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Cessione pro solvendo: la prova dell’insolvenza

Una recente ordinanza della Cassazione chiarisce aspetti fondamentali della cessione del credito pro solvendo a scopo di garanzia. Il caso riguardava l’opposizione a un decreto ingiuntivo per un mutuo garantito da cessione del quinto dello stipendio. La Corte ha stabilito che, sebbene spetti al creditore dimostrare l’insolvenza del datore di lavoro (debitore ceduto), tale prova può essere ricavata in via presuntiva dagli atti di causa e dalle stesse ammissioni e comportamenti processuali del debitore originario, senza necessità di un’azione esecutiva formale.

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Cessione del Credito Pro Solvendo: Quando la Prova dell’Insolvenza si Ricava dagli Atti

In materia di garanzie e contratti di finanziamento, la cessione del credito pro solvendo rappresenta un istituto giuridico di grande rilevanza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su un aspetto cruciale: l’onere della prova dell’insolvenza del debitore ceduto. La Corte ha stabilito che tale prova, pur gravando sul creditore, può essere desunta in via presuntiva dagli atti di causa e persino dal comportamento processuale del debitore cedente. Analizziamo insieme questa interessante pronuncia.

I Fatti di Causa: Dal Mutuo all’Opposizione

La vicenda trae origine da un’opposizione a un decreto ingiuntivo. Una debitrice si era opposta alla richiesta di pagamento di oltre 21.000 euro derivante da un contratto di mutuo. A garanzia del finanziamento, era stata pattuita una cessione del quinto dello stipendio. La debitrice sosteneva di non essere più tenuta al pagamento, poiché, a suo dire, la cessione del credito aveva trasferito l’obbligo di rimborso direttamente in capo al suo datore di lavoro (il debitore ceduto).

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto le sue ragioni. I giudici di merito avevano qualificato l’operazione non come una cessione liberatoria, ma come una cessione del credito pro solvendo con funzione di garanzia. In questa configurazione, la debitrice originaria non era affatto liberata, ma restava obbligata in caso di mancato pagamento da parte del suo datore di lavoro.

La Cessione del Credito Pro Solvendo davanti alla Cassazione

La questione è quindi approdata in Cassazione. La ricorrente ha lamentato, tra i vari motivi, la violazione delle norme sull’onere probatorio. A suo avviso, la Corte d’Appello avrebbe errato nel non pretendere dal creditore una prova formale dell’insolvenza del datore di lavoro e del tentativo infruttuoso di escussione nei suoi confronti, elementi necessari per poter agire contro il debitore cedente.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo una motivazione articolata e di grande interesse pratico. I giudici hanno confermato il principio secondo cui, in una cessione del credito pro solvendo, l’onere di dimostrare l’esigibilità del credito e l’insolvenza del debitore ceduto grava sul creditore che agisce contro il cedente. Tuttavia, hanno precisato che questa prova non richiede necessariamente l’avvio di un’azione esecutiva formale.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha spiegato che la prova dell’insolvenza può essere raggiunta anche tramite un ragionamento presuntivo, basato su elementi emersi nel corso del giudizio. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente desunto l’inadempimento del datore di lavoro dalle stesse affermazioni della debitrice. Quest’ultima, infatti, aveva chiesto in via riconvenzionale la restituzione solo delle prime tre rate trattenute, ammettendo implicitamente di aver ricevuto per intero lo stipendio nei mesi successivi, senza alcuna decurtazione del quinto. Questo comportamento è stato ritenuto una prova sufficiente del fatto che il datore di lavoro avesse smesso di versare le rate alla finanziaria, integrando così la prova richiesta.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso con cui si contestava il perfezionamento del contratto di mutuo e il suo presunto scioglimento consensuale. Su questo punto, è stato ribadito un principio fondamentale: la valutazione delle prove documentali e la ricostruzione dei fatti sono attività riservate ai giudici di merito e non possono essere riesaminate in sede di legittimità, a meno di vizi logici o giuridici che nel caso di specie non sono stati ravvisati.

Conclusioni

La decisione in commento offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida l’interpretazione della cessione del quinto come una garanzia pro solvendo, che non libera il debitore principale. In secondo luogo, e con maggiore impatto pratico, chiarisce che l’onere probatorio a carico del creditore può essere assolto in modo flessibile. Il giudice può trarre la prova dell’insolvenza del debitore ceduto da qualsiasi elemento presente nel fascicolo, comprese le deduzioni e le ammissioni, anche implicite, della parte avversa. Questa pronuncia sottolinea l’importanza della coerenza e della prudenza nella condotta processuale, poiché ogni affermazione può diventare un elemento di prova a favore della controparte.

Nella cessione del credito pro solvendo, chi deve provare l’insolvenza del debitore ceduto?
In caso di cessione del credito pro solvendo, l’onere di provare l’esigibilità del credito e l’insolvenza del debitore ceduto spetta al creditore (cessionario) che agisce nei confronti del cedente (il debitore originario).

La prova dell’insolvenza del debitore ceduto deve essere sempre documentale o formale?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni, ossia può essere logicamente desunta da altri fatti noti e provati emersi nel corso della causa, incluse le affermazioni e le deduzioni della stessa parte cedente.

Una cessione del quinto dello stipendio a garanzia di un mutuo libera il debitore originario dal suo obbligo?
No, di norma non lo libera. Tale operazione viene qualificata come una cessione del credito a scopo di garanzia e si presume ‘pro solvendo’. Ciò significa che il debitore originario rimane obbligato a pagare qualora il suo datore di lavoro (debitore ceduto) non adempia al versamento delle rate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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