Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25911 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25911 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
INGIUNTIVO.
Dott. NOME COGNOME
Presidente
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere – rel.
Ud. 17/09/2025 CC Cron. R.G.N. 5423/2024
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 5423/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Asti, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME che l a rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso.
-ricorrente contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Asti, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso.
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
-intimata –
avverso la sentenza, n. cron. 1201/2023, della CORTE DI APPELLO DI TORINO depositata in data 29/12/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
17/09/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME propose opposizione al decreto ingiuntivo n. 274/2019 del Tribunale di Asti, emesso, su richiesta di Intesa Sanpaolo s.p.a., anche contro di lei, in qualità di fidejussore del proprio figlio, NOME COGNOME titolare dell’omonima azienda agricola, con cui era stato preteso il pagamento, dal debitore e dalla garante, della complessiva somma di € 365.481,55 oltre interessi e spese di procedura, per anticipo fatture e finanziamenti erogati nel corso del tempo ed in relazione ai quali il debitore COGNOME era gravemente inadempiente e versava in stato di decozione. In particolare, affermata la sua qualifica di ‘consumatore’ non essendo socia dell’azienda e non avendo interesse alcuno nell’attività di impresa, la COGNOME contestò: i ) la validità delle fidejussioni sottoscritte (‘… le fidejussioni sono nulle per violazione dell’art. 2 comma 2, lett. A della legge n. 287/1990 e del decreto legislativo 206/2005 …’) ed eccep ì la decadenza, ex art. 1957 cod. civ., della banca dall’azione nei suoi confronti per non avere l’istituto di credito ‘… promosso l’azione nel termine di mesi sei previsto dalla norma …’; ii ) la correttezza delle singole annotazioni a debito e dei saldi debitori indicati dalla ricorrente.
Costituitasi in giudizio Intesa Sanpaolo s.p.a., che contestò le avverse pretese chiedendone il rigetto, l’adito tribunale, con sentenza del 2 febbraio 2021, n. 75, accolse la domanda della COGNOME riconoscendo che i contratti di fidejussione oggetto di valutazione, per le loro caratteristiche specifiche, dovevano considerarsi non già contratti autonomi di garanzia ma, appunto, convenzioni conformi allo schema legale delle fidejussioni. Da ciò, accertata la qualifica di ‘consumatore’ della opponente, fece discendere la fondatezza dell’eccezione di nullità della clausola derogatoria della disciplina di cui all’art. 1957 cod. civ. e ritenne, di conseguenza, tardivo il pr omovimento dell’azione
per il recupero del credito. Pertanto, revocò l’opposto decreto e condannò la banca convenuta alla rifusione delle spese di lite.
2. Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, promossi avverso quella decisione, rispettivamente, dalla Virano e da Intesa Sanpaolo s.p.a., l’adita Corte di appello di Torino, con sentenza del 29 dicembre 2023, n. 1201, così dispose: « Dichiara ammissibile l’appello incidentale tardivo proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a.; in accoglimento dell’appello principale ed in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Asti n. 75/2021, pubblicata il 2.2.2021, liquida le spese del giudizio di primo grado in complessivi € 11.299,00; rigetta l’appello incidentale tardivo; condanna Intesa Sanpaolo s.p.a. al pagamento a favore della signor COGNOME NOMECOGNOME con distrazione a favore della procuratrice, Avv. NOME COGNOME dichiaratasi antistataria, delle spese di entrambi i gradi del giudizio ».
Per quanto qui ancora di interesse, quella Corte: i ) confermò la configurabilità della qualifica di consumatore in capo alla COGNOME. Spiegò, in proposito, che « le deduzioni di parte appellante incidentale non sono affatto convincenti per alcuni ordini di motivi ed alla luce delle produzioni documentali effettuate in corso di causa. È irrilevante che la residenza della signora COGNOME coincida con quella dell’azienda agricola del figlio; tale circostanza avrebbe eventualmente potuto avere un valore indiziario in un contesto fattuale nel quale insieme ad altri elementi, neppure indicati, avrebbe potuto consentire al giudice del merito di prescindere dalla genericità della circostanza. Le ulteriori peculiarità dalle quali trarre, secondo la banca, elementi a supporto del suo ragionare, dovrebbero essere tratti non da fatti ma da ‘luoghi comuni’ neppure ipotizzati prima. Viceversa, l’estraneità della signora COGNOME alle attività aziendali agricole del figlio emergono sia dalla certificazione camerale in atti sia, per obiettivi motivi, dall’età dell’appellante principale che, come pure rammenta Intesa, è nata nel 1943 e gode di una rendita pensionistica personale »; ii ) ritenne che « La confermata qualifica di consumatore della signora COGNOME assorbe la censura di cui al secondo motivo di appello incidentale, con la quale è contestata la qualificazione del contratto dedotto in giudizio che, ad avviso di Intesa, sarebbe da configurarsi in termini
di contratto autonomo di garanzia piuttosto che di fidejussione tipica »; iii ) disattese, infine, il terzo motivo di gravame incidentale, con cui Intesa Sanpaolo s.p.a. aveva contestato la ricomprensione della clausola che deroga alle disposizioni di cui all’art. 1957 cod. civ. fra quelle abusive di cui all’art. 33, comma 2, lett. t] , del Codice del consumo. Opinò, invero, che, « Al di là del dato letterale che, a parere della Corte, è chiarissimo ed incontestabile (‘ Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di…t) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi ‘ …), parte appellante incidentale chiarisce come, non essendovi sotteso a detta disposi zione alcun interesse pubblico, essa (l’art. 1957 c.c.) è liberamente derogabile dalle parti. Nulla quaestio in merito a tale ultimo assunto. Il problema si pone, e sussiste nel caso in esame, rispetto al procedimento che, stan te l’abusività dei contenuti della clausola derogata e la qualifica di consumatrice della contraente, la banca avrebbe dovuto porre in essere (le attività indicate nell’art. 34 Codice del Consumo) per rendere noto ed espressamente esplicitare alla contraente ‘debole’ l’impegno che stava andando ad assumere. Nessuna prova in merito è stata fornita dalla banca, sicuramente onerata a ciò, cosicché la clausola derogatoria dei termini di cui all’art. 1957 c.c. deve confermarsi, come già statuito dal Tribunale di Asti, nulla e non applicabile al rapporto dedotto ».
Per la cassazione di questa sentenza Organa RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE a seguito di variazione di denominazione sociale del 14 dicembre 2018), ha proposto ricorso affidandosi a quattro motivi. Ha resistito, con controricorso, NOME COGNOME eccependo, pregiudizialmente, la carenza di legittimazione della ricorrente. È rimasta solo intimata, invece, Intesa Sanpaolo s.p.a.
Il 28/29 ottobre 2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 5/6 dicembre 2024, RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la decisione del suo ricorso. Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, commi 1 e 2, e 2729 comma 1, c.c., 115, comma 2, c.p.c. e 3 del d.lgs. n. 260/2005, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », laddove la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la qualifica di consumatrice in capo alla garante NOME COGNOME anziché escluderla, con conseguente cassazione della medesima sentenza nella parte in cui, dall’asserita qualifica consumeristica della predetta garante, ha fatto discendere la nullità della deroga convenzionale all’art. 1957 cod. civ. per contrarietà al codice del consumo e dichiarato, per l’effetto, decaduto il creditore ai sensi del predetto articolo;
II) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e, quindi, nullità della sentenza impugnata a mente dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. », per avere la corte distrettuale omesso di pronunciarsi nel merito del secondo motivo di appello incidentale di Intesa Sanpaolo s.p.a., relativo alla rilevanza della qualificazione dei rapporti in causa come contratti autonomi di garanzia e non come fideiussioni, ai fini dell’esclusione dell’abusività della clausola derogatoria dell’art. 1957 c od. civ.;
III) « Violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, comma 2, 1936, 1941, 1945 e 1957 c.c., nonché degli artt. 33, commi 1 e 2, lett. t), 34, commi 1, 2 e 4, e 36 del d.lgs. 206/2005, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». In via subordinata all’accoglimento del precedente motivo, si contesta alla corte territoriale di avere ritenuto vessatorie le clausole derogatorie dell’art. 1957 cod. civ. contenute nei contratti autonomi di garanzia per cui è causa;
IV) « Violazione e falsa applicazione degli artt. 1957 c.c. e 33, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 206/2005, a mente dell’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c. », per essere stata ritenuta vessatoria la deroga all’art. 1957 c od. civ.,
indipendentemente dalla qualifica del contratto come autonomo di garanzia o fideiussione.
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. L’odierno ricorso si rivela inammissibile alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.
Innanzi tutto, ed in via assolutamente dirimente, va rilevato che lo stesso risulta proposto da un soggetto , di cui, però, non risulta l’avvenuta partecipazione al giudizio definito dalla sentenza oggi impugnata ed intercorso unicamente tra NOME COGNOME (parte appellante) ed Intesa Sanpaolo s.p.a. (appellata ed appellante incidentale). In particolare, l’odierna ric orrente si è qualificata cessionaria del credito di cui si discute (in forza del contratto di cessione intercorso con Intesa Sanpaolo il 19 aprile 2022) e, come tale, legittimata ad agire in questa sede ex art. 111, comma 4, cod. proc. civ. La controricorrente COGNOME tuttavia, ha specificamente contestato tali assunti, assumendo, tra l’altro, che: i) «al 19/4/2023, prima della pronuncia della gravata sentenza, Intesa non aveva né crediti né debiti nei confronti della signora COGNOME, essendo stata respinta dal Tribunale di Asti la domanda di Intesa San Paolo, ed avendo Intesa San Paolo versato le spese legali liquidate nella sentenza di primo grado in favore della signora COGNOME; ii) la cessione non è effettivamente intervenuta. Non solo, infatti, non è stata compiutamente documentata, ma è pure smentita dai fatti riprodotti nei documenti indicati nel proprio controricorso.
2.1. Orbene, esigenze di chiarezza impongono di premettere che la legittimazione ad agire serve ad individuare la titolarità del diritto ad agire in giudizio. Ragionando ex art. 81 cod. proc. civ., per il quale “Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”, essa spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare. Secondo una tradizionale e condivisibile definizione la “parte” è il soggetto che in proprio nome
domanda o il soggetto contro il quale la domanda, sempre in proprio nome, è proposta. Oggetto di analisi, dunque, al fine di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, è la domanda, nella quale l’istante deve affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio. Ciò che rileva, quindi, è la prospettazione (discorso analogo vale per la simmetrica legittimazione a contraddire, che attiene alla titolarità passiva dell’azione e che, anch’essa, dipende dalla prospettazione nella domanda di un soggetto come titolare dell’obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio). Nel caso in cui l’atto introduttivo del giudizio non indichi, quanto meno implicitamente, l’istante medesimo come titolare del diritto di cui si chiede l’affermazione ed il convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l’azione sarà inammissibile. Naturalmente ben potrà accadere che poi, all’esito del processo, si accerti che la parte non era titolare del diritto che aveva prospettato come suo (o che la controparte non era titolare del relativo obbligo), ma ciò attiene al merito della causa e non esclude la legittimazione a promuovere un processo (oppure ad intervenirvi). L’istante perderà la causa, con le relative conseguenze, ma aveva diritto di intentarla (o di intervenirvi). Da quest’analisi emerge, allora, come una cosa sia la legittimazione ad agire, altra cosa sia la titolarità del diritto sostanziale oggetto del processo. La legittimazione ad agire mancherà tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all’attore (nella specie, dunque, essa deve considerarsi sussistente in ragione della mera affermazione di RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, di essersi resa cessionaria da Intesa Sanpaolo s.p.a. del credito di cui si discute). La titolarità del diritto sostanziale (di cui qui concretamente si discute) attiene, invece, al merito della causa, alla fondatezza della domanda. I due regimi giuridici sono, conseguentemente, diversi. Nella specie, ciò che rileva effettivamente è il secondo di essi, pertanto diviene sufficiente ricordare, in conformità a Cass., SU, n. 2915 del 2016, che: i) la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta a chi la invochi allegarla e
provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione ad opera della controparte; ii) le contestazioni, da parte di quest’ultima, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’istante hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti; iii) la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa.
2.2. Fermo quanto precede, va rimarcato, poi, che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il soggetto che proponga impugnazione oppure vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova -la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex artt. 110 e 111 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 24050 del 2019, Cass. n. 22244 del 2006 e Cass. n. 25344 del 2010, conforme a quest’ultima. Nel medesimo senso sostanziale, peraltro, risultano anche, tra le altre Cass. n. 13685 del 2006; Cass. n. 15352 del 2010; Cass. n. 1943 del 2011.
2.2.1. Pertanto, alla stregua dell’appena descritto indirizzo ermeneutico, RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, una volta affermatasi cessionaria da Intesa Sanpaolo s.p.a. del credito di cui si discute, avrebbe dovuto non soltanto allegare ma anche fornire la dimostrazione della relativa circostanza, la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è, come già anticipatosi, rilevabile d’ufficio.
2.2.2. La menzionata ricorrente, in proposito, ha dichiarato di depositare unitamente al ricorso, tra l’altro, l”Estratto G.U. n. 45, del 19.04.22′ (cfr. doc. indicato sub lettera D), recante l’avviso dell’avvenuta cessione, in suo favore, da parte di Intesa Sanpaolo s.p.a., di un pacchetto di crediti -« (per capitale, interessi anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni, indennizzi e quant’altro) derivanti da contratti di finanziamento, chirografari e ipotecari, saldi debitori di conti correnti, insoluti in portafoglio e conto anticipi sorti nel periodo dal 01.01.1950 al 01.01.2022, qualificati come “a sofferenza” e segnalati in “Centrale dei rischi” ai sensi delle circolari della Banca d’Italia» (cfr. pag. 8 del ricorso) -tra cui vi sono anche quelli contro l’azienda agricola di NOME COGNOME descritti nelle premesse in fatto del suo ricorso, che hanno dato luogo al decreto ingiuntivo n. 274/2019 del Tribunale di Asti, opposto dalla garante COGNOME.
2.2.3. Così operando, tuttavia, la stessa ha finito per confondere il requisito della ‘notificazione’ della cessione al debitore ceduto, necessario ai fini dell’efficacia della cessione stessa nei confronti di quest’ultimo e dell’esclusione del carattere liberatorio dell’eventuale pagamento dal medesimo eseguito in favore del cedente, con la prova dell’effettiva avvenuta stipulazione del contratto di cessione e, quindi, del concreto trasferimento della titolarità di quel credito, prova necessaria per dimostrare la reale legittimazione sostanziale ad esigerlo da parte del preteso cessionario, laddove tale qualità sia contestata (come accaduto nella specie per effetto di quanto si è detto in precedenza) dal debitore ceduto.
2.2.4. Invero -come si legge in Cass. n. 5478 del 2024 – in linea generale, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 cod. civ., quanto meno nel caso in cui, sul punto, il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata.
2.2.5. Tale principio vale, ovviamente, in qualunque forma sia avvenuta la cessione ed in qualsiasi forma sia avvenuta la relativa notificazione da parte del cessionario al ceduto; quindi, almeno di regola, anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati e la notizia della cessione sia eventualmente stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’ar t. 58 T.U.B.
2.2.6. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, nelle recenti Cass. n. 5478 del 2024 e Cass. n. 17944 del 2023, all’esito di un approfondito excursus motivazionale (cui qui può farsi rinvio ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.), è stato enunciato il seguente principio di diritto: «In caso di azione (di cognizione o esecutiva) volta a far valere un determinato credito da parte di soggetto che si qualifichi cessionario dello stesso, occorre distinguere: la prova della notificazione della cessione da parte del cessionario al debitore ceduto, ai sensi dell’art. 1264 c.c., rileva al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eseguito al cedente ed è del tutto estranea al perfezionamento della fattispecie traslativa del credito; quest’ultima, laddove sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore (e solo in tal caso), deve essere oggetto di autonoma prova, gravante sul creditore cessionario, anche se la sua dimostrazione può avvenire, di regola, senza vincoli di forma e, quindi, anche in base a presunzioni. Tali principi valgono anche in caso di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati, ai sensi dell’art. 58 T.U.B. In tale ipotesi (e solo per tali specifiche operazio ni), la pubblicazione da parte della società cessionaria della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale, prevista dal secondo comma della suddetta disposizione, tiene luogo ed ha i medesimi effetti della notificazione della cessione ai sensi dell’art. 1264 c.c., onde non costituisce di per sé prova della cessione. Se l’esistenza di quest’ultima sia specificamente contestata dal debitore ceduto, la società cessionaria dovrà, quindi, fornirne adeguata dimostrazione e, in tal caso, la predetta pubblicazione potrà al più essere valutata, unitamente ad altri elementi, quale indizio. Laddove, peraltro,
l’esistenza dell’operazione di cessione di crediti ‘in blocco’ non sia in sé contestata, ma sia contestata la sola riconducibilità dello specifico credito controverso a quelli individuabili in blocco oggetto di cessione, le indicazioni sulle caratteristich e dei rapporti ceduti di cui all’avviso di cessione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale potranno essere prese in considerazione onde verificare la legittimazione sostanziale della società cessionaria e, in tal caso, tale legittimazione potrà essere affermata solo se il credito controverso sia riconducibile con certezza a quelli oggetto della cessione in blocco, in base alle suddette caratteristiche, mentre, se tali indicazioni non risultino sufficientemente specifiche, la prova della sua inclusione nell’ope razione dovrà essere fornita dal cessionario in altro modo».
2.2.7. Alla stregua dell’appena riportato, e qui condiviso, principio, dunque, e ribadito che il soggetto che proponga impugnazione (come concretamente avvenuto nella specie), oppure vi resista, nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova – la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio -delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex artt. 110 e 111 cod. proc. civ. (cfr. tra le più recenti, la già citata Cass. n. 24050 del 2019), ne discende che RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, benché gravata, fin dal momento del deposito del proprio ricorso, dell’onere di provare di essere subentrata, quale successore a titolo particolare, nella titolarità del credito de quo, non ha fornito adeguata dimostrazione di tanto, posto che la sola descritta documentazione dalla medesima prodotta contestualmente al deposito del suo ricorso si rivela affatto inidonea a provare il contratto di cessione, in suo favore dei crediti (tra cui quello di cui oggi si discute) già di Intesa Sanpaolo s.p.a. La stessa, infatti, investe il solo requisito della ‘notificazione’ della cessione da Intesa Sanpaolo s.p.a. ad RAGIONE_SOCIALE al debitore ceduto, necessario ai fini dell’efficacia della
cessione stessa nei confronti di quest’ultimo e dell’esclusione del carattere liberatorio dell’eventuale pagamento dal medesimo effettuato in favore della cedente, non anche la prova dell’effettiva avvenuta stipulazione del contratto di cessione e, quindi, dell’effettivo trasferimento della titolarità di quel credito.
2.3. Una tale carenza probatoria -rilevabile di ufficio anche da questa Corte, giova nuovamente ricordarlo, attenendo alla regolare instaurazione de contraddittorio nella fase della impugnazione -nemmeno è stata colmata da una condotta processuale della parte odierna controricorrente il riconoscimento o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione della suddetta legittimazione della controparte. Al contrario, la COGNOME, come pure si è già riferito, con il proprio controricorso ne ha espressamente contestato la legittimazione ad agire in questa sede non avendo la stessa dimostrato il contratto di cessione dei crediti in forza del quale ha affermato di essere titolare del rapporto e/o del credito controverso.
Fermo quanto precede, si osserva quanto segue in relazione ai singoli motivi dell’odierno ricorso.
Il primo di essi è inammissibile, posto che, sotto l’egida formale della denunciata violazione di legge (anche processuale), è volto, in realtà, a contestare gli accertamenti, chiaramente fattuali e, come tali, insindacabili in questa sede, posti dalla corte distrettuale a fondamento della sua conclusione circa la spettanza alla Virano della qualifica di consumatore, così dimenticando che: i) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni,
Cass. nn. 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, «in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa»); ii) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma (e tanto non è accaduto nella specie), non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile, in sede di legittimità, solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017), laddove concretamente denunciabile; iii) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878
e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024).
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, scrutinabili congiuntamente perché connessi, si rivelano parimenti inammissibili.
5.1. Giova rimarcare, invero, che, come ancora ribadito, in motivazione, da Cass. nn. 19423, 16118, 13621, 9807 e 6127 del 2024, il vigente testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ha ormai ridotto al ‘minimo costituzionale’ il sindacato di legi ttimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35947, 28390, 26704 e 956 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199 e 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. nn. 20042 e 23620 del 2020; Cass. nn. 395, 1522 e 26199 del 2021; Cass. nn. 27501 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023) o di sua ‘contraddittorietà’ (cfr. Cass. nn. 7090 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023).
5.1.1. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. nn. 19423 e 5375 del 2024; Cass. n. 35947 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199, 1522 e 395 del 2021; Cass. nn. 23684 e 20042 del 2020). Ne deriva che è possibile ravvisare una
‘motivazione apparente’ nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’ iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice.
5.1.2. Un simile vizio -da apprezzarsi, peraltro, non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. nn. 19423 e 5375 del 2024; Cass. n. 35947 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020) -è, nella specie, insussistente, posto che la corte territoriale ha illustrato gli assunti posti a base dell’adottata soluzione di rico noscimento, in capo alla COGNOME, della qualità di consumatore, altresì escludendo, nella specie, la possibilità di qualificare la garanzia da quest’ultima prestata come contratto autonomo di garanzia (come ancora oggi preteso dalla ricorrente), invece che di fideiussione. Si tratta, quindi, di una motivazione che esplicita le ragioni della decisione, rendendone agevolmente individuabile l’ iter logico, così dovendosi considerare soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è detto. A tanto va aggiunto che, nella misura in cui, l’odierna ricorrente insiste nell’assunto della qualificazione della garanzia suddetta come contratto autonomo di garanzia, la stessa mostra di non considerare che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 13621 e 2607 del 2024; Cass. n. 30878 del 2023; Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 13005 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass. n. 35787 del 2022; Cass. n. 35041 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 19146 del 2022; Cass. n. 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. n. 25470 del 2019; Cass. n. 14938 del 2018; Cass.
25470 del 2019), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in
sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato. Nulla di tanto si rinviene, tuttavia, nei motivi di ricorso in esame) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione).
Inammissibile, infine, è pure il quarto motivo di ricorso, atteso che lo stesso non coglie appieno la ratio decidendi , in parte qua , della sentenza impugnata.
6.1. Quest’ultima, infatti, una volta riconosciuta alla COGNOME la qualifica di consumatore, ha ritenuto -peraltro affatto condivisibilmente -che la clausola di deroga alle disposizioni di cui all’art. 1957 cod. civ., fatta rientrare fra quelle abusive ex art. 33, comma, 2, lett. t), del Codice del Consumo (‘… Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di…t) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi …’), fosse liberamente derogabile, come ivi sostenuto pure dall’appellante incidentale Intesa Sanpaolo s.p.a., non essendo sotteso ad essa alcun interesse pubblico. Ha rimarcato, tuttavia, che il «problema si
pone, e sussiste nel caso in esame, rispetto al procedimento che, stante l’abusività dei contenuti della clausola derogata e la qualifica di consumatrice della contraente, la banca avrebbe dovuto porre in essere (le attività indicate nell’art.34 Codice del Consumo) per rendere noto ed espressamente esplicitare alla contraente ‘debole’ l’impegno che stava andando ad assumere» ed ha valorizzato la circostanza che «Nessuna prova in merito è stata fornita dalla banca, sicuramente onerata a ciò, cosicché la clausola derogatoria dei termini di cui all’art. 1957 cod. civ. deve confermarsi, come già statuito dal Tribunale di Asti, nulla e non applicabile al rapporto dedotto» .
Con l’istanza di decisione ex art. 380bis c.p.c. la ricorrente ha depositato documentazione a sostegno della propria legittimazione. Trattasi, in particolare, della ‘ copia della dichiarazione di cessione single name ‘ da cui la prima intende ricavare la dimostrazione del l’effettività della cessione del credito per cui è causa in proprio favore e la conseguente titolarità, in capo ad essa, del relativo diritto.
Il deposito di questa documentazione è certamente ammissibile, ex art. 372 cod. proc. civ., perché riguarda l’ammissibilit à del ricorso, sotto il profilo della invocata legittimazione di RAGIONE_SOCIALE.lRAGIONE_SOCIALE a promuoverlo, in luogo di Intesa Sanpaolo s.p.a., ex art. 111 cod. proc. civ..
Orbene, pure volendosi ritenere superato il corrispondente aspetto di inammissibilità svolto nella descritta proposta, restano comunque affatto condivisibili, ad avviso del Collegio, le conclusioni in essa esposte circa le ragioni di inammissibilità dei singoli motivi di ricorso.
Le stesse, invero, nemmeno appaiono efficacemente confutate dalla memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. depositata dalla ricorrente il 5 settembre 2025.
Quest’ultima, infatti, insiste nel sostenere che « l’oggetto della vertenza concerne la qualificazione del contratto intercorso tra Istituto di Credito e garante come fidejussione anziché come contratto autonomo di garanzia », ma tanto non trova adeguato riscontro nei formulati motivi, posto che nessuno di essi, come pure esaustivamente rimarcato nella menzionata proposta, reca valide censure di violazione dei criteri legali di interpretazione
contrattuale, con la necessaria, puntuale specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, nonché delle considerazioni con cui il giudice di merito li avrebbe disattesi.
Non resta che ribadire, dunque, che il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito .
Altrettanto è a dirsi, peraltro, quanto all’accertamento della configurabilità, o non, della qualifica di consumatore in capo ad uno dei contraenti, ricordandosi che l’art. 3 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cd. ‘ Codice del consumo ‘) definisce il ‘ consumatore ‘ come la persona fisica che agisce, in un rapporto negoziale, per scopi estranei all’attivit à imprenditoriale o commerciale eventualmente svolta, e che, ai fini della identificazione del soggetto avente diritto alla tutela del Codice del consumo, non assume rilievo che la persona fisica rivesta la qualità di imprenditore o di professionista, bensì lo scopo perseguito al momento della stipula del contratto, con la conseguenza che anche l’imprenditore individuale o il professionista va considerato ” consumatore ” allorché concluda un negozio per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale ( cfr . Cass. n. 6578 del 2021. La successiva Cass. n. 26292 del 2024, inoltre, ha puntualizzato, affatto opportunamente, che « Ai fini del riconoscimento della qualità di consumatore, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 206 del 2005, non assume rilevanza l’aspirazione futura a esercitare una professione, dovendosi considerare, per la classificazione quale consumatore o professionista, la qualità del contraente al momento della stipula del contratto »).
In relazione ad entrambi tali aspetti, pertanto, i primi tre motivi, per come concretamente articolati, sono volti, a contestare accertamenti di natura chiaramente fattuali e, come tali, insindacabili in questa sede, posti dalla corte distrettuale a fondamento della sua conclusione (con una motivazione che non integra violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e
di prova presuntiva, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti), così dimenticando il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ( cfr. e multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20895 del 2025; Cass. nn. 28390, 27522, 11299 e 7993 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., SU, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. n. 20895 del 2025; Cass. n. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017). In effetti, come puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022, Cass. n. 8671 del 2025 e Cass. n. 20895 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente
prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
Circa il quarto motivo, infine, esso è parimenti inammissibile, atteso che la sentenza impugnata, attribuita alla Virano la qualifica di consumatore e ritenuto -del tutto condivisibilmente -che la clausola di deroga alle disposizioni di cui all’art. 1957 cod. civ., rientr i fra quelle abusive ex art. 33, comma, 2, lett. t), ha opinato che la stessa fosse si liberamente derogabile (come sostenuto, del resto, pure dall ‘appellante Intesa Sanpaolo s.p.a.), non essendo sotteso ad essa alcun interesse pubblico, ma ha precisato che il « problema si pone, e sussiste nel caso in esame, rispetto al procedimento che, stant e l’abusività dei contenuti della clausola derogata e la qualifica di consumatrice della contraente, la banca avrebbe dovuto porre in essere (le attività indicate nell’art.34 Codice del Consumo) per rendere noto ed espressamente esplicitare alla contraente ‘debole’ l’impegno che stava andando ad assumere » ed ha valorizzato la circostanza che « Nessuna prova in merito è stata fornita dalla banca, sicuramente onerata a ciò … ». Si è, dunque, nuovamente al cospetto di un accertamento di merito, non ulteriormente sindacabile in questa sede.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, con attribuzione, ex art. 93 cod. proc. civ., all’Avv. NOME COGNOME che se ne è dichiarata antistataria ( cfr. conclusioni del controricorso).
5.1. Poiché il giudizio è definito in sostanziale conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024). Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’ del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni p er discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), la ricorrente suddetta va condannata nei confronti della costituitasi controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
5.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del
contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge , con attribuzione, ex art. 93 cod. proc. civ., all’Avv. NOME COGNOME che se ne è dichiarata antistataria.
Condanna la medesima ricorrente al pagamento della somma di € 10.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME