibo Valentia, con il quale le veniva ingiunto il pagamento della somma di Euro 21.753,36 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., relativa a somme pretese in forza di contratto di mutuo sottoscritto in data 3 gennaio 2000, aveva chiesto la revoca del decreto ingiuntivo ed in via riconvenzionale, la condanna della banca opposta alla restituzione della somma di Euro 805,67, pari alle quote di stipendio cedute e riscosse dalla banca opposta, deducendo:
il proprio difetto di legittimazione passiva (assumendo che la richiesta di pagamento dovesse essere rivolta all’amministrazione debitrice della quota busta paga ceduta per il rimborso del finanziamento), – il mancato perfezionamento del contratto di mutuo (per aver sottoscritto una domanda di mutuo per una somma superiore e di aver ricevuto un vaglia cambiario con una somma inferiore (Euro 28.167,00), – di aver comunicato la propria volontà di recedere dal
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contratto alla banca, che aveva acconsentito all’annullamento dell’operazione, richiesto la restituzione del capitale e riscosso la somma di Euro 805,67 (quota di stipendio per i mesi aprile-giugno 2000); la Banca, a sua volta, costituitasi, eccepiva l’infondatezza della pretesa e chiedeva il rigetto dell’oppos izione;
il Tribunale di Vibo Valentia con sentenza 2 settembre 2014, disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione, qualificava la cessione delle quote dello stipendio non come cessione pro soluto ma quale cessione di credito in garanzia; riteneva perfezionato il contratto di mutuo e qualificava la lettera inviata dall’opponente alla banca quale proposta di risoluzione contrattuale non perfezionata (e non come recesso) in quanto condizionata alla restituzione della somma entro sette giorni corrispostale o del titolo consegnatole e, pertanto, rigettava l’opposizione ;
avverso la sentenza del Tribunale, NOME COGNOME proponeva appello in data 16 ottobre 2015; si costituiva RAGIONE_SOCIALE, avente causa di RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto del gravame; la Corte d ‘ appello di Catanzaro, con sentenza n. 1575 del 2019, rigettava il gravame, con condanna della opponente alle spese del grado nei confronti dell’ appellata;
ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME illustrato da cinque motivi; ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito; sebbene intimata, la cedente, RAGIONE_SOCIALE non ha ritenuto di svolgere difese nel giudizio di legittimità;
la trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell ‘ art. 380-bis.1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni; parte ricorrente ha depositato memoria;
Considerato che
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1. con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la corte di merito omesso di pronunciare sul motivo di appello con cui la sentenza di primo grado era stata censurata per avere erroneamente ritenuto che la cessione avesse funzione di garanzia;
1.2. Il primo motivo non è fondato;
contrariamente a quanto ritenuto dalla odierna ricorrente, la Corte d’appello non ha violato il principio di corrispondenza del chiesto e pronunciato, tenuto conto che, dopo aver premesso come la cessione del credito a scopo di garanzia può essere stipulata sia pro solvendo che pro soluto , ha richiamato in proposito il principio espresso da questa Corte, a mente del quale, la cessione del credito, quale negozio a causa variabile, può essere stipulata anche a fine di garanzia e senza che venga meno l’immediato effetto traslativo della titolarità del credito tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia, pure quando la cessione sia pro solvendo e non già pro soluto , con mancato trasferimento al cessionario, pertanto, del rischio d’insolvenza del debitore ceduto; diversamente, qualora la cessione abbia ad oggetto crediti futuri, l’effetto traslativo si produce solamente quando il credito viene ad esistenza, mentre tale effetto non si produce affatto nell’ipotesi in cui sia desumibile dal contratto la volontà del cedente di non privarsi della titolarità del credito e di realizzare solamente effetti minori, quali l’attribuzione al cessionario della mera legittimazione alla riscossione del credito (Cass. 3/12/2002, n. 17162);
i l giudice d’appello ha poi qualificato la cessione in oggetto quale ipotesi di cessione di crediti futuri pro solvendo , non prevedendo il contratto intercorso tra le parti il trasferimento del rischio di insolvenza
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del debitore ceduto al cessionario; di conseguenza, ha affermato che grava sul cessionario che agisce nei confronti del cedente dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto (pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata);
pertanto, la corte di merito non ha omesso di esaminare il motivo di appello, ma , sulla base dell’articolata motivazione di cui a p. 7, 8 e 9 della sentenza impugnata ha confermato sostanzialmente la decisione del Tribunale nella parte in cui il giudice di primo grado ha ritenuto che la cessione in questione avesse anche funzione di garanzia, richiamando, al riguardo, espressamente quanto affermato da questa Corte con la sentenza del 16/11/2018 n. 29608, così ufficialmente massimata : ‘ La cessione del credito, quale negozio a causa variabile, può essere stipulata anche a fine di garanzia e senza che venga meno l’immediato effetto traslativo della titolarità del credito tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia, pure quando la cessione sia “pro solvendo” e non già “pro soluto”, con mancato trasferimento al cessionario, pertanto, del rischio d’insolvenza del debitore ceduto. Pertanto, in caso di cessione del credito in luogo dell’adempimento (art. 1198 cod. civ.), grava sul cessionario, che agisca nei confronti del cedente, dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto ‘ (v. anche Cass. Sez. 1, 3/07/2009 n. 15677);
2. con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1266 e 1267 c.c., 99 e 100 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; in particolare, sostiene che la corte di merito abbia erroneamente affermato che la cessione è stata stipulata pro solvendo non avendo il contratto previsto ‘ il trasferimento del rischio di insolvenza del debitore ceduto al cessionario ‘ – ancorché la cedente (odierna ricorrente) non si sia espressamente assunta la
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solvibilità del debitore e nell’averne fatto discendere la titolarità passiva della ricorrente;
2.2. il secondo motivo non è parimenti fondato;
non sussiste la asserita violazione o la falsa applicazione degli artt. 1266 e 1267 c.c. con cui la ricorrente continua a sostenere che la cessione del quinto dello stipendio fosse una vera e propria cessione di credito, per effetto della quale l’amministrazione scolastica di appartenenza, avrebbe assunto la veste di terza debitrice ceduta nei confronti del mutuante, e che la cedente, odierna ricorrente, non avesse espressamente assunto la garanzia della solvibilità del ceduto; tenuto conto che la Corte d’appello ha ritenuto che il contratto de quo non comportasse la liberazione del debitore originario, e cioè del cedente; la ricorrente con le censure qui reiterate mostra di non confrontarsi con la ricostruzione della struttura della fattispecie effettuata in modo chiaro e adeguato dalla Corte d’appello;
neppure sussiste il preteso difetto di titolarità passiva del rapporto e al riguar do il Giudice d’appello ha evidenziato che sebbene il Tribunale avesse qualificato l’eccezione della allora opponente (odierna ricorrente) « come difetto di legittimazione passiva », tuttavia ‘ in sostanza ‘ aveva « trattato l’eccezione come questione afferente la titolarità della situazione giuridica sostanziale » (pagg. 6-7 della sentenza impugnata) , ciò desumendo, all’evidenza, dalla complessiva motivazione della sentenza di primo grado; ;
3. con il terzo motivo, la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1198, 1267 e 2697, 2727 e 2729 c.c. ed in particolare per aver violato: a) le regole di ripartizione dell’onere probatorio, esonerando l’intimata RAGIONE_SOCIALE dall’onere di fornire dimostrazione dell’insolvenza del debitore ceduto (amministrazione scolastica) e della preventiva infruttuosa escussione
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dello stesso; b) le norme che regolano il ragionamento presuntivo, assumendo come fatto noto – dal quale ha desunto in via presuntiva il fatto ignoto (insolvenza del debitore ceduto; preventiva ed infruttuosa escussione dello stesso) – un fatto che non solo non è notorio, pacifico o accertato mediante mezzi di prova, ma che ha ritenuto in via presuntiva;
3.1. il terzo motivo è parimenti infondato;
a parere della ricorrente, la Corte di merito, pur muovendo dalla corretta premessa che allorché si versi « in ipotesi di cessione ‘pro solvendo’ graverebbe, poi, sul cessionario, che agisce nei confronti del cedente, dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto » (richiamando sul punto Cass. n. 29608/2018 cit.), avrebbe sostanzialmente esonerato la controricorrente dall’onere di provare quanto sopra con una motivazione basata sul ragionamento presuntivo per escludere che la società cessionaria fosse gravata dell’onere di fornire prova dell’insolvenza del debitore ceduto e della preventiva ed infruttuosa escussione dello stesso;
alla luce di quanto motivato dalla Corte d’appello, non sussiste il triplice errore lamentato in ricorso, ovvero: l’avere utilizzato fatti non attinenti alla fattispecie nel ragionamento probatorio, l’aver esonerato la cessionaria del credito dall’onere di dimostrare l’insolvenza del debitore ceduto, l’aver assunto come fatto noto un’inferenza de sunta da un fatto ignoto;
contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto che l’insolvenza del debitore ceduto fosse già desumibile dagli atti di causa e dalle stesse affermazioni e deduzioni della opponente, odierna ricorrente (per aver richiesto appunto la restituzione di soli Euro 805,67);
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la Corte territoriale ha poi ritenuto che « nessuna prova deve dare l’appellata dell’insolvenza del debitore ceduto e quindi della preventiva ed infruttuosa escussione del debitore ceduto ( ex artt. 1180, secondo comma e 1267, secondo comma, cod.civ.), ove si consideri che è verosimile che la stessa COGNOME, ritenendo il contratto di mutuo non perfezionato o ritenendosi sciolta dal contratto, abbia comunicato al proprio datore di lavoro di non effettuare le previste trattenute, come si desume chiaramente dal fatto che la medesima ha chiesto in restituzione la sola somma di euro 805,67 ‘pari alle quote di stipendio cedute dal mese di aprile 2000 al mese di giugno dello stesso anno, illegittimamente trattenute (che le somme siano state trattenute è ammesso dalla stessa opposta, che ha chiesto le rate a partire dal mese di luglio 2000)’ (v. atto introduttivo del giudizio di primo grado, pagg. 6 e 7) ed affermando così implicitamente di avere lei dal mese di luglio 2000 ricevuto l’intera mensilità, senza detrazio ne del quinto » (pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata);
4. con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1813 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e la violazione dell’art. 115 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 stesso codice; in particolare, per avere la Corte di merito erroneamente affermato che il mutuo si è perfezionato, prescindendo dal fatto non contestato che il vaglia cambiario -con cui la somma mutuata è stata erogata – non è stato mai riscosso;
5. con il quinto motivo la ricorrente denuncia, la violazione dell’art. 1372 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte di merito escluso che l’incontro dei consensi delle parti sull’estinzione del contratto, ne determinasse lo scioglimento consensuale, ponendolo nel nulla;
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5.1 . i motivi in esame, che ben possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili;
ad onta della loro formale intestazione, essi sono espressamente rivolti a censurare la valutazione delle risultanze istruttorie, in base alla quale la Corte territoriale ha ritenuto che il mutuo si fosse perfezionato per effetto della quietanza rilasciata dalla parte mutuataria e nell’aver escluso che il mutuo si fosse risolto per effetto del mutuo dissenso;
pertanto , nel criticare l’apprezzamento degli elementi di prova documentali compiuto dalla Corte d ‘ appello (sul rilievo che, da un lato, non avrebbe tenuto conto del fatto asseritamente non contestato che il vaglia cambiario -con cui la somma mutuata era stata erogata – non era stato mai riscosso e che, dall’altro lato, avrebbe escluso gli effetti estintivi che ‘ l’incontro dei consensi ‘ tra le parti avrebbe determinato ), omette di considerare che il predetto apprezzamento è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499);
la Corte territoriale, con valutazione incensurabile in sede di legittimità, ha motivato sul punto ritenendo, in conformità con quanto già ritenuto dal Tribunale in prime cure, sia che la COGNOME, non solo avesse ricevuto il vaglia cambiario, ma anche sottoscritto atto di quietanza in ordine alla ricezione della somma di Euro 28.167,00 (pag. 9 della sentenza impugnata) , sia che la missiva dell’8 marzo 200 0 integrava ‘ una proposta di risoluzione consensuale del contratto di mutuo ‘ e non una dichiarazione di reces so, sia perché ‘ l’annullamento della operazione ‘ era subordinato alla restituzione della somma
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RAGIONE_SOCIALE erogata entro il termine di sette giorni dal ricevimento della missiva del 30 marzo 2000, restituzione mai avvenuta, come dedotto dall’opposta e non contestato dall’opponente (pag. 10 della sentenza impugnata);
dinanzi alle motivate e incensurabili valutazioni della Corte di appello, il motivo di ricorso in esame si palesa, dunque, manifestamente inammissibile, in quanto tende a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella, insindacabile in sede di legittimità, fornita dal giudice di merito;
6. in definitiva il ricorso è rigettato;
le spese del giudizio di legittimità seguono il principio di soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore della parte resistente ; nulla si dispone per l’intimata atteso che non ha svolto difese nel giudizio di legittimità;
il rigetto del ricorso comporta la dichiarazione di sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Per questi motivi
la Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere il pagamento delle spese processuali in favore della parte resistente, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
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contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione