Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20551 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20551 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10919/2023 R.G. proposto da :
NOME, elettivamente domiciliato in CATANIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
FINO RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
nonchè contro
COGNOME IDRIA, COGNOME NOME COGNOME
-intimati-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 459/2023 depositata il 16/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito vantato da Unicredit S.p.A. ai sensi dell’art. 58 del D.lgs. n. 385/1993 e della legge n. 130/1999, conveniva dinanzi al Tribunale di Catania il sig. NOME COGNOME i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché il sig. NOME COGNOME chiedendo in via principale la declaratoria di nullità ex art. 1414 c.c. dell’atto di compravendita stipulato il 14 maggio 2013, per simulazione assoluta; in subordine, la dichiarazione di inefficacia del medesimo atto ex art. 2901 c.c., in quanto pregiudizievole per le ragioni creditorie della società attrice.
RAGIONE_SOCIALE deduceva di essere creditrice della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, già dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Catania n. 187/2017, per complessivi € 221.029,26, somma garantita dai convenuti COGNOME, COGNOME e COGNOME mediante fideiussione. Il credito traeva origine da due rapporti di conto corrente e da un contratto di mutuo. A fronte dell’inadempimento,
Unicredit aveva revocato gli affidamenti con comunicazione del 3 febbraio 2012. La successiva attività di accertamento ipocatastale rivelava che il sig. COGNOME, fideiussore e socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE, aveva trasferito l’unico bene immobile di proprietà a terzi; i coniugi COGNOME e COGNOME, anch’essi fideiussori, avevano già alienato il proprio patrimonio immobiliare.
L’atto di vendita oggetto di giudizio vedeva il COGNOME acquirente della nuda proprietà, mentre i coniugi COGNOME e COGNOME acquistavano il diritto di abitazione sull’immobile. La società attrice sosteneva che l’atto fosse stato stipulato in frode ai creditori, attesa l’assenza di corrispettivo reale, la natura familiare dei rapporti tra i soggetti coinvolti (essendo il sig. COGNOME nipote dei coniugi COGNOME –COGNOME, e questi ultimi legati da vincolo familiare con l’amministratore della società debitrice), e la sopravvenuta incapienza dei fideiussori.
Costituitosi NOME COGNOME chiedeva il rigetto delle domande e, in via subordinata, spiegava domanda riconvenzionale nei confronti del venditore COGNOME e dei coacquirenti COGNOME e COGNOME, per il risarcimento del danno da evizione, quantificato in € 50.000,00. Deduceva la propria estraneità alla presunta operazione fraudolenta, affermando di aver concordato l’acquisto dell’immobile già nel 2008, prima della formale assegnazione dello stesso ad Arena da parte della cooperativa edilizia, e di aver contribuito al pagamento del prezzo mediante versamenti diretti alla cooperativa, pagamento delle rate dei mutui e accollo dei residui in sede di rogito.
Con sentenza n. 3414/2021, il Tribunale di Catania rigettava la domanda principale di simulazione, accoglieva la domanda revocatoria ex art. 2901 c.c., dichiarando inefficace l’atto di compravendita del 14 maggio 2013 nei confronti della società attrice, e compensava integralmente le spese di lite.
Con sentenza n. 459/2023, del 16 marzo 2023,la Corte d’appello di Catania confermava la sentenza impugnata.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE che ha depositato anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 58 T.U.B. e della legge n. 130/1999, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello di Catania abbia erroneamente rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE, eccezione che -in quanto attinente alla titolarità del diritto fatto valere in giudizio -sarebbe proponibile in ogni stato e grado del processo. In particolare, si contesta che la società attrice non abbia adeguatamente provato la propria qualità di cessionaria del credito, limitandosi a produrre una visura camerale. A detta del ricorrente, le modalità di pubblicità della cessione ex art. 58 del D.lgs. n. 385/1993 non sarebbero state rispettate, poiché: (i) la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non indicava espressamente i crediti ceduti, ma si limitava a rinviare a un sito internet esterno, il cui contenuto sarebbe suscettibile di modifiche; e (ii) non risultava effettuata l’iscrizione della cessione presso il Registro delle imprese, requisito che, secondo il ricorrente, costituirebbe elemento essenziale per l’opponibilità della cessione stessa (cfr. p. 9, ricorso).
4.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901, comma 1, n. 2, c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.).
Lamenta essersi erroneamente ritenuta la sussistenza della sua scientia damni , sul presupposto di un intreccio di interessi
economici e rapporti parentali esistenti con le altre parti dell’atto dispositivo del 14 maggio 2013, laddove è assolutamente estraneo sia al venditore che alla COGNOME.
4.3. Con il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Si duole che la c orte d’appello abbia erroneamente applicato le norme in materia di onere della prova, ritenendo non dimostrato l’avvenuto pagamento del prezzo da parte del sig. COGNOME nonostante quest’ultimo avesse prodotto documentazione a supporto della propria allegazione.
In particolare, richiama la certificazione rilasciata dall’istituto mutuante MPS in data 25 settembre 2018, nonché i versamenti delle rate del mutuo, nei quali era specificato il nominativo del soggetto pagatore.
Sulla base di tale lamentato difetto probatorio deduce essersi dalla corte territoriale erroneamente rigettata la domanda riconvenzionale proposta per la restituzione del prezzo versato e per il risarcimento dei lamentati danni.
5.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Innanzitutto, la Corte d’appello catanese, pronunciandosi sul solco delineato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 2951/2016 (peraltro citata dallo stesso ricorrente), ha correttamente statuito in ordine al difetto di legittimazione ad agire della RAGIONE_SOCIALE
In proposito, pare però doverosa una precisazione.
Per come la questione è stata prospettata dal ricorrente, essa non attiene alla legittimazione ad agire strictu sensu , quanto piuttosto all’asserita mancata prova, da parte di detta società di capitali, della titolarità della sua posizione soggettiva vantata in giudizio (pp. 5-9 ricorso).
Trattasi di deduzione che, proprio sulla scorta dell’insegnamento delle citate Sezioni Unite, non v’è dubbio attenga al merito della
causa, per cui spettava certamente all’attore allegarla e provarla in positivo.
C ome pure correttamente rilevato dalla Corte d’appello andava considerato anche il comportamento processuale della parte interessata, che non avrebbe dovuto riconoscere espressamente la titolarità di un simile diritto né svolgere difese che fossero incompatibili con la sua negazione.
Nel caso in esame, si evince chiaramente dalla sentenza impugnata che il COGNOME ha sollevato tale obiezione, per la prima volta in grado di appello, difendendosi nel merito della pretesa creditoria, senza tuttavia mai contestare o negare, almeno prima dell’impugnazione, la titolarità del diritto di credito della Fino 2 Securisation.
La c orte d’appello non si è d’altro canto arrestata alla pronuncia di inammissibilità, ma ha esaminato attentamente il merito delle doglianze del signor COGNOME e ha concluso per la loro infondatezza, argomentando in modo adeguato, logico e per nulla contraddittorio le ragioni del decisum .
La sua decisione, infatti, è frutto di un’accurata analisi del materiale probatorio acquisito agli atti, costituito, tra l’altro, dalla visura camerale depositata dalla stessa Fino 2 Securisation, dall’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, nonché dall’attestazione Unicredit S.p.A. contenente il novero dei crediti ceduti pro soluto ivi inclusi quelli derivanti dai rapporti di conto corrente nn. 300006850, 300589084 e dal finanziamento n. 33643 (v. pp. 6-10 sentenza impugnata n. 459/2023).
Proprio in tale ottica, il giudice del gravame ha affrontato, nel merito, anche le altre doglianze del COGNOME, facendo corretta applicazione dei principi enunziati da questa Corte, con conseguente relativa inammissibilità pure ai sensi dell’art. 360 bis, comma 1, n. 1, c.p.c.
Più precisamente:
i) in relazione alla mancata necessità di notifica della cessione al debitore ceduto, il giudice di seconde cure ha fatto proprio il principio di legittimità secondo cui, essendo il contratto di cessione di credito a natura consensuale, il suo perfezionamento avviene con lo scambio del consenso tra cedente e cessionario, pur se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264 c.c., essendo la stessa necessaria ‘al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario’ (cfr. Cass. Sez. III, Ord., 19 febbraio 2019, n. 4713; da ultimo, richiamata in Cass. civ., Sez. III, 16 gennaio 2025, n. 1027; Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 aprile 2024, n. 9810);
ii) mentre, in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. n. 385/1993, il medesimo giudice si è uniformato al principio secondo cui ‘è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario l’indicazione nella pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della categoria dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione’ (cfr. Cass. civ., Sez. III, 7 ottobre 2024, n. 26127; Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 giugno 2024, n. 16191; Cass. civ., Sez. I, Ord., 26 luglio 2023, n. 22544; Cass. civ., Sez. III, 13 aprile 2023, n. 9862; Cass. Civ., Sez. I, 17 marzo 2023, n. 7816; Cass. Civ., Sez. III, 3 marzo 2023, n. 6392; principio enunciato da Cass. civ., Sez. III, 13 giugno 2019, n. 15884; Cass. civ., Sez. I, 26 giugno 2019, n. 17110; Cass. civ., Sez. VI, 5 novembre 2020, n. 24798); iii) infine, sempre relativamente alla cessione in blocco dei crediti ex art. 58, comma 2, d. lgs. 385/1993, la Corte territoriale ha ribadito il principio di diritto per cui, in linea
generale, la notificazione della cessione non è subordinata a particolari requisiti di forma (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 24 dicembre 2024, n. 34384; Cass. civ., Sez. I, Ord., 22 novembre 2024, n. 30207; Cass. civ., Sez. I, Ord., 29 febbraio 2024, n. 5478; Cass. civ., Sez. III, Ord., 22 giugno 2023, n. 17944; Cass. civ. Sez. VI-1, Ord., 29 settembre 2020, n. 20495 massimata).
Sulla scorta di quanto sopra, la decisione impugnata può dirsi conforme ai condivisibili principi enunciati, anche da ultimo, dalla Suprema Corte in materia di cessione dei crediti in blocco, secondo cui:
(a) la prova della cessione di un credito non è soggetta a vincoli di forma, e quindi la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità;
(b) opera, poi, il principio di non contestazione, pertanto, quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione del credito controverso tra quelli ceduti, l’indicazione delle loro caratteristiche, ‘contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione’. In tal caso, mancando la contestazione diretta a negare l’esistenza del contratto di cessione, ‘quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato, dovendosi piuttosto provare l’esatta individuazione dell’oggetto della cessione, più precisamente, l’esatta corrispondenza tra le caratteristiche del credito controverso e quelle che individuano i crediti oggetto della cessione in blocco’; (c) va, comunque, sempre distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in generale, della fattispecie traslativa della titolarità del credito) da quella della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli
oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco ex art. 58 T.U.B. (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 febbraio 2025, n. 3538; Cass. civ., Sez. I, Ord., 3 febbraio 2025, n. 2511; Cass. civ., Sez. I, Ord., 22 novembre 2024, n. 30207; Cass. civ., Sez. III, 3 maggio 2024, n. 12007).
D’altra parte, il ricorrente neppure riproduce ovvero trascrive nella parte strettamente d’interesse la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 93 dell’8 agosto 2017, violando anche il principio di autosufficienza del ricorso richiesto dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., così impedendo a questa Corte di operare direttamente il controllo richiesto.
Costituisce, infatti, ius receptum che il ricorrente effettui nel ricorso ‘la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza’ (cfr. da ultimo, Cass. civ., Sez. I, Ord., 28 marzo 2025, n. 8172; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 marzo 2025, n. 7459; Cass. civ., Sez. II, Ord., 17 marzo 2025, n. 7109; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 9 marzo 2025, n. 6247; Cass. civ. Sez. III, Ord., 30 luglio 2024, n. 21346)
Pertanto, le censure del motivo in esame si scontrano palesemente con l’accertamento operato dalla corte territoriale, la quale ha verificato e valutato che la RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato di agire in forza di atto di cessione del credito e che la cessione includeva anche il diritto di credito originariamente vantato da Unicredit S.p.A. nei confronti anche dell’odierno ricorrente (cfr. da ultimo, Cass., Sez. III, 15 febbraio 2023, n. 4676).
Invero, la disamina del motivo de quo disvela una richiesta di rivalutazione dei fatti storici da cui è originata la vicenda, perché
pone a suo presupposto una diversa, e più favorevole, ricostruzione degli atti negoziali e normativi rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata, attraverso doglianze che si connotano non già in vizi di legittimità, ma di merito, senza confrontarsi con la ratio decidendi della decisione impugnata, così travalicando il modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 22 luglio 2024, n. 20254; Cass. civ., Sez. V, Ord., 8 marzo 2024, n. 6356; Cass. civ., Sez. III, Ord., 8 febbraio 2024, n. 3572; Cass. civ., Sez. I, Ord., 24 gennaio 2024, n. 2335; Cass. civ., Sez. lav., 21 agosto 2020, n. 17570).
Ebbene, in tali casi, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile, in quanto con esso si deduce, ma solo in modo apparente, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, mirandosi ‘in realtà ad ottenere dalla SRAGIONE_SOCIALE una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito’ (v. per tutte: Cass. civ., Sez. III, Ord., 7 gennaio 2025, n. 242; Cass. civ., Sez. V, 5 agosto 2024, n. 22072; Cass. civ., Sez. III, Ord., 31 luglio 2024, n. 21452Cass. civ., Sez. lav., Ord., 4 giugno 2024, n. 15572; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 10 aprile 2024, n. 9692; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 marzo 2024, n. 6580; principio enunciato in Cass. civ., SS.UU., 27 dicembre 2019, n. 34476).
5.1 . Inammissibile è il secondo motivo di ricorso, anch’esso sostanziantesi in realtà in una mera richiesta di rivalutazione delle questioni di merito.
Sul punto, vale quanto argomentato rispetto al primo motivo, atteso che, anche qui, al di là della formale denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 2901, comma 1, n. 2, c.c., le censure tendono di fatto a ottenere una rivalutazione delle prove e una diversa ricostruzione della vicenda de qua; attività, queste, non
consentite in sede di legittimità, in quanto, come noto, sono demandate al solo giudice del merito.
Invero, è principio ormai consolidato quello secondo cui ‘il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi’ (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 20 febbraio 2025, n. 4501; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 10 febbraio 2025, n. 3402; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 29 novembre 2024, n. 30691; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 5 novembre 2024, n. 28357; Cass. civ., Sez. V, Ord., 30 ottobre 2024, n. 28013).
Nel caso, la Corte d’appello ha dato atto di un attento esame delle prove acquisite, anche ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per la revocatoria.
In particolare, ha valutato l’atto pubblico di compravendita, le n. 20 ricevute di pagamenti dei ratei di mutuo, le n. 2 ricevute rilasciate al signor COGNOME nel 2012, rilevando altresì l’incongruenza tra quanto affermato dallo stesso signor COGNOME e quanto effettivamente risultante dalla documentazione depositata. Ciò, ad esempio, sia in relazione alle suddette ricevute, che in ordine ai mutui nn. 741364904.15 e 741364819.27 con MPS che non si riferivano ai mutui ipotecari iscritti sull’immobile oggetto del trasferimento del 2008, non risultando quindi eseguito alcun pagamento a titolo di acconto e/o saldo del prezzo mediante accollo dei ratei di mutuo residui (v. pp. 13-16 sentenza impugnata n. 459/2023).
Del resto, la c orte d’appello, ancora una volta, nell’analisi complessiva della vicenda sottoposta al suo esame -a fronte dell’oggettiva evidenza dei fatti e delle presunzioni che è autorizzata a trarne -ha ritenuto che ricorresse il presupposto soggettivo della scientia damni del signor COGNOME, non solo però per l’esistenza di un intreccio di interessi economici e di rapporti di parentela stretti, come quello tra l’alienante signor COGNOME e la COGNOME, il cui fratello era rappresentate legale della creditrice RAGIONE_SOCIALE e tra lo stesso signor COGNOME e lo zio, signor COGNOME -in modo, peraltro, del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte: v. Cass. civ., Sez. III, 29 maggio 2013, n. 13447 -ma anche traendo il proprio convincimento da ulteriori elementi che, letti all’interno del quadro probatorio complessivo, in modo non atomistico, l’hanno condotta a ritenere provata la consapevolezza del pregiudizio arrecato sia in capo al venditore che agli acquirenti degli immobili in questione (cfr. pp. 13-18 sentenza impugnata n. 459/2023)
Anche sul punto, pertanto, la motivazione adottata dalla Corte territoriale (e, prima di essa, dal Tribunale) si palesa rispettosa del c.d. minimo costituzionale -sul punto v. Cass. civ., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053; nelle successive pronunce, più di recente, Cass. civ., Sez. III, Ord., 28 marzo 2025, n. 8192; Cass. civ. Sez. V, Ord., 9 ottobre 2024, n. 26349; Cass. civ., Sez. V, Ord., 20 settembre 2024, n. 25319; Cass. civ. Sez. III, Ord., 16 settembre 2024, n. 24760 -rendendo intelligibile lo sviluppo argomentativo a sostegno della sua decisione, senza incorrere in intrinseche e insanabili aporie, che sarebbero le sole censurabili dinanzi a questa Corte. Al contrario, invece, quel che rileva, in modo inequivoco, è che le doglianze del ricorrente si infrangono sull’apprezzamento della quaestio facti operata dal giudice di merito e ad esso riservata, che sulla base di quanto già scrutinato con il primo motivo, si è rivelato non concludente e, comunque, inammissibile.
5.2. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, sostanziantesi anch’esso in una richiesta di una valutazione delle questioni di merito diversa da quella operata dai giudici di merito.
Sul punto, a precisazione di quanto già argomentato per il precedente motivo -in particolare rispetto all’assenza di potere in capo al giudice di legittimità di riesaminare il merito della controversia, ma solo di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, basate sulle fonti, anche probatorie, da cui il giudice del merito ha tratto il proprio convincimento -va ribadito che spetta al giudice di merito scegliere, tra le complessive risultanze del processo, ‘quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. da ultimo, Cass. civ., Sez. III, Ord., 27 marzo 2025, n. 8168; Cass. civ., Sez. V, Ord., 27 marzo 2025, n. 8133; Cass. civ., Sez. V, Ord., 16 marzo 2025, n. 6975; Cass. civ., Sez. V, Ord., 17 giugno 2024, n. 16728).
Nella specie, la motivazione della corte territoriale, anche sotto l’aspetto della domanda di restituzione del prezzo, appare congrua e coerente rispetto agli esiti dell’esame del materiale probatorio, atteso che, come ampiamente già argomentato nel superiore motivo, essa non ha ritenuto che non fosse stato provato il pagamento delle rate dei mutui iscritti sull’immobile compravenduto, che sarebbero stati effettuati come pagamento del prezzo di acquisto (cfr. pp. 13-18 sentenza impugnata n. 459/2023).
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 9.200,00, di cui euro 9.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza