Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20868 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20868 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24058/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 236/2021 depositata il 13/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 230/2016, accoglieva l’opposizione al decreto n. 92/2010 con cui era stato ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento di euro 20.970,62, di cui euro 13.221,33 per sorte residua (rispetto al maggior importo di euro 75.047,97) ed euro 7.057,38 per interessi, da RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti relativi all’erogazione di prestazioni sanitarie e di riabilitazione vantati dalla RAGIONE_SOCIALE, non essendo stata la cessione accettata dalla RAGIONE_SOCIALE Abruzzo RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE, ai sensi degli artt. 69 e 70 rd. n. 2440/1923.
La Corte d’appello di L’aquila, all’esito del giudizio di appello promosso da RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 236/2021, depositata il 13/02/2021, ha rigettato l’impugnazione e confermato la pronuncia del Tribunale.
In particolare, ha ritenuto che: i) essendo stato previsto dall’art. 13 della convenzione inter partes che la eventuale cessione dei crediti avrebbe dovuto essere accettata dalla RAGIONE_SOCIALE Abruzzo, ai sensi degli artt. 69 e 70 r.d. n. 2240/1923, era irrilevante se detta normativa potesse trovare o meno applicazione alle prestazioni sanitarie nonché se fosse o meno eccezionale rispetto all’art. 1260 cod.civ. e, quindi, insuscettibile di applicazione analogica; parimenti ha considerato priva di rilievo la circostanza che le prestazioni fossero state eseguite prima della fatturazione; ii) la questione della rinuncia implicita da parte della RAGIONE_SOCIALE ad avvalersi della previsione di cui all’art. 13, desumibile dal fatto che successivamente alla notifica delle cessioni, aveva provveduto a corrispondere alla cessionaria acconti per un ammontare di euro
61.826,64, era stata dedotta per la prima volta in appello; iii) era da escludersi l’applicazione dell’art. 1379 cod.civ., controvertendosi non già di un divieto di alienare, bensì di una condizione cui l’alienazione era stata sottoposta, e che il divieto di trasferire il credito a terzi senza autorizzazione soddisfaceva l’esigenza di evitare che durante l’esecuzione del contratto venissero meno i mezzi finanziari all’obbligato alla prestazione nei confronti della PRAGIONE_SOCIALE.; iv) essendo la RAGIONE_SOCIALE parte contrattuale, avendo sottoscritto la convenzione con cui era stata disciplinata l’erogazione di un servizio pubblico per conto del RAGIONE_SOCIALE, frutto di una specifica trattativa pubblica priva dei caratteri della vessatorietà, non poteva essere accolta l’eccezione di nullità della clausola n. 13, derivante dal fatto che l’accettazione della cessione dovesse provenire da un terzo estraneo al contratto, con la conseguente opponibilità delle cessioni alla RAGIONE_SOCIALE appellata.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, avvalendosi di quattro motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo , ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., è dedotta la violazione dell’art. 70 r.d. 2440/1923, dell’art. 1260 cod.civ. e dell’art. 1362 cod.civ.; inoltre, ex art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ., è denunciata la violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 115, dell’art. 167, dell’art. 183, dell’art. 345 cod. proc. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha giudicato inammissibile il primo motivo di impugnazione , perché era stata dedotta per la prima volta in appello che la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, avendo provveduto a corrisponderle numerosi acconti per
un ammontare complessivo di euro 61.826,64 successivamente alla notifica delle cessioni di credito, aveva implicitamente rinunciato ad avvalersi della clausola contrattuale, dimostrando di aver accettato le cessioni, e perché non era stato considerato che l’accettazione richiesta era quella della RAGIONE_SOCIALE Abruzzo, parte della convenzione, da essa sottoscritta.
La deducente sostiene che, sin dal ricorso per decreto ingiuntivo, aveva precisato che la RAGIONE_SOCIALE, dopo la notifica delle cessioni, aveva effettuato pagamenti in acconto per l’importo di euro 61.826,64, che detta circostanza non era stata contestata dalla RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, che aveva riproposto in appello la questione, adducendo che da ciò poteva desumersi l’avvenuta adesione della RAGIONE_SOCIALE al trasferimento dei crediti, proprio perché il pagamento avrebbe potuto essere eseguito dalla RAGIONE_SOCIALE solo previa accettazione della cessione da parte della RAGIONE_SOCIALE; aggiunge che, mentre per la cessione del credito, gli artt. 69 e 70 r.d. n. 2440/1923, e, in generale, le altre disposizioni del nostro ordinamento – art. 1260 cod.civ., la legge n. 130/1999 – prevedono dei precisi adempimenti e formalità onde rendere opponibile la cessione al debitore ceduto, non risulta esservi pari previsione procedimentale per la sua accettazione; di conseguenza, l’accettazione richiesta dall’art. 13 del contratto in oggetto avrebbe potuto essere data in qualsiasi modo e desumersi anche da fatti concludenti, quali l’adempimento parziale.
In aggiunta, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile (e x art. 360, 1° comma n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 115, all’art. 167, all’art. 183 ed all’art. 345 cod. proc. civ) la proposizione di detta allegazione, trattandosi di una mera difesa sollevata in contrapposizione all’eccezione di inopponibilità della cessione formulata dalla RAGIONE_SOCIALE, incorrendo nel vizio di motivazione apparente sotto tale aspetto, ovvero del tutto illogica e perplessa (art. 360, 1° comma, n. 4 in relazione agli artt.
132, co. 2 n. 4 cod. proc. civ. ed all’art. 116 cod. proc. civ), oltre che nell’erronea interpretazione del contratto in ordine alla posizione della RAGIONE_SOCIALE e all’erronea attribuzione a parte attrice di una carenza deduttiva.
Il motivo, in tutte le sue argomentazioni, è privo di pregio.
In primo luogo, va osservato che per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione; l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere Ne consegue che il motivo che non rispetti tale requisito si deve considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo (Cass., Sez. Un., 20/03/2017, n. 7074). Ora, la corte territoriale non ha negato che l’accettazione della cessione potesse essere anche deducibile da fatti concludenti, pertanto, non può esserle rimproverato di avere preteso una accettazione espressa.
Quanto alla denuncia di erronea interpretazione dell’accordo va ribadito che ‘ La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono
possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (così, tra le altre, Cass. 09/04/2021, n. 9461). Nello stesso solco, peraltro, si inserisce l’affermazione secondo cui il “motivo di ricorso per cassazione che denunci la violazione, da parte del giudice del merito, dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. deve essere formulato attraverso la puntuale e precisa enunciazione delle ragioni per le quali un dato criterio sarebbe stato erroneamente applicato, non assumendo rilievo la circostanza che nella sentenza impugnata risulti omesso l’espresso riferimento ad uno specifico criterio interpretativo legale” (Cass. 21/07/2017, n. 15350).
Il motivo non merita accoglimento nemmeno nella parte in cui lamenta l’erronea dichiarazione di inammissibilità della questione dell’implicita rinuncia della RAGIONE_SOCIALE ad avvalersi della clausola contrattuale.
Anche ammesso infatti che l’odierna ricorrente avesse dedotto una mera difesa, la quale, proprio perché tale, si sarebbe collocata al di fuori del campo di applicazione dell’art. 345, 2° comma, cod.proc.civ. – giacché non sono ammissibili in appello nuove eccezioni, al di fuori di quelle rilevabili anche d’ufficio, mentre sono proponibili le mere difese, che si differenziano dalle prime poiché con esse le parti si limitano a contestare genericamente le reciproche pretese -e sulla quale il giudice di merito sarebbe stato chiamato direttamente ad effettuare l’accertamento alla stregua degli elementi probatori forniti hinc et inde ed acquisiti al giudizio, fatto salvo in ogni caso l’eventuale giudicato formatosi sul punto, il motivo qui scrutinato non attinge efficacemente le rationes decidendi della statuizione reiettiva: da p. 7 della sentenza impugnata si evince infatti che la Corte d’appello non ha considerato, a tal fine, solo la novità della questione, ma anche il
fatto che ‘l’accettazione era richiesta alla RAGIONE_SOCIALE Abruzzo, che non è un terzo, come sostiene l’appellante, ma è parte della convenzione, da essa sottoscritta’.
In altri termini, la sentenza del giudice del merito, la quale, dopo aver individuato una prima ratio decidendi deputata alla declaratoria di inammissibilità, individui, al fine di sostenere la decisione pure nel caso in cui la prima possa risultare erronea, una ulteriore ratio decidendi non incorre né nel vizio di contraddittorietà della motivazione, né contiene, quanto alla causa petendi ulteriore, un mero obiter dictum , non suscettibile di trasformarsi nel giudicato, ma configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi , ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata; il motivo di ricorso, dovendo tendere all’annullamento del capo di sentenza in toto , cioè di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano, è inammissibile nella sua interezza, là dove una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura ovvero sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni. La mancata critica di uno degli ordini di ragioni sottesi dal capo di sentenza impugnato o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbe che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbe il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cass. 19/05/2021, n. 13595).
Specificamente, l’inammissibilità della censura volta a dimostrare l’erronea interpretazione dell’accordo inter partes condanna all’inammissibilità il motivo anche nella parte in cui ha censurato la sentenza per violazione dell’art. 345 cod.proc.civ.
È pacifico infatti che l’impugnata sentenza si è basata su una duplice ratio decidendi per rigettare il motivo di impugnazione, malgrado la ricorrente sembri degradare una delle rationes
decidendi ad un obiter dictum , ininfluente ai fini del decidere, quando osserva che ‘ il fatto saliente ai fini del decidere è che la Corte ha erroneamente negato all’appellante il diritto a rilevare la sussistenza dell’avvenuta accettazione della cessione rinvenibile dai pagamenti parziali effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE, emersi nel giudizio di primo grado, in quanto, a suo dire, questione nuova’.
Neppure ricorre il vizio motivazionale denunciato, giacché l’ iter logico-argomentativo che sta alla base della statuizione reiettiva è stato enunciato chiaramente ed esaurientemente dalla corte territoriale.
Con il secondo motivo, ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., è dedotta la violazione dell’art. 2697 cod.civ. nonché, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ., la violazione degli artt. 115, 167, 183 e 345 cod. proc. civ.
Secondo quanto prospettato, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto non soltanto allegare, ma anche dare la prova dei fatti impeditivi, e, in particolare, eccepire e provare la mancata adesione alla cessione da parte della RAGIONE_SOCIALE Abruzzo nonché dimostrare che il contratto era ancora in corso.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile, ritenendola nuova, l’eccezione con cui era stato dedotto che le prestazioni erano state tutte eseguite ed acquisite dalla RAGIONE_SOCIALE, giacché la fatturazione avveniva, come per regolamento, solo ad avvenuta dimissione dei pazienti, e che il contratto in questione non era più in corso, in quanto era cessato nel 2007.
Il motivo è inammissibile.
La censura non coglie la ratio decidendi e non individuandola non la confuta efficacemente: la Corte d’appello infatti, a p. 6, ha attribuito rilievo al fatto che la fonte che condizionava l’opponibilità della cessione dei crediti all’accettazione della RAGIONE_SOCIALE Abruzzo era l’art. 13 della convenzione; di conseguenza, ha ritenuto non
rilevante ‘la circostanza che le prestazioni sanitarie erano state eseguire prima che venisse emessa la fatturazione, il che avviene alla dimissione del paziente con la conseguenza che sarebbe fuor di luogo la previsione di un collaudo finale alla scadenza contrattuale: posto che la RAGIONE_SOCIALE non ‘collauda’ la prestazione ma controlla la sola legittimità degli importi fatturati, la normativa di cui all’art. 70 sarebbe incompatibile in via assoluta con il rapporto sanitario ed i crediti da questo scaturiti’.
Giusta o sbagliata che sia tale ratio decidendi resiste alle censure della ricorrente.
Con il terzo motivo, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., la ricorrente si duole della violazione dell’art. 1362 cod.civ., dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1379 cod.civ., dell’art. 70 rd 2440/1923, dell’ art. 1355 cod.civ., dell’art. 41 Cost e dei principi fissati con le sentenze nn. 18399/2014, 13075/00; 981/2002; 9789/94 di questa Corte.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile l’art. 1379 cod.civ., ‘posto che non si è in presenza di un divieto di alienare stabilito tout court, bensì di una condizione cui l’alienazione è sottoposta, concetto del tutto differente e giustificato dalla trilateralità del rapporto dedotto. Peraltro, nella fattispecie in esame ricorre un apprezzabile interesse di almeno una delle parti, posto che il divieto di alienazione senza autorizzazione di cui all’art. 13 del contratto corrisponde ad una precisa ratio, che si è come detto ravvisata nell’esigenza di evitare che, durante l’esecuzione del contratto, possano venire meno i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione a favore della RAGIONE_SOCIALE‘
L’errore della Corte d’appello sarebbe quello di avere deciso in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che, con costanza, ha specificato che la necessità dell’approvazione della cessione del credito di cui all’art. 70 r.d. n. 2440/1923 è da intendersi limitata
nel tempo e precisamente fino a quando l’opera e il bene non siano stati acquisiti tramite collaudo, essendo la sua ratio quella ‘di evitare che durante l’esecuzione del contratto possano venir meno i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione in favore della P.A. (somministrante, fornitore o appaltatore)’ .
Per di più la giurisprudenza di legittimità esclude che, in materia di crediti sanitari, e più precisamente in materia di accreditamento tra case di cura e RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE, possa trovare applicazione la normativa di cui all’art. 70 r.d. n. 2440/1923, giacché la stessa riguarda solo lo Stato Centrale, e non e le ASL e le Regioni, è norma speciale non suscettibile di estensione analogica, applicandosi la stessa solo ai rapporti di appalto, di somministrazione e di fornitura, e non ai rapporti concessori quale è quello sanitario, ove la prestazione non è resa in favore dalla RAGIONE_SOCIALE, ma per conto di esse e in favore dei singoli pazienti, non essendo prevista alcuna acquisizione del bene o servizio in capo alla parte pubblica, stante peraltro l’assenza del collaudo quale strumento acquisitivo’.
Ora, proprio per tale ragione, cioè per l’inapplicabilità di tale previsione al contratto per cui è causa, sarebbe stato imposto l’inserimento nel contratto della clausola 13; in tal modo ‘quello che non poteva applicarsi direttamente è stato recepito in via contrattuale’.
E ancora la ricorrente sostiene che il dato testuale dell’articolo 13 del contratto escludeva una discrezionalità assoluta in capo alla RAGIONE_SOCIALE, perciò la Corte d’appello considerando l’art. 13 del contratto alla stregua di una condizione meramente potestativa (per mancanza di alcun limite temporale come sopra specificato) avrebbe dovuto considerarlo nullo, ex art. art. 1355 cod.civ.
Il motivo è inammissibile.
Anche le surriferite censure non centrano la ratio decidendi : la Corte d’appello ha superato la questione dell’applicabilità dell’art.
70 r.d. n. 2240/1923 alla cessione dei crediti per cui è causa, così come la necessità del collaudo, ritenendo, come già rilevato (cfr. supra § 2) che detta disposizione si applica alla fattispecie solo ed esclusivamente in ragione del suo espresso richiamo nella regolamentazione contrattuale inter partes (cfr. p. 5 e p. 6 ).
Non può, peraltro, non rilevarsi che la ricorrente si limita a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo; il che condanna il motivo all’inammissibilità, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n.22478). È sufficiente porre a confronto le pp. 3 e 4 della sentenza impugnata, là dove sono descritti i contenuti dell’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE, con la parte motiva della pronuncia impugnata per rendersi conto che le questioni qui dedotte sono proprie le stesse, supportate con le medesime argomentazioni, disattese dal giudice a quo .
4) Con il quarto motivo di ricorso, ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ. è denunciata la violazione degli artt. 1341, 1355, 1418 cod.civ.
In subordine, rispetto al motivo precedente, l’esponente deduce che la clausola n. 13 sarebbe ‘ frutto dello sbilanciamento dei poteri contrattuali regionali nei confronti del contraente più debole, con conseguente declaratoria di nullità della clausola, per protezione del soggetto vessato, stante l’evidenza di una condizione che assumerebbe, in tale senso, carattere meramente potestativo, e, quindi, annullabile anche sotto questo profilo, oltreché sotto quello residuale della mancata accettazione per specifico ex art. 1341 c.c.’.
La Corte d’appello ha osservato che la ‘clausola in questione, come del resto tutto l’impianto della convenzione relativa alla disciplina dell’erogazione in concessione di un servizio pubblico per conto del RAGIONE_SOCIALE, è stata frutto di una specifica trattativa pubblica, il che non solo ne esclude la vessatorietà, ma la riconduce evidentemente all’interno di un espressa e puntuale valutazione che le parti, nella tipicità del rapporto concessorio, hanno effettuato con riferimento alla cedibilità dei crediti, cui si sono limitate ad apporre una condizione e non certamente un divieto ‘.
Secondo la ricorrente, non avendo la controparte dimostrato che la clausola era stata frutto di una negoziazione, essa avrebbe dovuto essere sottoscritta ai sensi dell’art. 1341 cod.civ. non essendo di certo sufficiente la sottoscrizione tout court del contratto come se fosse stato un accordo tra privati, trattandosi di uno schema di contratto ex art. 8 quinques d.lgs. n. 502/1992 e smi predisposto ed imposto dalla RAGIONE_SOCIALE Abruzzo, per conto delle Asl territoriali.
Detta questione, che la Corte d’appello ha giudicato inammissibile perché nuova anziché una mera difesa, avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio, trattandosi di una nullità di protezione.
Il motivo è inammissibile.
La corte territoriale ha ritenuto evidentemente dimostrato che le parti avessero, a seguito di una specifica trattativa, inserito nel contratto la condizioni di cui all’art. 13, perciò la (ri)proposizione della tesi secondo cui la clausola sarebbe stata imposta e che la RAGIONE_SOCIALE non si fosse fatta carico dell’onere di provare la negoziazione è malposta.
Non può farsi a meno di rilevare, peraltro, che secondo la giurisprudenza di questa Corte deve escludersi che le convenzioni con la RAGIONE_SOCIALE siano imposte nel senso argomentato dalla ricorrente; è sufficiente il rinvio sul punto a Cass., Sez. Un., 14/12/2023, n.35092; Cass. 5/04/2024, n. 9100.
Per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a favore dell’ufficio del merito competente, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della