Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34384 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34384 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7712/2022 R.G. proposto da : NOME COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE TREVISO E VENEZIA RAGIONE_SOCIALE.A., RAGIONE_SOCIALE TREVISO E VENEZIA RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE
-intimati- sul controricorso incidentale proposto da
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente incidentale- contro
RAGIONE_SOCIALE VENEZIA RAGIONE_SOCIALE COGNOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2918/2021 depositata il 22/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato in data 11.3.2022, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. L’intimata RAGIONE_SOCIALE e per essa la mandataria con rappresentanza RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso con ricorso incidentale condizionato, da esaminare nella ipotesi di accoglimento, anche parziale, del primo motivo di ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie con le quali il ricorrente deduce che RAGIONE_SOCIALE non sarebbe abilitata a intervenire quale mandataria non essendo iscritta ad apposito albo, mentre la resistente RAGIONE_SOCIALE dichiara di costituirsi in quanto succeduta nella posizione di RAGIONE_SOCIALE
Per quanto ancora di interesse, il Sig. NOME COGNOME garante della società RAGIONE_SOCIALE poi fallita, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso il 31.7.2017 dal Tribunale di Venezia,
ingiungente il pagamento dell’importo di 78.847,76 euro in favore di Banca Santo Stefano Credito Cooperativo Martellago -Venezia RAGIONE_SOCIALE quale fideiussore del credito per mutuo chirografario ottenuto dalla società fallita; nel giudizio di opposizione si costituiva Centromarca Banca Credito Cooperativo di Treviso e Venezia RAGIONE_SOCIALE per azioni, dichiarando di essere succeduta alla creditrice originaria per intervenuta fusione per incorporazione a sé del precedente istituto; nelle memorie difensive concesse il Sig. COGNOME disconosceva la propria firma in calce all’ ‘autorizzazione’ alla domanda di finanziamento chiesto dalla società RAGIONE_SOCIALE con comparsa di costituzione ex art. 111 cod.proc.civ depositata in data 1.3.2019, si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE mandataria con rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE quale successore a titolo particolare della banca Centromarca Banca Credito Cooperativo di Treviso e Venezia SocRAGIONE_SOCIALE per azioni, in forza del contratto di cessione in blocco del 21.12.2018, depositando l’estratto della Gazzetta Ufficiale relativo alla cessione; l’opponente COGNOME eccepiva il difetto di legittimazione formale e sostanziale di RAGIONE_SOCIALE in qualità di mandataria della società RAGIONE_SOCIALE Il Tribunale, disposta la perizia calligrafica, che accertava che le sottoscrizioni apposte in calce alla domanda di concessione mutuo con offerta/conferma fidejussione erano autografe del Sig. COGNOME con elevato grado di probabilità ‘, all’udienza del 23.7.2020, con sentenza emessa ai sensi dell’art. 281 cod.proc.civ, dichiarava il difetto di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE per carenza di prova e per essa della mandataria con rappresentanza RAGIONE_SOCIALE rigettava l’opposizione e, confermando il decreto ingiuntivo opposto, condannava RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di causa; condannava NOME COGNOME al
pagamento delle spese in favore di Banca Santo Stefano CredRAGIONE_SOCIALE Venezia RAGIONE_SOCIALE e poneva definitivamente le spese di CTU a carico di NOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, proponeva appello, chiedendo la riforma della sentenza nella parte in cui aveva dichiarato la carenza di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE e per essa della mandataria con rappresentanza RAGIONE_SOCIALE e nella parte in cui le ha condannate al pagamento delle spese di lite. Si costituiva il signor COGNOME formulando appello incidentale per la riforma della sentenza nella parte in cui ha confermato il decreto ingiuntivo opposto nei confronti della originaria creditrice, deducendo la nullità del contratto di fideiussione e la sua estinzione per scadenza dell’obbligazione principale. Si costituiva altresì Centromarca Banca Credito Cooperativo di Treviso e Venezia RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto dell’appello incidentale della parte opponente e la conferma della sentenza impugnata. All’esito del giudizio, la Corte di Appello di Venezia accoglieva l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE, riconoscendo la sua legittimazione ad agire in qualità di cessionaria del credito, e per essa la mandataria, e rigettava l’appello incidentale di NOME COGNOME provvedendo sulle spese in base alla soccombenza.
Il ricorso è affidato a cinque motivi, mentre il ricorso incidentale condizionato è affidato a un motivo, subordinato all’accoglimento del primo motivo.
Motivi della decisione
Pregiudizialmente va osservato che le questioni processuali sollevate nelle memorie difensive non rilevano in questa sede processuale.
Il successore ex art. 111 cod.proc.civ. non può intervenire nel giudizio di legittimità in mancanza di una disposizione normativa che preveda tale facoltà.
La suddetta facoltà deve, tuttavia, essere riconosciuta al medesimo nell’ipotesi di mancata costituzione del dante causa, ai fini dell’esercizio del potere d’azione derivante dall’acquistata titolarità del diritto controverso, determinandosi, in difetto, un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa, il che è da escludersi nel presente giudizio ove è intervenuto il dante causa (Sez. 5 – , Ordinanza n. 33444 del 27/12/2018).
Con il primo motivo di ricorso principale il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 81 cod.proc.civ e 2725 cod.civ.
La Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che, nel caso di specie, la prova della cessione in blocco ex art. 58 D.lgs n. 385/98 in un ‘operazione di cartolarizzazione sarebbe stata sufficientemente raggiunta con la sola pubblicazione nella G.U. e con il comportamento tenuto dalla banca cedente in primo grado, mentre avrebbe dovuto essere provata per iscritto.
5.1. Il motivo è inammissibile.
5.2. Sul punto la Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha considerato provata la legittimazione della società intervenuta nel giudizio ex art. 111 cod.proc.civ quale cessionaria del credito in base a una cessione in blocco dei crediti inerenti alla società fallita, e ciò sulla base degli elementi comuni dei crediti ceduti in blocco dalla banca originaria creditrice, come risultati dalla pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale e della non opposizione all’intervento in causa della cessionaria da parte della cedente. La prova dell’avvenuta cessione in blocco del credito, pertanto, è stata ritenuta raggiunta valutando la condotta processuale tenuta della società cedente nel
giudizio di primo grado, ‘ indubbiamente incompatibile con la permanenza in capo alla medesima della titolarità del credito, posto che dopo l’intervento di RAGIONE_SOCIALE la stessa non ha più svolto difese ‘ e, in secondo, luogo valutando ‘ la mancanza di qualsiasi elemento concreto per ritenere che a quanto dichiarato nella Gazzetta Ufficiale non corrisponda l’effettiva cessione in blocco dei crediti, anche in considerazione della qualità dei soggetti che hanno dato corso a tale operazione e alle conseguenze anche sul piano sanzionatorio che comporterebbe l’eventuale difformità tra quanto dichiarato nell’avviso e la realtà ‘. La Corte di merito, a tutto quanto sopra, ha aggiunto che ‘ Risulta infatti ex actis che trattasi di credito esistente alla data della cessione, di valore nominale compreso nella forbice indicata nell’avviso di cessione, liquido ed esigibile, come attestato dal decreto ingiuntivo emesso, non contestato nell’an e nel quantum debeatur, non prescritto e non rinunciato e derivante da finanziamento chirografo retto dalla legge italiana ‘.
5.3. Va innanzitutto evidenziato che la norma che si assume violata – art. 81 cod.proc.civ – non trova applicazione nella fattispecie in esame, ove non ricorre l’ipotesi di sostituzione processuale disciplinata dall’art. 81 cod.proc.civ, ma la successione a titolo particolare nel diritto controverso, disciplinata dall’art. 111 cod.proc.civ.
5.4. In ordine alla prova dell’avvenuta cessione da parte della banca cessionaria del credito de quo , la tesi seguita dalla sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale, in tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del d.lgs n. 385 del 1993, il legislatore ha inteso agevolare la realizzazione della cessione -appunto”in blocco” di rapporti giuridici,
prevedendo, quale presupposto di efficacia della stessa nei confronti dei debitori ceduti, la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale, e dispensando la banca cessionaria dall’onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti. Tale adempimento, ponendosi sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall’art. 1264 cod.civ., può essere validamente surrogato da questi ultimi, e segnatamente dalla notificazione della cessione, che non è subordinata a particolari requisiti di forma, e può quindi aver luogo anche mediante l’atto di citazione con cui il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto, ovvero nel corso del giudizio (cfr per tutte, Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20495 del 29/09/2020). Ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente la notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 del citato d.lgs., dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale la citata notificazione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando il credito ‘ stato azionato su iniziativa della parte cedente, come nel caso in questione (Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 17944 del 22/06/2023; Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 4277 del 10/02/2023; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20495 del 29/09/2020 ) .
5.5. Alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale sopra menzionato, la censura -come già dettoomette di confrontarsi con la motivazione resa dalla Corte d’appello che, in linea con la giurisprudenza sopra richiamata, nonostante la intempestiva produzione della documentazione attestante la effettiva inclusione del credito nella cessione in
blocco di crediti pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, ha considerato raggiunta la prova di detta cessione sulla base della natura ed entità dell’importo del credito e del comportamento processuale della cedente, nonostante la rilevata tardività delle produzioni documentali da parte della cessionaria. Manca pertanto ogni illustrazione non solo delle ragioni per le quali le disposizioni in questione sarebbero state violate nel caso concreto, ma anche della assunta non correttezza della motivazione resa. Non apparendo, quindi, il motivo denunciante la violazione della normativa sulla cessione in blocco di crediti correlato all’ampia motivazione resa dalla Corte d’appello, esso impinge nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto enunciato da Cass. SU n. 7074 del 2017 e Cass. SU 23745/2020: per denunciare un errore di diritto bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione in rapporto alla motivazione resa.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1957 cod.civ. in combinato disposto dell’art. 1955 cod.civ. La Corte d’appello avrebbe errato nell’ affermare che nel contratto di mutuo, trattandosi di un’obbligazione unica, il termine dei sei mesi per promuovere “istanza” contro il debitore principale inizierebbe a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata a prescindere dall’inadempimento del debitore principale a partire già dalla prima rata.
6.1. Il motivo è inammissibile.
6.2. La statuizione resa sul punto dalla Corte di Appello, è nel senso che: ‘ nel caso di contratto di mutuo, nel quale l’obbligazione è unica, e la divisione in rate costituisce solo una modalità per agevolare una delle parti, senza conseguire l’effetto di frazionamento del debito in una serie di autonome obbligazioni il debito non può considerarsi scaduto prima
della scadenza dell’ultima rata, con la conseguenza che il termine di cui al citato art. 1957 c.c. decorre non già dalla scadenza delle singole rate ma dalla scadenza dell’ultima di esse ‘ è conforme a sedimentate pronunce della Suprema Corte (Cass. 6 febbraio 2004 n. 2301; Id. 30 agosto 2011 n. 17798; Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 4232 del 10/02/2023). Per tale motivo, la Corte di merito ha fatto decorrere il termine de quo dalla data di scadenza dell’ultima rata di mutuo, e non dalla data del fallimento della società, come erroneamente ritenuto dal primo giudice.
6.3. La manifesta infondatezza della lamentata violazione o falsa applicazione dell’art. 1957 c.c. si pone alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, se la durata della fideiussione è correlata non alla scadenza dell’obbligazione principale, ma al suo integrale adempimento, l’azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza di cui all’art. 1957 c.c. (Cass. Sez. 3, n. 26906/2023 del 20/09/2023; Cass., 1, 31569 del 2/12/2019 ; Cass., n. 16536 del 2015; Cass., n. 16758 del 2002). Si tratta, pertanto, di una statuizione immune dal vizio di violazione di diritto, non adeguatamente contrastata da argomentazioni pertinenti e in linea con un indirizzo giurisprudenziale più che consolidato.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1956 cc. La Corte di merito avrebbe errato nell’aver ritenuto provata l’assenza di difficoltà economiche della debitrice principale.
7.1. Il motivo è inammissibile perché non si dimostra autosufficiente, ponendosi in violazione dell’art. 366 n. 6 cod.proc.civ.
7.2. Sul punto in esame la Corte di Appello ha esposto le ragioni per le quali ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha escluso che la banca, al momento della concessione del mutuo (16.12.2013), fosse consapevole che le condizioni economiche della debitrice principale RAGIONE_SOCIALE erano peggiorate rispetto all’epoca della prestazione della garanzia da parte del fideiussore (11.08.2010), evidenziando, da un lato, che il ricorrente non ha adempiuto l’onere di provare gli elementi della fattispecie normativa di cui all’art. 1956 c.c. – ovvero il requisito oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni economiche del debitore e sopravvenuto alla prestazione della garanzia e quello soggettivo della consapevolezza del creditore del mutamento della condizioni economiche del debitore, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto ; dall’altro lato, che corso del giudizio di primo grado fosse emerso il contrario, ovvero che le condizioni della società debitrice erano buone alla data della stipula del contratto di mutuo chirografario (16.12.2013), poiché dai bilanci della società relativi agli anni 2010, 2011 e 2012 emergono risultati operativi sempre positivi. Oltre alle considerazioni che precedono, la Corte di Appello ha aggiunto che ‘ nella relazione del curatore fallimentare, che il COGNOME ha prodotto in appello, emerge che quest’ultimo è stato indicato dal legale rappresentante della società fallita come la persona che teneva la contabilità, in quanto consulente del lavoro. Da questo dato la sentenza impugnata ha dedotto che il Sig. COGNOMEera ben a conoscenza delle vicende economiche della società ‘ e che pertanto ‘ secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, la mancata richiesta di autorizzazione al fideiussore non configura una
violazione contrattuale liberatoria quando la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune o deve essere presunta tale ‘.
7.3. Il motivo, invero, punta a censurare solo tale ultimo asserto, con argomenti circa la accertata falsità dei bilanci depositati all’epoca dall’amministratore della società, rivelatasi solo successivamente -nel 2017- al tempo della presentazione di un concordato in bianco non autorizzato tratti da contestazioni non specificamente allegate e riportate nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza (cfr. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019). La censura, inoltre, non considera la doppia ratio decidendi ravvisabile nella motivazione, che non si basa solamente sulla considerazione della presunta conoscenza della situazione economica da parte del fideiussore che teneva la contabilità della società, ma anche sulla mancata prova della concessione di ulteriore credito a fronte del deterioramento della situazione patrimoniale della società: dal che si deduce l’ inammissibilità del motivo per effetto del giudicato implicito formatosi su tale autonoma statuizione. Sicché l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 15399 del 13/06/2018; Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024) .
Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 132, n. 4 cod.proc.civ, in relazione all’art. 360, co.1, n. 4 cod.proc.civ. La Corte di merito avrebbe errato nell’aver aderito alla CTU grafologica, la quale ha affermato che “con
elevato grado di probabilità” la sottoscrizione autografa sul mutuo chirografario apposta dal fideiussore era stata apposta dall’odierno ricorrente, sebbene risultasse che il sottoscrittore avesse dissimulato la propria firma rispetto a quella abituale. Nello sviluppo del motivo il ricorrente lamenta la ‘illogica motivazione’ e che ‘le conclusioni alle quali è giunto il CTU, fatte proprie dalla Corte di Appello, si prestano a debite critiche e perplessità’ a fronte del fatto che all’epoca della sottoscrizione il ricorrente non aveva più rapporti con la società.
8.1. Il motivo è inammissibile in quanto, lungi dal rappresentare il vizio di motivazione denunciato secondo l’indirizzo dato da questa Suprema Corte in relazione alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ, ad opera del d.l. n. 83/2012, critica l’esito di un giudizio in fatto come tale insindacabile ( Cass., sez. un., n. 8053/2014, n. 9558/2018 e n. 33679/2018; Cass SU n. 34469/2019). La valutazione della Corte di Appello sul punto, non può essere sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, in quanto non risulta apodittica o in apparente intrinseca contraddizione e, soto il profilo espositivo delle ragioni della decisione, integra il cd minimo costituzionale previsto ai sensi dell’art. 111 Cost.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 112 e 159, c.3 cod.proc.civ, art. 1421 cc, in relazione all’art. 360, nn. 3-4-5 cod.proc.civ. Il motivo è inammissibile in quanto non si comprende quale sia la censura. Non è infatti chiaro quale sia l’atto viziato che avrebbe potuto produrre gli effetti dell’atto nullo, quali punti decisivi della controversia la Corte di Appello abbia omesso di esaminare e di decidere, o quale sia la domanda a cui il ricorrente si riferisce quando scrive ‘anche a fronte di una domanda invalida oppure in assenza di prove’.
Il motivo di ricorso incidentale condizionato all’ipotesi di accoglimento del primo motivo del ricorso principale rimane assorbito in conseguenza dell’inammissibilità di quest’ultimo .
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 6.200,00, di cui € 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 16/10/2024