Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1790 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1790 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29542/2022 R.G. proposto da: COGNOME in qualità di erede di COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME CONCETTA, COGNOME FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’ appello di Messina n. 489/2021,
pubblicata in data 25 ottobre 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, NOME COGNOME chiedendo la risoluzione della scrittura privata del 23 agosto 2002, con cui il convenuto le aveva ceduto i diritti a lui derivanti dalla scrittura del 12 novembre 1998, intercorsa tra lo stesso convenuto e NOME NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a transazione di altro giudizio tra le stesse parti pendenti, per effetto della quale questi ultimi si erano impegnati a trasferire al COGNOME l’immobile sito in Villafranca Tirrena, fraz. Divieto, distinto in catasto al foglio 1, part. 3047, sub. 15; l’attrice, deduceva l’inadempimento del convenuto, al quale aveva corrisposto la somma di euro 20.000,00 come acconto sul maggior prezzo di euro 60.000,00, e chiedeva la restituzione del doppio della caparra.
Il convenuto, costituendosi in giudizio, oltre a chiedere di essere autorizzato a chiamare in giudizio NOME e NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE, alla quale era stata trasferita la proprietà dell’immobile, per essere dagli stessi manlevato, spiegava domanda riconvenzionale ex art. 2932 cod. civ., al fine di ottenere il trasferimento della proprietà del bene in proprio favore o in favore dell’attrice, instando altresì per il risarcimento dei danni allo stesso arrecati, ivi compresi quelli derivanti dal mancato godimento dell’immobile , e per il pagamento del residuo prezzo.
Il Tribunale adito rigettava tutte le domande.
In esito all’appello proposto dalla COGNOME, NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME reiterava, con appello incidentale, le domande già avanzate in primo grado e la Corte
d’appello di Messina rigettava entrambi i gravami, compensando integralmente le spese di lite nel rapporto tra gli appellanti, nonché tra l’appellante e la Curatela del Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE
In sintesi, per quel che ancora rileva in questa sede, ritenuta l’improcedibilità delle domande svolte nei confronti della Curatela del RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE perché dirette a far valere una pretesa creditoria soggetta al regime concorsuale, i giudici di secondo grado, con specifico riferimento all’appello incidentale, hanno qualificato la scrittura intercorsa tra le parti appellanti quale cessione di credito, escludendo al contempo la fondatezza della domanda di risarcimento dei danni fatta valere dal COGNOME; con la precisazione, quanto al periodo successivo alla data del 23 agosto 2002, che nessun danno poteva essere derivato al COGNOME dal mancato trasferimento dell’immobile da parte dei COGNOME, avendo egli ceduto il proprio diritto alla COGNOME, e, quanto al periodo precedente, decorrente dal 7 giugno 2000, data in cui l’inadempimento era divenuto definitivo per essere stato l’immobile trasferito alla RAGIONE_SOCIALE, che l’appellante nessuna specifica censura aveva svolto avverso l’argomentazione posta dal primo giudice a sostegno del rigetto della domanda, basato sulla mancanza di diffida ad adempiere. Hanno, infine, disatteso la richiesta di giuramento decisorio, già rigettata in primo grado, ritenendola abbandonata, perché non specificamente reiterata in sede di precisazione delle conclusioni in grado di appello.
NOME COGNOME nella qualità di erede di NOME COGNOME propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, affidato a tre motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e la Curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE
non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
In data 29 gennaio 2024 è stata depositata proposta di definizione accelerata ex art. 380bis cod. proc. civ., con cui è stata rilevata l’inammissibilità del ricorso, perché ‹‹ diretto a sollecitare un riesame del fatto, della prova e delle valutazioni assunte dal giudice di merito, precluso in sede di legittimità ›› .
Il ricorrente ha depositato istanza di decisione.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1260, 1264, 1176 e 2118 e 1454 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso di rilevare, in capo a NOME e NOME COGNOME, l’ inadempimento degli obblighi assunti nei suoi confronti con la scrittura del 12 novembre 1998 e i conseguenti danni da esso derivati.
Ribadisce di avere ceduto, con la scrittura del 23 agosto 2002, alla COGNOME il diritto nascente dalla scrittura del 12 novembre 1998, dietro pagamento di un corrispettivo, che avrebbe dovuto, dall’acquirente, essere versato al momento del trasferimento dell’immobile, che, tuttavia, non era mai stat o effettuato dai COGNOME: la mancata stipula dell’atto pubblico di vendita gli aveva quindi impedito di conseguire il pagamento del corrispettivo pattuito. A ciò aggiunge di essere legittimato a richiedere il risarcimento del danno connesso all’inadempimento dei COGNOME, dato che la cessione del credito non aveva trasferito alla cessionaria anche le azioni inerenti all’essenza del precedente contratto che continuavano ad appartenere al cedente.
Sotto diverso profilo, nel censurare la decisione impugnata là dove si esclude il diritto al risarcimento dei danni anche per il periodo precedente il 7 giugno 2000, contesta alla Corte d’appello di avere ritenuto rilevante la diffida ex art. 1454 cod. civ., sebbene questa debba essere predisposta ai fini della risoluzione del contratto.
1.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
1.2. La Corte d’appello, aderendo alla prospettazione difensiva dell’odierno ricorrente, allora appellante incidentale, ha qualificato la scrittura privata del 23 agosto 2002 come cessione di credito, ma ha al contempo escluso che il Merlino potesse reclamare il risarcimento dei danni.
La questione posta dalla censura impone, dunque, di verificare se il COGNOME, in conseguenza della cessione di credito in favore della COGNOME, fosse legittimato ad esperire azione risarcitoria nei confronti dei COGNOME.
1.3. Per la soluzione di tale questione occorre prendere le mosse dal consolidato orientamento di questa Corte che distingue tra cessione di contratto e cessione di credito, individuando i conseguenti effetti che da esse discendono.
Secondo quanto già statuito da Cass. n. 776 del 1967, ‹‹ mentre la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell’altro contraente, dell’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all’originario creditore-cedente, e l’esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e
le azioni dirette all’adempimento della prestazione. Non gli sono, invece, trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, poiché esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito ›› .
Si è, al riguardo, precisato che nella cessione del contratto, disciplinata dagli artt. 1406 e ss. cod. civ., si verifica una sostituzione nella figura di ‹‹ parte ›› di un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite; sostituzione che è totale, in quanto il cedente viene completamente estromesso dalla titolarità del rapporto, che, invece, viene conseguita dal cessionario, il quale sarà l’unico legittimato a ricevere la prestazione e ad avvalersi dei rimedi contrattuali, in quanto tenuto a sua volta ad eseguire una prestazione a favore del contraente ceduto.
Nella cessione del credito, invece, disciplinata dagli artt. 1260 e ss. cod. civ., il trasferimento, anche se il credito nasce da contratto, ha per oggetto solo il credito in quanto tale, e la sostituzione riguarda unicamente la posizione di “creditore”; ne consegue che il cessionario del credito, non essendo anche parte del contratto costitutivo del credito stesso, non può avvalersi di poteri connessi a tale posizione di parte, e quindi essere legittimato a proporre l’azione di risoluzione del contratto; ed invero, riconoscere siffatta legittimazione al cessionario, che (come detto) non si inserisce in quel rapporto sinallagmatico che giustifica l’esperibilità dell’azione di risoluzione, significa consentirgli una indebita ingerenza nella sfera giuridica del cedente, il quale invece, nonostante la cessione, è sempre parte del contratto originario.
Si è, pertanto, evidenziato che, in caso di cessione di un credito avente fonte contrattuale, vi è una scissione tra la titolarità del rapporto contrattuale, che rimane al cedente, e la titolarità del diritto
di credito ceduto, che invece viene trasmessa al cessionario, il quale acquista però solo i diritti e le azioni rivolti alla realizzazione del credito ceduto ed all’adempimento della prestazione, non anche le azioni contrattuali; la previsione dell’art. 1263, primo comma, cod. civ., in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli “altri accessori”, deve essere intesa nel senso che nell’oggetto della cessione rientri ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto di credito stesso, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla tutela del credito e quindi anche le azioni giudiziarie a tutela del credito, tra cui l’azione di adempimento dell’obbligazione ceduta (cfr. Cass., sez. 1, 15/09/1999 n. 9823; Cass., sez. 3, 06/07/2018, n. 17727; Cass., sez. 1, 10/02/2020, n. 3034).
1.4. Partendo da tale premessa, deve reputarsi che, per effetto della cessione di credito dal COGNOME alla COGNOME, solo quest’ultima avrebbe potuto esercitare le azioni poste a tutela dell’adempimento dell’obbligazione ceduta ossia il trasferimento della proprietà dell’immobile non eseguita dai COGNOME, mentre l’odierno ricorrente, seppure legittimato a richiedere la declaratoria di risoluzione del contratto costitutivo del credito concluso in data 12 novembre 1998, nessun risarcimento per il mancato trasferimento della proprietà dell’immobile in favore della COGNOME poteva pretendere nei confronti dei COGNOME, avendo ormai ceduto l’originario diritto nascente dalla scrittura del 1998 in favore della COGNOME, a nulla rilevando che la seconda scrittura prevedesse che la cessionaria fosse tenuta al versamento del residuo prezzo pattuito (euro 40.000,00) ‘contestualmente a lla stipula del l’atto pubblico di vendita’ .
1.5. Quanto, poi, al secondo profilo di doglianza, concernente il periodo precedente il 7 giugno 2000, la censura è inammissibile, in quanto non si confronta con la ratio della decisione che ha rilevato
l’assenza di uno specifico motivo di gravame avverso la sentenza del Tribunale che aveva parimenti respinto la domanda di risarcimento dei danni sull’assunto che fosse mancata una diffida ad adempiere ex art. 1454 cod. civ.
Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata ‹‹ per violazione e falsa applicazione degli artt. 233, 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 221, comma 4, della legge 17 luglio 2020, n. 77 -di conversione del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, anche in riferimento al protocollo (Allegato 1) delle Udienze virtuali e con trattazione scritta (allegato 2, p. 6), valido per tutto il territorio nazionale trasmesso al CNF dal CSM, e degli artt. 2697 e 2736 c.c., con omessa valutazione di circostanze determinanti, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. per avere dichiarato inammissibile il chiesto giuramento decisorio sulla considerazione che la relativa istanza, già formulata in primo grado ed in appello, non sarebbe stata ribadita in sede di precisazione delle conclusioni ››.
Si duole che i giudici d’appello abbiano ritenuto ‘abbandonata’ la richiesta di giuramento decisorio, già avanzata in primo grado, sebbene avesse costituito oggetto di uno specifico motivo di gravame e fosse stata successivamente ribadita in sede di precisazione delle conclusioni, nel verbale di udienza a trattazione scritta, in conformità alla normativa vigente durante la pandemia di Coronavirus, nella comparsa conclusionale e nella successiva memoria di replica.
2.1. Il motivo è inammissibile, anche se la motivazione della sentenza deve essere corretta, ai sens i dell’art. 384 cod. proc. civ., nei termini che di seguito si precisano.
2.2. Si evince dal contenuto del verbale di udienza a trattazione scritta, riportato in ricorso nel rispetto della prescrizione di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc civ., che effettivamente l’odierno ricorrente nel precisare le conclusioni in grado di appello, aveva fatto
espresso riferimento al contenuto della comparsa di costituzione ed appello incidentale, nella quale aveva insistito nella richiesta di giuramento decisorio.
2.3. La Corte d’appello, nel disattendere la richiesta di giuramento decisorio, ha richiamato la sentenza n. 5741/2019 di questa Corte, secondo cui ‹‹ la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione ›› .
Tale principio, come già precisato da questa Corte con successive pronunce (Cass., sez. 2, 10/11/2021, n. 33103), nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata sull’effettività del diritto di difesa (artt. 24 e 111 Cost.), deve essere coordinato con gli altri principi, pure rinvenibili nella giurisprudenza di legittimità in tema di interpretazione del contegno processuale del difensore in sede di precisazione delle conclusioni, ed in particolare con quello secondo cui, quando la causa viene trattenuta in decisione senza che il giudice istruttore si sia pronunciato espressamente sulle istanze istruttorie avanzate dalle parti, il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le dette istanze istruttorie, non consente al decidente di ritenerle abbandonate, ove la volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco (cfr. Cass., sez. 1, 19/02/2021, n. 4487) ; ciò comporta che il tema della presunzione di rinuncia/abbandono delle domande o eccezioni non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni deve essere risolto nel senso di una ricerca ricostruttiva dell’effettiva volontà della parte.
Ebbene, nel caso de quo , tale verifica non è stata svolta dal giudice di appello, che si è limitato a rilevare la mancanza di una
specifica reiterazione dell’istanza istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni, prescindendo da una doverosa indagine volta ad accertare se, effettivamente, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo emergesse una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l’esame degli scritti difensivi quali la comparsa di costituzione e poi la comparsa conclusionale e la comparsa di replica.
Va, tuttavia, rilevato che, anche se la condotta processuale dell’odierno ricorrente, evincibile dagli scritti difensivi depositati in grado di appello, lasciasse ritenere la volontà di riproporre la richiesta di giuramento decisorio anche in sede di precisazione delle conclusioni, ciò non toglie che l’istanza istruttoria di cui si lamenta la mancata ammissione, per le ragioni già sopra esposte con riguardo al primo motivo, non fosse decisiva ai fini della valutazione della domanda risarcitoria avanzata dall’odierno ricorrente . Ne discende, previa correzione della motivazione della sentenza, l’inammissibilità del motivo in esame, che resta del tutto inconferente, per essere il giudice del merito, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (v. ex multis , Cass. 17/11/1999, n. 12753; Cass., sez. 6 -3, 28/05/2019, n. 14476).
Con il terzo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per ‹‹violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. nel testo vigente ratione temporis , con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. per non avere considerato che non fosse possibile procedere alla compensazione delle spese nel rapporto intercorrente tra il ricorrente e la resistente sig.ra COGNOME NOME, rimasta soccombente nei riguardi del ricorrente medesimo, in mancanza di una esposizione, anche e concisa, delle ragioni di fatto e di diritto giustificative di una
tale compensazione ›› .
Contesta alla Corte di appello di essere pervenuta alla compensazione delle spese di lite tra le parti appellanti senza tenere conto che tutte le domande proposte dalla COGNOME nei suoi confronti con l’appello principale erano state respinte e che l’appello incidentale non riguardava la posizione della COGNOME, ma piuttosto quelle dei RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ., nel testo ratione temporis applicabile, ‹‹ se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti ›› .
La Corte territoriale ha disposto la compensazione delle spese di lite nel rapporto processuale tra l’odierno ricorrente e la COGNOME in ragione della rilevata soccombenza reciproca delle parti, essendo stato respinto non solo l’appello principale proposto dalla COGNOME, ma anche quello incidentale con cui il COGNOME aveva insistito per l’accoglimento delle domande riconvenzionali, già spiegate in primo grado, non solo nei confronti dei COGNOME, ma anche nei confronti della originaria parte attrice.
L’inammissibilità ed infondatezza dei motivi impone il rigetto del ricorso.
Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva in questa sede.
Considerato che la presente decisione è sostanzialmente conforme alla proposta di definizione accelerata (v. Cass., sez. U, 27/12/2023, n. 36069) e che la trattazione del procedimento è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, cod. proc.
civ. a seguito di proposta di inammissibilità, la Corte deve applicare il quarto comma dell’articolo 96, come testualmente previsto dal citato art. 380bis cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 27/09/2023, n.27433).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, ai sensi del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione