Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9293 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9293 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/04/2024
Oggetto: marchi di fatto –
cessione di azienda
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30039/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentate e difese da ll’ AVV_NOTAIO
– ricorrente, controricorrente in via incidentale contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso l’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrenti, ricorrenti in via incidentale – avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3032/2022, depositata il 30 settembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata il 30 settembre 2022, che, in riforma della sentenza del locale Tribunale: i) ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in favore dei giudici di Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, in relazione alla domanda di nullità del marchio internazionale «GIRO D ‘I TALIA» n. 617693 di titolarità della RAGIONE_SOCIALE; ii) ha dichiarato la nullità per mancanza di novità dei marchi nn. 595331, NUMERO_DOCUMENTO, NUMERO_DOCUMENTO, CODICE_FISCALE, CODICE_FISCALE, 654577 e 654578 di titolarità de RAGIONE_SOCIALE; iii) ha respinto le domande di contraffazione di marchi e di risarcimento dei danni da quest ‘ultima avanzate, oltre che le altre domande di contraffazione di marchi avanzate dalle odierne controricorrenti;
-dall’esame della sentenza impugnata si evince che il giudizio traeva origine dalla proposizione da parte de RAGIONE_SOCIALE, proprietaria dell ‘omonima testata giornalistica e originaria RAGIONE_SOCIALE del giornale, di un’azione di nullità dei marchi depositati a partire dall’inizio degli anni ’80 dalla RAGIONE_SOCIALE, dante causa della RAGIONE_SOCIALE e già affittuaria della azienda editoriale dell’attrice , relativi alle denominazioni delle competizioni sportive « Giro d’Italia », «Giro della Lombardia» e «Milano -Sanremo», fondata sull’assenza di novità di tali segni, avuto riguardo alla preesistenza di marchi di fatto nella titolarità dell ‘ attrice, di una domanda di assegnazione dei nomi a dominio relativi a tali competizioni registrati dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla controllata RAGIONE_SOCIALE, quale soggetto organizzatore dei predetti eventi sportivi, e di domande di risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale e extracontrattuale;
la Corte di appello ha riferito che queste ultime RAGIONE_SOCIALE, convenute in giudizio, avevano chiesto il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, la declaratoria di carenza di giurisdizione del giudice nazionale relativamente ad alcuni dei marchi in contestazione e di
nullità di dodici marchi registrati dall’attrice , simili a marchi già registrati dalle convenute, per difetto di novità o per non uso;
ha dato atto che il giudice di primo grado aveva respinto tutte le domande osservando che: non poteva esaminarsi la questione di giurisdizione prospettata dalle convenute in quanto relativa a marchi non oggetto di domande proposte in via principale; era inammissibile la domanda dell’attrice proposta in reconventio reconventionis di accertamento della nullità del contratto di cessione dell’azienda editoriale, in quanto tale contratto non era stato interessato dalla domanda riconvenzionale; l’attrice non era titolare dei vantati marchi di fatto, non essendo ideatrice, né organizzatrice delle competizioni ciclistiche cui gli stessi inerivano; quanto alle reciproche domande di nullità dei marchi registrati, sussisteva un accordo di coesistenza tra le parti; era insussistente il dedotto inadempimento delle convenute di «mantenere e curare» le competizioni ciclistiche « Giro d’Italia », «Giro della Lombardia» e «Milano -Sanremo»; la registrazione dei nomi a dominio da parte di queste ultime era avvenuto in esecuzione di accordi contrattuali, per cui non poteva darsi corso al richiesto trasferimento degli stessi;
ha, quindi: in accoglimento del gravame della RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE sul punto, dichiarato la carenza di giurisdizione del giudice italiano con (solo) riferimento alla domanda che interessava il marchio internazionale n. 617693, in quanto designante la Francia e il Benelux, ritenendo per il resto infondata l’eccezione ; escluso l’esistenza di un accordo di coesistenza di marchi; accertato che le competizioni «Giro d’Italia», «Giro della Lombardia» e «Milano Sanremo» erano state ideate e a lungo organizzate da RAGIONE_SOCIALE e che la RAGIONE_SOCIALE aveva iniziato a organizzare tali competizioni solo a seguito d ell’affitto dell’azienda editoriale de RAGIONE_SOCIALE del 1972; i marchi di fatto relativi a tali competizioni erano tutelabili ai sensi dell’art. 12 cod. prop. ind., in
quanto aventi una notorietà non solo locale sin da epoca antecedente il 1986, anno in cui tali segni distintivi erano stati ceduti da RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE nell’ambito della cessione di un complesso aziendale di cui gli stessi facevano parte; i marchi registrati da RAGIONE_SOCIALE successivamente al 1986 -nn. 595331, NUMERO_DOCUMENTO, NUMERO_DOCUMENTO, NUMERO_DOCUMENTO, NUMERO_DOCUMENTO), NUMERO_DOCUMENTO e NUMERO_DOCUMENTO -erano nulli per difetto di novità, in quanto identici o comunque simili ai marchi della RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, mentre a opposte conclusioni doveva pervenirsi con riferimento ai marchi nn. 2017000046269, 1583947, 1588595 1520152 e NUMERO_DOCUMENTO (UE), in quanto caratterizzati da elementi idonei a differenziarli da quelli registrati da queste ultime RAGIONE_SOCIALE; erano insussistenti i diritti vantati dalla odierna ricorrente alla riassegnazione dei nomi a dominio, poiché le relative assegnazioni erano avvenute successivamente alla cessione dei segni distintivi; non poteva accogliersi la domanda risarcitoria avanzata da RAGIONE_SOCIALE per i danni derivanti dalle registrazioni dei marchi effettuate in epoca antecedente alla cessione del complesso aziendale e dal loro uso -ritenuta, peraltro, «assolutamente generica» -, giacché le censurate condotte erano state poste in essere dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE in adempimento degli obblighi contrattualmente assunti in sede di stipula del contratto di affitto di azienda con la La RAGIONE_SOCIALE di «mantenere e curare» le competizioni in oggetto e, comunque, il loro utilizzo era avvenuto solo in epoca successiva al 1986;
il ricorso è affidato a quindici motivi;
resistono, con un unico controricorso, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, le quali propongono, altresì, ricorso incidentale condizionato, affidato a otto motivi;
.1 cod. proc. civ.;
-le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis CONSIDERATO CHE:
– con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324, 325, 326, 329, 342, 345, 346 e 358 cod. proc. civ., nonché la violazione del giudicato interno, per aver la Corte di appello accolto l’eccezione d ella RAGIONE_SOCIALE di aver acquistato i marchi di fatto unitamente all’azienda per effetto del contratto del 1986, benché sulla questione il Tribunale si era espresso in senso contrario e su tale statuizione si fosse formato il giudicato interno in assenza di una specifica e tempestiva impugnativa, non essendo sufficiente la mera riproposizione della stessa effettuata dall’appellante principale ex art. 346 cod. proc. civ.;
– si riferisce, in particolare, che le convenute avevano resistito alla domanda attrice con la quale si chiedeva l’accertamento che essa era titolare esclusiva dei marchi in contestazione, sostenendo, in via principale, l’assoluta inesistenza -anche per asserita mancanza di idonea prova -di qualsiasi diritto -anche di proprietà industriale -de RAGIONE_SOCIALE in relazione alle manifestazioni sportive per cui è causa e, in via subordinata, che ove fossero stati ritenuti esistenti ed appartenenti all’attrice diritti di fatto (marchi di fatto) corrispondenti alle denominazioni di tali manifestazioni sportive, tali diritti (marchi di fatto) avrebbero dovuto ritenersi ceduti ex art. 2573 cod. civ. alla RAGIONE_SOCIALE, dante causa della RAGIONE_SOCIALE, unitamente all’azienda editoriale per effetto di quanto previsto all’art. 2 della scrittura privata del 18 marzo 1986;
– si evidenzia che il giudice di primo grado, nel respingere tutte le domande proposte in via principale e incidentale, aveva accertato che i marchi di fatto indicati dalla attrice non facevano parte dell’azienda affittata (e poi asseritamente ceduta) e tale accertamento non era stato messo in discussione con l’appello proposto, per cui sulla relativa statuizione si era formato un giudicato interno che non consentiva al giudice di secondo grado il riesame della stessa, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera riproposizione della questione effettuata
dall ‘appellante ex art. 346 cod. proc. civ.;
il motivo è infondato;
la doglianza muove dal presupposto che il Tribunale avrebbe accertato, in due distinti passaggi motivazionali, che i marchi di fatto vantati dalla ricorrente non sarebbe stati oggetto del contratto di affitto concluso tra la medesima e la RAGIONE_SOCIALE nel 1972 e argomenta che, in difetto di una contestazione di siffatto accertamento con motivo di appello, il giudice di secondo grado non avrebbe potuto procedere al riesame RAGIONE_SOCIALE stesso e, dunque, non avrebbe potuto affermare che, invece, i diritti relativi a tali marchi rientrassero nel complesso aziendale affittato e, successivamente, ceduto alla RAGIONE_SOCIALE;
orbene, va rilevato che tali passaggi si rinvengono all’interno della parte della motivazione con cui il Tribunale dà contezza delle ragioni per cui ritiene che la RAGIONE_SOCIALE non fosse titolare dei marchi di fatto vantati, ritenendo carente la prova della dedotta qualità di organizzatore delle manifestazioni sportive cui tali segni si riferivano; – il primo di tali passaggi evidenzia, tra le altre circostanze che depongono per la conclusione raggiunta sul punto, che «con il contratto d’affitto d’azienda del 21.7.1972 … tra la RAGIONE_SOCIALE attrice e RAGIONE_SOCIALE, l’azienda affittata viene descritta come ‘costituita dalla testata del giornale quotidiano ‘La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, dalla testata del settimanale ‘La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEiva’, nonché dagli impianti, mobili ed archivio descrit ti nell’inventario che, sottoscritto dalle parti, viene allegato alla presente scrittura, della quale fa parte integrante, sotto la lettera ‘A”. Non viene fatto alcun cenno ai marchi per cui è causa ‘Giro di Lombardia’, ‘Milano -Sanremo’, ‘Giro d’Italia’ potendosi desumere alternativamente, dalla circostanza, che tali marchi -all’epoc a ancora non oggetto delle registrazioni dedotte in causa -non fossero nella titolarità di RAGIONE_SOCIALE, ovvero che gli stessi non fossero comunque parte del compendio aziendale affittato»;
come può agevolmente desumersi dalla lettura del riferito passaggio
argomentativo, il Tribunale non compie un puntuale accertamento in ordine al fatto che le parti avevano voluto escludere i segni in contestazione dal compendio aziendale concesso in affitto, limitandosi a esprimere in via alternativa che due sole erano le possibili conseguenze dalla mancata menzione degli stessi nel contratto di affitto: o che gli stessi non sussistessero, tesi che dalla lettura dell’intera sentenza di primo grado il Tribunale mostra di ritenere maggiormente plausibile, o che gli stessi, pur sussistenti, non facessero parte del compendio aziendale;
analoghe considerazioni possono trarsi che con riferimento al secondo passaggio in cui, a conclusione del ragionamento svolto sulla questione, afferma che «Per le ragioni sopra esposte non trova nel caso applicazione il disposto dell’art. 2573 cod. civ., non essendovi elementi per ritenere che i marchi in contestazione appartenessero all’azienda editoriale concessa in affitto»;
tale affermazione, da leggersi in relazione a quanto accertato in precedenza, nonché alla difesa di parte convenuta, basata, in via subordinata, sull’acquisto dei marchi quale effetto del dedotto acquisto del complesso aziendale cui gli stessi pertenevano, va intesa nel senso che l’insussistenza di diritti de RAGIONE_SOCIALE sui marchi di fatti vantati non consentiva di ritenere che gli stessi facessero parte del complesso aziendale il quale, secondo la tesi delle convenute, sarebbe stato nel 1972 affittato alla RAGIONE_SOCIALE e, quindi, nel 1986 a questa ceduto;
in proposito, si osserva, in primo luogo, che l’a ffermazione della Corte di appello non è astrattamente idonea ad acquisire autorità di cosa giudicata non riferendosi a una domanda giudiziale oggetto della sua pronuncia ovvero ad accertamenti di fatto che ne abbiano rappresentato le premesse necessarie ed il fondamento logicogiuridico, quanto piuttosto a un effetto dipendente da un tale accertamento di fatto;
in secondo luogo, il giudicato interno può verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame, perché fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno (cfr. Cass. 29 aprile 2006, n. 10043; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20143) e non anche qualora, come nel caso in esame, la decisione è dipendente da quella interessata dall’appello;
il giudicato interno si determina, infatti, su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione -nella specie, l’assenza di titolarità de RAGIONE_SOCIALE sui segni vantati -riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti non singolarmente interessati da motivi di gravame;
– in ogni caso, la Corte di appello ha dato atto che le parti appellanti incidentali aveva proposto «tempestiva impugnazione» sulla questione, così riqualificando la dichiarata riproposizione della stessa, e tale operato si presenta immune da vizi, atteso che, in tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado e la parte comunque vittoriosa per altre ragioni ne abbia devoluto la cognizione al giudice d’appello, erroneamente indicandola come mera riproposizione e non come gravame incidentale condizionato, si può procedere alla sua riqualificazione in applicazione del principio della idoneità dell’atto al raggiungimento RAGIONE_SOCIALE scopo ai sensi dell’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 3 novembre 2020, n. 24456);
con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 345, secondo comma, cod. proc. civ. per aver il giudice di appello posto a fondamento della decisione di rigetto delle domande de RAGIONE_SOCIALE una circostanza, consistente nella inclusione dei marchi di fatto delle manifestazioni sportive tra i beni costituenti l’azienda affittata nel 1972 a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che non era mai stata allegata da alcuna delle parti;
il motivo è infondato;
la Corte di appello è pervenuta al contestato accertamento in occasione dell’esame delle clausole del contratto del 1986, dalla stessa interpretato nel senso che aveva determinato la cessione dei marchi di fatto di titolarità de RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, poiché la relativa clausola contrattuale (art. 2) rimandava, quanto all’individuazione dei beni ceduti, al complesso aziendale oggetto del contratto di affitto del 1972;
la riproposizione da parte della RAGIONE_SOCIALE della questione relativa all’acquisto di tali marchi per effetto dell’accordo del 1986 attiva indirettamente il potere del giudice anche di sindacare gli effetti dell’affitto di azienda del 1972, in quanto espressamente richiamato e, dunque, parte integrante del l’accordo in esame;
con il terzo motivo la ricorrente principale si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 111 Cost., in relazione alla asserita apparente motivazione della sentenza impugnata sul punto della contestata validità della cessione di azienda;
il motivo è infondato;
la Corte di appello ha, sul punto, osservato che « sebbene l’art. 2 del contratto di cessione d’azienda tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (all’epoca NES) reciti che essa viene ceduta senza che la RAGIONE_SOCIALE acquirente ‘sia tenuta al pagamento di corrispettivi e indennizzi di sorta’, il contratto in esame non può dirsi nullo, infatti, la clausola appena citata fa parte di una ben più ampia operazione negoziale,
caratterizzata da reciproche concessioni avvenute tra le parti. Si noti, ad esempio, che all’art. 5 del medesimo accordo è pattuito un compenso per la locazione di due testate giornalistiche, a testimonianza di come dal contratto in esame discendano reciproche obbligazioni per le parti, le quali non devono essere considerate isolatamente, ma come parte di un unico meccanismo negoziale»;
una siffatta argomentazione, seppur sintetica, consente di individuare l’ iter argomentativo seguito dal giudice e, per tale ragione, non è affetta dal vizio denunciato;
con il quarto motivo la ricorrente principale lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1325, 1346, 1418 e 1470 cod. civ., nonché la violazione dei principî generali in tema di qualificazione del contratto e di collegamento negoziale, per aver la Corte di appello omesso di considerare che in presenza di una scrittura privata contenente più contratti collegati tra loro (cessione di azienda, locazione di due testate giornalistiche) la cessione di azienda, pattuita all’art. 2 della scrittura del 18 marzo 1986 senza corrispettivo a favore della cedente, andava indagata separatamente e la mancanza di un elemento essenziale del contratto, rappresentato dal corrispettivo, ne determinava la nullità;
il motivo è inammissibile;
la doglianza muove da un presupposto fattuale, rappresentato dall’esistenza di un collegamento negoziale di cui non vi è riscontro nella sentenza impugnata, la quale, sul punto, evidenzia che dal l’accordo del 1986, espressivo di «una ben ampia operazione negoziale, caratterizzata da reciproche concessioni avvenuta tra le parti … discendono reciproche obbligazioni per le parti, le quali non devono essere considerate isolatamente, ma come parte di un unico meccanismo negoziale»;
-il giudice di appello ha, dunque, ritenuto che l’accordo presentasse carattere unitario sotto il profilo causale, escludendo, sia pure
implicitamente, che lo stesso desse luogo a diversi contratti autonomi, collegati tra loro;
sul punto, deve osservarsi che la sussistenza di un collegamento negoziale tra due negozi giuridici , così come l’accertamento della sua natura, entità, modalità e conseguenze è riservato al giudice di merito e non può essere sindacato in questa sede con riferimento al paradigma della violazione o falsa applicazione di legge (cfr. Cass. 12 settembre 2018, n. 22216; Cass. 7 agosto 2018, n. 20634; Cass. 22 settembre 2016, n. 18585);
con il quinto motivo la ricorrente principale critica la sentenza impugnata per la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1325 e 1418 cod. civ., laddove intesa nel senso che ha riqualificato la scrittura del 18 marzo 1986 quale nuovo ed autonomo contratto atipico, ossia di cessione di azienda senza corrispettivo, per aver operato tale riqualificazione, benché non consentita, e per aver omesso di individuare il titolo giustificativo del trasferimento dell’azienda e la causa giustificatrice della relativa attribuzione patrimoniale, nonché per aver omesso di verificarne la meritevolezza degli interessi perseguiti;
con il sesto motivo censura la sentenza di appello per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 782 c od. civ., laddove intesa nel senso che ha qualificato il trasferimento dell’azienda editoriale quale donazione di azienda, per aver omesso di rilevarne la nulla per difetto della forma solenne;
i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
le doglianze muovono da presupposti, consistenti, rispettivamente, nella qualificazione del contratto in termini di contratto atipico di cessione di azienda senza corrispettivo e di donazione di azienda, che non trovano conferma nella sentenza impugnata, la quale, anzi, ha escluso il carattere gratuito RAGIONE_SOCIALE stesso;
orbene, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che
essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, dive rsamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
le censure non rispettano tale limite;
con il settimo motivo la ricorrente principale prospetta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti cod. civ., per aver la Corte di Appello arrestato la propria indagine alla rilevazione del senso letterale d ell’accordo del 1986 esclu dendo che la clausola secondo la quale «le competizioni ciclistiche in esame restano di titolarità di quest’ultima » (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, n.d.r.) fosse espressiva della volontà delle parti di riservare a quest’ultima i marchi relativi a tali competizioni;
-sottolinea, in proposito, l’omess a considerazione del comportamento successivo delle parti, le quali, con contratto concluso nel 2015, si erano date atto che l’organizzazione delle manifestazioni sportive da parte di RAGIONE_SOCIALE avveniva «per conto» della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
evidenzia, inoltre, che la Corte di appello, nell’escludere che la menzionata clausola del contratto del 1986 che riservava a RAGIONE_SOCIALE la titolarità delle manifestazioni sportive, avesse qualche effetto, ha violato l’art. 1367 c od. civ. secondo il quale, nel dubbio, si impone l’interpretazione della clausola nel senso che possa avere qualche effetto, anziché quella secondo cui non ne avrebbe alcuno;
il motivo è inammissibile;
la Corte di appello ha, sul punto, disatteso l’interpretazione della controversa clausola contrattuale offerta da RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE evidenziando, in primo luogo, che il termine «titolarità» non era espressamente e tecnicamente riferito ai marchi in esame, ma più genericamente alle competizioni a cui essi si riferiscono e, in secondo luogo, che una «competizione sportiva» non poteva essere oggetto di proprietà nel nostro ordinamento giuridico, ritenendo aderente alla volontà delle parti, oltre che maggiormente coerente con l’ordinamento, interpretare l’espressione in oggetto come un riconoscimento della paternità delle competizioni in capo a RAGIONE_SOCIALE e che una siffatta interpretazione era sostenuta sia da ragioni di ordine logico, non avendo una grande utilità pratica cedere l’azienda tramite la quale è possibile organizzare una determinata competizione senza cedere contestualmente i marchi che ad essa si riferiscono, sia dalle effettive modalità di organizzazione delle competizioni in esame -mai contestate per oltre trenta anni da RAGIONE_SOCIALE -, avuto riguardo al fatto che le controricorrenti avevano sempre organizzato le competizioni in esame associandole al quotidiano ‘La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ e, dunque, alla RAGIONE_SOCIALE che le ha ideate;
– ha, dunque, interpretato la controversa clausola contrattuale alla luce dei criteri ermeneutici dedotti dalla ricorrente, ossia la comune intenzione delle parti, così come obiettivizzata nel testo del documento sottoscritto e nel comportamento esecutivo RAGIONE_SOCIALE stesso posto in essere dalle parti, e il criterio della conservazione del contratto;
– orbene, va rammentato che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, per cui il ricorrente per cassazione che faccia valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale
modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (cfr. Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319;);
la doglianza in esame non assolve a un siffatto onere, risolvendosi nella contestazione dell’esito del processo interpretativo cui è pervenuta la sentenza impugnata;
può, inoltre, osservarsi, quanto al l’evocato criterio di cui all’art. 1367 cod. civ., che i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. sono governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativiintegrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti (cfr. Cass. 15 luglio 2016, n. 14432);
-con l’ottavo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 810 e 832 cod. civ., 8, terzo comma, cod. prop. ind. e 3 d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 9, per aver la sentenza impugnata escluso che una «competizione sportiva» potesse essere oggetto di diritti nel nostro ordinamento;
il motivo è inammissibile;
anche tale doglianza si risolve nella critica all’attività interpretativa della Corte di appello, la quale ha ritenuto che le parti, nel prevedere il mantenimento della titolarità delle competizioni sportive in capo a RAGIONE_SOCIALE, abbia no inteso riconoscere a quest’ultima la paternità di tali competizioni;
come riferito in precedenza, una siffatta critica non è consentita in questa sede, in relazione all’ evocato paradigma della violazione o falsa applicazione della legge, investendo un accertamento riservato al giudice di merito;
può, comunque, osservarsi che le richiamate disposizioni di legge non
prendono in esame quale oggetto dei diritti dalle medesime riconosciuti le «competizioni sportive», quanto piuttosto le utilità derivanti dalla loro gestione o i segni alle stesse associati;
con il nono motivo la ricorrente principale deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. 17, n. 2, e 47 r.d. 21 giugno 1942, n. 929, per aver la Corte di appello escluso che costituisca un abuso, contrario agli obblighi di buona fede e correttezza nella esecuzione del contratto, la registrazione a nome della affittuaria di una azienda dei marchi di fatto appartenenti alla RAGIONE_SOCIALE affittante;
-con tale motivo lamenta, altresì, l’omessa rilevazione da parte della Corte territoriale della mancanza di novità dei marchi registrati da RAGIONE_SOCIALE in costanza di affitto di azienda, da valutarsi alla data di deposito della domanda e non alla data di registrazione, e della loro notorietà;
con il decimo motivo la ricorrente principale allega la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. in relazione al ritenuto diritto del l’affittuario di una azienda di registrare a suo nome i marchi di fatto di titolarità dell’affittante ;
-con l’undicesimo motivo la ricorrente principale deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 233 cod. prop. ind., 17, primo comma, prima parte, e n. 2, 47, n. 1, e 59 r.d. n. 929 del 1942, per aver la Corte di Appello disatteso le domande di nullità dalla medesima formulate nei riguardi dei marchi registrati da RAGIONE_SOCIALE (dante causa di RAGIONE_SOCIALE) nel 1986 (su domande del 1981 e 1983) per assenza di novità sull’erroneo presupposto che essa non era titolare di alcun segno distintivo anteriore alle registrazioni dei marchi, omettendo di considerare che con riferimento a tali marchi chiunque poteva farne valere la nullità in quanto registrati in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480;
con il dodicesimo motivo di ricorso la ricorrente principale fa valere la violazione e/o falsa applicazione delle medesime disposizioni di legge
in relazione alla ritenuta validità dei marchi depositati da RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) nel 1981 e nel 1983, benché alla data del deposito della domanda fossero già noti come marchi (anche di fatto) usati da altri;
i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
la Corte di appello ha giustificato la presentazione da parte di RAGIONE_SOCIALE, in epoca antecedente al 1986, di domande di registrazione dei marchi corrispondenti ai marchi di fatti vantati da RAGIONE_SOCIALE con l’argomento che la RAGIONE_SOCIALE aveva «tutto il diritto -se non addirittura l’obbligo, stante l’obbligazione da essa assunta di organizzare al meglio le corse in esame -di registrare i segni distintivi a lei concessi temporaneamente per garantire ad essi maggiore stabilità e certezza»; – nessuno dei motivi in esame, tranne il decimo, si confronta con tale ratio decidendi , difettando, dunque, della necessaria concludenza;
il decimo motivo contesta, invece, tale ratio , negando l’esistenza di una norma o di un principio generale che consenta all’affittuario di registrare a suo nome i marchi di fatto dell’affittante;
tale motivo aggredisce solo apparentemente la ratio decidendi , in quanto omette di considerare che il diritto alla registrazione dei marchi è stato riconosciuto dalla sentenza di appello non già in forza di una norma di diritto, quanto de ll’accordo contrattuale con cui è stata affidata a RAGIONE_SOCIALE la gestione delle competizioni sportive cui tali marchi si riferivano;
con il tredicesimo motivo la ricorrente principale si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21, terzo comma, r.d. n. 929 del 1942, e 8, terzo comma, cod. prop. ind., per aver la Corte di Appello ritenuto legittime le registrazioni dei nomi a dominio effettuate da RAGIONE_SOCIALE benché relativi a marchi di fatto che, in ragione della nullità del contratto di cessione d’azienda, non erano stati a questa ceduti e rientravano, dunque, nella disponibilità di essa ricorrente principale;
il motivo è inammissibile;
anche questa censura, così come quelle articolate con il quinto e il
sesto motivo, muove da un presupposto, consistente nella nullità del contratto di cessione dell’azienda , che il giudice di appello ha espressamente smentito, per cui, non rispettando l’accertamento operato nella sentenza, si risolve nella prospettazione di tesi interpretative prive di attinenza rispetto alla statuizione aggredita;
con il quattordicesimo motivo la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 278 e 279 cod. proc. civ. nella parte in cui ritiene ha ritenuto che la domanda di condanna generica al risarcimento del danno non potesse essere accolta perché priva di alcuna specifica indicazione relativamente al danno subito ed alla gravità RAGIONE_SOCIALE stesso;
con il quindicesimo motivo del ricorso principale si critica la sentenza di appello per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, secondo comma, r.d. n. 929 del 1942 nella parte in cui ha affermato che le dedotte condotte della RAGIONE_SOCIALE non erano idonee a generare alcun danno perché quest’ultima avrebbe goduto delle contestate registrazioni dei marchi solamente nel momento in cui tali marchi sarebbero stati alla stessa trasferiti;
si evidenzia, sul punto, che i marchi erano stati registrati nel 1986, in relazione a domande depositate in data 7 agosto 1981 e 15 giugno 1983, e, dunque, ben prima della data (18 marzo 1986) in cui sarebbe avvenuta la cessione di azienda e il trasferimento dei marchi di fatto in capo alla presunta cessionaria RCS;
questi ultimi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, aggredendo la medesima statuizione, e sono inammissibili;
la Corte di appello ha disatteso il motivo di gravame articolato da RAGIONE_SOCIALE sul fondamento di distinte rationes decidendi , consistenti: la prima, nella considerazione che non sussistevano gli estremi dell’invocata fattispecie risarcitoria atteso che le registrazioni dei marchi erano valide, poiché effettuate solo per poter
adempiere al meglio l’obbligazione, contrattualmente assunta della RAGIONE_SOCIALE, di «mantenere e curare» le competizioni ciclistiche in questione; la seconda, nella constatazione che la domanda era generica poiché priva di «alcune indicazione specifica relativamente al danno subito e alla gravità RAGIONE_SOCIALE stesso, né per quanto riguarda l’aspetto contrattuale, né ai sensi dell’art. 2043 c.c. »; la terza, nel fatto che la RAGIONE_SOCIALE aveva goduto dei marchi in contestazione solo dopo la loro registrazione e, dunque, dopo il 1986, anno in cui era intervenuto il loro acquisto con la cessione dell’azienda; – le censure in esame aggrediscono solo la seconda e la terza ratio decidendi , omettendosi di confrontarsi con la prima;
la mancata impugnazione di tale ratio non consente, dunque, di esaminare le doglianze prospettate con riferimento alle altre rationes , il cui accoglimento non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza stante la definitività dell’autonoma motivazione non aggredita (così, Cass. 14 agosto 2020, n. 17182; Cass. 18 aprile 2019, n. 10815; Cass. 27 luglio 2017, n. 18641);
pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso principale non può essere accolto;
conseguentemente, va dichiarato assorbito il ricorso incidentale proposto solo in via subordinata;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato; condanna parte ricorrente principale alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 15.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 5 marzo 2024.