Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32200 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32200 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9155/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 945/2023 depositata il 03/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello contro la sentenza n. 23744/2007 con cui il Tribunale di Roma – revocando l’opposto decreto ingiuntivo che era stato emesso per la somma di euro 606.451,19 sulla base della sentenza emessa dal medesimo Tribunale di Roma nel giudizio di opposizione all’esecuzione promosso dalla Banca Popolare di Rieti e non ancora passata in giudicato in quanto appellata – condannava la società a pagare la somma di euro 431.429,20 a RAGIONE_SOCIALE (società cessionaria di Credito RAGIONE_SOCIALE, cessionario, a sua volta, di Unicredito Italiano s.p.aRAGIONE_SOCIALE incorporante per fusione Banca Popolare di Rieti s.p.a., originaria creditrice): tale somma era, invero, pari all’ammontare del credito come nel frattempo accertato dalla Corte d’Appello di Roma nel predetto giudizio di opposizione all’esecuzione avente ad oggetto l’accertamento dell’esatto saldo del conto corrente intrattenuto dalla società con l’originaria titolare del credito.
2.Per quanto qui interessa, con l’appello RAGIONE_SOCIALE oltre a lamentare l’erroneo rigetto dei motivi di opposizione fondati sulla inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo e, quindi, sulla nullità dell’intero procedimento di opposizione- aveva insistito nell’eccezione di carenza di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE intervenuta, dopo la chiusura della fase istruttoria, come cessionaria del credito nel giudizio di primo grado, che era stato sospeso ai sensi dell’articolo 295 c.p.c. in attesa della definizione del giudizio d’appello -in virtù della clausola contrattuale che escludeva, a suo dire, la facoltà di cessione del credito azionato.
3.La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 6013/2016 aveva respinto il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE ed, in particolare, l’eccezione di carenza di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE: precisato che nel caso di specie si trattava di ipotesi non già di carenza di legittimazione, bensì di eventuale difetto di titolarità del rapporto sostanziale controverso, ha osservato che RAGIONE_SOCIALE aveva contestato l’effettiva titolarità di tale rapporto in capo ad RAGIONE_SOCIALE in quanto nel contratto di cessione in blocco dei crediti era stato espressamente convenuto che erano esclusi dalla cessione « i crediti in relazione ai quali alla data del 30.12.2005 sono pendenti procedimenti giudiziari promossi dai debitori e/o eventuali garanti, diretti ad accertare la non legittimità della capitalizzazione degli interessi debitori (anatocismo) ovvero la non autenticità dei sottoscrittori », e che detta eccezione, avente ad oggetto una questione di merito, era stata sollevata tardivamente dall’odierna appellante solo in sede di deposito delle comparse conclusionali; ha, peraltro, osservato che, anche ove tale eccezione fosse stata ammissibile, era, comunque, infondata nel merito sol che si consideri che, come noto, nei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore, pur avendo la veste formale di convenuto, ad essere attore in senso sostanziale, con la conseguenza che tale tipo di controversia non incorreva nell’esclusione pattuita nel contratto di cessione in blocco dei crediti, invocata da RAGIONE_SOCIALE.
4.Detta sentenza, impugnata con ricorso per cassazione dall’RAGIONE_SOCIALE, veniva cassata con ordinanza n. 39528/2021 con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione. Osservava questa Corte che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla; perciò la questione della titolarità sostanziale del diritto di credito oggetto di cessione in blocco,
contestata dal debitore, rappresentava una mera difesa e non già un’eccezione in senso stretto, come, invece, ritenuto erroneamente dalla corte territoriale che, nella sentenza impugnata, l’aveva ritenuta inammissibile in ragione della sua tardiva proposizione; le ulteriori argomentazioni di rincalzo spese dalla corte territoriale per la ratio decidendi di rigetto nel merito dell’eccezione (riguardanti l’interpretazione del contenuto della clausola negoziale delimitativa dalla cessione in blocco dei crediti) rappresentavano, invece, statuizioni rese solo ad abundantiam , allorquando la Corte di Appello si era già spogliata, cioè, della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, sicché i relativi ulteriori motivi di Cassazione venivano dichiarati inammissibili
4.Nel giudizio riassunto dall’ultima cessionaria del credito oggetto del giudizio – RAGIONE_SOCIALE, in qualità di mandataria di RAGIONE_SOCIALE– la RAGIONE_SOCIALE resisteva chiedendo che la Corte d’appello, conformandosi alla statuizione della Suprema Corte di Cassazione dichiarasse: a) la carenza di legittimazione attiva sostanziale e processuale della RAGIONE_SOCIALE e della sua mandataria RAGIONE_SOCIALE sul presupposto che quest’ultima, con un contratto del 28/12/2018 aveva, comunque, ceduto il credito per cui è causa nell’ambito della cessione in blocco di crediti pubblicizzata sulla Gazzetta Ufficiale del 10 gennaio 2019 alla società RAGIONE_SOCIALE la sola, quindi, legittimata ad agire nel giudizio di rinvio; b) la carenza di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE e, quindi, della sua cessionaria RAGIONE_SOCIALE in relazione al credito accertato dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 23744/2007; ribadiva, inoltre, le stesse censure già svolte contro la sentenza della corte d’Appello cassata a proposito della violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e seguenti c.c. circa l’interpretazione della clausola contrattuale contenuta nel contratto di cessione in blocco dei crediti, laddove era stato affermato che la predetta clausola avesse escluso dalla
cessione solo quel complesso di crediti relativi a procedimenti nell’ambito dei quali il creditore non aveva rivestito la qualità di attore in senso sostanziale, sostenendo che nella locuzione « procedimenti giudiziari promossi dai debitori » avrebbero dovuto essere, invece, compresi tutti quei giudizi promossi dai debitori che avevano dato impulso ad un’azione di accertamento negativo finalizzato alla verifica della sussistenza o meno del credito azionato nella fase dal creditore ingiungente, come nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo oggetto della controversia ove l’opponente attore era attore in senso formale.
La Corte territoriale, con la sentenza qui gravata ha respinto l’appello, ritenendo, per quanto qui ancora interessa, che:
l’eventuale cessione dei crediti in blocco ad altro soggetto darebbe luogo ad una successione a titolo particolare del diritto controverso, la quale, a mente dell’articolo 111 c.p.c., lascerebbe ferma la legittimazione a coltivare il giudizio, che prosegue tra le parti originarie salvo che il successore intenda intervenire o venga chiamato e tutte le parti acconsentano all’estromissione dell’alienante; sicché, quand’anche RAGIONE_SOCIALE avesse ceduto il proprio credito verso RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE SPE, la stessa continuerebbe ad essere legittimata nel giudizio di rinvio che costituisce prosecuzione di quello originario nel quale essa sarebbe stata cedente non estromessa;
nel riesaminare l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire di RAGIONE_SOCIALE ha, comunque, ritenuto l’eccezione infondata, osservando: (i) che la titolarità sostanziale del diritto di credito oggetto di cessione era stata contestata sul presupposto che il contratto di cessione in blocco avrebbe previsto l’esclusione della cessione dei crediti litigiosi e che il credito in questione sarebbe stato controverso in almeno due giudizi; (ii) la clausola di esclusione, però, non riguardava i crediti genericamente litigiosi, ma quelli che fossero stati contestati per illegittima capitalizzazione
di interessi o per disconoscimento di sottoscrizione in procedimenti giudiziari promossi dal debitore ceduto; (iii) considerato che la pratica della cartolarizzazione dei crediti è destinata a trasformare semplici crediti in titoli da collocare presso investitori allo scopo di trasferire il rischio di restituzione, sicché quanto più cresce la solvibilità dei debiti ceduti, tanto più l’operazione potrà incontrare il favore degli investitori, come, d’altra parte, quanto più dovessero frapporsi ostacoli al realizzo, tanto più il buon esito dell’operazione sarebbe messo a rischio, la ratio dell’esclusione, doveva ravvisarsi con riguardo a quei crediti litigiosi che, pur nell’ambito di recuperi in sofferenza, rivelassero una spiccata resistenza dei debitori a saldare i crediti, desumibile dalla circostanza che fossero state intraprese dagli stessi debitori iniziative giudiziarie, e, a maggior ragione, quando queste potessero seriamente far dubitare del recupero, come in caso di contestazione dell’anatocismo o di disconoscimento delle sottoscrizioni dei contraenti che avrebbero impegnato le Corti in defatiganti accertamenti destinati a rendere incerta l’esazione; invece i procedimenti giudiziari promossi dallo stesso creditore avrebbero fornito garanzia di una più rapida riscossione dei crediti ceduti -pur classificati tra le sofferenze – e tra di essi maggiormente significativi sarebbero stati quelli relativi ad iniziative esecutive, che normalmente postulano già la formazione di un titolo; (iv) in questa logica il credito verso RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi rientrare nel perimetro dei crediti ceduti in blocco da Unicredit Banca s,p,a ad RAGIONE_SOCIALE, perché già da tempo la banca originaria creditrice aveva promosso l’azione esecutiva sulla base del mutuo esecutivo, nonché l’azione monitoria onde ottenere anche un titolo giudiziale, a nulla rilevando, agli effetti della litigiosità del credito ad iniziativa del debitore, che RAGIONE_SOCIALE avesse contestato il credito in sede esecutiva e reagito con opposizione al decreto ingiuntivo, poiché queste erano iniziative della banca, volte al sicuro e rapido recupero, che avevano offerto occasioni di
reazione di Edilgen ma non potevano ascriversi ai « procedimenti giudiziari promossi dai debitori » idonei a individuare crediti eccettuati dalla cessione in blocco.
-Contro detta sentenza d’appello ha proposto ricorso la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, affidato a un solo motivo di cassazione. RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE ultima cessionaria del credito in questione, ha resistito al ricorso
E’ stata formulata una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c. La difesa di parte ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Va preliminarmente respinta l’eccezione sollevata dalla ricorrente inammissibilità del controricorso della RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE per nullità della procura speciale allegata al medesimo in quanto non conterrebbe l’autenticazione da parte dei difensori dell’autografia della sottoscrizione apposta da parte del soggetto conferente la procura, ovvero del Consigliere Delegato della suddetta società, invero « i n caso di procura rilasciata su foglio separato, materialmente congiunto all’atto a cui si riferisce, la certificazione del difensore circa l’autografia della sottoscrizione del conferente deve ritenersi sussistente sia quando la firma del difensore si trovi subito dopo detta sottoscrizione, con o senza apposite diciture (come “per autentica” o “vera”), sia quando essa sia apposta in chiusura dell’atto al quale é congiunto il foglio separato contenente la procura, con la conseguenza che, in entrambi i casi, l’autografia attestata dal difensore, esplicitamente od implicitamente, può essere contestata soltanto con la proposizione di querela di falso, in quanto concerne un’attestazione resa dal difensore nell’espletamento della funzione sostanzialmente pubblicistica demandatagli dall’art. 83, comma 3, c.p.c .» (Cass. n. 18381/2024; Cass. n. 19785/2018).
2.- Il ricorso contiene un solo motivo di cassazione che denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente, contraddittoria e per illogicità manifesta della stessa in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonché, comunque, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seg. c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. In sintesi la ricorrente deduce:
quanto alla posizione processuale di RAGIONE_SOCIALE dante causa dell’odierna controricorrente , che dal contratto di cessione in blocco era escluso il credito in questione in ragione della più volte citata clausola del contratto di cessione in blocco, e del fatto, quindi, che alla data del 31.12.2005, pendeva avanti la Corte di Appello di Roma il giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (che aveva ad oggetto anche l’accertamento della legittimità della capitalizzazione degli interessi) nonché il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nell’ambito del quale la RAGIONE_SOCIALE aveva altresì eccepito l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi applicata al rapporto bancario intercorso con l’originario creditore, Banca Popolare di Rieti; perciò il credito non si era trasferito alla cessionaria, la quale, quindi, non poteva aver trasmesso la titolarità del medesimo alle successive società intervenute nel processo;
la Corte territoriale, adita in sede di giudizio di rinvio, applicando correttamente i canoni di interpretazione c.d. soggettiva del contratto dettati dal combinato disposto degli artt. 1362, 1363, 1369 c.c., avrebbe dovuto concludere che il credito di cui è processo non era ricompreso nel contratto di cessione in blocco dei crediti de quo, stante l’evidente significato proprio dell’inciso «i procedimenti giudiziari promossi dai debitori e/o eventuali garanti» ai quali dovevano ricondursi tutte le situazioni contenziose in cui il debitore assolva un ruolo attivo di contestazione dell’ an e del quantum debeatur , a prescindere dalla iniziativa processuale he ha
dato origine alla controversia, ovvero dalla circostanza se questa sia stata promossa dal creditore con un procedimento monitorio (cui ha fatto seguito il giudizio di opposizione a decreto) o dal debitore mediante un’azione di accertamento negativo, nell’evidente intento delle parti di non gravare il cessionario delle situazioni conflittuali in atto, idonee a tradursi in oneri aggiuntivi per il recupero del credito;
c) la Corte d’appello, invece, aveva respinto il motivo di gravame contro la sentenza del Tribunale con motivazione apodittica, incongrua e illogica, risolventesi in considerazioni generiche e meramente assertive, ed un percorso argomentativo oggettivamente implausibile, che darebbe luogo ad un vizio motivazionale, così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, rientrando paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative che si pongono al di sotto del «minimo costituzionale». E ciò in quanto -a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale – « le circostanze che possono incidere sulla solvibilità dei debitori e sui tempi di recupero dei crediti sono molteplici ed imprevedibili, per cui il fatto che le iniziative giudiziarie siano state poste in essere dal debitore oppure dal creditore non ha alcuna rilevanza sulla valutazione prognostica, in ipotesi effettuata dagli investitori, delle azioni giudiziarie volte al recupero dei crediti oggetto di cessione »; perciò la valutazione del merito creditizio nelle operazioni di cartolarizzazioni (come quelle di cui si controverte) non verrebbe certo effettuata da parte degli investitori sulla base dei criteri ipotizzati in modo apodittico e arbitrario dalla sentenza impugnata.
3.- La proposta di definizione anticipata ha il tenore che segue. « – Il ricorso è improcedibile per il mancato deposito della copia della sentenza notificata ai sensi dell’articolo 369 c.p.c. (cfr Cass. Sez. Un.n. 21349/2022); né, va aggiunto, sussiste affatto il vizio di
violazione dell’articolo 132 c.p.c. essendo la motivazione della sentenza impugnata senz’altro superiore al minimo costituzionale»
4.- La Proposta non può essere integralmente condivisa.
4.1- Come osservato dalla ricorrente nel suo atto di opposizione alla proposta, poiché dal 1.1. 2023 è divenuto obbligatorio il processo telematico in Cassazione, la prova della notificazione della sentenza gravata (ai fini della tempestività del ricorso del termine breve di impugnazione) deve essere fornita esclusivamente attraverso il deposito telematico dei file e delle ricevute di accettazione e consegna, a nulla rilevando l’eventuale copia analogica attestata conforme, ex art. 9 l.n.53/94, e nel caso di specie tali incombenti risultano adempiuti mediante il deposito telematico del messaggio pec contenente la notifica della sentenza impugnata avvenuta in data 20.2.2023 da parte del difensore della RAGIONE_SOCIALE e delle ricevute di accettazione e consegna, nonché il deposito della notificazione del ricorso avvenuta tempestivamente in data 21 Aprile 2023 (doc. B allegato al ricorso e allegato nuovamente all’istanza di opposizione).
4.2- Va condivisa, invece, la valutazione della infondatezza della articolazione del mezzo di ricorso che attiene alla nullità della sentenza per mancanza di una motivazione che risponda ai minimi costituzionali, mentre va dichiarata inammissibile la ulteriore articolazione del mezzo che attiene alla violazione dei criteri ermeneutici quanto alla interpretazione della clausola contrattuale limitativa della cessione in blocco dei crediti in favore di RAGIONE_SOCIALE
4.2.1Nel procedere all’esame del motivo che, appunto, si articola in due parti – va preliminarmente respinta la ragione di inammissibilità eccepita dalla resistente, poiché è vero che è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc.
civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (cfr. Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018). Ma, d’altra parte è vero anche che l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (cfr., sostanzialmente, in tal senso, Cass. n. 39169 del 2021. Si vedano pure Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Come è nella specie.
4.2.2- Venendo alla dedotta nullità della sentenza, osserva il Collegio che le Sezioni Unite nella nota sentenza n. 8053/2014 hanno evidenziato che « il vizio logico della motivazione, la lacuna o l’aporia che si assumono inficiarla sino al punto di renderne apparente il supporto argomentativo, devono essere desumibili dallo stesso tessuto argomentativo attraverso cui essa si sviluppa, e devono comunque essere attinenti ad una quaestio facti (dato che in ordine alla quaestio juris non è nemmeno configurabile un vizio di motivazione). In coerenza con la natura di tale controllo, da svolgere tendenzialmente ab intrinseco, il vizio afferente alla motivazione, sotto i profili della inesistenza, della manifesta e irriducibile contraddittorietà o della mera apparenza, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, sì da comportare la nullità di esso; mentre al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla
Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito ».
Siffatte conclusioni, che erano state costantemente riaffermate nella giurisprudenza di legittimità sino alle modifiche al testo dell’art. 360 c.p.c., introdotte con la riforma del 2006, appaiono oggi nuovamente legittimate dalla riformulazione dello stesso testo adottate con la riforma del 2012, che ha l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per «mancanza della motivazione».
In proposito dovrà tenersi conto di quanto questa Corte ha già precisato in ordine alla «mancanza della motivazione», con riferimento al requisito della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, ovvero che tale «mancanza» si configura quando la motivazione « manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione -ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum »(Cass. n. 20112 del 2009).
Nella fattispecie -come si desume agevolmente dalla sintesi della motivazione resa nella sentenza gravata in punto titolarità del rapporto sostanziale controverso sopra riportata -la motivazione non è inesistente né gli argomenti addotti sono illogici o
contraddittori, e tantomeno forniscono un motivazione apparente, fermo il fatto che è possibile ravvisare una «motivazione apparente» solo nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano – diversamente da quanto accaduto nella specie – del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice; invero la Corte d’appello ha ampiamente esaminato i fatti controversi e ritenuto, con argomenti logici e consequenziali, che il credito litigioso in questione non potesse ritenersi escluso per effetto della clausola invocata dalla società ricorrente, essendo indifferente -stante la natura specifica del vaglio possibile in questa sede di legittimità – che le conclusioni di merito e quindi la soluzione adottata dal giudice di secondo grado sia corretta o meno, e rilevando solamente il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. n. 16117/2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. n. 395/2021).
4.2.3- Infine è inammissibile il motivo nella parte – connessa alla precedente anche per gli argomenti utilizzati – in cui censura di violazione dei criteri ermeneutici quanto alla interpretazione della clausola contrattuale limitativa della cessione in blocco dei crediti in favore di RAGIONE_SOCIALE, ed in particolare il fatto che la Corte di merito non abbia valorizzato quello della lettura della clausola alla luce della comune volontà delle parti; invero nella specie la ricorrente, invocando la violazione di un canone ermeneutico, si duole, in effetti, della concreta interpretazione che la Corte d’appello con motivazione articolata e intrisecamente coerente -ha fornito della pattuizione negoziale, della sua ratio e dell’intento perseguito con essa dalle parti, pretendendo in questa sede un
sindacato di merito e, quindi, una nuova valutazione della clausola in parola inammissibile in questa sede di legittimità.
-Il ricorso va in conclusione respinto,
6.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente, al pagamento delle spese in favore della parte controricorrente liquidate nell’importo di euro 8.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª